tornando a Cuma

tornando a Cuma

E così riprendiamo la bici, la carichiamo in macchina e si parte. Prima meta, andiamo a rivedere Cuma. Vediamo se dopo questa manciata di anni dall’ultima volta che ne ho visitato i dintorni, le cose sono cambiate, migliorate o… chissà. Abitare a poche manciate di minuti da luoghi così arcaici e leggendari è il modo più semplice per non visitarli mai o addirittura dimenticarli, nasconderli dalla vista. Ed è proprio quello che succede a tutta questa zona. Come prima tappa, dopo un passaggio rapido nel piazzale che introduce alla Rocca di Cuma (dove il custode sembra la cosa più antica, dopo gli scavi, perfettamente in tema), punto alla villa che custodisce l’anfiteatro di Cuma, uno dei reperti più incredibili della zona. Praticamente nella vigna di una casa, a custodire le piante, i meli e l’orto del contadino. Adesso questa villa ospita una fondazione internazionale, la Vergilian Society e la famiglia che la gestisce (ho persino incontrato il figlio della padrona di casa, gentile e motivato!) si porta addosso il peso di questa responsabilità: una casa con fondamenta millenarie, a ridosso di un anfiteatro nella quasi indifferenza di chi ci vive intorno, mentre americani, francesi, tedeschi… fanno a gara per inviare qui loro studenti a conoscere questo raffinato angolo di antichità.

Passeggiare tra i filari della vigna che costeggiano gli spalti, le volte e gli archi di quello che una volta era un anfiteatro pieno di vita, ha sicuramente un fascino insolito e unico; accarezzi le mura, incontri ancora un pezzetto di marmo risparmiato dal tempo, cerchi di valutare quanti spettatori potevano sedersi sulle gradinate, e provi ad immaginare le gare o gli spettacoli…

Poi sempre in bici ho cercato di visitare la foresta del monte di Cuma. Tutto inutile, porta lucchettata e nessuna voglia di fare il trasgressivo, visto che spazio per la bici non ce n’era proprio. Se uno volesse giungere al mare bisognerebbe circumnavigare tutto il monte ma talmente alla lontana da scoraggiare chiunque. Mi ricordo allora che qui vicino ci sono resti di strade romane, una galleria che buca la montagna. Peccato che per dei lavori in corso la strada sia interrotta e la cosa diventi piuttosto scomoda (ma questo non turba certo i tanti ristoranti che spuntano da ogni dove). E basterebbe svicolare per un vialetto laterale per incontrare altri resti, la tomba delle maschere di cera, una tomba a tholos… guarnite però dalla solita incuria a base di resti, piccola spazzatura e generica trascuratezza. Peccato. Ma questo ritornello è fin troppo consueto visitando queste zone, purtroppo alla fine ci si fa l’abitudine, si tira un calcio alla lattina che sfigura sul selciato romano (rovinerebbe la foto), e si va avanti. Spero di non farci troppo l’abitudine, visto che poi ogni mattina non perdo l’occasione per ricordare ai ragazzi che ho in classe che a questo non si devono proprio abituare.

E per fortuna basta inquadrare in modo attento le immagini e la magia del luogo resta tutta. Ecco le foto di questo primo giro.

 

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