Di solito le pubblicità per le vacanze, le crociere e i viaggi esotici fanno piú presa durante l’inverno, quando anche il clima dice la sua, sará per questo che lo staff della Solidarietña marista hanno pensato di proporre in questo periodo l’invito che state per leggere? Direi proprio di no, anzi, la proposta ha ben poco della vacanza. Ma vale la pena continuare a leggere…
Lo scorso anno fr. Roberto e Mimmo sono andati in avanscoperta per noi, proprio in Camerun, per verificare la situazione, le possibilitá e il modo di essere presenti per dare un aiuto efficace. Da questo nasce la proposta che vi rivolgiamo anche quest’anno. Lasciamo la parola al delegato della solidarietá marista, Gianluca:
Cari volontari,
siamo entusiasti di riproporre anche quest’anno il Campo di Volontariato Internazionale in Camerun, un’opportunità unica per vivere un’esperienza educativa e solidale presso la scuola marista nel sud del Paese. Questa iniziativa nasce dalla collaborazione con la comunità marista del Camerun per sostenere l’Istituto Marista di Douala, una scuola primaria e secondaria bilingue. La Scuola è stata istituita per garantire l’accesso all’istruzione ai bambini anglofoni sfollati a causa delle crisi politiche nel nord del Paese, offrendo loro un ambiente educativo inclusivo nella città francofona di Douala. Il progetto ha già dimostrato il suo valore grazie all’ispirazione e alla motivazione che i nostri volontari dello scorso anno hanno portato con sé, confermando l’impatto positivo di questa iniziativa sia sulla comunità locale che sui partecipanti
Cosa vi proponiamo di fare a Douala:
Fornire supporto educativo e didattico, arricchendo le attività della scuola marista camerunense con un approccio coinvolgente. Durante l’estate, gli alunni camerunensi sono abituati a “fare” scuola come nel resto dell’anno, ma l’obiettivo della nostra visita sarà rendere questo periodo più leggero e divertente. Verranno proposti balli, canti e giochi educativi, offrendo ai bambini un’esperienza stimolante e dinamica, che vada oltre la routine scolastica estiva.
Rafforzare il ponte di solidarietà per futuri gemellaggi tra le nostre scuole e quella camerunense, consolidando la rete marista internazionale e favorendo uno scambio culturale arricchente per tutti.
Dettagli pratici:
Dati di partenza: tra il 12 e il 30 luglio 2025 (le date sono soggette a piccole variazioni a causa dei voli), quasi sicuramente il periodo avrá una durata di 14-15 giorni.
Contributo economico stimato: tra 1.400€ e 1.800€ a persona per viaggio, alloggio, vitto, visto e assicurazione (vaccinazioni escluse). La Fondazione Siamo Mediterraneo a nome della Provincia Marista Mediterranea, per chi ne dovesse fare richiesta, mette a disposizione la possibilità di ricevere un contributo economico fino ad un massimo di 400,00 euro circa per ogni volontario.
Se desiderate vivere questa straordinaria esperienza di solidarietà e crescita personale, vi invitiamo a compilare entro il 23 gennaio 2025 il form di adesione per iniziare insieme questo viaggio. Per qualsiasi domanda, chiarimento e/o dubbio non esitate a contattarci all’indirizzo: solidarieta@maristimediterranea.com. Grazie per il vostro entusiasmo e impegno!
Per la Rete di Solidarietà Marista Gianluca Mauriello
Non è certo la prima volta che riportiamo notizie di prima mano dal panorama siriano; la presenza di fr. George Sabe nella città di Aleppo è per noi una testimonianza e una preoccupazione sempre viva. Alle sue lettere e ad altri interventi abbiamo dedicato una sezione di questo sito. In questi giorni è uscita una sua intervista, pubblicata dal quotidiano spagnolo El Debate. La riportiamo in versione italiana per conoscere direttamente, da chi la vive, come sta evolvendo la situazione in Siria e quali scenari si prospettano in questo martoriato paese.
George Sabe, dei Maristi Blu di Aleppo: “Spero che rimanga ancora qualche cristiano in Medio Oriente”
El Debate parla con uno dei fondatori dei Maristi Blu di Aleppo, la seconda città più grande del paese arabo, che ha vissuto in Siria dallo scoppio della guerra civile per oltre un decennio, per aiutare le famiglie sfollate e colpite durante il conflitto Articolo di Andrea Polidura, Andrea Carrasco. Madrid – pubblicato il 13/01/2025
Il fratello marista George Sabe (Aleppo, 1951), fondatore dei Maristi Blu di Aleppo, sa bene cosa significhi essere cristiano in un paese a maggioranza musulmana. La sua famiglia è di tradizione maronita, una delle più antiche comunità della Chiesa orientale che ha origine ad Antiochia e si è stabilita principalmente in Libano, anche se si è diffusa in numerosi paesi limitrofi eanche in tutta la Siria – dove visse San Giovanni Marone. Per lui, in quanto cristiano nato al centro del mondo musulmano, la sua “missione nel mondo è quella di testimoniare il Vangelo”. Sabe ha sofferto in prima persona la guerra civile siriana, che dura da più di 13 anni, in una delle città che ha sofferto di più le devastazioni del conflitto, Aleppo. Anche l’offensiva dei ribelli – guidata dal gruppo islamista Hayat Tahrir al Sham (HTS) – che ha posto fine a più di un decennio di dittatura della famiglia Al Assad lo ha toccato da vicino. La sua città natale è stata la prima a cadere nelle mani dei fondamentalisti. Un’avanzata fugace, con la quale le fazioni ribelli hanno raggiunto la capitale, Damasco, appena dieci giorni dopo. Sabe confessa di aver vissuto quei primi giorni dell’offensiva con “molta angoscia” perché “nessuno può abituarsi alla guerra”. In perfetto spagnolo con accento francese, Sabe racconta di aver trascorso due anni a Balaguer (Lleida, Spagna) dove ha fatto il noviziato. Si trasferì poi in Belgio, dove si specializzò in psicologia e, al termine, fu nominato come rappresentante della comunità cristiana in Siria, Libano e Costa d’Avorio. È stato solo allo scoppio della guerra civile nel 2011 che è tornato ad Aleppo con l’obiettivo di aiutare il suo popolo. Durante questo periodo difficile, Sabe ha utilizzato anche lo strumento della scrittura e, attraverso le lettere, ha raccontato tutto ciò che stava accadendo in Siria. Tutte queste missive sono confluite nel libro Lettere da Aleppo che, scritto insieme a Nabil Antaki, riflette l’orrore di oltre un decennio di conflitto fratricida.
I Maristi Blu sono nati con lo scoppio della guerra in Siria, come avete vissuto tutti questi anni di incertezza? La guerra era iniziata in Siria nel marzo 2011, ma non ha raggiunto Aleppo fino al giugno 2012. Questo ha sollevato una domanda importante per noi, se potevamo fare qualcosa per aiutare le persone. La risposta è stata molto positiva, molto dinamica. Dovevamo prenderci cura di quelle persone, portarle in salvo. Uscivano da un trauma molto forte dovuto al fatto che dovevano lasciare le loro case pensando che vi sarebbero tornati una settimana dopo. Ma la realtà non era così. Erano diventati sfollati. Abbiamo anche temuto per le nostre vite, abbiamo temuto di aprirci al mondo musulmano, proprio per aiutare il popolo musulmano. Anche loro hanno sofferto e abbiamo dovuto camminare giorno per giorno per vedere come potevamo aiutarli. Eravamo nel bel mezzo della guerra, con troppa poca luce per vedere il futuro.
Le differenze religiose vengono dimenticate di fronte a una guerra come quella in Siria? La guerra ci ha insegnato che, se volevamo vedere il futuro di un paese, il futuro delle relazioni tra persone diverse, di credenze diverse, dovevamo fornire un servizio. Ascoltare, ascoltare la persona umana. Non considerare la persona come un numero, nemmeno per quanto riguarda la sua fede, ma solo come una persona che soffre. Le barriere religiose o di genere, o qualunque cosa siano, non dovrebbero impedirci di agire e mantenere una relazione; Soprattutto nell’ottica di un servizio. Parlo molto di servizio perché questa parola è ciò che portiamo alla persona umana e che la rende una persona con dignità.
Ci si abitua a vivere in guerra? Mai, mai. Non ci si può abituare alla guerra. Non puoi perché la guerra uccide. Uccide il corpo, ma uccide anche lo spirito, uccide la speranza, uccide una visione chiara del futuro. La guerra è stata inventata per dividere le persone. Trasforma l’altro, non solo in un nemico, fa di lui una persona che merita di morire, che merita di scomparire.
Come ha vissuto quest’ultima offensiva dei ribelli che ha posto fine al regime di Assad? Con molta angoscia. Davvero con molta angoscia. Viviamo in un’epoca molto complicata. C’è stato un bombardamento dell’esercito di Assad, e questo ravviva in te le paure e i momenti difficili che vorresti dimenticare. Ma, se fino a novembre avevamo un orizzonte molto buio, oggi molto di più, perché non sappiamo cosa sta succedendo nel paese, non sappiamo dove stiamo andando. Non sappiamo se diventeremo un paese con una Costituzione islamica che ci considera una minoranza, persone che non hanno gli stessi diritti degli altri cittadini. E’ vero che abbiamo posto fine a un regime dittatoriale, ma ci sono molte domande per le quali non abbiamo ancora una risposta.
Ma vi accorgete che qualcosa è già cambiato in queste settimane? A livello economico, c’è stata molta apertura. La possibilità di avere, oltre alla valuta siriana, anche il dollaro, e di poter utilizzare la sterlina turca è stata ben accolta da tutta la popolazione. Ma un governo di transizione non può prendere decisioni. Ci è stato detto che sarà un governo di tre mesi, ma in realtà ci sono decisioni che sono state prese e che ci fanno intuire che il futuro è un paese islamico, con una visione islamica fondamentale.
Cos’è che ti fa capire che questo può accadere? Ad esempio, il ministro dell’Istruzione prende la decisione di eliminare tutto ciò che riguarda il regime: parlare di Assad, parlare del partito… Siamo d’accordo. Ma poi mette una nota per cambiare le spiegazioni su certi argomenti. Ad esempio, c’è un versetto nel Corano che parla di persone che si sono perse. Quelli che credono e quelli che non credono. Fino a un mese fa, chi si perde è chi non ha fede, senza precisazione di chi sia. Il ministro dà un’unica interpretazione, dicendo che sono cristiani ed ebrei. Non so se è chiaro. Ciò significa che se sono cristiano sono una persona perduta, e solo i musulmani sono buoni. Non ha il diritto di considerarci cittadini di seconda classe, sono un governo di transizione. E abbiamo l’esperienza della minoranza cristiana che ha vissuto a Idlib, da dove vengono quelli che oggi governano. Le donne cristiane devono indossare il velo quando escono e non possono indossare i pantaloni senza coprirli con qualcosa. Casi molto concreti. Se siamo considerati una minoranza, possiamo mettere in pratica e vivere la nostra fede, i nostri costumi, ma solo nello spazio della Chiesa, altrimenti non possiamo farlo.
Confidi in un futuro che possa favorire la minoranza cristiana? Spero che il Medio Oriente non si svuoti un giorno di cristiani come è successo nel sud della Turchia, nel Nord Africa, dove i cristiani hanno lasciato tutto e sono scomparsi. Da bambino, quando frequentavo la scuola marista, avevo compagni di classe musulmani, avevo compagni di classe ebrei. Oggi in Siria non c’è più un solo ebreo. Spero che qualche cristiano rimanga in Siria. Se non ci renderanno partecipi del futuro della Siria, il piccolo numero di cristiani cercherà di lasciare il Paese. E non parlo solo dei cristiani, perché posso dirvi tante etnie, tanti modi di vivere che non sono tutti sunniti, non sono tutti salafiti, come quelli che sono attualmente al potere. C’è un mosaico molto grande, un mosaico culturale, un mosaico umano di persone che hanno vissuto insieme, e che potrebbero vivere, e che vogliono vivere insieme costruendo il nostro paese.
Come è cambiata la società siriana nel corso degli anni? –È cambiato molto, in primo luogo a causa di un fattore demografico. Ci sono state molte persone che hanno lasciato il paese, ci sono molti sfollati che sono stati spostati ben 200 volte. È terribile perché devi adattarti a una nuova realtà. Ad esempio, i bambini, qual è il luogo in cui si sentono in pace, con qualità, con sicurezza, quando perdono tutto?, quando temono per la loro famiglia, per il loro padre, per la loro madre… Stavamo cercando di fornire supporto educativo a quei bambini che erano stati traumatizzati dalla guerra. È terribile. Chi ti dice che un giorno quel bambino non farà la guerra agli altri?
Devi aver visto molti di quei bambini crescere… Abbiamo visto i bambini crescere. Venivano da una vita vissuta attraverso molta violenza e a poco a poco hanno dovuto imparare a convivere l’uno con l’altro. Abbiamo visto bambini che sono venuti e non volevano essere separati dalla loro famiglia. Avevano paura. Abbiamo visto bambini coprirsi le orecchie a qualsiasi rumore forte. Abbiamo visto bambini che avevano paura di qualsiasi gesto che potesse essere loro offerto, lo consideravano come qualcosa di orribile. A poco a poco c’è stato un lavoro psicologico, affettivo e umano per salvare quei bambini che poco alla volta sono cresciuti. Un giorno abbiamo trovato una bambina, di quattro anni, che non parlava, non perché fosse muta, ma era completamente bloccata, chiusa. Quando abbiamo parlato con i genitori, ci hanno detto che questa bambina aveva una sorella gemella, che proprio lei ha visto morire a causa di una bomba caduta molto vicino a casa sua. La guerra non è solo un conflitto armato. La guerra è anche la distruzione della persona umana.
Insieme a Nabil Antaki, medico e fondatore dei Maristi Blu, hai scritto Lettere da Aleppo, un libro di lettere in cui parli della guerra. In che modo la corrispondenza ti ha aiutato? –L’abbiamo iniziato nel luglio 2012. All’inizio informavamo gli amici di altre parti del mondo della nostra realtà, di ciò che stava accadendo. Ce lo hanno chiesto, ecco perché abbiamo deciso di scrivere. Scrivere è trasmettere, è permettere all’altro di capire, ma fornendo notizie autentiche, vere. Una notizia che non è solo quella di creare paure. Una notizia che racconta quello che sta succedendo e allo stesso tempo offre una possibilità di solidarietà.
In questi giorni siamo rimasti tutti colpiti dall’ondata di solidarietà che si è riversata, dopo le piogge impressionanti, nelle zone del sud della Spagna colpite dalla DANA e sicuramente queste immagini ci hanno ricordato i tanti volontari che poche settimane fa hanno seguito praticamente lo stesso copione nelle nostre zone romagnole.
Sono davvero tante le persone che invece di maledire il buio accendono una luce.
Le opere mariste ogni anno invitano persone adulte a condividere le loro energie, forze e tempo con bambini e famiglie, specialmente in Africa.
Abbiamo raccontato su queste pagine il recente incontro di Mimmo e Roberto con la realtà dell’impegno marista in Camerun.
Se sei interessato a conoscere quello che si può fare nell’estate del 2025 ti puoi collegare al webinar su Zoom che si terrà giovedì prossimo.
Puoi anche registrarti per ricevere il link dell’incontro che si terrà online GIOVEDì 7 NOVEMBRE alle ore 18.30. Qui trovi il form per registrarsi.
Sull’ultimo numero di Vida Nueva, la principale rivista spagnola per quanto riguarda il mondo religioso, è appena stata pubblicata una intervista a fr. Juan Carlos. Per noi maristi è un volto ben conosciuto e una presenza significativa della nostra provincia marista mediterranea. Fino a 3 anni fa era il nostro provinciale, responsabile di tutte le attività, amico e sostegno fraterno nei diversi ambiti di missione. Al termine del suo incarico una sola richiesta: quella di poter far parte del “progetto Fratelli” che da pochi anni aveva aperto i battenti nel sud del Libano, una comunità intercongregazionale, nella quale i maristi collaborano con i fratelli delle scuolae cristiane (lasalliani) a servizio delle persone più fragili di quel martoriato territorio.
La sede di questo progetto si trova a Rmayleh, un centro a pochi km a nord di Sidone; un tempo era un collegio marista, poi requisito dalle forze militari libanesi, che ancora ne conservano una parte. Si trova vicino a diversi campi profughi e dal 2015 è sede di questo progetto che si avvale anche della collaborazione di numerosi volontari e ong internazionali.
Fino a pochi mesi fa si occupavano soprattutto dei tanti sfollati e profughi della guerra in Siria. Il progetto si rivolge soprattutto ai piccoli, offrendo corsi di alfabetizzazione, scuola (impensabile poter inserire i tanti minori presenti nei vicini campi profughi nelle classi normali: i libanesi sono poco più di 6 milioni, in pochi anni i profughi siriani hanno superato il milione di arrivi…), ma anche formazione per gli adulti, le mamme, le donne, i giovani.
Fa davvero effetto vedere le foto delle tante attività che si svolgevano fino a poche settimane fa in questo grande centro, e sapere che adesso tutto è fermo, chiuso per ovvi motivi di sicurezza.
Abbiamo chiesto a fr. Juan Carlos di poter tradurre e riportare sulle nostre pagine questa intervista che vi proponiamo, proprio per dare segni di speranza in un momento così difficile.
Juan Carlos Fuertes, missionario in Libano:
“Anche se crolla, Hezbollah rinascerà di nuovo, come sempre”
Insieme alla sua comunità e ad altri religiosi Lasalliani, questo marista promuove il Progetto Fratelli, nei pressi di quella che un tempo era Sidone. “Senza un senso di appartenenza nazionale, le persone si sentono più legate al partito o alla confessione religiosa che al proprio paese”
La situazione sta diventando sempre più critica in Libano dopo l’offensiva di Israele contro Hezbollah nelle ultime settimane. La guerra si sta diffondendo in tutto il Medio Oriente e la violenza e l’odio imperversano. Il che si traduce in più morti. Ma, come in ogni dramma umano, ci sono sempre lampi di luce. Uno di loro è testimoniato dal missionario marista Juan Carlos Fuertes, che si dedica a fondo al Progetto Fratelli, un’opera intercongregazionale sostenuta da Manos Unidas e in cui, dal 2015, i maristi e i religiosi lasalliani (i Fratelli delle scuole cristiane, fondati da La Salle), vicino alla città di Saida (la biblica Sidone), offrono un servizio di accompagnamento integrale (dall’educazione al tempo libero) ai rifugiati provenienti dai conflitti nella regione. Oggi si prende cura di siriani e palestinesi, ma anche di tanti sfollati dal Libano stesso.
Come spiega questo religioso valenciano a Vida Nueva, è qui dopo aver detto “sì” tre volte nella sua vita. Tutto è iniziato “in una scuola marista dove ero studente. Lì i fratelli avevano un rapporto molto stretto e cordiale con tutta la gente. Questo ha permesso a me, come a molti altri, di conoscerli molto bene. Un giorno ho ricevuto l’invito a far parte di loro. Ho detto ‘sì’”
In un quartiere operaio
Più tardi, “quando avevo 26 anni, ho ricevuto un secondo invito: partecipare a una comunità marista in un quartiere operaio per fare volontariato in un appartamento del rifugio Proyecto Hombre. Dopo quel “sì”, direi che questa esperienza ha rafforzato la mia vocazione e le ha dato un senso. Mi ha aiutato a sentire la voce di Dio, che ascolta il grido dei poveri e fa qualcosa per loro”. Di fronte al terzo invito, che ha avuto il grande impatto vitale di lasciare tutto per seguire la chiamata a venire in Libano, per collaborare con la comunità dei Fratelli e lavorare con i rifugiati siriani, “non ci ho pensato due volte e, sentendolo come un vero e proprio dono, ho detto il mio ultimo ‘sì’. La vivo come un’opportunità per essere fratello lungo le frontiere geografiche ed esistenziali della vita. E anche come un passo in più nel cammino della vita in cui Dio, che è all’origine della mia vocazione e mi guida ogni giorno, ha riempito la mia vita di sfide, di persone meravigliose e di benedizioni”. Una valanga di vita e di speranza in mezzo all’orrore più assoluto.
DOMANDA: Qual è la situazione in Libano in questo momento dopo l’escalation della guerra da parte di Israele? RISPOSTA: È facile immaginare la desolazione del popolo. Dopo quasi un anno di incertezza a causa dei continui bombardamenti nel sud del Paese, con sporadiche incursioni a Beirut e in altre zone del Libano, in quattro giorni il conflitto si è trasformato in una guerra aperta, causando più morti che nell’intero anno. A questo si aggiungono gli oltre mezzo milione di sfollati che hanno lasciato il sud per cercare un posto sicuro in cui vivere mentre questa situazione continua. Intanto gli attacchi continuano, sia nel sud che a Beirut e nella valle della Bekaa. Per tutto questo, aumenta la paura della gente, l’insicurezza di fronte agli attacchi e l’incertezza su ciò che accadrà. D’altra parte, i bisogni crescono tra le persone che hanno lasciato le loro case e si ritrovano senza nulla nei rifugi o per strada. Sono necessari aiuti umanitari (cibo, coperte, materassi, prodotti per l’igiene…), così come un sostegno psico-sociale.
D. – Nel Progetto Fratelli, in cui religiosi maristi e lasalliani sono impegnati da tempo con i rifugiati, come state attuando il vostro aiuto in un momento in cui molti libanesi sono sfollati nel loro stesso paese? R: I bisogni della popolazione libanese sono aumentati dal 2018, quando nel Paese è iniziata una crisi senza precedenti. Si dice che sia tra le dieci più grandi crisi al mondo dal 19° secolo. Il nostro progetto nasce come risposta alla crisi dei rifugiati dopo le guerre in Iraq e Siria. E in effetti, i siriani, ma anche i palestinesi e i libanesi, continuano ad essere presenti nei nostri programmi. Quando il conflitto sarà finito, dovremo fare una nuova valutazione dei bisogni, perché, da lunedì 23 settembre, il quadro è cambiato enormemente. Nel frattempo, il nostro centro si è messo al servizio delle istituzioni ecclesiali come la Caritas, così come degli spazi di accoglienza del territorio, per collaborare sia con gli aiuti umanitari che con le risorse educative. Noi, come Progetto Fratelli, intendiamo riaprire il nostro centro il prima possibile e portare avanti i nostri programmi. Come spazio socio-educativo, comprendiamo che il miglior aiuto che possiamo fornire sono tutti i progetti educativi e psico-sociali che portiamo avanti per bambini, giovani e adulti. Questo diventa sempre più necessario sia tra i rifugiati che tra la popolazione locale.
Il grido del cardinale Raï D. – Il cardinale Raï (vescovo cattolico maronita) è stato molto energico nel condannare l’attacco di Israele al Libano. Si teme un’invasione territoriale al livello di quella già avvenuta nel 2006? E cosa potrebbe succedere in questo caso? R. – Le notizie internazionali dicono che Israele aveva già preparato un piano per invadere il Libano, cosa che ha iniziato a fare in parte. Il loro obiettivo è quello di rendere il nord del loro paese un luogo sicuro per i cittadini israeliani che possono così ritornare alle loro case. Ed è su questo che si sono concentrati finora, avvertendo più volte che, se la risoluzione 1701 dell’ONU non fosse stata rispettata attraverso i canali diplomatici, l’avrebbero fatta rispettare attraverso i canali militari. Se hanno un piano già pronto, lo eseguiranno. Lo abbiamo visto a Gaza. Ne stiamo già vedendo le conseguenze. Dal 7 ottobre dello scorso anno, con l’attacco di Hamas a Israele, ci sono stati 90.000 sfollati in Libano. Ma, in un solo giorno, quando sono iniziati gli attacchi nel nostro paese, la cifra è salita a mezzo milione… E oggi si aggira intorno al milione. Le Nazioni Unite avevano un piano di emergenza che prevedeva una situazione di guerra aperta che sarebbe durata tre mesi e che avrebbe generato quel milione di sfollati. Erano preparati per questo. Ma tutto questo è un colpo in più per un Paese impantanato in una crisi multiforme e senza via d’uscita alla quale, se non ci sarà una soluzione a breve, potrebbe aggiungersi anche una tragedia umanitaria. Il Libano non può attendere altro tempo.
D: Data la realtà del malgoverno nel paese, come può il popolo libanese far credere che Hezbollah non lo rappresenti? Inoltre, è possibile che questa organizzazione paramilitare possa scomparire a causa del rifiuto della società che afferma di difendere e non tanto a causa del tentativo di Netanyahu di porvi fine? R.- Dall’esterno, si vede chiaramente. Se Hezbollah è un problema, che i cittadini se ne liberino. Ma Hezbollah non è una realtà nuova e così facile da capire. È vero che c’è una gran parte del paese che non la sostiene né appoggia quello che sta facendo. Ma ha un’organizzazione complessa e, soprattutto, il supporto di migliaia di persone. L’esistenza di questa milizia sciita parla dell’impossibile relazione tra Israele e il Libano meridionale. Mostra che per ciascuna delle parti non ci sarà riposo fino a quando l’altra non scomparirà. E questa scelta migliaia di persone lo portano incisa a fuoco nella parte più intima del loro essere. Inoltre, si sono preparati da tempo ad essere nemici e a impegnarsi in uno scontro. Tutto questo non pué terminare con una guerra o con il rifiuto di una parte del paese. In molti si chiedono perché Hezbollah si sia dovuto coinvolgere in una guerra in cui non ha avuto nulla a che fare e ha trascinato il Paese sull’orlo del baratro. Questo gli ha fatto perdere una popolarità che si era già incrinata abbastanza. Ma va ricordato che molti hanno riconosciuto per anni che sono stati proprio loro a fermare Israele nella guerra del 2006, quando il suo esercito è entrato via terra. Il problema del paese non è il malgoverno. Il Libano non ha risolto i problemi che ha avuto per anni. La guerra civile dal 1975 al 1990 ha lasciato molte ferite nella popolazione e una divisione quasi insanabile per decenni. Non c’è alcun sentimento di nazionalità. Le persone devono più al loro partito o alla loro confessione religiosa che al loro paese. Una nazione, tra l’altro, che non dà nulla in cambio e che lascia le persone senza protezione. Senza adeguati servizi pubblici di sanità, istruzione, trasporti… Solo l’esercito gode del sostegno maggioritario della popolazione. E poi c’è la corruzione, che ha trasformato “la Svizzera del Medio Oriente” come era il Libano una volta, in una landa desolata senza futuro. Politici di tutti i colori hanno preso i soldi del paese senza alcuna considerazione. Ecco perché l’idea di Hezbollah non scomparirà facilmente, anche se i suoi leader vengono uccisi o il suo partito o la sua organizzazione crolla. Non importa. Rinascerà ancora e ancora perché vive in un paese povero che ha un nemico da cui difendersi: Israele.
Un messaggio di Pace
D. Dal punto di vista della fede cristiana, come cercate di trasmettere alle persone che accompagnate in un contesto di tale difficoltà un messaggio di pace che faccia tacere le armi e lavori per la riconciliazione? R. Non è facile costruire la pace in un popolo abituato alla guerra. Sono tante le persone che hanno vissuto la guerra civile dal 1975 al 1990, la guerra del 2006, la guerra in Siria… e le sue conseguenze. Sono tante le persone che vivono fuori dai loro luoghi di origine, che sono state costrette a fuggire. Inoltre, la crisi economica ha lasciato più della metà della popolazione locale al di sotto della soglia di povertà. Tra la popolazione rifugiata, come percepiamo qui quotidianamente, questa percentuale sale al 90%. Finché non costruiremo una società in cui potremo vivere con dignità, con il lavoro, con i diritti e nella sicurezza, non possiamo parlare di pace. La nostra esperienza di questi anni nel Progetto Fratelli ci dice che lavorare per la pace richiede molto tempo e risorse. La gente vuole la pace, ma ha molte ferite. E devono essere guariti. Se così non sarà, al massimo si potrebbe parlare dell’assenza della guerra, ma non della pace.
Nel mese di luglio fr. Roberto Moraglia e Mimmo Vitiello, entrambi di Giugliano, hanno vissuto un’esperienza speciale, una sorta di apripista per una futura attività in Camerun. In collaborazione con la fondazione Siamo Mediterraneo si sta infatti pensando ad un progetto che “consenta di vivere un’esperienza nel sud del Camerun dove i Maristi hanno avviato una nuova scuola bilingue di francese ed inglese. I volontari potranno offrire non solo un prezioso contributo alle attività della scuola, ma supporteranno i responsabili nella programmazione di un futuro progetto di solidarietà e cooperazione attraverso gemellaggi tra le classi delle scuole mariste italiane e l’Istituto camerunense.”
Lasciamo allora la parola a fr. Roberto, appena tornato da questa esperienza nel Camerun.
Tutto nasce agli inizi della Provincia Mediterranea, a inizio secolo, diciamo, quando si sono comprati dei terreni vicino alle capitali degli Stati in cui i Maristi erano presenti, o vicino a città importanti.
Così in Camerun, a pochi km da Douala, la capitale commerciale del paese, si è provveduto ad acquistare un terreno di circa 20 ettari. La città di Douala è a pochi km ma per raggiungerla ci vuole circa 45 minuti di macchina a causa delle strade in cattive condizioni e soprattutto per il traffico, sempre congestionato da macchine e da moto taxi.
A causa della grave crisi politica nel paese (una guerriglia estesa a molti territori anglofoni della zona) che sconvolge la nazione da diversi anni, si è deciso di costruire a Babenga una scuola bilingue per permettere l’accesso all’istruzione ai giovani del territorio ma soprattutto ai tanti bambini e ragazzi figli di famiglie che hanno preferito scappare dai territori anglofoni sconvolti dalla guerriglia.
Da pochi anni hanno ripreso a funzionare le scuole situate nei territori interessate dalla guerriglia, ma se si pensa che prima della guerra c’erano oltre 1200 alunni e adesso a malapena si sfiorano i 200, è evidente che la gente ha ancora paura, inoltre poche famiglie possono permettersi di pagare la sia pur esigua retta. necessaria per la gestione (inutile pensare che ci siano contributi statali). In quel territorio, tra l’altro, funzionano solo le scuole religiose mentre i guerriglieri impediscono l’apertura delle scuole statali.
La commissione di solidarietà della Provincia marista ha deciso di affidare all’Italia uno Stato della Marist province of West Africa per organizzare un campo di volontariato e la scelta è caduta proprio sulla scuola di Babenga. Si tratta di una prima esperienza in assoluto, sia per noi che per loro.
Purtroppo questo primo anno non è stato possibile formare un gruppo di volontari ma con Mimmo abbiamo deciso comunque di partire per conoscere a fondo la realtà e valutare come organizzare per il futuro un campo di volontari.
Siamo davvero contenti della scelta che ci ha dato l’opportunità di conoscere un mondo bello e attraente anche se molto diverso dal nostro. E’ stato bello scoprire la gioia e l’affetto dei bambini, la loro semplicità e la capacità di vivere con poco e donando tanto affetto. Sono stato contento di conoscere la presenza marista in questo continente e la situazione caotica di un mondo completamente diverso dal nostro ma allo stesso tempo affascinante. Ho sempre avuto una certa resistenza ad andare in Africa e le tante altre opportunità hanno preso il sopravvento. Ora che ho compiuto questo primo passo e superata una certa resistenza, sono davvero contento perché come per magia (il fascino dell’Africa?) mi sono sentito attratto da questo mondo e quasi mi dispiace di non esserci venuto prima.
Dopo questa bella esperienza si passa alla parte pratica e ovviamente mi auguro di poter organizzare per il futuro un campo di volontari che possano lavorare con i bambini durante l’estate. Se a qualcuno l’idea può interessare, iniziamo a pensarci.
Si parte con l’idea di dare qualcosa e ti rendi conto che ricevi sempre di più di quello che dai.
Il 6 febbraio dello scorso anno la Siria veniva colpita da un forte terremoto. Una drammatica batosta, come se non bastasse la guerra che da anni infierisce su questo paese. Come maristi siamo sempre attenti e sensibili a quanto capita in questa terra, consapevoli del forte legame con la città di Aleppo, dove da anni il gruppo dei Maristi Blu continua la sua opera di speranza, nonostante le difficoltà che sembrano aumentare, invece che diradarsi.
Anche FMSI, la fondazione marista per la solidarietà internazionale, ha sottolineato questo evento, cercando di capire quale sia oggi la situazione e quali possano essere i margini di intervento e di aiuto.
Proprio il giorno prima dell’anniversario, il 5 febbraio, è stata diffusa l’ultima Lettera da Aleppo, uno strumento di comunicazione che da anni ci aiutare a conoscere e comprendere dal di dentro la reale portata di questa guerra, delle sanzioni e la situazione reale delle persone. Di solito il primo intermediario italiano per questo drammatico bollettino è il sito Ora Pro Siria, che mantiene alta l’attenzione e la conoscenza dei fatti in questo territorio. E’ proprio su questo blog che si possono trovare le altre lettere (l’ultima è proprio la lettera n. 48 del 5 febbraio) e le tante comunicazioni che riguardano la Siria; impressiona notare il numero di presenze cristiane di questa terra, culla della fede e testimone della possibilità di convivere insieme con altre esperienze religiose.
Abbiamo pensato di concentrare sul nostro sito questa realtà e questi documenti, dando spazio ad una pagina che raccolga le varie Lettere da Aleppo in italiano, che sono giià variamente diffuse in rete, nelle loro versioni in francese e in spagnolo. Si possono quindi visualizzare qui e cliccando sul logo dei Maristi Blu che si trova sulla colonna a destra del nostro sito.