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mondo marista

Ciao Mary (per sempre?)

Ciao Mary (per sempre?)

Confesso che dopo aver letto qualche riga sul libro, il nome dell’autrice mi ha un po’ lasciato perplesso. Ma per un semplice pregiudizio. Non conoscevo granché della Murgia, se non qualche sprazzo di presenze in TV, qualche suo commento, qualche flash sui vari media… una conoscenza molto superficiale e l’avevo taggata con un’etichetta tra l’influencer e la tuttologa mediatica.

Trovare un suo libro dedicato, almeno apparentemente, a Maria, la donna del vangelo, la madre di Gesù, mi sembrava per lo meno strano. E qui scatta la curiosità. Uno spulcia qualche pagina, legge qualche riga. E poi mi piacciono le posizioni un po’ alternative e sentire direttamente una voce femminile che riflettesse e parlasse di Maria, un tema più impegnativo di quanto si possa credere, mi intrigava particolarmente. E allora scatta la voglia di leggere.

Ho incontrato diverse sorprese piacevoli nel leggere il testo. Intanto la Murgia non è una persona semplicemente informata dei fatti. La sua prospettiva mi è sembrata molto chiara e ben dichiarata. Scrive da credente, con una lunga frequentazione ecclesiale, gli studi di Scienze Religiose, l’esperienza di catechista, insomma, scrive da “dentro” la prospettiva cattolica. Ma proprio per questo sembra invitare il lettore a recuperare uno sguardo critico più profondo, meno legato alla sola tradizione o alle consuetudini.

Lo confessa fin dall’inizio, non si tratta tanto di un libro “su” Maria o sul femminile nell’universo delle religioni, in particolare quella cattolica. Il titolo è quasi un pretesto per affrontare tanti argomenti legati agli stereotipi culturali e tradizionali che si sono sedimentati sulla figura e sul ruolo di Maria. Ci pensa il sottotitolo a ricordare il fine principale, che è quello di riflettere su come la Chiesa ha creato il suo modello di donna.

Ci sono alcune pagine chiaramente dedicate a sviscerare in modo organico la figura di Maria, ma il grosso del testo affronta tematiche più ampie; dal ruolo della donna, al maschilismo che si manifesta in tanti, troppi, aspetti della vita quotidiana, spesso criptati e tacitamente considerati come la “norma” necessaria da seguire, senza possibilità di un contenzioso.

Molti i fatti e le notizie analizzate, per rivelare come la nostra cultura ragiona più a colpi di stereotipi (patriarcali) che per chiara conoscenza e consapevolezza critica. Interessante l’analisi culturale di come viene proposta Maria nel corso dei secoli, quale evoluzione abbia subito anche semplicemente nell’iconografia cristiana, per capire come certe idee vengano veicolate più con il contorno che con il soggetto centrale.

Emblematica al proposito è la “scomparsa” del bambino nelle rappresentazioni mariane degli ultimi due secoli, via via sempre più evidente (da Lourdes a Fatima, per non parlare di Medjugorje). Non si tratta certo di un dettaglio, visto che nel Vangelo Maria è sempre in stretta relazione col figlio, anzi, quasi non esiste al di fuori di questa dialettica.

Anche il tono dell’autrice mi sembra moderato e dialogante, senza arrampicate su steccati dal sapore vetero-femminista e senza nemmeno lasciarsi andare a facili critiche di superficie.

Insomma, una lettura stimolante, per ascoltare, una volta tanto (mi riferisco alla platea dei maschietti, ovviamente) una riflessione al femminile su una tematica che quasi sempre ci viene spiegata e commentata a partire da modelli che da sempre hanno relegato la donna a ruoli subalterni.

Una mattinata in “famiglia”

Una mattinata in “famiglia”

Sabato mattina, di questi tempi, tra lockdown più o meno soft, ritrovarsi in tanti, tutti insieme, potrebbe essere più un rischio che una opportunità. Ma ormai ci siamo abituati, il vocabolario cambia e “incontrarsi” significa, sempre più spesso, vedersi in videoconferenza…

Il buon Mimmo, compagno di tanti anni di attività in quel di Giugliano, senza nemmeno troppe difficoltà mi aveva ingaggiato per intervenire durante questo incontro. Gli servivano un paio di fratelli maristi per raccontare la propria esperienza “vocazionale”. Lui sa bene che non valgo un granché come piazzista. Mi fido abbastanza della Provvidenza e della vita da pensare che la soluzione finale per problemi che forse non lo sono… non è quasi mai nelle nostre mani.

Lo diceva bene Onorino, l’altro marista incaricato di raccontare un po’ la sua esperienza. Se i maristi sono “spuntati” dal cilindro della storia nel momento giusto, non è il caso di fermarsi e lamentarsi che le cose sono cambiate e che la storia possa chiedere altro. Siamo sicuri che se questa missione è ancora preziosa, qualcosa continuerà…
Vorrà pur dire qualcosa se, quando i maristi erano quasi 10mila con 3/400mila alunni sparsi per il mondo, adesso che i maristi sono poco più di 2000, grazie ai tanti laici che si sono rimboccate le maniche, le persone e gli alunni raggiunti da questo carisma sono più che raddoppiati…

Nella mattinata, dopo aver condiviso un po’ di queste esperienze (dimenticavo, anche il buon Domenico da Giugliano ci ha regalato stralci della sua esperienza come fratello), ci si è divisi in piccoli gruppetti, 5-6 persone per dialogare un po’ insieme. E tra le altre cose ho anche scoperto come modificare lo sfondo con Teams… 🙂 per l’occasione avevo scelto proprio questo, in fin dei conti non siamo a Siracusa solo per “vacanza”!

All’inizio non avevo idea di quante persone fossero collegate tutte insieme (non avevo nemmeno idea che ci fosse anche mio fratello Massimo e la comunità di Genova quasi al completo…). Poco importa, è stato poi molto piacevole dialogare e chiacchierare un po’ con gli amici ben conosciuti (io ero con Angelica, Sabatino, Rosa, Lello e il nuovo prof. di musica di Giugliano, l’unico che non conoscevo …ancora).

Insomma, invece di maledire il buio è sempre meglio accendere una candela.
Anche se si chiama webcam.

Ri-pronti, ri-a-posto, ri-via

Ri-pronti, ri-a-posto, ri-via

Sarà che a Siracusa il tasso di contagi si è sempre mantenuto molto basso (non abbiamo superato le 100 persone ricoverate, se non sbaglio), comunque l’impressione di questi primi giorni di ripartenza è abbastanza tranquilla. E tutto sommato anche abbastanza responsabile; fa piacere vedere che la mascherina, in pratica l’elemento clou per ricordare a tutti che non stiamo vivendo momenti normali, sia così diffusa. Speriamo che duri il tempo necessario.

L’estate è ormai evidente, con il suo azzurro mare e il caldo. Le strade si sono rianimate, la Borgata sta tornando alla quieta confusione normale, i negozi sembrano sulla strada della normalizzazione… chiaro che manca ancora molto. La coda davanti alle poste è ogni giorno un caos poco organizzato, con gente a zonzo sui marciapiedi di entrambi i lati, senza mai capire come funziona (dovrei ritirare un pacco ma tremo al pensiero di sorbirmi ore di attesa, meno male che abbiamo la sede a 20 m. e questo aiuta, ma senza un numero di attesa è anche un problema aggiunto).

Una cosa invece davvero imprevedibile è stato l’incontro che ho avuto a causa della sanificazione della sede. Avevamo bisogno di una documentazione ineccepibile per la sede del CIAO, d’accordo con il nostro mitico avvocato avevamo pensato di poter almeno esibire un documento formale. Quindi ci siamo messi alla ricerca di una ditta per la sanificazione.

A Casa Caritas, dove siamo ancora alloggiati, avevano effettuato proprio questa sanificazione, così mi ero fatto dare il numero. Poi avevo inviato un paio di messaggi per il contatto, la richiesta del preventivo ecc. Ma questo preventivo non stava arrivando e avevamo un po’ di fretta. E allora insisto un po’ per velocizzare.

La persona mi risponde subito dicendo: “Senti il mio capo, così fai prima” e mi manda il contatto del responsabile. Un cognome che tanto tempo fa mi era familiare, Poerio, ma si sa, i cognomi sono sparsi come il prezzemolo in Italia e la statistica è fatta per dare i numeri, più che per sistemarli.

E invece, quando finalmente chiamo, dopo i convenevoli la voce mi chiede: “Ma con i maristi che cosa avete a che fare?”. Curiosa come richiesta, qui a Siracusa fino agli anni 50 c’è stata anche una casa dei Padri Maristi, qualcuno ancora se li ricorda…, ma quando gli rispondo che tanto per cominciare io sono un fratello marista, ecco che si allarga la sorpresa, “perché mio fratello che adesso non c’è più, era un fratello marista”. Ma allora tu sei il fratello di Antonio? Non mi dire… che ci fai qui a Siracusa, ma non eri a Genova… quanto tempo…

Era proprio lui, Gianni, il fratello di Antonio, che è mancato nel 2015. Erano gli anni della formazione, del noviziato, del tempo passato insieme a Velletri. Nella foto Antonio è quello a destra di Giovanni Paolo II, invece sulla sinistra ci sono Marco, Paolo, Claudio e fr. Eugenio. Per mania di protagonismo io sono sicuramente quello esattamente dietro la testa del papa, quindi invisibile, ma c’ero. Avevamo appena terminato la partecipazione alla messa con il Papa, insomma, non capita tutti i giorni. E con Marco avevamo persino suonato la chitarra, insomma, una prova del fuoco! Mi era rimasta così impressa quella mattina, a Castelgandolfo, accompagnati da Onorino, che quella presenza me l’ero venduta molto bene quando poi sono capitato a Genova. Ricordo che uno dei primi anni allo Champagnat abbiamo preparato le cresime. Restava il dubbio dei canti e di come accompagnarli. Per me e Marco non c’era nessun problema: chitarra e organo, ovviamente.

Ma a Genova regnava ancora Siri, il principe cardinale, una presenza non sempre facile da conciliare con certi “adattamenti”. E infatti quando è entrato nella cappella e abbiamo iniziato a suonare… non ci ha guardato con troppi sorrisi. Alla fine infatti mi aveva detto: “Si ricordi che questi strumenti per la Chiesa non vanno mica bene”. Così ho potuto rispondergli che quando avevo suonato alla messa con il Papa non c’era stato nessun problema, anzi… Ma il card. Siri era una grande persona e non si perdeva in queste piccolezze. Poi venne Canestri 🙂 si scelse come segretario l’ultimo dei pretini del seminario (anzi, non era stato ancora ordinato) e le cose cambiarono, decisamente in meglio!

E questo era per Antonio. Con il fratello Gianni, che si è fatto invece un dovere nel darci una mano e sanificare gratuitamente i locali del CIAO, è ripreso così un contatto che ci farà piacere continuare nel tempo.

Ci ha sanificato la sede con l’ozono, ha sistemato i condizionatori, rilasciando i certificati necessari e promettendoci di sistemare prossimamente quanto ancora resta da fare. Come se non bastasse aveva invitato anche un suo amico, presidente della Consulta Civica di Siracusa, per fargli conoscere il nostro centro. Piccoli tasselli di amicizie che aiutano reciprocamente nel lavoro di ogni giorno. Soprattutto quando questo “lavoro” è schierato dalla parte dei più deboli e fragili.

Intanto, grazie Antonio.

Fragile come una cascata

Fragile come una cascata

Antiche come le montagne, diceva Gandhi. Fragili come una cascata, dice oggi la Nasa. Mi è capitata in questi giorni la notizia di una morte improvvisa, per fortuna non di qualche amico o persona cara. Ma di una cascata. Per la precisione la cascata di San Rafael, una delle più belle dell’Ecuador, l’equivalente della nostra cascata delle Marmore. Uno spettacolo possente in mezzo alle montagne della foresta equatoriale, dove una pioggia giornaliera è l’equivalente delle precipitazioni medie annue della Sicilia.

La notizia mi è rimbalzata dalle pagine di Repubblica , poi la ritrovo sul Post e quindi vado subito a cercare conferme e inesistenti smentite in giro per il web.

Ovviamente a contorno di questa spiacevole notizia non poteva mancare un pizzico di giallo ecologico (l’assassino sarebbe l’impresa che sta costruendo dighe e centrali nel territorio) o semplicemente geologico (frane e doline, precipitazioni improvvise, cause naturali). Sapendo che persino le cascata del Niagara non sarebbero più come le vediamo se le acque non fossero regolate dalle centrali locali (come per le nostre Marmore, che funzionano ad orario per i selfie dei turisti) è inevitabile che si inneschino dibattiti e discussioni. Ma al momento ci possiamo fare ben poco.

Mi resta l’esercizio della memoria. Quelle cascate ho avuto la fortuna di vederle, in presa diretta. Nella loro impressionante e selvaggia potenza.

Era il 20 giugno del 2004. Nel mio soggiorno in Ecuador ero appena partito da Quito, con gli amici Pau e l’architetto Gustavo. Un lungo viaggio per giungere a Sucumbios, anticamera di Macondo nei miei ricordi di quell’epoca ormai lontana.

Abbiamo viaggiato un intera giornata in jeep, tra strade sconnesse, ponti in lamiera che lasciavano intravedere l’abisso e il torrente, pause forzate per consentire ai lama di pascolare tranquillamente (meglio non infastidirli, mi diceva Pau), soste interessanti presso alcune fonti termali. Tempo che cambiava ad ogni giro di vallata, dal fresco del mattino al caldo intenso, dalla pioggia improvvisa e scrosciante alla quiete dopo la tempesta. Quasi giunti alla meta Pau ferma la macchina e mi dice: “Vieni a vedere uno spettacolo”.

Parcheggiamo e seguiamo un sentiero appena abbozzato, un cartello quasi primitivo e una boscaglia che da sola si merita la scena come protagonista. Sembra di essere nel bel mezzo di un giardino esotico….

Scendiamo di poco e man mano si inizia a sentire il rombo, ma sommesso e lontano. Giungiamo così fino al “belvedere”. E’ proprio un sentiero di montagna, ci manca solo Indiana Jones che bivacca sullo spiazzo davanti alla cascata. E che cascata. Ha smesso da poco di piovere e l’acqua è aumentata in fretta. Un getto enorme, torbido e travolgente. Musica per gli occhi e spettacolo per tutti. Ma siamo soli. E in scena il monologo dell’acqua è più eloquente di un trattato di idrografia.

Mentre riprendiamo la macchina e ci dirigiamo a Lago Agrio, passano dei camion enormi con enormi tronchi di legno pregiato, palissandro forse. La spoliazione di queste foreste procede di pari passo con l’ampliamento delle strade e lo sfruttamento del petrolio, che scorre nell’oleodotto che costeggia la strada (e spesso diventa l’unico riscaldamento per le sparute case vicine, perché per farlo scorrere devono riscaldarlo…).Mi chiedo quanti possano essere i privilegiati che conoscono questo sentiero e lo spettacolo che ci sta di fronte. E per quanto ancora…

Saranno sicuramente molti quelli che in seguito scenderanno fin qui, allargheranno il sentiero, lo renderanno agibile alle macchine, formeranno un largo piazzale. Vedo le foto e le recensioni su Google Maps… E adesso provo ad immaginare il cambio di scenario.

Le montagne restano, ma i fiumi e le cascate cambiano. Come noi, d’altronde. Così è la vita in natura. Ma il tesoro della memoria acquista valore anche grazie a questo.

Ecco allora le mie immagini della cascata di San Rafael

Dal balcone del vescovo

Dal balcone del vescovo

Ormai siamo a quota 2. Due settimane di presenza qui a Siracusa e ogni tanto qualcuno mi chiede se “sono nuovo”. Un po’ stagionato ma … in effetti sono ancora straniero a questa terra e mi godo questo periodo di osmosi intensa, a livello di paesaggio, di strade, di profumi (anche qualcuno non proprio delizioso…), di persone.

Ieri mattina primo momento ufficiale, l’incontro col Vescovo e il suo vicario, Padre Nuccio, che avevo già sentito al telefono ma praticamente al volo. Avevamo appuntamento alle 10 e dopo aver percorso le stradine pittoresche e contorte che portano al centro di Ortigia (la parte bella di Siracusa, l’isolotto splendido e raffinato) ci siamo presentati in Curia; eravamo quasi al completo, mancava solo Gabriel, quindi con me c’erano Rosa, Nina e Ricky. Dopo una discreta attesa siamo entrati negli spazi del vescovo. L’ultima curia vescovile che avevo visitato, qualche mese fa, era quella di Aversa, una diocesi normanna, antica, un palazzo da grandi occasioni, ma non opulento, e poi il vescovo Spinillo che sbrigava da sè le faccende diplomatiche, dal rispondere al telefono all’introdurci nelle stanze. Per fortuna qui ho ritrovato un ambiente simile. Padre Nuccio ci ha introdotti nella sala dei colloqui; c’erano tante sedie quasi in circolo, vicino al divano per il vescovo ce n’era una più imponente. “E’ per il superiore, devi metterti lì”… Come comunità Lavalla200 qui sono già abituati a convivere con questo modello “classico”, quello dove uno dirige e gli altri sottostanno. Far capire che si possono immaginare modelli alternativi o non standard è ancora un po’ insolito. La leadership nelle nostre comunità è condivisa, non c’è un “superiore”, ci sono impegni che comportano ruoli, ma solamente all’esterno del nostro vivere comune. E ho già visto dallo sguardo di Rosa e Nina che le donne, poi, sono ancora viste come ospiti occasionali in questo tipo di comunità. Vuol dire che c’è ancora spazio per crescere in questa dimensione.

Poi è arrivato il vescovo, Salvatore Pappalardo, cordiale e sorridente. Breve presentazione, ripasso dei membri della comunità, dei luoghi di provenienza, gli portiamo i saluti di fr. Onorino, lo informiamo sugli ultimi sviluppi del Ciao, la collaborazione con il Cpia, gli racconto alcuni scorci delle mie ultime esperienze. Un momento molto sereno e informale.

“E giò che ci siamo, questa sera abbiamo il Consiglio Pastorale Diocesano, visto che fr. Onorino ne faceva parte, come superiore, venga anche lei”. Quando l’invito te lo fa il vescovo in persona non hai molto spazio di manovra. E come ciliegina sulla torta ci chiede anche se Gabriel può venire a parlare, sotto il profilo giuridico e sulla base dell’esperienza del CIAO, sul tema dei migranti. Incastrati in due, ma la stima e l’apprezzamento per quanto viene fatto come Comunità ci sembrano un giusto scambio morale. Così in questa giornata il vescovo lo incontrerò ben due volte…

Alla fine le ‘ragazze’ chiedono a P.Nuccio se era possibile ammirare la piazza del Duomo dal balcone. Così lui ci accompagna volentieri per le antiche scale, passaggi interni da fortezza rinascimentale, pavimenti in cotto siciliano da scaldare gli occhi, un salone da grande rappresentanza e ci affacciamo. Sotto la piazza brulica di persone, di turisti, in questo ottobre che sembra ancora estate. Nuccio ci spiega le righe scure del piazzale, che delimitano le antiche costruzioni, la via Sacra, i temppli, rintracciate nelle ultime indagini archeologiche. Avere un duomo che rappresenta il fulcro religioso di popoli antichi e millenari, siculi, greci, romani, musulmani e poi di nuovo cristiani non è cosa da tutti. Qui veramente la storia si presenta con l’abito delle feste e delle grandi occasioni. Rosa ricorda la notte di Natale, con la folla assiepata per gli auguri e le parole del Vescovo, che in quell’occasione era andato giù duro sul tema dell’accoglienza. P. Nuccio sembrava un po’ rassegnato, dicendoci che dopo le parole sferzanti non era poi successo granché. Ma bisognava che qualcuno le dicesse e credo sia già un buon segnale quando l’autorevolezza della Chiesa va di pari passo con i segni dei tempi. E così la prima foto quasi ufficiale di quella che sarà la comunità in versione 2020 la facciamo insieme a Nuccio, dal balcone del vescovo.

Mentre torniamo a casa, attraversando il ponte di Ortigia, con uno splendido veliero a far da quinta al panorama, riflettiamo sull’incontro, sullo stile colloquiale e sulle premesse che qui ci sono offerte per una presenza significativa. Addirittura il vescovo aveva esordito con legittima soddisfazione, citando alcune testate che ricordavano come Siracusa, grazie alle recenti attività sul versante migranti, realizzate dalla suore scalabriniane e dai maristi, veniva additata come modello per l’integrazione e come chiesa al passo coi tempi. Siamo qui per questo, pensavamo noi…

E naturalmente la giornata si conclude con il Consiglio Diocesano, che si svolge presso il Santuario delle Lacrime. Appena entro incontro subito il segretario e in men che non si dica la presentazione è fatta; il tema da sviluppare era proprio quello dei migranti. Aprono l’incontro le parole di don Luca Saraceno, che per anni era stato rettore proprio del santuario. Una riflessione molto attenta e pacata sui termini, sulla necessità di “pensare” e conoscere questo problema che non è nato ieri e non finirà sicuramente domani, un atteggiamento di profonda attenzione che dovrebbe distinguere tutti noi cristiani; poi Gabriel (che prima viene indicato come Padre marista, poi fratello, poi chissà cos’altro… si vede che il termine “laico” fatica ad entrare nel linguaggio dei consigli pastorali), ha illustrato i vari elementi giuridici, proprio a partire dai termini (dal migrante al rifugiato, passando per quel “profugo” che non è nemmeno presente nelle altre lingue) e dal dettato legislativo internazionale. Interessante vedere quante norme del diritto vengono infrante dal cosiddetto decreto sicurezza di Salvini. Sono quelle situazioni in cui, da italiano, uno preferirebbe la cittadinanza libanese… Ottimi spunti di riflessione e di approfondimento.