Silicio e larghi dintorni
Ci sono libri intriganti e altri meno. Questo lo colloco nel ripiano del più 😉
Federico Faggin è sicuramente una garanzia, come persona e come imprenditore. Spesso ci facciamo belli dell’italico ingegno citando personaggi mediaticamente altisonanti, sperando che qualche contagio culturale possa ricadere anche su di noi.
La traiettoria di Faggin è forse meno nota, anche se al termine del testo uno dovrebbe riflettere sul fatto che i passaggi epocali che abbiamo vissuto negli ultimi 50 anni, sotto il profilo tecnologico e informatico, lo dovrebbero riconoscere come uno dei protagonisti chiave. E’ vero, siamo esterofili e si preferisce citare Bill Gates o Steve Jobs, ma l’apporto di Faggin è davvero notevole, sia per quanto riguarda il versante tecnologico che quello legato alla visione del futuro che la tecnologia permette di realizzare. Non basta trovare una soluzione tecnica a un problema concreto, senza una prospettiva e una direzione, la cosa si fermerebbe lì. Invece i passi percorsi da Faggin rappresentano un sentiero che ancora stiamo calcando. Anche perché alcune delle sue invenzioni sono ancora oggi operative e ben presenti negli strumenti che utilizziamo.
Definire Faggin come il padre del microprocessore è ormai assodato e di pubblico dominio, anche se nel libro si percorrono tutte le difficoltà legate a questo riconoscimento. La vita è una giungla e il riconoscimento di alcuni meriti inventivi, soluzioni innovative e scelte tecnologiche sono un piatto ghiotto per molti concorrente e, spesso, detrattori. Nel testo emergono chiaramente questi scenari, scienziati che si fanno le scarpe a vicenda, verità che vengono mantenute sommerse o nascoste per non riconoscere i meriti delle persone. Anche di questo è lastricato il percorso della scienza e trovarsi di fronte ad una persona fondamentalmente mite e onesta come Faggin, spesso induce ad approfittarne.
Il testo è snello, semplice e si presta sia ad una lettura tecnica che sociologica. Raccontando la sua esperienza, le sue prime occupazioni nell’Olivetti, il suo trasferimento negli USA e la rapida scalata nel gotha degli “inventori” legati all’informatica, si incontrano molti attori famosi e fondamentali, le soluzioni tecnologiche presentate sono ormai parte della nostra vita quotidiana, anche se il primo microprocessore realizzato da Faggin oggi lo possiamo trovare annegato in dimensioni microscopiche nelle nostre chiavette USB, nei cellulari, nelle fotocamere, nei PC, come fosse un semplice “pezzetto” inerte. Quanta storia, invece, dietro queste innovazioni. Il libro sarebbe interessante anche solo per questo profilo informativo che mostra come la tecnologia ha preso rapidamente il volo dagli anni 60 in poi.
A parte alcuni capitoli che l’autore ritiene doveroso inserire per “spiegare” tecnicamente le soluzioni da lui pensate e prodotte (pagine che ho praticamente saltato a piè pari, senza perdere nulla di fondamentale), un secondo aspetto davvero importante è la crescita personale, umana e spirituale (Faggin la chiama giustamente “consapevolezza”) che l’autore ci presenta. Senza scadere in spiritualismi da new-age, la ricerca fondamentale dell’autore si rivolge al tema dell’intelligenza artificiale, che sempre più vedremo e dovremo affrontare come cruciale per i nostri tempi.
Ci viene quasi difficile ricordare che microprocessore è il componente basilare dei pc che usiamo ogni giorno, della DAD, delle videoconferenze, delle comunicazioni, della telefonia… un po’ come l’aria che respiriamo e diamo sempre per scontato…
Vuoi per la formazione iniziale (se nasci e studi in Italia una buona dose di “umanesimo” ti permea), vuoi per la riflessione condotta in questi lunghi anni, l’approdo di Faggin è tutt’altro che semplicistico o sensazionalistico. Quello che oggi l’hardware e il software possono offrirci, pomposamente etichettato come IA è ancora molto lontano da una vera “intelligenza” che sappia vedere, provare e sentire e soprattutto scegliere: molta la strada ancora da compiere e secondo l’autore non si può procedere semplicisticamente dicendo che i progressi dell’hardware (di velocità, intensità e complessità) e del software (che ormai viene realizzato mediante software sempre più complessi, reti neurali e altri procedimenti spesso fuori della portata di una “semplice intelligenza” umana) potranno giungere ad una consapevolezza intelligente. Insomma, per Faggin il mito dell’IA è proprio un mito non realizzabile.
Da un lato questa conclusione può rincuorare e mettere al riparo dai timori crescenti, ma l’attualità che ci propone proprio oggi situazioni in cui già viene utilizzata ampiamente questa cosiddetta IA (chi decide l’obiettivo di un drone-kamikaze? chi sceglie la popolazione target di determinate scelte politiche?) rimane il vero problema. Non ci sono facili soluzioni, anzi, rimane la necessità di approfondire, studiare, addentrarsi nel vivo di questa discussione. Ovviamente con competenza e saggezza.
Doti che nel libro risaltano veramente e sono la chiave dell’approccio di Faggin all’esistenza stessa.
Stimolante persino l’emergere di una ricerca in direzione non solo della tecnica, ma della spiritualità e del senso della vita. Argomenti che quasi non ti aspetti da un testo del genere.
Bello rivedere tante esperienze, studi, iniziative che sarebbero state sicuramente diverse senza queste innovazioni, dalle prime frequentazioni universitarie (quando per usare mezz’ora un Apple II occorreva prenotarsi con un mese di anticipo) alle prime sale computer allestite a scuola (quella di Genova risale a prima degli anni ’90, a Cesano nel 1997…)