Parole in corso
Avevo letto tempo fa, sfogliando un libro di Carofiglio, un passo davvero illuminante, sulla pregnanza delle parole.
Parole che incidono sulla vita più di una lama, più di un evento.
Dopo un inesorabile momento di oblio quel piccolo passo ha cominciato a riaffiorare saltuariamente, poi è riemerso a brandelli nella memora, ma in modo sempre poco chiaro. Sapevo insomma di aver letto un testo che spiegava l’importanza del conoscere le parole ma non riuscivo più a far quadrare le righe e il contenuto.
Ero giunto persino al punto di scrivere una mail all’indirizzo dell’autore (quanto è difficile trovare la mail “vera” di qualcuno che vorresti davvero contattare!), ovviamente senza mai ricevere una risposta.
E poi, quando si dice il caso, eccolo qui il pezzo che stavo cercando, nel testo La manomissione delle parole, e proprio nelle pagine iniziali.
Il piccolo riferimento è questa citazione illuminante di uno studio di tanto tempo fa
Il fatto che nel linguaggio ci fosse un vuoto, mancasse un elemento così importante, causava addirittura il disgusto della vita, spingendo al suicidio le persone. Perché non si era in grado di esprimere quello che si stava covando dentro, come una gestazione indigesta che ha bisogno di uno sfogo.
E’ l’idea che questo fenomeno possa ripetersi in altri contesti, che la mancanza o la non conoscenza del termine giusto potrebbe impedire una vita migliore, la conoscenza chiara delle cose. Pensiamo spesso alla conoscenza come un cumulo di righe accatastate, una sull’altra, una immensa biblioteca. Difficilmente ci concentriamo sulla stabilità di questo edificio, sulla consapevolezza che ogni elemento sia al suo posto. Forse mancano mattoni importanti per l’edificio e l’insieme potrebbe traballare o crollare. Forse non abbiamo ancora trovato alcuni elementi importanti che invece servirebbero a dare maggior senso.
Serve tempo per riflettere, per lascia sedimentare le cose, ma anche per andare alla ricerca e tentare di dare uno sguardo completo, per capire se il panorama è finalmente in grado di dare una risposta esauriente.
A volte un libro serve anche solo per queste poche righe, per questo messaggio che trasmette. E per quei meccanismi che innesca nella mente, alla ricerca di senso e significati.
Dire parole può modificare il corso delle cose, ma per capire le cose abbiamo necessità di trovare parole nuove, diverse, che raccontino in modo più esauriente e vero quanto si incontra. In questi giorni tragici di guerra che vediamo moltiplicarsi ad ogni schermo, assistiamo anche al tentativo, difficilissimo, di convincere molti che la guerra sia ormai una parola da demolire, per lasciar spazio a quanto ormai sembri solo più un volto efferato della barbarie. Come se la guerra autorizzasse una concezione possibilista della realtà, la difendesse quasi e ne manifestasse una sorta di necessità, quasi nobilitando il termine. Oggi siamo in grado di rifiutare questi compromessi e di far emergere l’assurdo che è già sotto i nostri occhi anche se ogni giorno siamo costretti a fare slalom culturali tra news, fake, modi di annunziare capziosi, evidenti forzature e reticenti confessioni.
Quanto ancora ruota intorno alle parole…