Tempo di attese… e di scelte
Eccoci di nuovo a ripetere gesti e parole ricorrenti. Ogni anno il calendario ci offre le stesse sequenze, ma la Vita ci chiede di far maturare l’inedito con scelte diverse, ogni volta nuove.
Pochi giorni fa sul sito ufficiale dei Fratelli Maristi è uscita un’intervista davvero interessante, il personaggio in questione è fr. Pietro Bettin (si vede che certi nomi sono un po’ difficili per la redazione internazionale del sito, sarà che l’italiano c’ha un verbo in ogni frase e tante vocali sparse…), e ci racconta la sua partecipazione al progetto Lavalla200>. Ci sono persone che dopo il giro di boa dei 60 anni non vedono l’ora di un meritato riposo e di toccare con mano una quieta “pensione”; ma ce ne sono alcuni che coltivano inquietudini e desideri di altra taglia. E’ proprio il caso di fr. Pietro, che dopo una vita a servizio dei ragazzi nelle scuole e nelle comunità mariste d’Italia, ha deciso di prendersi una “vacanza” davvero speciale.
Ecco la sua testimonianza.
1. Che cosa ti ha motivato a lasciare tutto per far parte di una comunità internazionale e interculturale?
Fui motivato dalla nuova sfida che Fr. Emili, superiore generale, lanciò In occasione del bicentenario marista: fondare in ogni regione dell’Istituto delle comunità internazionali che fossero presenza significativa tra i bambini e i giovani in situazione di vulnerabilità alle periferie del mondo. Era anche una risposta all’invito di Papa Francesco di essere una Chiesa in uscita che si lascia interpellare dalle frontiere geografiche ed esistenziali.
Considerando la mia età (andavo verso i 70 anni) pensai che questa poteva essere per me l’ultima occasione per fare un’esperienza di comunità e di missione diversa da quella vissuta nei miei 50 anni di vita religiosa.
Naturalmente i dubbi erano molti. Di fronte alle mie paure nel prendere tale decisione, mi tornava in mente la domanda posta dal Fr. Emili in una delle sue lettere: Che cosa faresti se non avessi paura? Che cosa faremmo come maristi se non avessimo paura?
La vita comincia là dove termina la paura.
2. Descrivi brevemente alcuni momenti importanti nella tua vita di comunità…
Per me l’aspetto più evidente è tato lo stile di vita comunitaria, lo spirito di famiglia che si manifestava nella profondità delle nostre riunioni comunitarie, nella cura della casa, del giardino, della cucina, ecc. L’altro elemento importante era l’impegno nella missione. Particolarmente significativa era la conclusione della giornata quando, nella pace della sera, avevamo il nostro momento di contemplazione e di preghiera per mettere in comune quanto Dio aveva operato attraverso noi durante la giornata.
3. … e nella pastorale della comunità?
L’inserimento nel territorio di Atlantis è stato graduale. Dopo tre anni, possiamo dire di essere ben inseriti e conosciuti sia nell’ambiente parrocchiale che nell’ambiente scolastico.
Siamo andati ad Atlantis senza un progetto prefabbricato, se non quello di essere “una significativa presenza evangelizzatrice tra i bambini e i giovani in situazione di vulnerabilità”. Il primo anno abbiamo preso contatto con tutte le associazioni che svolgevano attività con i giovani di Atlantis e abbiamo offerto, dove possibile, la nostra collaborazione, soprattutto in attività extrascolastiche. Questo ci ha permesso di conoscere e farci conoscere e capire il contesto sociale e culturale della popolazione.
Il secondo anno siamo entrati ufficialmente nello staff di una scuola primaria per le attività pomeridiane. Abbiamo organizzato una settimana intera di attività ludico-educative nel periodo estivo, per la cui animazione abbiamo coinvolto alunni della scuola superiore marista di Rondebosch e alunni di Atlantis. Per continuare il processo di conoscenza del contesto sociale, abbiamo programmato una serie di interviste con persone di consolidata esperienza educativa.
Il terzo anno abbiamo creato un corso di formazione alla leadership da svolersi in 12 incontri, offerto a 20 alunni scelti tra le scuole superiori di Atlantis. Siamo riusciti a fare 3 incontri, poi tutto si è interrotto a causa del coronavirus 19.
Tutto questo graduale processo di inserimento in una nuova cultura, partendo da zero, è stata un’esperienza molto interessante di collaborazione con i responsabili dell’educazione dei giovani sul territorio.