il canto del Gallo…
sto leggendo il libro “Vivo e vegeto”, che riporta gli interventi di numerose persone come estremo saluto a don Gallo, recentemente scomparso.
Ricordo lo scorso anno, ero sceso col treno a Genova Principe e volevo andare a visitare la chiesetta del Gallo, poco lontana dalla stazione. Avevo persino cercato le indicazioni su Google e mi ero divertito un po’ a guardare su Street view il percorso… quella chiesetta mezza nascosta, a ridosso di un parco che d’estate ospita un cine all’aperto, quasi all’inizio della zona storica e vecchia di Genova, chissà quante volte, nei lunghi anni del mio soggiorno genovese, era capitata nei miei percorsi.
Ma non avevo calcolato bene gli orari e per la messa ormai era tardi. Vabbè, sarà per un’altra volta.
Questa altra volta c’è stata solo sulla carta, sulle parole dei libri di don Gallo, nei desideri.
Profonde e toccanti le pagine di alcuni amici del Gallo: mi sono fermato soprattutto sull’intervento di Moni Ovadia (il “padre spirituale” del don, niente male, un ateo convinto ma di ceppo ebraico doc, una garanzia: Moni pur dichiarando la sua “non fede” non riesce a scrivere 2 righe senza citare almeno un passo della bibbia… averne, di questi “atei” rigorosi) e poi l’intervento di don Ciotti. Mi sembrava di sentirlo parlare dal vivo, con lo stesso entusiasmo per le cose vere che la vita ci offre ogni tanto, ogni spesso…
Mi piace allora riportare alcuni passi dell’esperienza di Moni Ovadia, si scopre sempre qualcosa di nuovo quando si cerca di capire ciò che la vita ci offre:
Ho incontrato il Gallo centinaia di volte. Ho diviso con lui pranzi, cene, chiacchiere, discorsi, militanza, palcoscenici… Con tutta l’enfasi di cui sono capace voglio testimoniare questo: non c”è stata una sola volta che non gli abbia sentito dire «la mia chiesa».
Nessuno pensi, e lo affermo sulla mia parola di ebreo agnostico, di scotomizzare dal Gallo e dalla sua memoria la verità del suo essere radicalmente un prete cattolico. Lo era autenticamente, e lo era nel senso più puro. Per questo poteva criticare la Chiesa, poteva vibrare di indignazione per le derive di certi suoi uomini, ma mai, mai, sarebbe uscito da quella che sentiva – con passione e dolore, ma anche con grande senso di appartenenza e identità – come la sua Chiesa.
lo lo rispettavo per questo, e l”unica volta che ho pregato in una chiesa è stato con lui. Sì, io, ebreo agnostico, ho pregato col Gallo. Una domenica dovevo andare a pranzo da lui, come facevo spesso. Andrea stava terminando di celebrare la messa, entrai in chiesa restandomene in fondo, ma lui mi vide con la coda dell’occhio e mi chiamò: «Stiamo per dire il Padre nostro». Lui e tutti i suoi parrocchiani si tenevano per mano stando in cerchio, e allora m’invitò: «Vieni qua, che tanto questa preghiera ha radici ebraiche e va bene anche per te››.
Andai serenamente a pregare. Perché? Vorrei spiegarlo entrando in profondità verso la radice del senso. Il Genesi, primo libro della Bibbia, comincia con la lettera B (beth), nella parola Bereshit: cioè in principio. E la B (beth) è il numero due. Quindi, in principio c”era il due: l”io e il tu.
Perché il principio è il numero due? Perché non esiste possibilità di esistenza senza l’altro.