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Categoria: foto

Basterebbe un Antonello

Basterebbe un Antonello

Belluomo… ci vorrebbe Govi per vivacizzare la questione, ma qui a Siracusa il dialetto dei caruggi non è molto diffuso. Perché è proprio in un caruggio della città vecchia, la nobile Ortigia, che si trova Palazzo Bellomo, uno dei musei di arte “meno antica” di Siracusa.

Perché avere una città fondata prima di Roma, con catacombe estese quasi come la capitale, con fatti storici di oltre 2000 anni, una cattedrale che vanta 2500 anni di “servizio” (con qualche cambio di destinazione, lo ammetto), insomma, l’arte e la classicità sono spalmati quasi ovunque; i reperti con meno di 1000 anni sembrano quasi robetta, modernità, quisquilie.

E invece l’occhio anche non tanto esperto riesce a vedere in questa ultima decina di secoli sprazzi di bellezza non comuni. Basterebbe un Caravaggio di passaggio, o un Antonello di Messina, e infatti in questo museo troviamo opere di questo livello.

Ho approfittato dell’ultima giornata di rilancio dei musei siciliani per dare un’occhiata a questo museo; pensavo “una passeggiata veloce poi magari ci si ritorna”. Ma non è tanto grande l’esposizione di Palazzo Bellomo. un cortile a piano terra con alcuni stemmi e reperti in grande formato poi un anello espositivo al primo piano. E’ tutto concentrato in poche sale. E forse a qualcuno verrebbe da pensare che per allestire il museo abbiano razziato a man bassa chiese e sacrestie del territorio, visto che la stragrande maggioranza delle opere sono ti tipo religioso. O perché di altri committenti al tempo non se ne trovavano?

Mi soffermo solo sul quadro che da solo merita la visita del museo, l’annunciazione di Antonello da Messina, un’opera nata per adornare una chiesa della vicina Palazzolo Acreide, quindi autore e committenza tutta locale. A parte la storia del quadro, un po’ malconcio ma sempre suggestivo, sarebbe da notare lo strano modo di siglarlo (viene rapidamente descritto in questa pagina di wikipedia); ma preferisco dedicare un po’ di tempo per la semplice contemplazione, mi sembra più coerente per un’opera del genere. E pacata attenzione ai dettagli: da buon appassionato di finestre non mi può certo sfuggire la precisione e la cura nel dipingere questo particolare.

Il mio vagabondare doveva però completarsi senza troppe altre attenzioni o ricerche; ammirare le varie sale (non sono molte, a conti fatti in mezz’ora si visita tutto), contemplare la varietà di opere, dai manoscritti miniati ai presepi, dai piviali ai capitelli, dalle carrozze per nobildonne alle sculture antiche dall’aspetto quasi astratto… uno spettacolo gradevole.

All’uscita cerco solo di capire a cosa si riferiscono le iscrizioni in ebraico di alcuni rilievi in marmo. E scopriamo con il custode che la spiegazione “è scomparsa”, forse a causa della forzata chiusura per il coronavirus. Siamo ancora alla prima settimana dalla riapertura e qualche dettaglio manca ancora. Un tempo qui ad Ortigia era presente la Giudecca, il quartiere ebraico, san Pietro e san Paolo sono passati per queste vie, sicuramente ospiti di conterranei. Bello sapere che il mondo è piccolo e non si fatica troppo a rintracciare amici…

Per l’album del museo di Palazzo Bellomo, solo poche foto, così ho l’occasione per tornarci con più calma

E pedaliamo fino a Cassibile…

E pedaliamo fino a Cassibile…

2 giugno: finalmente si può riprendere il via senza troppi pensieri. Così per assaporare un po’ le strade con la dovuta calma, me ne parto dalla nostra nuova casetta abbastanza presto.

Sono le 7:45 quando inforco la bici e mi avventuro verso …il sud. In teoria mi sarebbe piaciuto dare un’occhiata alle zone verdi, al torrente, ai laghetti, ma per oggi può andar bene anche solo una esplorazione sommaria.

Poca gente ancora in giro, bel tempo ancora fresco, strada tutto sommato pianeggiante, anche se alcuni pendii si fanno un po’ sentire, soprattutto prima di giungere a Cassibile.

Quando supero il centro abitato scorgo sulla sinistra il campo dei braccianti, di cui troppo spesso si parla. Condizioni al limite del buon senso, criticità a non finire, problemi da troppo tempo irrisolti. Verrebbe da chiedersi perché i container che lo scorso anno stavano per essere destinati a questa situazione siano ancora bloccati in Siracusa… certamente il lockdown non ha facilitato le cose, speriamo che adesso il nuovo decreto per l’emersione e regolarizzazione dei contratti possa dare un contributo forte al problema. Intanto ammiro sulla destra il complesso della Chiesa del Marchese Loffredo (testuale, sic), mentre una volante sta controllando alcune vetture…

Proseguo in discesa (troppa discesa, da scontare subito dopo!) fino al fiume Cassibile, che supero per poi …tornare indietro, ma seguendo la strada per Fontane Bianche. E sarà meglio così, campagna, olivi, piante, grano che aspetta ancora di essere mietuto. Poi arrivano le case di questo villaggio di seconde case, molte delle quali un po’ abbandonate e derelitte. Ma il luogo sarebbe spettacolare… Le viuzze laterali che portano alle spiagge hanno nomi da convention diplomatiche: “Mar di Norvegia…”.

Ma so già dove fare una tappa particolarissima, che ho già visitato tempo fa, i vivai Cuba. Questa volta entro con calma, chiedo alla gentilissima signora di poter girovagare liberamente e di scattare qualche foto. Anzi, chiedo conferma dell’estensione, mi risultavano 18 ettari di serre e vivaio. Mi corregge: sono 25… e non è colpa dell’inflazione, ma degli ultimi ampliamenti.

Vale davvero la pena avventurarsi nelle serre, tra le sterminate quantità di succulente in vaso, come plotoni pronti alla parata. Ma ci sono soprattutto angoli e scorci dove la natura sembra riprendere il sopravvento, dove le piante grasse, le cactacee e altre spettacolari essenze si fondono con le sterpaglie locali, i fiori di convolvolo, altre piante meno esotiche. L’effetto è suggestivo e vale sicuramente la visita.

A prima vista sembra il posto ideale come location per matrimoni e convention. Invece la direzione dei Vivai mi fa sapere che “non organizzano eventi e meno che mai matrimoni. Il GIARDINO DELLE PIANTE MADRI è essenzialmente uno spazio espositivo attraverso il quale vengono studiate le piante in esterno, per raccogliere semi e talee delle piante che sono ritenute più interessanti per la produzione ed è quel luogo dove di tanto in tanto si possono anche identificare nuove varietà derivanti da incroci spontanei”.

Si vede che credono fortemente in questa proposta e vi si dedicano con passione e competenza. Complimenti.

Rientro a casa in meno di 3 ore dalla partenza, in tutto sono una quarantina di km. Ogni tanto mi sfrecciano al fianco velocissimi grumi di ciclisti “doc”, belli in divisa sgargiante, a sfruttare l’effetto volata del primo. Io proseguo tranquillo, il mio ritmo è quello del curioso pedalatore di corsie esterne, senza fretta e senza cronometro. Oggi ne valeva proprio la pena.

Inutile dire che le foto delle piante dei Vivai Cuba oggi sono il focus principale. A dire il vero il gusto personale nel riprendere le foto può quasi mettere in evidenza solo il lato “naturale e quasi selvaggio” dei vivai, senza evidenziare il gran lavoro professionale di chi vi opera. Ma che si può intuire dalla grande varietà ed estensione degli spazi, dalla cura ordinata delle serre, dalla sistemazione degli scorci…, più che un vivaio, quasi un parco.

Ri-pronti, ri-a-posto, ri-via

Ri-pronti, ri-a-posto, ri-via

Sarà che a Siracusa il tasso di contagi si è sempre mantenuto molto basso (non abbiamo superato le 100 persone ricoverate, se non sbaglio), comunque l’impressione di questi primi giorni di ripartenza è abbastanza tranquilla. E tutto sommato anche abbastanza responsabile; fa piacere vedere che la mascherina, in pratica l’elemento clou per ricordare a tutti che non stiamo vivendo momenti normali, sia così diffusa. Speriamo che duri il tempo necessario.

L’estate è ormai evidente, con il suo azzurro mare e il caldo. Le strade si sono rianimate, la Borgata sta tornando alla quieta confusione normale, i negozi sembrano sulla strada della normalizzazione… chiaro che manca ancora molto. La coda davanti alle poste è ogni giorno un caos poco organizzato, con gente a zonzo sui marciapiedi di entrambi i lati, senza mai capire come funziona (dovrei ritirare un pacco ma tremo al pensiero di sorbirmi ore di attesa, meno male che abbiamo la sede a 20 m. e questo aiuta, ma senza un numero di attesa è anche un problema aggiunto).

Una cosa invece davvero imprevedibile è stato l’incontro che ho avuto a causa della sanificazione della sede. Avevamo bisogno di una documentazione ineccepibile per la sede del CIAO, d’accordo con il nostro mitico avvocato avevamo pensato di poter almeno esibire un documento formale. Quindi ci siamo messi alla ricerca di una ditta per la sanificazione.

A Casa Caritas, dove siamo ancora alloggiati, avevano effettuato proprio questa sanificazione, così mi ero fatto dare il numero. Poi avevo inviato un paio di messaggi per il contatto, la richiesta del preventivo ecc. Ma questo preventivo non stava arrivando e avevamo un po’ di fretta. E allora insisto un po’ per velocizzare.

La persona mi risponde subito dicendo: “Senti il mio capo, così fai prima” e mi manda il contatto del responsabile. Un cognome che tanto tempo fa mi era familiare, Poerio, ma si sa, i cognomi sono sparsi come il prezzemolo in Italia e la statistica è fatta per dare i numeri, più che per sistemarli.

E invece, quando finalmente chiamo, dopo i convenevoli la voce mi chiede: “Ma con i maristi che cosa avete a che fare?”. Curiosa come richiesta, qui a Siracusa fino agli anni 50 c’è stata anche una casa dei Padri Maristi, qualcuno ancora se li ricorda…, ma quando gli rispondo che tanto per cominciare io sono un fratello marista, ecco che si allarga la sorpresa, “perché mio fratello che adesso non c’è più, era un fratello marista”. Ma allora tu sei il fratello di Antonio? Non mi dire… che ci fai qui a Siracusa, ma non eri a Genova… quanto tempo…

Era proprio lui, Gianni, il fratello di Antonio, che è mancato nel 2015. Erano gli anni della formazione, del noviziato, del tempo passato insieme a Velletri. Nella foto Antonio è quello a destra di Giovanni Paolo II, invece sulla sinistra ci sono Marco, Paolo, Claudio e fr. Eugenio. Per mania di protagonismo io sono sicuramente quello esattamente dietro la testa del papa, quindi invisibile, ma c’ero. Avevamo appena terminato la partecipazione alla messa con il Papa, insomma, non capita tutti i giorni. E con Marco avevamo persino suonato la chitarra, insomma, una prova del fuoco! Mi era rimasta così impressa quella mattina, a Castelgandolfo, accompagnati da Onorino, che quella presenza me l’ero venduta molto bene quando poi sono capitato a Genova. Ricordo che uno dei primi anni allo Champagnat abbiamo preparato le cresime. Restava il dubbio dei canti e di come accompagnarli. Per me e Marco non c’era nessun problema: chitarra e organo, ovviamente.

Ma a Genova regnava ancora Siri, il principe cardinale, una presenza non sempre facile da conciliare con certi “adattamenti”. E infatti quando è entrato nella cappella e abbiamo iniziato a suonare… non ci ha guardato con troppi sorrisi. Alla fine infatti mi aveva detto: “Si ricordi che questi strumenti per la Chiesa non vanno mica bene”. Così ho potuto rispondergli che quando avevo suonato alla messa con il Papa non c’era stato nessun problema, anzi… Ma il card. Siri era una grande persona e non si perdeva in queste piccolezze. Poi venne Canestri 🙂 si scelse come segretario l’ultimo dei pretini del seminario (anzi, non era stato ancora ordinato) e le cose cambiarono, decisamente in meglio!

E questo era per Antonio. Con il fratello Gianni, che si è fatto invece un dovere nel darci una mano e sanificare gratuitamente i locali del CIAO, è ripreso così un contatto che ci farà piacere continuare nel tempo.

Ci ha sanificato la sede con l’ozono, ha sistemato i condizionatori, rilasciando i certificati necessari e promettendoci di sistemare prossimamente quanto ancora resta da fare. Come se non bastasse aveva invitato anche un suo amico, presidente della Consulta Civica di Siracusa, per fargli conoscere il nostro centro. Piccoli tasselli di amicizie che aiutano reciprocamente nel lavoro di ogni giorno. Soprattutto quando questo “lavoro” è schierato dalla parte dei più deboli e fragili.

Intanto, grazie Antonio.

Il giorno della terra, per s.Giorgio

Il giorno della terra, per s.Giorgio

Nomen Omen, direbbe qualcuno. E chiamarsi Giorgio ha sicuramente i suoi vantaggi. Ad esempio non sapevo mica che il mio personaggio preferito avesse visitato persino la Brianza e anche in quei luoghi si era dilettato nel salvare principesse e risolvere soprusi… Io mi ero soffermato su questo portale di Via Prè, a Genova, scoperto e immortalato qualche mese fa, prima della quarantena!

Ricordo un 23 aprile del 2004 (fa sempre un certo effetto rivedersi con quasi 20 anni di meno!), mi trovavo a Gerusalemme e mi ero ritagliato un po’ di tempo per girare senza meta nei vicoli della città vecchia. Mi sono imbattuto quasi per caso (“caso”, direbbe qualcuno, è uno dei tanti soprannomi della Vita, più che del destino) nei pressi della chiesa di s.Giorgio degli Armeni, il loro protettore nazionale. Forse proprio da questo fortuito incontro è nata poi la curiosità e la voglia di capirne un po’ di più (ad esempio leggendo il tragico libro I quaranta giorni del Mussa Dagh)

Ma adesso siamo in giorni ben diversi; quest’anno il giorno di san Giorgio ha comunque avuto i suoi momenti speciali. Il giorno prima era il giorno della terra e un pizzico di attenzione alla nostra madre comune fa sempre bene. Anche quando poi mi dedico al micro-giardinaggio utilizzando strategie più da colture idroponiche che altro, ma per il momento lo spazio è veramente poco e questo è quanto riesco a fare…
Una piccola serra con qualche vaso, alcuni in semplice fibra di cocco, senza un briciolo di terriccio (quello vero), giusto per assaggiare insalata a cm. 0. E se non tira troppo vento qualcosa si comincia a pregustare!

E sempre per caso, quello di prima, in questi giorni di attesa, senza poter disporre di un po’ di terra vera (ma senza rimpiangere tutti i posti dove invece potevo tranquillamente usarla e coltivarla un po’, perché toccare la terra aiuta a capire meglio le cose…) mi ero concesso una lettura di evasione…, un breve testo, ma stimolante e per certi versi controcorrente. Il libro di un autore sconosciuto che ha dedicato al giardino e alla cura di uno spazio naturale quasi tutta la sua esistenza, in modo discreto e senza pretese. Il libro in questione è E il giardino creò l’uomo; sono persino rimasto sorpreso quando, dopo pochi giorni dall’inserimento, ho notato che la recensione appena scritta era …in pole position

A questo punto, siccome non credo ci siano problemi di (c)… riporto anche qui la mia recensione del libro.
Al ritmo di una foglia – il giardiniere rivoluzionario
L’unica rivoluzione possibile? Diventate giardinieri. Libro insolito e delizioso, non è un trattato di botanica o una sfilza di consigli per creare un giardino. Racconta l’esperienza molto personale di un giardiniere decisamente particolare ed eclettico, Jorn de Precy (esatto, l’autore) islandese di origine, italiano di frequentazione, francese di contatto e inglese di definitivo assestamento, ma sempre originale e capace di una sintesi che si riscopre, oggi, in anticipo sul suo tempo. Nel 1912 quando il libro viene pubblicato in poche copie (2000), inizia un suo tour sotterrraneo e graduale, che porteranno questo testo ad influenzare molte persone. In che ambito? Anche nella cura del giardino, che lui considera come il massimo gesto rivoluzionario possibile per un uomo del suo e nostro tempo, ma probabilmente ad inoltrarsi con decisione nel percorso di approfondimento umano che cerca la piena realizzazione della persona non tanto nella tecnologia fine a se stessa, nella velocità, nel progresso e nel produrre, quanto nell’essere. Leggendo il testo si riassaporano molte immagini tipiche dei giardini italiani, da Bomarzo a Villa Adriana e si leggono con piacere le riflessioni di questo vecchio romantico o hippy anticipatario. Che ormai si sente troppo vecchio (scrive il testo quando ha ormai 70 anni) per correre dietro alle mode, ai perbenismi e alle teorie che vanno per la maggiore. Il testo è breve, in meno di un’oretta si completa questa godibilissima passeggiata tra viali, alberi selvatici e idee che sembrano scritte oggi.

Spesso guardo il cielo

Spesso guardo il cielo

Io guardo spesso il cielo. Lo guardo di mattino nelle
ore di luce e tutto il cielo s’attacca agli occhi e viene a
bere, e io a lui mi attacco, come un vegetale
che si mangia la luce.
(M.G. da “Fuoco centrale”)

Forse più che al cielo io mi soffermo sul mare. Da quando ho il privilegio di aprire la finestra al mattino e riempirmi lo sguardo di questo orizzonte, ne faccio incetta a man bassa. Ricordo il panorama che potevo contemplare a Cesano: aprivo la finestra sulla copertura di un capannone, plexiglas ondulato grigio-sporco, solo una fetta di cielo se ti sporgevi all’infuori.

E poi ci sono gli incontri imprevisti, le intercettazioni della cronaca. Proprio ieri mi stavo ritagliano uno spazio di notizie altre, se posso la domenica mi soffermo con calma sulle pagine del domenicale del Sole24, una consuetudine recente, visto che è solo degli ultimi 25 anni… Mi era caduto l’occhio su un articolo di musica contemporanea. Non è che oggi non ci siano autori di valore, è che troppo spesso ci accontentiamo di quanto conosciamo già. L’articolo presentava un pezzo di musica probabilmente “pesante”, un Requiem dedicato alle vittime del terremoto del 2009. L’ultimo requiem di cui avevo un po’ di memoria era quello di Verdi, per la morte di Manzoni. Ne avevo appena parlato con il mio alunno preferito di questi giorni (è il preferito anche perché è l’unico, Omar), perché stiamo parlando proprio dei Promessi Sposi e del peso che un’opera simile aveva nel contesto storico e culturale dell’epoca. Poi dalla notizia sono passato a Youtube per sentire almeno qualche brandello di questa musica composta da Silvia Colasanti, e poi a leggere alcune recensioni. Il titolo, in particolare, mi sembrava suggestivo, stringere nei pugni una cometa… non sembravano certo parole liturgiche (ma potrebbero diventarlo, perché no…) e quindi la ricerca si sposta sui testi e così scopro l’autrice, Mariangela Gualtieri e naturalmente si apre la caccia ai brani che si possono trovare in rete… ne raccolgo una piccola manciata qui prima di aprire la pagina ufficiale di questa voce narrante. A prima lettura mi sembra di risentire lo stile di un’altra poetessa che apprezzo, Livia Candiani, che ho iniziato a seguire dai tempi delle prime visite a Romena. Ma sarà forse che la poesia di oggi si muove tra spazi e regole comuni, per trapelare ai più.

E giungo anche a rileggere la poesia del 9 marzo, e quindi anche a sentirla e risentirla come una sorta di vaticinio e riflessione su questi tempi difficili, una poesia della Gualtieri che deve aver spopolato sul web (tra consensi e critiche equamente distribuite) ma che ‘scopro’ solo adesso. Segno ulteriore che di solito seguiamo solo che già conosciamo…

Scoprire un nuovo artista, una voce differente, un punto di vista originale è sempre utile, perché quando allarghiamo i nostri, di orizzonti, anche chi ci sta vicino vi si ritrova immerso. E adesso ritorno sul nostro splendido terrazzo panoramico. Non si può uscire, ma da qui il mondo entra.