Ne arrivano ancora…

Ne arrivano ancora…

Zolfo. Zaffate di zolfo che si infilano dappertutto. Non è un vento terribile quello che spazza la banchina del porto di Augusta, in questa mattina di dicembre. Ma pochi giorni fa è sbarcato un carico di zolfo e sul terreno vedi ancora molte tracce di questo trasporto. Una patina gialla che il vento solleva e ti regala impietosamente, e che fa lacrimare e arrossare gli occhi. L’autista del furgone cellulare dei carabinieri sposta persino il mezzo per fare da frangivento e ridurre un po’ il fastidio. Al giovane amico, volontario anche lui della Cri, non sfugge un richiamo al Rosso Malpelo di verghiana memoria (e poi, quest’anno ha la maturità, un accostamento letterario che non guasta).

Di fronte abbiamo la nave Geo Barents, con il suo carico di oltre 500 migranti, raccolti sulle rotte del Mediterraneo negli ultimi giorni di Natale. Strano natale davvero, per molti di loro. Con i volontari della CRI stiamo dando una piccola mano e una presenza semplice in questo momento impegnativo.

Avevo già partecipato giorni fa ad un altro sbarco. Ma era uno sbarco “di lusso”, un veliero con poco più di 50 persone, tutte ben sistemate, con borse e valigie e giacconi come si deve. Succede anche questo.

Ma lo sbarco del 29 dicembre è uno di quelli che fanno la loro bella figura sul TG; tante le persone, tanti i minori non accompagnati, le famiglie…

La nostra presenza come volontari è puramente di supporto. Ma avverto un clima molto tranquillo e collaborativo da parte di tutti quanti. Gli operatori di MSF che forniscono tutte le informazioni per rendere più snelle le operazioni, il personale di Polizia che cerca concretamente di venire incontro alle attese di persone che ormai da giorni vivono in questo limbo di attesa, i carabinieri ben presenti, gli operatori dell’UNHCR e di Save the Children che fanno la spola tra la nave e i primi gruppi sbarcati per spiegare i tanti dettagli, le possibilità, i diritti di ciascuno. Ed è una piccola babele di lingue, anche se basta masticare un po’ di inglese e di francese per comunicare qualcosa; sono davvero pochi quelli che si esprimono esclusivamente in arabo.

La procedura è abbastanza semplice; il giorno prima i dottori hanno già effettuato un gran numero di tamponi, fortunatamente tutti negativi e da poco sono risaliti sulla neve, bardati come astronauti in passeggiata spaziale, per continuare i controlli. Una volta fatto il tampone, le persone vengono fatte discendere, viene fatta una foto con il numero progressivo assegnato dai medici e si procede in seguito con l’identificazione più accurata, con l’aiuto dei vari mediatori linguistici.

Gli spazi sono quelli che sono, il set fotografico è la fiancata della nave, vicino alla passerella di discesa, le sale per l’intervista personale sono quasi a cielo aperto, un gazebo e tavolini da pic-nic come supporto. Meno male che il tempo è abbastanza clemente. Se non fosse per queste zaffate di zolfo che bruciano gli occhi e consigliano di spostare più lontano il luogo per le interviste con le persone, in un posto più riparato.

Ma sono tanti i migranti che devono sbarcare. Dalle 10 alle 13 vengono smistate meno di 200 persone. E dopo l’intervista deve esserci anche la schedatura, le impronte, l’intervento della scientifica, insomma, un lavoro abbastanza impegnativo e le postazioni attive non possono certo fare miracoli. Ma si avverte che il lavoro viene svolto con attenzione e partecipazione. Mi sembra un clima positivo e le persone che scendono lo avvertono. Anche i bambini delle famiglie sembrano cogliere questa situazione di relativa tranquillità. Si fanno le foto anche a loro, cercando in qualche lingua di incoraggiarli a guardare il fotografo e non quel numero stampigliato su carta che gli viene accostato per identificare la foto.

Quando metti insieme un numero e un volto la mente non può sguazzare felicemente tra ricordi neutrali, ti viene subito da pensare a situazioni ben peggiori, più tragiche. Ma in questo caso è ben diverso.
A un certo punto un foglietto prende il volo, sfugge sulla banchina, poi cade nell’acqua. E cade dalla parte opposta al numero; operatori e carabinieri cercano di leggerlo, ma per fortuna era in sequenza, all’interno di una famiglia, in fretta si riesce a ricordarlo e riscriverlo a penna. A volte basterebbe una confusione del genere per creare problemi pesanti in seguito, scombinare elenchi, allungando i tempi di verifica.

Allora comincio a tenere con più forza quei rettangolini di carta che corredano ogni foto, mentre bisogna spiegare che si devono togliere la mascherina, e poi il cappello e per le donne anche scoprire le orecchie e mostrare almeno la prima avvisaglia di capelli sulla fronte. E si cerca di farlo con delicatezza, anche e a maggior ragione se la persona che scende dalla passerella è addirittura scalza o indossa solo dei calzettoni grigi.

Cosa succede dopo? I minori verranno distribuiti nei centri di accoglienza (se non ho capito male, a livello regionale), le famiglie resteranno insieme; gran parte degli altri faranno la quarantena nella nave appoggio che si trova ancorata poco distante, la GNV Allegra.
Speriamo che a tutti vengano ben illustrate le possibilità e i diritti che possono invocare e richiedere.

Ti viene sempre da pensare che se ci fossi tu al loro posto ti piacerebbe essere trattato in modo giusto, attento, umano…

E restare umani non è un dato residuale, ma una conquista.
E su questo fronte, dell’umanità da riconquistare, credo avvenga oggi la battaglia più importante.

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