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Vedi Napoli e poi…non finisci mai

Vedi Napoli e poi…non finisci mai

Abbiamo dedicato quasi l’intera giornata di domenica a vagabondare per Napoli. A dire il vero un itinerario c’era, persino semplice e ben delineato, ma nelle strade di Napoli è sempre interessante lasciarsi trascinare un po’ dalla folla e un pizzico dalla follia.

Così partiamo dalla stazione metro di Scampia (Piscinola), ci tenevo a far vedere come a Napoli certe cose siano decisamente al di sopra della media, e non solo il traffico, il caos o altri dettagli. La metro è proprio una di queste cose belle da apprezzare. Per questo siamo scesi nella stazione forse più rinomata e interessante: Toledo.

Da qui, un pizzico di vasca in salita fino ad arrivare alla zona del Gesù nuovo con la sua facciata a grattugiera (ma che eleganza), poi la splendida S.Chiara (troppa coda al chiostro, peccato) e così ci siamo lentamente lasciati assorbire dalle strade del centro di Napoli, con il loro vociare, i tanti turisti ormai ritornati, i negozi e le pizzerie che si contendono le persone a suon di offerte e di inviti.

Rosa e Nina erano meravigliate per tutti questi peperoncini esposti un po’ ovunque. Poi si scopre un po’ il senso e il come di tanti aspetti della cultura pagana che, buttati fuori dalla porta sono lentamente rientrati per la finestra. Un bel simbolo fallico e portafortuna non si negava a nessuno, al tempo dei romani, il “buon gusto” e i nuovi standard culturali introdotti con il cristianesimo hanno cercato di edulcorare un po’ le cose. Ma il concetto rimane e “toccare ferro” o altro è un gesto fin troppo diffuso ancora oggi. Così Rosa ha cercato un po’ di “peperoncini” per i suoi fratelli 🙂 Nel mentre ci siamo lasciati ammaliare dai tanti personaggi del presepe di via degli Armeni; incredibile, appena iniziato agosto e già la fabbrica del presepe è all’opera, probabilmente non ha mai smesso!

Visto che avevamo del tempo abbiamo provato a vedere se era possibile visitare la Napoli sotterranea anche senza aver prenotato e… ce l’abbiamo fatta. La prima splendida impressione, dopo aver vagato ormai un paio di ore al caldo agostano, è stata proprio quella del fresco sollievo.

Poi siamo scesi, con la nostra esauriente guida, i tanti gradini verso il sottosuolo. Napoli è tutta un colabrodo di gallerie, scavi, cisterne, oltre 2 milioni di mcubi. E fa piacere ascoltare ancora una volta la leggenda del monaciello, i pozzari che si trasformano in ladruncoli dal basso…

Ma fa anche impressione ricordare l’epoca dei rifugi aerei e immaginare le migliaia di persone che si riversavano in questi cunicoli. Camminare per i piccoli passaggi, stretti all’inverosimile (ti toccava quasi passare sghembo per non incastrarsi), con la fioca luce di una quasi-candela a led suggeriva quasi l’idea di giocare a nascondino. E il buio là sotto era davvero buio. Che effetto vedere le cisterne piene d’acqua e le coltivazioni di piante e fiori senza necessità di acqua (le piante assorbono l’umidità dell’aria, più che sufficiente, basta aggiungere un po’ di luce).

Appena usciti fuori, avvolti da un caldo che nel frattempo è persino aumentato, cerchiamo un posto dove assaggiare la pizza verace. Ma in questi vicoli credo che non ce ne sia una che sfiguri. Passiamo davanti a Sorbillo e sentiamo la chiama dei numeri: avanti il 92, poi il 93. Una fila interminabile, se ci mettiamo in coda si finisce alle 15. Così ripieghiamo su una piccola pizzeria vicinissima, senza pretese. E ci va proprio bene.

Ma poi riprendiamo il cammino, il Mann ci aspetta alle 15. Prenotato da un mese siamo perfettamente in orario. Non so se sarà un luogo affascinante per Nina, ma sicuramente Rosa avrà modo di ritrovare qui tanti di quei rimandi visti all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Siamo proprio nel cuore della cultura classica. Ce ne andiamo liberamente per le diverse sale, ammirando e contemplando statue, sogni, immagini e desideri.

C’è anche una mostra temporanea, ci siamo dotati di calzari perché il pavimento è originale di ….2000 anni fa; proviene da alcune case di Pompei, Ercolano, Stabia, e camminare su questi splendidi mosaici ma sentirsi comunque a casa fa un effetto gradevolissimo. Sicuramente il parquet inlegno è una bella invenzione, ma questi pavimenti sono un sogno! Peccato per il caldo, eccessivo anche per le sale del museo.

E peccato anche per un paio di tesori che non sono visibili, la bellissima tazza Farnese (i locali sono troppo angusti e non permettono il distanziamento anti-covid) e la Venere Callipigia (chissà perché i miei alunni traducevano a spanne con un più prosaico “Venere dal bel culo“, anche se il concetto passa ugualmente….

Usciamo con calma e ci dirigiamo verso l’ultima tappa: la Cappella Sansevero. L’avevo vista l’ultima volta lo scorso anno, sempre con gli amici del gruppo di formazione di Lavalla200, ma ogni volta che ci si lascia catturare dalla incredibile bravura del Sammartino o del Queirolo, con il marmo che sembra pulsare e quasi fremere di vita, è un’emozione nuova. Aggiungi poi il fascino del suo ideatore, questo illuminista, massone, romantico, alchimista… il Sansevero insomma, la cornice è completa. Questa chiesa non passa davvero inosservata. E a Napoli basti pensare che le chiese sono più di 2000, incredibilmente più che a Roma, ma si sa, Roma è venuta un bel po’ dopo…

Concludiamo con un libro doppio malto nella libreria-pub di Portalba. Nina l’aveva subito adocchiata, non so se per i libri o per la birra e … non c’è stato verso. Cultura chiama! Questa volta riprendiamo la metro in piazza Dante, così Rosa potrà collezionare gli ultimi spezzoni video per completare la ripresa della giornata.

https://www.instagram.com/p/CDZp4GNIwK4/?utm_source=ig_web_copy_link

E non potevano certo mancare un po’ di foto di questo vagabondaggio sopra e sotto Napoli – ecco l’album

Ma quante belle ville…

Ma quante belle ville…

E lasciamo pure perdere Madama Dorè, non si tratta in questo caso di uno dei suoi sogni. Qui in Sicilia le vestigia romane antiche davvero si sprecano e come spesso accade sono così numerose, insieme a quelle greche e dei popoli anteriori, che non si riescono a valorizzare appieno…

Terminato il lockdown anche i siti archeologici si sono ripresi il loro spazio e la Regione Sicilia si è data da fare per ricordarlo un po’ a tutti. Banner, giornata del Fai, siti istituzionali che invitavano a tornare in luoghi speciali… Mi era caduta l’attenzione su una proposta che sembrava allettante: la Villa del Tellaro, tra Avola e Noto, poco lontano dalla mia Siracusa. Non potrà certo competere con Villa Armerina (che mi manca ancora da visitare) ma la vicinanza giocava a suo favore.

Così approfittando della calma di una domenica pomerigigo siamo andati con Ricky a visitarla. O almeno, questa era l’intenzione, perché con la scusa che da Catania in giù l’autostrada è gratis (ma spesso anche le condizioni lasciano molto a desiderare, tra segnaletica e apparente abbandono…) dopo aver imboccato la E45 all’altezza di Cassibile e avendo “calcolato” che l’uscita migliore doveva essere quella dopo Noto…. siamo arrivati fino alla fine ontologica di questa autostrada, a Rosolini (mi sembrava quasi di essere a Cuneo, dove un troncone giustamente si conclude) e tra indicazioni un po’ ballerine e bislacche… ce ne siamo tornati indietro per quella che era invece l’uscita giusta: Noto. Poco danno, solo una ventina di km in più, su strada deserta, ampia, assolata… benvenuti in Sicilia.

Ma finalmente siamo arrivati alla Villa. Si tratta in pratica di una vecchia masseria del ‘7/800, costruita sui resti di una villa romana; nel secolo scorso hanno iniziato gli scavi perché affioravano alcune evidenze interessanti e così sono venuti alla luce dei mosaici veramente notevoli. Sono stati riparati con una grande tettoia, ma con ampie aperture alla base. Il “pezzo forte” è quindi la passeggiata sotto questa tettoia, un ventina di metri, per ammirare quanto rimane dei mosaici. Essendo comunque all’aria aperta il caldo e la polvere possono ancora infierire. Infatti la prima cosa che mi ha fatto notare Ricky, facendo un rapido confronto con Villa Armerina, è proprio questa forte differenza di conservazione, qui piuttosto approssimativa e in balia di vari agenti atmosferici (salvo pioggia e grandine!), i mosaici risultano quasi “sbiaditi” e questo non aiuta a coglierne la bellezza. Per il resto l’estensione dei mosaici di Villa Armerina, secondo Ricky, è almeno una ventina di volte maggiore!

Ci sono alcune rappresentazioni mitologiche e altre parti con motivi ornamentali e floreali. Indubbiamente doveva essere una villa di prestigio. Tutt’intorno si vedono altri resti portati alla luce; le dimensioni della villa sono ancora maggiori e non tutto è stato ripristinato. Ma a conti fatti il sito si visita in poche manciate di minuti. Ricky dopo 10 era già uscito, io, con maggior pignoleria e con la scusa di qualche foto, in meno di mezz’ora avevo esaurito gli spazi da vedere e gli scorci da immortalare.

Altre cose da vedere, all’interno, sono i recuperi di alcuni locali, scavi delle fondamenta e delle tubature, un forno, pochi altri resti,che erano stati sommersi ed inglobati nella masseria.

Quando siamo usciti stava arrivando un’altra piccola comitiva. Al personale d’ingresso ho chiesto quante persone erano già venute nella mattinata, in tutto una ventina. Per una piccola realtà era comunque il numero “giusto”. Insomma, passando da Noto, capitale del Barocco e curiosando nella zona di Avola, una piccola digressione per questo sito ci può stare davvero bene.

Ma ecco l‘album fotografico per la Villa del Tellaro

Già che siamo in coda…

Già che siamo in coda…

Viviamo questi giorni di quarantena per il coronavirus cercando di non subire gli eventi, ma per quanto possibile di affrontarli con saggezza.

A tutti noi capita di andare a fare la spesa e, a parte le fantozziane scelte di chi compra una briciola per volta, o va nel comune vicino perché il pane è più buono… ci sono modi più sensati di affrontare questa necessità.

Uno dei problemi che stanno sorgendo è proprio quello delle code. Arrivi al supermercato (perché andare nei negozietti più piccoli anche se avrebbe senso espone a troppi contatti) e facilmente vedi gente in fila, più o meno ordinata, che aspetta. Ovviamente ci sono già soluzioni per ottimizzare questo problema, ad esempio fornendo una mappa dei market con meno code.

Ci hanno pensato dei ragazzi di Milano, preparando un servizio web dal nome molto evocativo. Filandiana.it. Il funzionamento è semplice, ci si collega al sito che riconosce la propria zona e mostra una mappa degli esercizi presenti (e se ne mancano si può contribuire a completare questa mappa, segnalando cosa manca). Quando ci si reca a fare la spesa basta segnalare sulla mappa che si sta facendo la coda presso un determinato market, di modo che la mappa segnala immediatamente questa situazione. Ovvio che se questa funzione viene usata da pochi non raggiunge il suo scopo, ma in diverse zone del nord sta già svolgendo un valido servizio.

Questa mattina toccava a me fare la spesa, di solito vado al minimarket più vicino, nel mio caso il Penny. Non era ancora presente la settimana scorsa e mi ero dato da fare per segnalarlo, insieme ad altri esercizi. Adesso c’è, con la sua bella iconcina. Parcheggi la macchina, apri la pagina web filandiana.it (tanto siamo tutti in coda col nostro bel cellulare in mano, usiamo in modo utile, allora!) clicchi sull’icona del tuo negozio e segnali quanta gente è presente e quanto pensi di restare in coda, un calcolo a spanna è più che sufficiente. Al Penny non hanno ancora deciso come procedere, un giorno ci si mette in fila ordinata, il giorno dopo forniscono i numerini, poi si ricambia, ma non è questo il problema, spesso dipende dalla disponibilità del personale (che deve svolgere una funzione che di solito non è prevista)

Quando sono arrivato alla cassa ho lasciato al personale un paio di fogli con questa semplicissima legenda, così giudicheranno loro se può essere utile o meno. Nel dubbio l’avevo già corredata di supporto adesivo, ma giustamente è meglio che lo facciano loro.

A questo punto mi piacerebbe segnalarlo anche ad altri, se si comincia a diffondere anche qui diventa più facile evitare le code, e di questi tempi anche queste cose possono essere utili. E se a qualcuno può servire il piccolo documento, da stampare e distribuire in giro, eccolo qui.

e adesso tutti a scuola virtuale

e adesso tutti a scuola virtuale

E così uno degli effetti collaterali della quarantena forzata per questo coronavirus sarà il decollo immediato della scuola virtuale. In tutta Italia i problemi sono identici, alunni a casa e difficoltà concrete per portare avanti l’attività didattica.

In teoria, dopo tutti i piani di alfabetizzazione informatica, formazione, Indire, Bdp, Aica, patente ECDL… i docenti italiani dovrebbero avere la competenza necessaria per “erogare corsi online”, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un italico mare di buoni propositi.

Credo di aver iniziato a provare, spiegare e realizzare attività del genere almeno dal secolo scorso, quando ancora si parlava di telematica e molti non sapevano nemmeno cos’era Internet. Ricordo corsi a Genova, in Brianza, nel Lazio. I temi erano già gli stessi: come consentire un accesso online per condividere risorse e strategie di apprendimento. Ma il problema di fondo non erano le possibilità o gli strumenti, semplicemente la capacità e le conoscenze dei docenti non erano ancora all’altezza e purtroppo l’inerzia di molte scuole, docenti e istituzioni, si limitava a moltiplicare i piani di formazione senza poi raggiungere in concreto quasi niente.

Basti pensare che la prima risposta, e per molti docente sarà forse anche l’unica, è quella di utilizzare il Registro Elettronico per indicare agli alunni le pagine da studiare, i compiti da svolgere. Come se questo fosse il meglio della didattica online… un po’ sconsolante. ma inevitabile.

Quasi una cinquina di anni fa ho allestito per mio fratello, docente di matematica, una semplice piattaforma basata su Moodle, uno degli strumenti di libero accesso più versatili per creare ambienti di classi virtuali; anche lui sperava di contagiare molti dei docenti della sua scuola (ci troviamo nell’estremo ponente ligure), ma ancora adesso le persone che vi lavorano sono i classici quattro gatti. Però ci lavorano…

In pochi giorni è difficile improvvisare, anche perché è mancata nella maggioranza delle scuole una preparazione previa, e in molti casi non erano ancora funzionanti esperienze di didattica online. Anche nelle scuole che conosco meglio, quelle mariste, pur avendo da tanti anni degli strumenti formidabili (la suite Office365, in particolare Team), si è dedicato molto tempo a “conoscere” lo strumento, poco ad usarlo. Speriamo che adesso la necessità crei la virtù.

Ma quali strumenti si possono effettivamente usare? Ormai le pagine dei giornali, del MIUR, gli inserti speciali del Sole24ore (uscito proprio sabato 14 marzo), dovrebbero aver ampliato le conoscenze. Mi limito ad un piccolo riepilogo per indicare gli strumenti utilizzabili da subito.

Kahoot: non è una piattaforma di apprendimento, ma un portale per svolgere quiz singoli e di gruppo, molti stimolante e competitivo (quasi troppo), quando lo si fa in classe. Tra l’altro contiene ormai migliaia di quiz anche in italiano, spesso di livello medio-basso, ma nulla vieta di preparare i propri testi, e poi inviare agli alunni il link per affrontarli (magari dopo aver dato qualche “lezione da studiare”; al termine il docente riceve un report con i risultati, molto dettagliato.

Classroom, by Google – per utilizzarlo serve un account Gmail (facilissimo da ottenere) e conviene avere un account istituzionale (almeno per il docente che poi può arruolare gli alunni); ovviamente per fare le cose con cura bisogna prevedere tutto ciò che riguarda la privacy, avere il consenso dei genitori ecc. tutte cose che in quarantena diventa difficile richiedere in fretta. Ma le scuole che hanno già questa risorsa sono fortunate, possono usare strumenti di distribuzione dei contenuti (video, pdf, audio…) e soprattutto possono preparare dei compiti veri per gli alunni, che ciascuno deve svolgere a casa, dal suo pc o tablet, possono essere semplici testi, oppure dei quiz corredati di immagini e video. Il docente può verificare chi ha fatto i compiti, può correggerli, assegnare i voti… una dotazione molto efficace e pienamente integrata con i tanti strumenti free di Google.

Teams, by Microsoft – anche per i prodotti di casa Microsoft è necessario che la scuola abbia attivato un dominio e un account istituzionale per ogni docente e alunno (ma spesso le scuole hanno di queste opportunità, ma non tutti le utilizzano…); l’ambiente di scuola virtuale si realizza con Team (che tra non molto ingloberà le funzioni di videoconferenza di Skype), quindi è facile immaginare scenari di contatto semplificato e diretto (voce e video) del docente con gli alunni, chat uno a molti e di gruppo. Sul versante delle attività e dei compiti è meno sviluppato della proposta di Google (ma … si possono usare i forms di Google su Teams) e l’impegno dispiegato dai programmatori di Microsoft sembra molto meno attento e veloce rispetto alla concorrenza (per modificare una voce di menu, a volte fuorviante, ci sono voluti quasi due anni)

E poi ci sono tante altre iniziative, idee, portali interessanti (mai provato EdModo? Padlet?) che in mano alle persone giuste possono fare miracoli.

A volte basterebbe condividere con gli alunni una bacheca di gruppo, o anche solo un documento, ed invitare ciascuno degli alunni a compilare una parte del lavoro.

Per non parlare degli strumenti ancora più immediati per il contatto e la comunicazione, ad esempio una chat di gruppo, anche solo con Whtasapp o con Telegram. Insomma, questi giorni di sperimentazione speriamo che diano lo stimolo giusto a tanti docenti e il supporto necessario per i tanti alunni della scuola italiana.

Soffitta digitale & vecchie foto

Soffitta digitale & vecchie foto

Quando si fa un trasloco, si sa, il problema dei bagagli, dei pacchi, della quantità indescrivibile di cianfrusaglie “delle quali non si può fare a meno”, aumenta in modo esponenziale. E siccome di traslochi, ultimamente, ne ho già fatti un paio, prima o poi bisogna decidersi. Questa scatola di vecchie foto, le porto via sì o no? Dovrei potrei sistemarle? Vale la pena trasportarle da una parte all’altra se non le guardi mai? Ma dai, prendi lo scanner e deciditi una buona volta. Detto fatto ho recuperato alcune vecchie foto…

Erano le foto che scattavo e sviluppavo quando ancora il digitale non esisteva nemmeno come ipotesi. Siamo a Roma, al SLM, dove ho iniziato a fare scuola nel 1979; grazie alla passione di fr.Antonio (forse un po’ anche di fr.Roberto Novelletto, che però aveva un approccio più da cucina che da laboratorio di sviluppo fotografico…) inizio ad avvicinarmi al magico mondo della fotografia e dello sviluppo fai-da-te, prima seguendo i consigli e poi iniziando a sperimentare per conto mio, sviluppando rullini, giocando al piccolo chimico per azzeccare le soluzioni degli acidi di sviluppo e di fissaggio. Siamo intorno al 1981 ormai.

Carta e pellicole Ilford, ovviamente, che si prendevano nel negozio fornitissimo di Piazza S.Apostoli e dovendo frequentare la Gregoriana, quasi adiacente, non era difficile andare ogni tanto a dare un’occhiata. Erano anche gli anni in cui le passioni si alimentavano con le riviste “di settore“, in particolare con Fotografare (quando ancora Cesco Ciapanna non “sragionava di alieni e complotti…”). La mia prima macchina fotografica seria? Una Olympus Om-10.

Così oggi ho ripreso in mano queste vecchie foto e con lo scanner le ho finalmente svincolate dal peso. Ovvio che la qualità, la precisione, la profondità in bit dello scanner… insomma, non sono perfette, si poteva fare meglio, ma per il momento eccole qui, raccolte in questo strano album di foto antiche. Ci ritrovo persino 2 autoritratti (lasciamo perdere…), mi piace solo ricordare che l’anno in cui ho tentato il look della barba, al campo dei lupetti, pensavo di continuare a tenerla per il resto dell’anno, ma appena ricominciata la scuola, una delle cucciolootte di classe (era Francesca R.) che aveva impiegato quasi un anno per iniziare a parlarmi, vedendomi così conciato si richiuse nel suo mutismo; capita l’antifona, il giorno dopo ero nuovamente “presentabile”.

I luoghi delle foto? Bello sforzo di memoria, si passa da Ventimiglia a Carpasio, da Roma (la seconda maratona delle scuole cattoliche, primavera del 1982) ai campi scout e di Entracque, sfiorando anche luoghi che non ricordo nemmeno dove collocare. E trovo persino le prime avvisaglie di quella malattia che mi porto ancora appresso: le finestre…

L’album completo è questo:
le mie prime foto in B&N