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Calamosche, 1 tuffo nel blu

Calamosche, 1 tuffo nel blu

Primo weekend di sole vero, ormai quasi estate, dopo un aprile freddo e piovoso (cioé, 7 mm di pioggia non sono proprio un diluvio, ma di giorni belli ce ne sono stati pochi). E così decido che è ormai tempo di ripartire.

Tra i tanti posti interessanti e splendidi che ci sono nei dintorni di Siracusa mi ero concentrato su Calamosche, una delle spiagge più rappresentative del territorio. Avevo calcolato bene come arrivarci in bici, ma considerando le distanze, l’idea del treno mi sembrava la più conveniente. E treno sia!

Partenza sabato alle 14:10, con il trenino regionale che porta fino a Gela. Trenino è persino ridondante: 2 carrozze deliziosamente striminzite, per un pubblico di pochissimi interessati. Saremo sati in tutto 6 persone. Però il personale ferroviario era decisamente di prim’ordine, gentile ed efficiente. Avevo chiesto al bigliettaio della stazione (la stazione di Siracusa è per lo meno una succursale di Extrema Thule, l’ultimo capolinea delle FS!) se potevo salire con la bici. Mi aveva rassicurato che su tutti i treni regionali questo è possibile. Ma una volta salito sulla carrozza il problema era molto evidente. Dove sistemare la bici? Per fortuna era l’unica, e nel vano di apertura delle porte calzava a pennello. E poi la responsabile mi aveva confermato che sulle porte di destra non c’erano problemi, visto che tutte le altre fermate erano sulla sinistra.

Partiti con impeccabile precisione, in meno di mezz’ora sono arrivato ad Avola. Qui, fidandomi dell’istinto del ciclista faidate mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo del “la sa io la strada” e così ho iniziato a pedalare. Sbagliando ovviamente strada! Quando poi sono arrivato praticamente a Noto e mi sono reso conto di essermi avventurato troppo nell’interno… meno male che ho trovato la deviazione giusta. E quindi via verso il mare. Ma ben vengano gli sbagli se permettono di scoprire panorami e masserie abbandonate immerse nel giallo, colonne greche di età indefinita dedicate a non si sa bene chi. Ci sono angoli davvero spettacolari che meritano le pedalate in più.

Così giungo fino al Lido di Noto, che si sta animando per il primo vero finesettimana, nonostante la Sicilia sia ancora in zona arancione. Pedala e pedala recupero l’itinerario che avevo in mente (solo in mente) alla partenza e scopro così… di averla già percorsa, questa strada, tempo fa. Ecco infatti la deviazione per la villa del Tellaro (era lo scorso luglio 2020!). E nemmeno troppa strada dopo vedo finalmente la deviazione per Calamosche. Ci siamo.

Sapevo che mi aspettava almeno un altro paio di km prima di giungere al parcheggio. Strada bianca, polvere e sudore… ma poi l’arrivo. Solo che questo parcheggio finale sembrava moltiplicarsi in fretta. Deviazioni, bivii, B&B dai nomi accattivanti, isole della frutta. Insomma, l’ingresso ufficiale non sembrava particolarmente evidente. Anche se era proprio quello giusto e senza grandi spazi di parcheggio. Cancello chiuso ma porticina laterale semiaperta. Entriamo.

Speravo di poter entrare con la bici e proseguire per gli ultimi 1200 m. Ma il cartello mi sembrava abbastanza esplicito: nessun veicolo. E a conti fatti la bicicletta non è mica un sopramobile! Così la sistemo all’ingresso, vicino alla biglietteria (che chiude alle 14:30, come da locandina) e si inizia il tratto a piedi. Il sentiero da seguire è proprio quello che indica “arenile”, anche se a prima vista sembra portare altrove. Costeggia in pratica la recinzione e alla fine si rivela proprio come il più rapido. Si passa vicino ad una villetta (in vendita, caso mai vi venisse voglia di una località isolata ed esotica) e man mano che si avvicina al mare il concetto di macchia mediterranea si fa veramente evidente. Compreso il ginepro, che sono più allenato a vederlo in montagna,ma che qui dimora imperterrito e profumato.

Al primo panorama della spiaggia viene quasi voglia di affrettare il passo, ma ci pensa il sentiero, le pietre, la sabbia nella quale si affonda a ridurre la fretta. E finalmente si arriva all’ultima balza. C’è una scalinata che porta direttamente alla spiaggia e vederla così naturalmente deserta, quasi del tutto vuota, è già uno spettacolo. Nel breve tempo della mia permanenza ci saranno state 5-6 persone in tutto. Dai racconti e dalle foto che si trovano in rete sembra un miraggio. Graditissimo.

Ambiente in versione davvero “nature”, pulito, senza troppe evidenze umane (a parte qualche rifiuto, le immancabili bottiglie di plastica sulla battigia, qualche sacchetto ormai sommerso, per fortuna davvero pochi); la sabbia già calda, quasi da scottare, le alghe ammucchiate sulla risacca, il sole alto e intenso. Cosa vuoi di più per inaugurare la stagione estiva? E quindi ci si tuffa nell’acqua. Deliziosamente fresca e accogliente. Pochi momenti di relax davvero impagabili…

Il ritorno è all’insegna della scoperta ormai fatta e della meta ormai inserita nella serie dei “ci deve essere una prossima volta”. Questa volta recupero facilmente la strada per il Lido di Noto, affollato di gente e di primi bagnanti. Poi si pedala alla volta di Avola, sperando che la strada sia breve. Ma non lo è abbastanza per riuscire a prendere il treno delle 18:08. Quasi perso nella giungla di stradine di questa città a prima vista un po’ caotica, chiedo ad un ragazzo in motorino dove si trova questa benedetta stazione. “In pratica ci devo andare, vieni dietro a me”.

Bella consolazione, dopo tutti i km ormai percorsi mi devo sorbire lo strappo finale, ma forse ci voleva, visto che arrivo finalmente alla stazione giusto in tempo per l’ultimo treno utile, quello delle 18:28 (il successivo e ultimo è dopo 3 ore!). E fino a Fontane Bianche sono l’unico passeggere (direbbe il poeta di Recanati) di questo convoglio. Talmente coccolato che l’incaricata del treno mi stampa persino il biglietto (gratuito) per la bicicletta. Sarebbe da collezionare…

Rimangono i colori, la freschezza dell’acqua, la tranquillità impagabile del luogo (so che a luglio sarà una bolgia!). E non è poco.

Basterebbero queste poche immagini della spiaggia di Calamosche a ricordarlo.

Le due colonne…

Le due colonne…

Ormai sono a Siracusa da quasi due anni; spesso sono andato a curiosare nei pressi del tempio di Giove, un po’ fuori città, oltre le foci dell’Anapo e del Ciane; una zona isolata e un po’ elevata (e in bici si avverte tutta, soprattutto l’ultima salitella per giungere al bivio!).

Lungo la strada alcune villette, immerse in piantagioni di limoni (tanto per ricordarci che siamo nella zona giusta…) poi un cancello. Sempre e implacabilmente chiuso. Non l’ho mai visto aperto, nemmeno chiedendo, sperando che per la giornata delle guide si replicasse una qualche visita. Invece niente. Chiuso e basta. Stanno scolorendo persino le scritte della targa, il secolo ormai non risulta più visibile.

Eppure questo dovrebbe essere uno dei luoghi simbolo della città, il punto di riferimento dei marinai antichi, la zona in cui gli eserciti si accampavano e si decidevano le sorti e il futuro della città. Ne è rimasto ben poco. E quel poco persino difficile da visitare.

Devo ammetterlo, quando ho visto che il passaggio a fianco del cancello era ormai sfilacciato e aperto, mi sono detto che un’occhiatina si poteva dare, con la dovuta attenzione. Non ho resistito e sono entrato. E quando poi all’interno ho incontrato persino una famigliola con bambini al seguito, mi sono detto che, nonostante tutto, il piacere di vedere e visitare questi luoghi non è una curiosità così remota o malsana.

Su Wikipedia si trovano le informazioni necessarie per inquadrare questo tempio antichissimo, ci sono poi le testimonianze dei vari viaggiatori impegnati nei Grand Tour del ‘7-800. Si ricorda persino un articolo di Siracusa Oggi che parla dell’ultima visita e probabilmente dell’ultima apertura del sito: correva (o forse stava già immobile) il 2017.

Il sito è molto raccolto e piccolo, contiene in pratica solo lo spazio in cui si erigeva il tempio, di cui rimane solo il perimetro e 2 colonne. Le due colonne appunto che si sono salvate dall’incuria e dalla noncuranza di questo tesoro storico. Sono veramente colonne e pietre grezze, sembra di rivedere quelle della Cattedrale di Siracusa, con solchi appena delineati, ruvide e pietrose. Dietro il recinto si intravedono scavi o buche che fanno pensare ad altri reperti. C’era persino il gabbiotto del custode, o del centro visite. Questo decisamente deturpato e rovinato, va ancora bene che non è stato dato alle fiamme… un luogo incustodito sembra che attiri fatalmente questo genere di degrado.

Eppure passeggiare con calma tra questi resti, segnarne con i passi il perimetro, misurarlo con gli occhi e con il cuore, fa pensare a chi queste colonne le ha volute, pensate ed erette. Il gusto innato di puntare verso l’alto, il desiderio di lasciare una traccia, di segnare confini e presenze.

Quando poi sono uscito ho perso dieci minuti a staccare le piccole reste delle spighe di non so bene qualche pianta infestante che abbonda in questa zona. Piccole e fastidiose. E sulla stradina che porta al sito le piante stanno già riprendendo il loro dominio, crepando l’asfalto e conquistando i bordi.

Ecco qualche immagine delle 2 colonne del tempio di Giove

Prima della prova costume…

Prima della prova costume…

Se la riapertura finalmente diventa realtà, tra non molto si inizierà il solito balletto pubblicitario della “prova costume” in vista delle vacanze. Ma credo che sarebbe più saggio iniziare a fare la “prova spiagge”, per verificare come siamo messi e la qualità del nostro litorale.

Trovandomi nella splendida Siracusa, una zona che avrebbe risorse invidiabili e sinceramente ben poco valorizzate, ho avuto modo di percorrere un po’ le diverse spiagge accessibili (e anche qui si spalancherebbero altre belle domande, visto che troppi luoghi e tante zone a spiaggia sono difficilmente raggiungibili…). Dal centro, con la piccola spiaggetta *** (sto cercando il nome locale di questa spiaggetta, ma i miei amici siracusani stentano a rintracciarlo! strano che su GMaps ci sia solo il termine in francese, “plage du coucher du soleil“), fino alla spiaggia sottostante la chiesa di s.Martino, meta abituale di bagnanti e di lettori in cerca di quiete serale (per me almeno è così, e poi Anna mi ha detto che la temperatura, anche d’inverno, di questo angolo riparato, è sempre di 3-4 gradi superiore a quella del livello stradale!).

Ma le spiagge più naturali si trovano ovviamente lasciandosi un po’ il centro alle spalle, o in direzione di Catania, quindi verso un quasi Nord, o in direzione opposta, andando verso la riserva del Plemmirio. E di spiagge ce ne sarebbero. Peccato che l’incuria sia purtroppo la cifra dominante e non si noti una pur minima valorizzazione dei luoghi.

Anche il semplice raggiungere queste spiagge diventa una sorta di camel trophy di non poco impegno. Puntando verso sud, ad esempio, uno dei pochi varchi si incontra lungo la statale Elorina, ma praticamente quasi fuori città. Nella zona dei centri commerciali (Crai, Lidl, Decò) ci sarebbero degli spazi interessanti da visitare (ad esempio curiosando da Google Maps), ma l’accesso non mi sembra fattibile, se non… dal mare (e ricordo le splendide foto dell’amico Pippo Ansaldi che mostrava spettacolari uccelli a pochi passi dalla riva, ben nascosti e protetti dalla città, forse una soluzione più sostenibile!).

Per riuscire ad arrivare al mare bisogna raggiungere il punto (37.058357048338685, 15.269250789478706 🙂 dove una deviazione punta verso il mare. Ci sono cantieri e rimessaggi a destra e sinistra. Giunti sul fondo si riesce a passare in modo “normale”, magari lasciando la bici sul piccolo piazzale di terra semibattuta che precede la spiaggia. Poi si scopre un mondo abbastanza diverso e tutto sommato, ancora vivibile.

Qualche barca “barcheggiata” qua e là, pontili in attesa di chissà quali attracchi e tanta sabbia. Ovviamente poco curata e zeppa di residuati da antropocene: plastica, cordami, lattine, bottiglie… Se ripenso ai tanti possibili metodi per una pulizia decente oggi disponibili (trattori con strumenti per filtrare e raccogliere la spazzatura, penso che non sarebbe un’impresa titanica restituire questi spazi alla cittadinanza.

Proseguendo sempre a sud si giunge presso la zona delle Saline, che spesso vado a visitare, sia per il luogo, per la foce del fiume Ciane e soprattutto per la presenza di tanti volatili. Sarebbe uno splendido luogo per il bird-watching. Basterebbe qualche postazione adatta per gli appassionati così da rendere questa località più appetibile. La zona delle saline è certamente un luogo suggestivo, nonostante la sua precaria condizione attuale.

L’ultima volta che mi ci sono avventurato ho scoperto un riparto scout in perlustrazione. Sicuramente la zona si presta a molte attività a contatto con la natura. Anche se percorrendo la spiaggia, della natura si coglie soprattutto il lato ferito e trascurato. Anche qui, infatti, la presenza più devastante della nostra specie si mostra copiosa. Viene da chiedersi quanti secoli, o millenni, servirebbero per curare queste ferite, togliere i materiali che deturpano l’ambiente. Purtroppo l’idea di andare ogni volta e portarsi poi a casa una busta di spazzatura sarebbe veramente uno sforzo inutile…

Rimane la nostalgia di spazi, di acque, di terra, che ricordano ben altro…

Qualche immagine dei diversi litorali siracusani

Verso la necropoli di Cassibile #1

Verso la necropoli di Cassibile #1

Ci stavo pensando già da un po’ di tempo, ma durante la settimana diventa sempre difficile muoversi . Così ho approfittato della pausa pasquale per tentare un’escursione verso la necropoli di Cassibile.

Come al solito ho cercato di documentarmi prima del viaggio, ma di indicazioni molto precise su questa località non se ne trovano facilmente. Alla fine capisco anche il perché.

Questo luogo, archeologicamente molto interessante e ancora adesso piuttosto selvaggio, non ha ricevuto grandi attenzioni, vuoi per la posizione vuoi per l’estensione. Dopo quella di Pantalica è una delle necropoli più vaste della Sicilia. La stessa pagina di Wikipedia la presenta con una foto dalla didascalia molto esplicita: “la necropoli vista da lontano”. Perché questo “lontano” sarà un po’ il leitmotiv della giornata.

Decido di partire a fine mattinata, in bici, sperando in un traffico meno pesante. Ma non avevo calcolato il vento. Pazienza, non avendo fretta si può dosare meglio il tempo.

Dopo aver attraversato Cassibile prendo la prima strada che a destra oltrepassa l’autostrada e si avvia verso i rilievi. La direzione è per Canicattini, ma alla prima deviazione a sinistra trovo subito il cartello che indica la direzione per la necropoli. Sarà anche l’ultima indicazione ufficiale, dopo di che bisognerà affidarsi un po’ all’intuito.

(la traccia del percorso, o quel che l’è, la puoi vedere qui)

La necropoli si adagia con evidenza sulle balze dei primi rilievi. Un tempo questa era tutta zona del Marchese di Cassibile. Una tacita convinzione dice che per attraversarla non servano permessi particolari, basta rispettare il luogo. L’unica macchina che incontro sul sentiero, ormai strada sterrata, mi conferma la cosa, posso proseguire in bici. Arrivo fino a quella che dovrebbe essere l’antica residenza del marchese. Grandi cancellate in ferro che impediscono di scorgere qualunque dettaglio dell’interno. Curioso invece il cartello, che invita il postino a non desistere, perché prima o poi qualcuno arriverà, ancor più sbarazzino l’uso della lingua, che sancisce un “porticedda” che stento a classificare come diminutivo… In compenso non ci sono dubbi su chi adesso abiti nella dimora, visto che la buca delle lettere è molto esplicita (ma l’ultimo marchese era un personaggio interessante!).

Sulla cima di una delle colline che fanno da orizzonte nord, si stagliano i resti di quella che doveva essere una dimora speciale del marchese (la villa a Cugno Mola, sorta probabilmente su ruderi antichissimi, Tucidide ne sa qualcosa!) ma per questa volta mi accontenterò di vederla da lontano.

Ora sono in marcia, un po’ in bici e un po’ a piedi, troppe pietre aguzze e non vorrei rischiare sorprese, visto che qualche settimana fa per una brutta buca mi sono sorbettato 3 km di passeggiata con bici al fianco per tornare a casa con la gomma bucata! A sinistra si stendono distese ampie di mandorleti, con frutti ormai ben visibili e gonfi, sulla destra schiere di olivi, almeno centenari, a volte bordati di semina a grano. Nessuno in vista, fin dove lo sguardo arriva. Guardando verso la collina si cominciano a distinguere facilmente i fori, le grotte, gli anfratti che formano la necropoli. E’ stata usata dall’anno 1000 fin verso l’800 a.C, quando cioé iniziano ad essere più intensi i rapporti con le colonie greche, poi con le città come Siracusa. In epoca bizantina alcuni di questi loculi sono stati poi adibiti a magazzini, depositi agricoli e modificati di conseguenza, con l’aggiunta di mensole e arcosoli; ma di queste grotte così ampie non riuscirò a vederne nessuna.

Dopo aver superato i ruderi di un ponte, mi decido infine a lasciare la strada e dirigermi verso la collina, per arrivare almeno vicino a qualcuno di questi loculi.

Uso il muro di cinta come sentiero, giungo ad una sorta di canale in pietra, ormai ostruito dal tempo, dalle radici e dalle piante, lo supero e arrivo abbastanza facilmente alle prime tombe; molto semplici, un cubicolo piccolo, per sepolture singole, immagino. Ce ne sono diversi ma la zona si fa subito impervia. Grandi macigni, alcuni appena appoggiati l’uno all’altro. Vegetazione folta e fastidiosa da superare. Mi afferro ogni tanto a qualche ligustro e altre piante. Nugoli di polline (speriamo bene di non essere allergici, qui ci sono dosi per contaminare legioni!) nell’aria calda del pomeriggio. Così mi decido, semplicemente, di fermarmi per contemplare il posto. In fin dei conti era questo l’obiettivo, non certo una esplorazione estensiva.

Guardo il mare sullo sfondo, la campagna fertile, dal verde intenso; il bianco delle rocce come sostegno e riparo. Comprensibile aver offerto come ultimo panorama questo scorcio di bellezza. Sono fermo, parte di questo respiro naturale. Più che sufficiente.

Sulla via del ritorno una gradita presenza, quasi pasquale. Un gregge di pecore che bruca tranquillo sotto i mandorli. Solo il pastore, un africano distratto che nemmeno si accorge della mia presenza alle sue spalle, a ricordarmi che siamo a Cassibile e che qui i migranti hanno una lunga e difficile storia con il territorio.

Questa volta l’album di foto c’è, mi ero portato l’altra fotocamera 🙂
Ecco alcuni ricordi della Necropoli di Cassibile.

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#pontedicorpi

#pontedicorpi

Si fa presto a dimenticare le immagini, le notizie e i reportage di quello che si pensava impensabile. Nel cuore della nostra Europa, a pochi passi dall’Italia, sulla ormai famigerata rotta dei Balcani, scene che vorremmo relegare ai gulag o ai campi di sterminio. E invece sono ancora con noi.

Con il diluvio di notizie e altri problemi che ci attanagliano, dai vaccini alle zone rosse incombenti, si fa persino presto a cambiare canale e togliere dalla mente queste situazioni. Ce lo possiamo permettere perché nonostante i problemi e le tragedie nostrane, il nostro tenore di vita, la quotidianità, è ancora intessuta di normale benessere. Ma tra il voltare lo sguardo e puntare al prossimo intrattenimento c’è ancora spazio per la memoria e l ‘ascolto.

Qui a Siracusa, con diverse associazioni, abbiamo accolto anche noi l’invito di Accoglierete per realizzare un piccolo evento nella nostra città. Prima un semplice tam tam sui social, poi in settimana anche il semplice realizzare qualche striscione, organizzarsi per essere presenti come piccolo stimolo, o pungolo, per le persone che lentamente stanno ricominciando ad assumere ritmi di normalità. Anche a Siracusa i fine settimana cominciano a sembrare meno desolati e vuoti, gruppi di persone, turisti, iniziano a muoversi e a sciamare per il centro di questa cittadina unica.

Ci siamo ritrovati nella sede del Ciao, qualche giorno fa, a preparare lo slogan che avrebbe fatto da orizzonte. Facile dare una piccola mano per colorare le scritte, così, tanto per ritrovarsi con persone dalle origini più disparate, un’artista tedesca, una belga, la nostra Maria di Avola che, con la scusa di essere anche docente di arte presso la scuola media, ha facilitato a matita il lavoro. Una scritta semplice, liberate le frontiere, contornato da quel filo spinato che sembra così di moda oggi tra un confine e una legislazione in cui dovremmo sempre venire per primi noi, chiunque siamo, purché non gli altri. E tra una pennellata e l’altra vanno anche i discorsi, le parole, lo scambio di idee.

Come se non bastasse sta ritornando, come ogni stagione, anche il problema dei lavoratori migranti di Cassibile, che causeranno anche quest’anno interminabili discussioni, incontri, tentativi di regolarizzare questa incredibile situazione. Così le coperte che si volevano utilizzare come simbolo vengono presto dirottate in questa più urgente necessità, perché a poche settimane dall’inizio della raccolta nei campi, il freddo è ancora intenso, anche qui dove le temperature sono decisamente più miti.

Finalmente, questo sabato, dalle ore 12 in poi, si è realizzato il semplice evento. Non eravamo folla, ma nemmeno il lievito ha bisogno di grandi numeri. Sulla spianata vicina alla Fonte Aretusa, una delle zone di più forte attrazione per i turisti, ci siamo disposti, con la giusta distanza, per ascoltare la motivazione di questo piccolo raduno. Cercare di realizzare un ponte simbolico per denunciare le continue violenze e i respingimenti di cui sono vittime le persone che tentano di raggiungere un luogo in cui poter vivere con dignità. Insomma, dare ali a questa farfalla per librarsi oltre il filo spinato.

Sembra quasi irreale leggere, come abbiamo letto, le notizie dell’indagine nei confronti delle persone che a Trieste si davano da fare per alleviare la situazione dei migranti che riuscivano a varcare i confini. L’accusa è nientemeno che di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Mi viene quasi da chiedermi se non mi stia spostando pericolosamente anch’io su questa china assurda, tutte le volte che devo trattare per qualche forma di aiuto con qualche migrante coi documenti non in regola… E se penso che quel pericoloso attivista di Trieste, Gian Andrea Franchi, ha la veneranda età di 84 anni… penso con un pizzico di sollievo che, se gli anni passano, non è detto che ci si spenga in modo automatico e si diventi insensibili.

Questo momento condiviso, l’ascolto di alcuni testi evocativi, il sentirsi convocati per un rigurgito di umanità, con il mare di fronte, sotto un sole che forse nei Balcani, adesso, se lo possono solo sognare, è stato un piccolo gesto di responsabilità, una sorta di preghiera laica (ma non sono forte nelle nette separazioni tra laico e religioso) per ricordarci le cose importanti. Da ricordare e scolpire forte nel cuore, come le parole di Prino Levi, lo shemà di cui la nostra cultura dovrebbe fregiarsi con più frequenza.

E se qualcuno volesse approfondire l ‘argomento, ecco un dossier interessante su La rotta balcanica (da Altreconomia)

Ecco nell’album alcune foto dei preparativi e dell’evento
#unpontedicorpi vissuto oggi, 6 marzo 2021, a Siracusa