GESU’ E LA NON-VIOLENZA



La storia di Gesù, lo sappiamo, è una continua tensione nel tentativo di introdurre nella religiosità ebraica la rivelazione di Dio come Abbà, papà.
Si colloca nel contesto della religione della legge, quella secondo cui Dio ti premia se ti comporti bene e ti castiga se ti comporti male. Quella per cui, in definitiva, è l’uomo a garantirsi o meno la salvezza e può a buon diritto pretenderla a fronte di un comportamento ineccepibile di osservanza della legge.
Stando così le cose, se una persona è malata o derelitta, deve essere per un qualche comportamento incorretto, suo o dei suoi padri. La domanda degli apostoli a Gesù, dinanzi al cieco nato, è emblematica e rivelatrice di una mentalità: “Maestro, se quest’uomo è nato cieco, di chi è la colpa? Sua o dei suoi genitori?” (Gv 9,2). Ecco il Dio della prevaricazione, che ha bisogno di passare sul corpo dell’uomo per ristabilire il suo onore ferito.
Ma Gesù non sa che farsene: il suo Dio è Padre e la sua benevolenza è riservata a tutti gratuitamente; anzi, assicurata con una cura speciale proprio a coloro che sono più lontani, e perciò più bisognosi.
E’ un Dio che passa per il mondo liberando gli uomini da ogni sorta di male. In esatta corrispondenza con lo stile di Gesù: quando vede un malato, la prima cosa che gli viene in mente è di guarirlo; un morto, di farlo risorgere. E la donna che, colpita da una emorragia inarrestabile, scommette che, solo toccando il mantello di Gesù, può ricevere la guarigione, è pienamente confermata. Confermata nella sua intuizione, che sfida un catechismo di secoli, secondo cui la sua impurità sarebbe legittimata da Dio come conseguenza di chissà quali peccati da espiare. Confermata nell’idea che, a un Dio così innamorato dell’uomo, un miracolo glielo si può anche strappare a sua insaputa!
Si capisce perfettamente l’ostilità che il messaggio di Gesù gli suscitava contro. L’ostilità di coloro che affermavano la propria moralità evidenziando il peccato degli altri. Secondo la logica per cui io sono giusto se c’è qualcun altro che è peccatore.
Quante volte Gesù ha smascherato questa implicita presunzione e l’ha chiamata, senza mezzi termini, “ipocrisia”? Quante volte Gesù ha delegittimato coloro che, per rispettare le legge del Sabato o per mantenersi puri, hanno lasciato il loro fratello nella sofferenza o morente al ciglio della strada?
Ecco innescato un meccanismo di opposizione all’evangelo che si farà sempre più aspro ed inarrestabile. La novità di Gesù suona ad eresia e le sue denunce risultano insopportabili ai bempensanti del tempo. Che lo condannano quindi… “in nome di Dio”.
Non succede forse così ad ogni uomo che denuncia l’ingiustizia? La saggezza dell’Antico Testamento lo afferma lucidamente:

“Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l’educazione da noi ricevuta. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore. E’ diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade. […] Vediamo se le sue parole sono vere, proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, Egli l’assisterà e lo libererà dalle mani dei suoi avversari” (Sap 2,12-15.17-18).
Il giusto è scomodo.
Facciamo un passo ancora. Secondo la tradizione, condivisa per altro dagli apostoli come dagli avversari di Gesù, la venuta del Messia si sarebbe contraddistinta per la sua irresistibilità. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo. Chi resiste a Dio è destinato all’eliminazione. Perché Dio è il principio stesso della potenza in grado di autoaffermarsi.
Ciò premesso, cogliamo la sottigliezza della questione e comprendiamo perché i capi del popolo ritengano di avere buone ragioni per provare. Se Gesù è il Messia, allora i suoi nemici non riusciranno nell’impresa di eliminarlo. Anzi, sarà peggio per loro. Ma se non lo è (come sono convinti!), avranno liberato Israele dall’ennesimo falso profeta. D’altra parte, “è meglio che un solo uomo muoia per tutto il popolo” (Gv 18,14).
No?
L’esibizione di una potenza inspiegabile, irresistibile e indiscutibile, è da sempre il segno più certo della presenza divina. Ma è proprio questo che Gesù vuole mettere in discussione nel rivelare Dio come Padre.
In nessun caso il Dio di Gesù si servirebbe della violenza per imporsi. In nessun caso eliminerebbe i propri oppositori. E su questo Gesù non vuole essere frainteso.
“Se gli uomini tentano Dio, sollecitandolo ad esibire la sua potenza contro l’altro, come una necessità in sua difesa, Dio si sottrae”. Nessuna riparazione del peccato avviene tramite lo spargimento del sangue di un uomo. Amico o nemico che sia.
E’ nel gesto che attira su di sé la violenza per risparmiare gli altri, che c’è salvezza.
Questo è il gesto di Gesù, che smonta in maniera definitiva la finzione del Dio vendicatore.
E lo compie in prima persona, sottraendo tutti gli altri. Tutti.
Sottrae gli apostoli, ai quali aveva pur detto che dovevano prendere la loro croce; ma, al momento buono, li mette al riparo: “Se cercate me, lasciate andare loro” (Gv 18,8). Sottrae il servo del Sommo Sacerdote, al quale cura l’orecchio tagliato da Pietro al momento della cattura. E in croce, quando ci aspetteremmo che Dio faccia finalmente qualcosa per stabilire la propria superiorità a scapito dei suoi nemici, Gesù sottrae anche loro con parole di perdono.
Tutti sono sottratti alla violenza, perché c’è uno che l’ha attirata tutta su di sé. "Se proprio la stupidità dell’uomo si dirige senza scampo verso l’obiettivo di versare il sangue dell’altro per onorare Dio, Dio versa il proprio sangue per risparmiare quello dell’altro". Nell’evento della croce, Dio è l’unico ferito. La conseguenza del peccato non lascia più i segni sul corpo dell’uomo, ma su quello di Dio.
Dov’è ora il Dio della “giustizia persecutoria”? Ridotto alla vergogna! In suo onore un giusto pende dalla croce. Il sistema ha smascherato da solo la propria ingiustizia. Forza della non-violenza. Forza dell’offerta di sé.
Chi si fiderà più di un Dio nel nome del quale si uccide un innocente?
Con la scelta volontaria della croce, Gesù fa "esplodere" nel grembo stesso di Dio, l’unico a farsi male, l’esito della violenza che si oppone al vangelo. Questo è Dio. Questa la testimonianza che lo onora.
Quale potere ha la violenza su un uomo disposto a perdere tutto, a dare la vita per un ideale? Nessuno!
E quale punizione è riservata agli uccisori di Gesù da parte del Dio tremendo e castigatore dell’immaginario ebraico? Nessuna. Anzi, quando si fece buio su tutta la terra, il cielo si oscurò, “la terra tremò, le rocce si spaccarono” e… “le tombe si aprirono e molti credenti tornarono in vita” (Mt 27,51-52). Ecco la “terribile punizione” che Dio riserva all’umanità per i suoi peccati: la resurrezione, la croce definitiva della morte.
Prova che dare la vita…è gesto di vita!
 
Daniele Pardo