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Un pizzico di sale

Un pizzico di sale

Quando l’anno scorso sono passato dalle saline di Trapani non pensavo proprio che un ambiente simile ci fosse anche a Siracusa. A dire il vero qualche cartello stradale, un po’ malconcio, ogni tanto l’avevo notato, lungo la strada Elorina che costeggia il mare a sud della città, ma le strade che andavano in quella direzione mi sembravano poco attraenti da esplorare. Ne avevo “assaggiata” una vicino alla foce del Ciane, ma dopo pochi metri a piedi, nella boscaglia fitta, il sentiero diventava impraticabile. Passare dalla zona opposta mi sembrava poco fattibile, ma… una prova ci può sempre stare.

A fine gennaio, sempre in bici, ho provato quindi a saggiare il terreno, passando proprio vicino ad un rimasuglio del faro Caderini (che a dire il vero è ben conservato, chiuso, intangibile e silenzioso), lasciando la bici vicino al passaggio semi abusivo che introduce nella zona delle saline. Ma a dire il vero non si coglie un granché di quello che poteva essere l’impianto originario, ormai abbandonato da anni. L’unico itinerario era costeggiando la riva, invasa da rifiuti, tronchi, macerie, un sentiero poco invitante. E’ comunque un punto di osservazione molto piacevole per cogliere tutta l’estensione di Siracusa, che si prospetta proprio davanti agli occhi; se poi si aguzza lo sguardo (e l’obiettivo), sullo sfondo campeggia, innevato, l’Etna. Da spettacolo!

Unica cosa degna di nota, nei ruderi (a dire il vero sono edifici di questo millennio, che dovevano ospitare un nonsobenecosa museo del mare), ho persino incontrato due giovani di passaggio che si erano rifugiati per qualche giorno proprio in quelle strutture: lui veniva dalla Svizzera e lei dalle Puglie, un mix inconsueto di refrattari alla civiltà (“niente soldi, facciamo qualche lavoretto in cambio di ospitalità“), alla ricerca di uno stile di vita sicuramente più slow e controcorrente.

Sul web non è difficile trovare informazioni sulle saline di Siracusa, basta cercare con questi 2 termini ed escono fuori diverse pagine, che sia Wikipedia o un altro sito turistico locale. Ma una pagina meno facile da scovare, con la storia di questa località, permette di capire meglio la sua origine e quindi il suo triste stato attuale, in completo abbandono da oltre 40 anni, nonostante i progetti e le velleità di farne un centro espositivo, museale o cose del genere. Comprese le conferenze e i convegni che, periodicamente, cercano di riportare l’attenzione su questi luoghi. Curiosando poi tra le foto disponibili sul web, se ne trova qualcuna che permette di cogliere, dall’alto, l’estensione di questa zona. Ho aggiunto anche la visione satellitare da GMaps per un confronto. Si tratta di una bella zona di territorio, umida, pianeggiante, attualmente libera da costruzioni o altri manufatti; purtroppo un po’ abbandonata e ancora poco valorizzata. Insomma, vale la pena esplorarla un po’.

E allora, a metà mese, eccomi di nuovo alla ricerca di un sentiero più agibile. Giungo fino al ponte sul fiume Ciane (a dire il vero quel ponte supera ben 3 corsi d’acqua, l’Anapo, un altro canale e il Ciane, per una terra avara di acque non è male un terzetto del genere. Sapevo che proprio vicino al ponte c’era un punto di osservazione, con casetta in legno e pontile sull’acqua, un luogo pittoresco e piacevole che avevo già visitato altre volte. Ma appena entrato nella zona riservata ho notato con piacere un po’ di pulizia in più e il sentiero che avevo sempre visto impenetrabile, adesso era piacevolmente aperto e invitante.

In pratica dalla strada asfaltata parte un sentiero in terra battuta che giunge fino alla riva del mare, costeggiando da un lato il Ciane e inoltrandosi così dal lato nord nella zona delle saline. Si vedevano ancora fresche le tracce di un mezzo pesante, probabilmente un trattore, utilizzato per la pulizia e rendere percorribile il sentiero. E sarà che la gente è pigra, che la zona non è molto segnalata, che ancora in pochi sono attratti da questi angoli naturali, insomma, non c’era proprio pericolo di assembramento! Nessuno all’orizzonte, strada pulita, poche tracce di invasione umana.

Si giunge così facilmente fino al mare, qui il discorso cambia perché la riva non è proprio un luogo piacevole, ci si trova ancora di tutto e provvede il mare a depositarci ogni sorta di rifiuti; ma almeno si prova la nostalgia di come potrebbe essere un posto del genere; pozze di acqua salmastra, distese liquide , canneti, piante lacustri, uccelli che ogni tanto prendono il volo…

L’incontro più originale della giornata ha dell’inaspettato: ad un certo punto vedo giungere sul sentiero che avevo appena percorso un sub tutto bardato, ancora con la maschera e il boccaglio, le pinne in una mano e il bottino nell’altro, due o tre notevoli branzini. Per lui era la strada più breve, di terra e di acqua. L’uomo e il mare, mi veniva da pensare… e fino a quando il mare viene vissuto in questa dimensione individuale credo che la sostenibilità non ne risenta.

Lungo la strada del ritorno mi sono fermato praticamente ogni 4 o 5 passi, gli scorci erano davvero suggestivi e fare scorta di panorami, luci, vento che accarezza le erbe… non è mai abbastanza. A far galoppare la fantasia ci si poteva immaginare di essere finiti, ogni tanto, in qualche palude alpina, alla foce di mitici fiumi (e il Ciane in fin dei conti, lo è) o in qualche savana, qualche rimasuglio di duna costiera….

Certamente queste zone, tra acque di mare e di fiume, piante rigogliose e caratteristiche (il papiro del Ciane è davvero una caratteristica unica, compensata solo dalla presenza ingombrante degli eucalipti, molto abbondanti in questa zona e che a quanto pare andavano di moda fino a quando non si è capito che è meglio lasciarli crescere nel loro habitat giusto). So che si possono fare escursioni in canoa o kayak lungo le coste e nella foce dei fiumi. Ma per quello aspettiamo ancora un po’ la stagione più calda…

E per dare un’occhiata, ecco qua un po’ di foto sulla zona delle saline di Siracusa

4 passi in Cina

4 passi in Cina

Deve essere dai tempi di Marco Polo che gli italiani nutrono una sorta di fascinazione nei confronti della Cina. Mettiamoci pure le intuizioni di Matteo Ricci e una buona dose di attenzione a quanto, come maristi, abbiamo vissuto in questo paese, sia durante il periodo della rivolta dei Boxer che in seguito, dopo la rivoluzione culturale di Mao.

E sarebbe interessante ripercorrere gli usi linguistici che evidenziano questa realtà: un tempo si diceva “roba cinese” per metterla in cattiva luce, evidenziarne la scarsa qualità e approssimazione. Non credo che oggi di fronte ad uno smartphone “cinese”, un router 5G o altri prodotti si possa tranquillamente dire lo stesso. E’ vero, ci sono sempre i “mercatini cinesi” dove veramente puoi trovare cose inverosimili… e la diceria che a Napoli, pur di contraffare qualcosa, sono capaci persino di replicare le copie PRC…

Ma capire qualcosa di più del paese e della cultura cinese, oggi, non è certo facile. Ho avuto alunni cinesi in tempi lontani e anche vicini; ho rinunciato ad azzardare altre parole oltre al canonico “nichau” per salutare. Troppo complessa e legata ai toni questa lingua… Col mio povero alunno cinese di Giugliano è stata veramente difficile stabilire qualcosa che andasse oltre al colloquio di sopravvivenza. Insomma, l’interesse si è conservato.

Quando ho incontrato questo libro l’idea era proprio quella di approfondire la conoscenza di quello che la Cina è adesso, ai nostri giorni, sfrondata da tanti stereotipi e ricordi del passato. Non è certo sufficiente qualche panoramica de L’ultimo imperatore per comprendere la complessità di questo paese.

Nel libro di Karoline, nome occidentalizzato, emerge in modo molto preciso e dettagliato una storia reale e una descrizione concreta di questa realtà. L’autrice è una giovane ragazza, attualmente giornalista e impegnata in varie collaborazioni con testate occidentali (NYT) che racconta senza pretese particolari la sua avventura umana. Si parte dalla sua infanzia in campagna, bambina quasi al margine della legalità perché nata quando il secondo figlio era ancora proibito e questa “colpa”, caparbiamente decisa dalla madre, poteva incidere pesantemente sul suo futuro, sulla scelta della scuola, sulla possibilità di risiedere in città, proseguire gli studi… In modo molto scorrevole l’autrice presenta un quadro realistico della popolazione e dei comportamenti della gente. Da un lato le regole e gli ordini erano ben chiari, ma nella prassi la gente cercava, come spesso capita, di arrangiarsi.

Colpisce abbastanza il permanere, nelle famiglie descritte nel libro, di profonde tradizioni religiose ancestrali; il pensiero e le regole di Confucio rimangono nella trama del quotidiano. Non si accenna minimamente ad altre forme religiose, o ad eventuali aperture, confronti, ma si sfalda una certa idea di società completamente atea o insensibile a tematiche spirituali.

Altro grande punto interessante è quello relativo alla grande rivolta sfociata nell’episodio simbolo di Tien Ammen. Nel percorso formativo rimane il grande vuoto, che nessun cinese dovrebbe conoscere e trattare. In modo abbastanza evidente l’autrice cerca di capire cosa sia successo, quali fossero i motivi che hanno portato alla rivolta di tanti giovani. E senza critiche aperte al sistema cinese, tuttora vigente, evidenzia i numerosi passi compiuti dal governo, le modifiche lentamente proposte, le novità e gli “aggiornamenti” a cui tutta la popolazione deve comunque sottostare.

Un libro abbastanza cauto, che non azzarda giudizi e non esprime valutazioni tranchant su quanto comunque trapela e si legge tra le tante righe del testo. Sicuramente fornisce una testimonianza utile e illuminante su tanti aspetti concreti. In particolare sulla rapidità dei processi in corso. Dalla ridotta capacità di informarsi che i contadini avevano a metà del secolo scorso fino all’attuale diffusione dei cellulari e di internet. L’autrice rivela anche molto candidamente che in tanti si affidano alle VPN (le reti private che aggirano i limiti imposti dalla censura e dai filtri di stato) per conoscere il mondo occidentale, che è anzi molto ambito e ricercato, sia per la moda, i film, la cultura, la riconosciuta maggiore libertà e indipendenza. Decisamente una lettura interessante, piacevole (il testo si legge molto rapidamente) e ricca di informazioni di prima mano per conoscere davvero i giovani cinesi che sempre più rapidamente diventeranno una fetta rilevante del nostro futuro.

e stranamente, questa volta la recensione su AMZN è andata subito, in meno di 10 minuti. Si vede che sto peggiorando? O mi sto adattando al format voluto? 🙂

Una strana santa Lucia

Una strana santa Lucia

E’ solo il mio secondo appuntamento con il quartiere di s.Lucia, la Borgata, eppure in questi 2 anni penso di aver ormai visto tutte le sfaccettature possibili dei festeggiamenti di questa grande santa. Siamo passatti dalla baraonda alla …bara. Dalla grande confusione delle processioni, sfilate, fuochi d’artificio, folla in movimento al “pellegrinaggio virtuale e personale”, silenzio e pochissima gente.

Eppure era l’anno del ritorno, finalmente, del quadro di Caravaggio, il famoso seppellimento di s.Lucia; dopo tutte le vicissitudini, le questioni e la bagarre, tra il Mart, Sgarbi, la Curia…se non altro si è rialzata l’attenzione su questo capolavoro. Siracusa ha bisogno anche di queste ribalte per ricordarsi che non può rimanere una protagonista marginale su argomenti simili. E invece l’impressione è quella, al massimo, di un vivacchiamento.

Quando domenica mattina ho rivisto il quadro al suo posto, nell’abside parata a festa, mi sembrava semplicemente la cosa giusta e normale. Come se fosse sempre stato lì, tranquillamente, al suo posto. Certo però che se voglio ammirarla e contemplarla con più calma, mi conviene andare su qualche riproduzione online, perché non è certo un quadro che da lontano si possa godere molto. Ora che è tornato nella parrocchia (ops, nel santuario, Fra. Daniele me lo segnerebbe con la matita rossa) speriamo davvero che l’intero quartiere, questo “secondo centro storico” di Siracusa che è la Borgata possa risalire una certa china di trascuratezza, nemmeno tanto velata.

E forse sono proprio gli “stranieri” quelli che colgono meglio la vitalità e originalità di questi posti. Proprio in questi giorni la nostra amica Rosa, ormai tornata in Spagna, ha trovato il tempo di rimettere insieme i vari spezzoni realizzati nel corso della sua permanenza e ha preparato questo toccante video su santa Lucia…

Così i festeggiamenti viaggiano quest’anno a scartamento ridotto, senza tanto rumore e senza le adunate e gli assembramenti.

E’ un’occasione per recuperare certamente il senso migliore di queste tradizioni, ma a lungo andare è anche inevitabile che il protrarsi di questo limbo in cui la vita sembra rarefatta, renda più vuote le giornate.

Eppure qui a Siracusa non mancherebbero certo le occcasioni e i luoghi da centellinare con calma e con passione. Basta curiosare un po’ infilandosi di poco nelle strade laterali per scoprire vecchie latomie appena trasformate e nascoste (difficile immaginare un qualche riuso sociale, per il momento è importante che almeno non diventino discariche!). Lungo Via Terecati e nei pressi della Villa Reimann c’è solo l’imbarazzo della scelta.

E se poi si continua passeggiando in bici lungo il percorso del parco di Neapolis, anche solo sbirciando dalle inferriate, superato il monumento a Prometeo (che ho praticamente scoperto per caso, visto che si mimetizza perfettamente tra gli alberi…), ci si imbatte in monumenti vegetali davvero imponenti. Quel ficus che dal livello inferiore giunge a superare la strada sembra davvero un gigante incatenato e tenuto a malapena a bada. Scopro in seguito che ha persino un nome, Ficus delle Pagode, anche se per la gente è semplicemente l’albero secolare.

Per concludere, ormai siamo davvero vicini al Natale, nel nostro centro del CIAO l’albero e il presepe sono ormai pronti, tornando nella chiesa di s.Lucia riesco a cogliere il momento giusto in cui uno scorcio di sole illumina la stella. Non ci sarà folla, non ci saranno strepiti, ma il presepe è una presenza di speranza per tutti, anche questo così francescanamente naif (c’è persino un porcello tra gli animali, anche se i buoni ebrei mai avrebbero allevato un simile animale, licenza natalizi concessa 😉

Verso la latomia del Filosofo

Verso la latomia del Filosofo

Sapevo che erano vicino alle mura dionigiane, andando verso il castello Eurialo (che è ancora chiuso…). Questa volta ho cercato di giungere il più vicino possibile, sperando che ci fosse una strada decente per arrivare nei pressi di queste cave. Avevo trovato qualche indicazione su alcune pagine locali, in particolare queste:

Pomeriggio tiepido di novembre, temperatura ideale e gradevole. A dire il vero volevo esplorare un po’ dialtre zone, ma poi mi sono accorto che non ci sono collegamenti tra la zona di Epipolo e quella sottostante, così, pedala pedala, sono tornato presso le mura Dionigiane.

Dal mio punto di partenza, come sempre dal centro CIAO, ci sono circa 8 km. Lascio la bicicletta vicino alla strada, legata al cancello dell’ultimo edificio sicuro e inizio ad erpicarmi in piena campagna.

E non si tratta di campagna morbida, qui è tutto calcare, rocce e rocce, molte delle quali belle aguzze e nascoste dagli ampi ciuffi di erbe e cespugli. Che poi le piante spinose si siano date tutte convegno da queste parti, mi sembra ovvio, potrei fare il censimento, contando i graffi e le imprecazioni…

Comunque si cammina una decina di minuti, dopo aver scavalcato (o meglio, passato sotto) al filo che sembra ricordare una recinzione elettrica del terreno, per evitare sicuramente che qualche mucca più intraprendente non prenda la via della strada asfaltata…. E’ necessario guardare la mappa sul GPS per non andarsi ad infilare chissà dove. Il castello Eurialo non si scorge proprio, eppure si trova qui vicinissimo, ma non è in una posizione così evidente, per chi si trova a poca distanza dalle sue mura. Finalmente arrivo dalla parte sud della cava.

Si vede subito che non è un luogo molto frequentato, per fortuna non si trovano residuati incivili di civiltà, il luogo sembra proprio selvaggio, come ai tempi antichi della costruzione delle mura e dello sfruttamento delle cave.

La voragine non è così spettacolare come altre, forse perché dall’alto l’effetto schiacciamento è prevalente. Si nota sul fondo una tettoia arrugginita vicino a uno dei muraglioni intagliati, alberi e abbandono selvatico. Niente male per chi sa apprezzare esta selva selvaggia e aspra e forte… Rimane un po’ di tempo per la contemplazione, assaporare lo spazio, il mare sullo sfondo (compresi i terminal petroliferi di Priolo, un po’ meno poetici, ma ci sono anche loro). Guardando il mare da quassù si ha tanto l’impressione di una costa molto articolata, non proprio di fiordi ma con tante insenature.

La storia che ha dato il nome a queste Latomie parla di uno spirito libero e coraggioso, il filosofo Filosseno che non aveva paura di dire al tiranno che le sue poesie gli facevano proprio schifo. Viene mandato qui in prigione una prima volta, decorsi i termini riprende la vita normale, ma … un giorno incappa nuovamente nella proclamazione di altre poesie del tiranno. Questa volta è lui che scelte di autoimprigionarsi nuovamente nelle cave, per non sentire di nuovo queste scempiaggini. Sarà addirittura il Tiranno Dionigi, colpito da tanta determinazione e coraggio, a liberarlo dai lavori forzati. Come poeta uno strazio, ma come leader abbastanza pragmatico e apprezzabile. E’ la parola “tiranno” che ormai si è logorata…

Ma ormai siamo quasi vicini al tramonto, non ho portato le luci per la bici e diventa saggio tornare a casa. Riprendo la strada, slalom tra spine, cespugli e qualche ricordino di mucca (chi l’avrebbe mai detto che le mucche sono uno degli elementi ricorrenti della campagna siracusana!), facendo attenzione agli inciampi e al sentiero che bisogna inventarsi, passo di nuovo sotto il filo della recinzione elettrica e torno sulla strada e via, verso il ritorno.

E questa volta poche foto del luogo, ma ci sono – Latomia del Filosofo

Gira la ruota dell’Arcolaio

Gira la ruota dell’Arcolaio

Nomi antichi per storie e progetti recenti. Sapevo che prima o poi sarei andato a dare un’occhiata a questa attività di cui mi aveva parlato Giorgio, un amico anche lui “poco siciliano” conosciuto presso la parrocchia di s.Martino, in Ortigia.

L’Arcolaio è una società cooperativa sociale impegnata soprattutto per “favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti attraverso la gestione di un’attività produttiva all’interno del carcere di Siracusa di cui cura e avvia lo sviluppo commerciale.” Ma un conto sono le descrizioni e un altro è toccare con mano come funziona concretamente questa cosa. Domenica 1 novembre abbiamo fatto proprio questo.

E così, complice don Salvo (che tra le altre cose e non a tempo perso è il parroco di s. Martino) e i contatti ormai frequenti con gli scout del Clan Siracusa 1, ecco che ho accettato l’invito per domenica, festa di tutti i santi, della serie: tutti convocati, anche se questo invito comportava una levataccia e un appuntamento opertivo alle 7:30. Che sicuramente nelle prossime edizioni saranno molto “trattabili”, visto il numero di famiglie con bambini che poi hanno partecipato. Dopo il classico raduno al meeting point (mi sembra ormai un classico, il distributore Q8 alla fine di v.Paolo Orsi) ci siamo diretti verso Canicattini Bagni. Lungo il tragitto con don Salvo scopro che l’invito non è semplicemente un “vedere”, sarà molto concreto, si tratta infatti di raccogliere … foglie di salvia dalla coltivazione di piante aromatiche della cooperativa. Insieme agli scout ci saranno anche famiglie, con bimbi piccoli, disposte ad iniziare un cammino sul tema della Laudato Sii. Insomma, un invito a nozze, per i miei gusti…

Gruppo bello e molto eterogeneo, dalla coppia vegana ultraconvinta ai ragazzi del clan, famiglie con cuccioli di bambino effervescenti ed esploratori, … Poco dopo le 9 Giorgio ci ha radunati nella piana di coltivazione delle erbe (l’intero terreno è di 13 ettari, proprietà della diocesi di Siracusa, in comodato alla cooperativa), davanti ai lunghi filari di rosmarino, salvia e origano che riempivano l’appezzamento.
Se rinasco ape mi stabilisco qui, dopo aver visto la bella parata di alveari sulla collina, in posizione strategica.

Lavoro semplice ma da certosini, raccogliere le foglie più belle, sane e grandi di quei lunghi filari, per aiutare la produzione dell’Arcolaio in vista delle prossime festività natalizie. Così abbiamo cominciato, con calma serena, sotto un sole splendido, quasi estivo. Ciascuno nella sua porzione di filare, ma alla ricerca del tratto più bello e lussureggiante (e qualche zona era più felice, come Giorgio ci spiegava, perché d’estate c’era una perdita nel tubo dell’acqua pertanto in quella zona le piante non avevano sofferto troppa siccità). Persino i bambini si davano da fare per cogliere le foglie, fare a gara su chi trovava la più bella… Tra una battuta su chi doveva “vuotare il sacco” e su chi cercava di defilarsi elegantemente per avviare campagne anticrittogamiche in stile bio, dopo un paio di ore di lavoro, prima che diventasse noioso o un po’ pesante, abbiamo concluso il nostro intervento.

Ci siamo allora radunati sotto il carrubo all’ingresso e qui abbiamo distillato un po’ il succo della nostra presenza. Giorgio ha introdotto Max, uno dei soci della cooperativa, originario dell’Ucraina, che ci ha raccontato la sua storia, anzi, ha condiviso la sua esperienza, come ex-carcerato con una forte voglia di riscatto. Il “prima” ci interessava poco, non serve a molto sapere perché sei finito dentro, ma lui ci ha fatto capire molto rapidamente che quel “dentro” è proprio tutto un altro mondo, con il quale non è sempre facile fare i conti. Ci ha detto dei primi passi della cooperativa, dell’opportunità offerta alle persone, della proposta di partecipare, lavorare, dare un senso per un futuro di reinserimento. Adesso lui è uno degli operatori principali, socio della cooperativa e senza troppi commenti ci ha mostrato come sia possibile che cambiare non solo si può, ma è alla portata di tanti.

Abbiamo assaggiato alcuni dei prodotti dell’Arcolaio, fatti con pasta di mandorle, ripensando alla curiosità di Max che nei primi tempi del suo lavoro si chiedeva quale animale fosse quello che produceva il famoso “latte di mandorle“, visto che le mucche, l’asina e le pecore le conosceva, ma non aveva mai visto pascolare un mandorlo (e chissà come andrebbe munto! :-). E dopo la condivisione, abbiamo mangiato i nostri panini e poi spezzato il pane dell’Eucarestia, visto che don Salvo non era venuto solo per il bieco gusto di raccogliere un po’ di foglie profumate.

L’idea di mettere in evidenza un rapporto sereno, concreto e comunitario con la nostra sorella e madre terra era fin troppo facile da evocare in quei momenti. Comunque importante. Laudato sii per sora salvia.

Nel primo pomeriggio ci siamo salutati e abbiamo ripreso la via del ritorno; in serata nella chat di Whatsapp si sono ammucchiate rapide le tante foto del giorno, comprese la visita al laboratorio dove i nostri 12 kg di foglie di salvia (questo per la cronaca), staranno ancora adesso ad essiccare, in tempo per la preparazione e commercializzazione.

E se qualcuno ha già in mente qualche possibile sorpresa o regalo per Natale, mi piace ricordare l’invito di Giorgio a considerare anche le “dolci evasioni” proposte dall’Arcolaio; ovvio, serve anche il marketing, ma è nella concretezza delle cose; credo che qui il valore aggiunto sia evidente.

E queste sono le foto (mi limito alle mie) di questa bella domenica presso l’Arcolaio