Alla fine di tutto… se acabò
Da quasi 3 settimana ho iniziato la mia nuova full immersion nello spagnolo. Diventa così facile accostare il titolo del libro che ho appena terminato, Accabadora, con questo termine in castellano: se acabò = è finita. E sono ben noti gli strascichi culturali che la presenza spagnola-catalana ha esercitato in Sardegna….
Dopo l’enfasi estiva che ha segnato la fine umana di Michela Murgia, con rigurgiti di commenti, critiche, incensazioni, beatificazioni ed ostracismi vari, mi sono preso il tempo necessario perché tutte queste onde si placassero e lasciassero spazio a qualcosa di meno strillato.
Avevo già letto qualcosa della Murgia (Ave Mary, Noi siamo tempesta, Morgana…) e lo stile interessante e fresco mi era rimasto impresso. Così mi sono ritagliato un piccolo angolo di tempo per leggermi questo suo primo libro, che probabilmente è la sua opera più intensa.
Incredibilmente si trova persino in rete, liberamente disponibile (e sulle pagine di una risorsa accademica piuttosto nota), sicuramente come corollario di altri studi su questa pratica decisamente insolita che traspare in filigrana fin dalle prime pagine del libro.
Fino a ieri, 17 settembre, era ancora uno dei romanzi in posizione alta della classifica (come riportava il domenicale de Il Sole 24 ore), segno che l’attenzione non si è ancora del tutto sopita.
Lo stile, dicevo; essendo un’opera prima è necessario quasi che ci sia una cifra distintiva e sinceramente si avverte in tutto il testo una capacità narrativa intensa.
Ma era la storia che mi interessava maggiormente. Non conosco quasi per niente la Sardegna, ci sono capitato una volta per caso, a Cagliari, per un corso a docenti dell’istituto salesiano. In quell’occasione avevo incontrato anche un amico compagno di studi, come altri sardi che ho incontrato “da piccolo”; una realtà culturale che ha sempre destato in me una certa curiosità e attenzione, sia per la lingua che per quel senso di isolamento che si avverte subito.
Mi sembrava anche interessante la parabola umana della Murgia, di formazione e impegno fortemente cristiano, studi e attività che richiedono una preparazione non superficiale o frettolosa, e quindi una successiva riflessione e maturazione ben evidenti.
La storia di questa bambina che viene praticamente sottratta ad una famiglia (che di figli ne aveva già abbastanza e di problemi anche) da una “tzia” apparentemente sarta. Che poi, ogni tanto, di notte, scompare, quasi sempre nei pressi temporali di un funerale. Ma come può una bambina collegare certi fatti. Sino a quando gli anni passano e un evento in particolare svela il ruolo così unico di questa zia, che quasi in continuità con ancestrali riti tribali viene chiamata al capezzale di persone ormai senza speranza di guarigione o di ripresa, per accompagnarle pietosamente alla morte. Insomma, una pratica evidente di eutanasia, sia pure pervasa da sentimenti di misericordia, per quanto vaghi.
Quello che mi ha un po’ stupito è invece la riflessione o l’approfondimento su questo tema, del tutto assente, un aspetto sicuramente voluto. Non si tratta di aprire un dibattito (il libro è uscito nel 2009) o spezzare qualche lancia. Semplicemente si narra questa realtà, legata ad un paesino ancora culturalmente arretrato della sardegna e forse questa non è la parola migliore, si potrebbe tentare un abbarbicato ad altri valori pre-cristiani?
Il lettore decide, legge, ascolta e può esprimere il suo consenso o il suo fastidio. In un’epoca quasi pre-industriale o moderna, siamo negli anni 60-70 del secolo scorso, si assiste a scene e dialoghi che probabilmente abbiamo ancora incontrato nella nostra infanzia, spettatori di una società in rapida evoluzione. In fin dei conti siamo passati quasi tutti, in Italia, da una profonda dimensione agricola-preindustriale ad una rapida urbanizzazione. In pochi anni il televisore ha soppiantato la stufa o il camino e le dinamiche familiari sono cambiate così in fretta che alcune generazioni hanno condiviso epoche metabolizzate con rapidità eccessiva.
Libro interessante, che si fa leggere rapidamente (in due-tre giorni l’ho concluso) e che obbliga comunque a pensare, se non altro a chiedersi: sono d’accordo? si potrebbe ancora fare? è un retaggio quasi natural-agreste?
2 pensieri riguardo “Alla fine di tutto… se acabò”
Fr. Giorgio, semplicemente, adoro le sue riflessioni ed il modo in cui le esterna.
Grazie.
grazie e… ti concedo persino il “modo semplice-on” e di usare il “semplice-tu”…. 🙂 se ti viene meglio