Nel mese di gennaio 2020, in tempi ancora tranquilli ed esenti dal covid, abbiamo ricevuto la visita della Prof. Stefania Panebianco, dell’Univ. di Catania. Stava ragionando e ricercando sul particolare “modo” di affrontare il tema delle migrazioni nel territorio di Siracusa. Dalle sue ricerche sembrava proprio che ci fosse qualcosa di speciale, ben evidente e caratteristico, un mix di pubblico e privato dal sapore unico. Per noi era soltanto “il nostro normale impegno”, ma per uno studioso è fondamentale intercettare il nuovo e ciò che può servire da modello per altri.
Quando vivi all’interno di una realtà e ne condividi i meccanismi, si perde un po’ quella visione ad alto livello che permette di cogliere alcune costanti, le tendenze e gli elementi comuni. E’ proprio il compito degli esperti rilevare queste caratteristiche ed estrarre quelle idee e strategie che riescono ad evidenziare modi particolari di affrontare le cose, soluzioni organiche e peculiari da applicare in altri contesti.
Pochi giorni fa ci ha inviato il risultato di questo suo lavoro sul campo, un’analisi molto ampia e dettagliata di quello che succede sul territorio siracusano, dove la risposta e le soluzioni hanno assunto delle caratteristiche particolari e paradigmatiche.
Ci è sembrato interessante perché da un lato ci aiuta a cogliere meglio il nostro operato e ad orientarlo in modo più efficace, dall’altro ci offre una visuale inedita, in grado di evidenziare gli aspetti positivi e cercare di potenziarli.
Qui trovate il link alla pubblicazione
Condividiamo l’abstract della sua ricerca, che ci ha gentilmente inviato
Questo articolo combina la “svolta locale” nello studio della migrazione politica con la “svolta pratica” negli studi dell’UE analizzando la pratiche umanitarie che sono sorte nella città siciliana di Siracusa nel periodo che va dal 2013 al 2018. L’interesse primario di questa ricerca è quello di esplorare le pratiche con cui la comunità locale ha risposto alla crisi migratoria nel Mediterraneo e al contributo alla governance delle migrazioni da parte delle città di confine, come ad esempio Siracusa. Cerca di testare l’ipotesi che le comunità locali sono più adatte e flessibili a reagire alle emergenze.
Mentre l’attenzione degli studiosi si è ampiamente concentrata sulla spiegazione delle molteplici cause della migrazione come fenomeno globale, le pratiche concrete adottate per gestire la migrazione meritano ancora di essere indagate.
La governance delle migrazioni si basa sulle pratiche, cioè sulla competenza nella gestione delle migrazioni, esistenti o emergenti “sul terreno”, per affrontare direttamente il fenomeno. Decostruendo la dinamica che coinvolge l’Unione Europea, e decentrando lo studio della governance dell’emigrazione nel Mediterraneo, questa analisi ci permette di andare oltre la mancanza di una risposta politica dell’UE per esplorare la situazione locale in cui la politica si svolge concretamente.
Attingendo alle interviste con gli attori presenti sul territorio, sia da parte di organismi internazionali che nazionali che agiscono a livello locale, lo studio esplora l’interazione tra le parti interessate in un contesto pratico, contesto in cui gli attori, in quanto membri di una “comunità di pratica”, sono coinvolti in un processo di “apprendimento attraverso il fare”.
Questa ricerca empirica dimostra che il ruolo degli attori nell’affrontare la crisi, le loro idee e il know-how che si produce man mano, hanno plasmato la governance della migrazione e sviluppato pratiche comunitarie in un processo di “apprendimento attraverso il fare”.
Suggerisce di svolgere ulteriori ricerche empiriche per verificare meglio il modello operativo d’emergenza – costituito da prestazioni, pratiche di routine e procedure da adottare in altre aree e casi – che è emerso in questa città di confine siciliana.