Una gradita sorpresa è stata quella di leggere questo articolo pubblicato il 21 agosto 2015 sull’Osservatore Romano. L’autore è il nostro amico don Sergio Massironi, prete di Cesano Maderno che due anni fa si è lasciato coinvolgere nelle proposte dell’impegno estivo marista. Ne è nata una collaborazione originale e significativa: ragazzi della Brianza “migranti” verso il Sud, per condividere sogni e passioni. Ve lo riproponiamo integralmente, ne vale la pena.
Gli oratori di Giugliano e Scampia
Quel vecchio Vangelo sul pavimento
da Napoli SERGIO MASSIRONI
«Una terra da liberare non solo dalla camorra, ma dalla rassegnazione che ha strutturato nella gente, inducendo un sentimento di resa al male in tutte le sue forme». Parla così Giusy Orlando del suo mondo, periferia di cui Secondigliano e Scampia sono i nomi più noti. Vicepreside nella scuola dei Fratelli Maristi a Giugliano in Campania, è una donna che ha scelto da che parte stare. Il suo impegno si intreccia con quello di molti altri cristiani che, pur tra grandi difficoltà, offrono ai giovani un’educazione integrale, in cui Vangelo e istruzione si proiettano nella vita, diventando modo di essere: una rivoluzione silenziosa. «Il Dio da restituire a questa Napoli, delusa e spesso abbandonata dalle istituzioni, non può non avere il volto della giustizia e della speranza. Un Dio che conosce e comprende le sofferenze, ascolta e scende a liberare. Evangelizzare e formare le coscienze è un tutt’uno, soprattutto in territori in cui il male fa apparire inutile ogni sforzo, cercando di assopire e di uccidere la responsabilità». Così la scuola è il primo passo, ma per Giusy non basta: «Evangelizzare è stare come lievito dentro la pasta, essere una cosa sola con le persone, giocando tutte le nostre facoltà, non solo intellettuali».
Certo, la scuola educa attraverso la cultura, mostrando di essa il carattere vitale: offre gli strumenti per capire la realtà e per interagire con essa; dà le chiavi per comprendere la propria umanità e le parole per narrare la vita e per mettersi in comunicazione con altri. Ma l’azione pastorale che nasce da una scuola cattolica diviene, nell’istituto stesso e poi nel territorio, una marcia in più per ogni cambiamento positivo.
Lo sanno bene Gianluca Mauriello e Rosa Ciccarelli, marito e moglie entrambi avvocato, che hanno scelto di dedicare ogni energia proprio alla pastorale giovanile, divenendo a Giugliano responsabili di una realtà vivacissima, frequentata da centinaia di ragazzi, pur in un contesto di frontiera. «Ci rivolgiamo a tutti i giovani con cui veniamo in contatto, seguendo l’intuizione del nostro fondatore Marcellino Champagnat. Proviamo a condurli a vivere un’esperienza cristiana, attraverso esercizi di solidarietà, di convivenza, di discernimento, di celebrazione».
Occorrono gruppi, ma soprattutto educatori, adulti che abbiano assunto seriamente il Vangelo come forma della vita. Gianluca li descrive come persone semplici, normali, eppure sa che, nel contesto sociale e culturale in cui operano, «possono sembrare dei folli, a dedicare il proprio tempo e le proprie energie per la missione». Così, in un mondo frantumato, addirittura il proprio matrimonio può essere messo in campo come testimonianza, sacramento in senso forte.
«Rosa e io da qualche anno abbiamo deciso e chiesto di poter condividere la nostra vita con la comunità religiosa dei Fratelli Maristi, con cui siamo cresciuti fin da ragazzi. È stato quasi un passaggio naturale, che ora ci riempie, aggiunge vita alla vita. Ne è nata una comunità “mista”, di cinque religiosi e due sposi: un nuovo modo di corrispondere, ognuno con la sua originalità, a quanto ricevuto nel battesimo». Così una storia d’amore è totalmente presa a servizio dal Vangelo.
Fratel Stefano Divina, dei consacrati di Giugliano è il più conosciuto e cercato da bambini e adolescenti. Trentasettenne, vive qui da quattro anni, dopo averne trascorsi altrettanti in Spagna. Ingegnere milanese, cresciuto negli anni in cui il cardinale Carlo Maria Martini educava migliaia di giovani alla Lectio Divina, si dice «innamorato del Vangelo» sottolineando che «l’amore porta a fare follie a volte in luoghi impensati». La grande scommessa di Stefano si è giocata nel rapporto con i religiosi di altre comunità presenti nell’hinterland napoletano, per esempio con suor Edoarda e con fratel Enrico, molto inseriti a Scampia.
Nacque con loro l’idea di realizzare campi di volontariato con giovani provenienti da tutta Italia, prima costruendo e poi animando «Il giardino dei mille colori», ludoteca di un quartiere simbolo, posta al limite estremo dove i monumenti del degrado finiscono e iniziano le baraccopoli dei Rom. «Semplice come una ricetta in cucina: prendi un gruppo di animatori non proprio alle prime armi, magari da qualche oratorio del nord, mettici cinquanta ragazzi delle Vele, dei Puffi o di altri palazzi celebri di Scampia, aggiungi quindici bambini dai campi Rom. Un mix esplosivo, a meno che a unire tutto non sia il Vangelo». Chiedo a Stefano se consideri quest’opera evangelizzazione o se non sia un impegno completamente assorbito da emergenze sociali.
La risposta è una storia che colpisce. «L’anno scorso con fratel Enrico e alcuni animatori brianzoli entrammo nel campo nomadi di Masseria del pozzo, a Giugliano. Il sole di luglio picchiava; ovunque bambini, alcuni nudi e abbandonati a sé stessi: al vederci, in un attimo furono tutti a giocare con noi. Prima di andarcene, Jennifer mi portò verso la sua baracca, al centro del campo; gli odori e lo spettacolo davano la nausea».
«Fu quello il momento — continua Stefano — in cui vidi per terra un vecchio Vangelo, chissà come finito su un pavimento di cocci e di rifiuti. Sporco, mezzo bruciato. Dove sei, Dio? La risposta era davanti a me. Evangelizzare è così: crediamo di arrivare per primi e il Signore dimostra di averci preceduti». Stefano raccolse il Vangelo perduto: ora esso si trova al decimo piano di un palazzo di Scampia, nella cappella domestica dei fratelli delle Scuole Cristiane. La pastorale giovanile, non solo a Napoli, si fa così: in un’aula di scuola, su un campetto di calcio, in un gruppo di catechesi, in strada, dando responsabilità a un adolescente, portando dei bravi ragazzi in una grande periferia, offrendo a Daniel, Rom dodicenne, cinque euro per un pomeriggio in oratorio preferito a qualche ora mendicando elemosine per la famiglia.
«I giovani con cui entro in contatto oggi non cercano la Chiesa, anzi spesso da essa si sono allontanati. Cercano però testimoni credibili della Chiesa, uomini e donne che provano a incarnare quel che la Chiesa dice. Credono in una vita evangelica che si spende per gli altri. Si avvicinano a Gesù per cammini che non conosciamo ancora bene: preferiscono una relazione più immediata, affettiva, è come se Dio entrasse attraverso il loro cuore più che la loro mente». Cresciuto negli stessi anni e alla medesima scuola di Stefano, cerco di capire quale salto di qualità nella vita di fede le circostanze gli abbiano richiesto.
«Non dobbiamo aver paura di relativizzare le nostre certezze e di metterci in cammino al fianco di giovani così diversi da quelli che noi siamo stati, per aprirci al volto di un Dio misericordioso. Il nostro Dio si commuove: questo fa crollare tante teorie pastorali, liturgiche, teologiche troppo rigide. Non le liquida: le riapre. Del cardinale Martini ricordo soprattutto il primato dato alla Parola, l’esercizio di leggerla, masticarla e gustarla. È stata una tappa importante nella mia crescita umana e spirituale. Oggi, però, ne vedo anche i limiti: devo coltivare maggiormente la dimensione affettiva, il salto verso la contemplazione, non più il molto riflettere, ma il gustare internamente. Napoli e la cultura mediterranea, in particolare i giovani, mi hanno così portato verso un Dio più grande di ogni schema mentale, a desiderare di essere comunità di profeti e di mistici».
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