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Tra le rovine di Segesta

Tra le rovine di Segesta

Ultima tappa della nostra gita nei dintorni di Trapani è stata Segesta. Dopo una velocissima perlustrazione delle saline e dei suoi … mulini a vento (fa tanto Olanda, ma senza i tulipani), per non rientrare troppo tardi a Siracusa, evitare il traffico del rientro, tutti quei calcoli per le partenze intelligenti e cose varie, abbiamo pensato che visitare Segesta, praticamente una piccola deviazione lungo il percorso, poteva essere una buona occasione, anche perché nessuno vi era ancora stato.

Abbiamo bisticciato un po’ con i cartelli locali, perché appena usciti e arrivati in macchina fino all’ingresso del parco archeologico di Segesta ci hanno gentilmente rispediti indietro per utilizzare l’apposito parcheggio. Peccato che si siano dimenticati di mettere qualche cartello decente e così siamo finiti di nuovo in autostrada 🙁 altro giro, altra uscita e rientro. Sicily way…

Ma quando poi siamo finalmente arrivati all’ingresso del parco, con il frontone del tempio che tralignava sopra i pini, le cose sono cambiate. Tanto per cominciare non avevamo fatto caso al fatto che era domenica, la prima del mese, quindi ingresso free. Niente male.

Prima tappa: il tempio di Segesta. Dopo una breve scarpinata su scalini probabilmente realizzati dagli stessi greci… ecco apparire un’imponente selva di colonne, con il perimetro perfettamente conservato e possente. Una costruzione che risale al 6 sec. a.C., probabilmente interrotta per colpa di qualche guerra (forse una delle classiche contro Cartagine!) e mai più completata. Un esempio spettacolare di come venivano eretti i templi nell’epoca classica. Perché quando noi pensiamo alla Grecia antica dovremmo renderci conto che in realtà stiamo parlando proprio della Sicilia! Girare intorno alla costruzione, guardare il panorama facendolo collimare con gli spazi tra le colonne, respirare il vento di questa zona montuosa, a ridosso di una sorta di canyon, forse solcato da un torrente. Insomma, sapevano sceglierli bene i posti suggestivi, i nostri antichi.

E dopo la visita al tempio siamo saliti con la navetta fino ai resti del teatro, recuperato e utilizzato anche in epoca romana. Lo spettacolo è davvero insolito, un teatro per 5000 persone incastonato in cima alla montagna, con lo sguardo che giunge fino al mare.

E’ interessante rileggere alcune pagine di Goethe (nel file accluso siamo a p. 36) che nel suo famoso Viaggio in Italia è passato anche di qui (peccato, a Siracusa non è giunto, in quei tempi, fine 1700, era ridotta piuttosto male).

Segesta, venerdì 20 aprile
Il tempio di Segesta non è mai stato finito, e la piazza intorno non vi è mai stata adattata; hanno pianificato soltanto il perimetro sul quale dovevano essere messe le colonne: ancora adesso, in alcuni punti, i gradini sprofondano per nove o dieci piedi e non si vede un pendio nelle vicinanze dal quale pietre e terreno avrebbero potuto scendere. Le pietre inoltre stanno nella loro posizione quasi naturale e non ci sono rovine al di sotto.
[…]

Confrontare le esperienze, gli interessi e le curiosità è sempre interessante.

A noi sicuramente sfugge il senso e la portata di quegli spettacoli, che coinvolgevano tutti gli abitanti del luogo (mio fratello Massimo, interpellato al volo, mi ricordava che ai contadini veniva pagata la giornata di lavoro pur di farli assistere alle tragedie e ai riti sacri!). Poi il borgo di Segesta ha tentato di varcare i secoli, ma ha superato a malapena il medioevo e si è fermato, iniziando a sbriciolarsi man mano. Ne rispolveriamo adesso i confini, i limiti, la silhouette. Siamo fatti di terra e qui anche di tanta aria, vento e sole. E di pioggia, almeno quella che abbiamo preso durante il viaggio di ritorno a Siracusa.

Ecco le immagini di questa rapida incursione a Segesta

Nei vicoli di Erice

Nei vicoli di Erice

Mi ero ripromesso di condensare in qualche riga il viaggio a Catania, ma qui a Siracusa, anche se non ci sono ritmi frenetici, le attività della settimana sono abbastanza coinvolgenti e anche per poche persone è giusto esserci il tempo necessario, magari anche per una sola persona, come sta capitando da un paio di settimane con Kebba, per aiutarlo a migliorare la comprensione e la lettura dell’italiano.

il Real Duomo di Erice

Ma la passeggiata che abbiamo fatto ad Erice sabato scorso, 2 novembre, è ancora fresca, anzi, velata di nubi come il vestito perenne di quel cocuzzolo sopra Trapani. In 3 giorni non siamo mai riusciti a vederlo limpido e svelato. Così con Rosa, Nina e Ricky partiamo nel pomeriggio.
Tanto per cominciare conviene andarci in funivia. E dopo averla presa, noi 4 intrepidi, mi sembrava di essere di nuovo sul percorso del Palabione, o in Trentino. Chiudi gli occhi e si ondeggia lievemente. Certo, faceva ancora caldo, e poi gli alberi non sono così fitti. Soprattutto niente neve… 10 minuti di salita sono un bell’andare. Ci sono oltre 700 m. di dislivello, si passa dal mare alla montagna. E si fa presto ad accorgersene, appena arrivati il tepore immagazzinato in pianura svanisce presto.

Il primo impatto richiama le cattedrali e i castelli di Lady Hawke; rosoni suggestivi, pietra in bella vista, architetture raffinate… e poi si inizia a girare per le strade di questo paese, che è poco più di un villaggio. Chiedo ad un abitante in quanti sono: forse meno di 200, anche se d’estate il numero lievita considerevolmente…

Viene chiamato anche il paese delle 100 chiese e forse ce ne sono anche di più, ma la scelta di renderle tutte a pagamento anche solo per una fugace visita non mi sembra geniale: quindi le boicottiamo tutte, ci accontentiamo di assaporare le facciate e le silhouette. Il che non è poco. Tra un vicolo che richiama Assisi e una scorciatoia che starebbe bene in un paesino dell’entroterra ligure, camminare in questo borgo è gradevole e stuzzicante. Negozi, vetrine, maioliche, pizzi, cartelli turistici e riproduzione di murales e poster, ogni angolo e ogni strada viene sapientemente sfruttata. E nonostante l’epoca i turisti non mancano, in tanti ci intralciano il percorso o ci precedono nelle svolte.

sullo sfondo le saline di Trapani

Ma Erice mi ricorda in particolare una persona, il famoso Prof. Zichichi. Chissà se è ancora dei nostri, così entro nella sede della sua fondazione e chiedo. “E’ ancora un arzillo professore di 90 anni, ma adesso vive a Ginevra…viene ogni tanto”. Sarà anche lui un fan della Gianotti, che è stata appena confermata come direttrice del Cern? Fa comunque piacere riscontrare personalità di questo taglio e spessore.

Intanto le nuvole si sono raggrumate ancora, aumentano e si fanno quasi minacciose. Giungiamo al castello che le prime folate iniziano a nasconderlo; ci vorrebbe un menestrello malinconico o un bardo in fuga per completare il quadro. Sullo sfondo la piana di Trapani, le saline, ampi spazi, con macchie di sole a leopardo, a fianco i torrioni del castello di Venere. E inizia persino il freddo, che ci consiglia di non attardarci troppo. Riprendiamo il corso principale, saccheggiando con foto e autoscatti il percorso. Poi di nuovo in seggiovia e in poco tempo il sole riprende il sopravvento. Appena scesi uno sguardo indietro, alla montagna ancora tutta avvolta di nubi. E così siamo stati anche ad Erice.

E così questo album fotografico di Erice 2019 è decisamente un mix tra romanico, umbro e tenebroso medioevo.

Sulle spiagge di San Vito

Sulle spiagge di San Vito

La gita che abbiamo fatto qualche giorno fa andrebbe centellinata con calma, e quindi ritorno, almeno con lo sguardo, sull’escursione che abbiamo fatto venerdì 1 novembre. Eravamo a Trapani, tempo minaccioso. Se tanto piove proviamo almeno a vedere qualcosa di speciale. Così siamo partiti alla volta di San Vito lo Capo.

Che la Sicilia fosse piena di sorprese, angoli incantevoli, spiagge caraibiche, scorci da favola… lo sapevo già. Mi fido delle tante esperienze di amici e persone che mi hanno descritto il fascino di certi posti. Ma fino a quando non ci capiti anche tu, in questi posti da favola, l’esperienza rimane un ricordo sbiadito. Il paesino è proprio uno di questi luoghi speciali. Ci siamo arrivati quasi con la pioggia alle spalle, a inizio novembre, in epoca immune dalle folle estive, e il paese si è rivelato nella sua semplicità. Una strada centrale, un grande edificio nel cuore del paese, e poi distese di sabbia.

Il primo richiamo è stato proprio quello del mare; vale la pena inzaccherarsi un po’ di sabbia, toccare l’acqua, ammirare le dune di alghe e invidiare chi ancora …stava facendo il bagno. Aria tiepida, sabbia calda e clima più che primaverile. Poi si girovaga un po’ nel paese, sapendo che l’unico edificio da osservare con attenzione è proprio la chiesa di s.Vito. Un antico martire, dalla storia un po’ annebbiata nel tempo, ma segni solidi di una presenza forte, visto che la più antica menzione del santo ci viene da documenti musulmani…

Dopo un pranzo tipicamente da pescatore, siamo ripartiti verso la riserva dello Zingaro, una delle prime riserve regionali della Sicilia, incredibilmente senza una strada di rapido attraversamento lungo il mare; insomma, se la vuoi vedere devi guadagnartela a piedi, tra un saliescendi continuo in mezzo a questo angolo di paradiso. Mi vengono in mente i sentieri del Parco di Portofino, con le discese fino alla spiaggia di s.Fruttuoso. Ma qui di alberi ce ne sono ben pochi, in compenso vedi palme nane dappertutto, macchie di rosmarino da mandare in visibilio uno chef della Riviera, ciuffi di mirto e tutto quello che puoi aspettarti dalla macchia mediterranea.

Raggiungiamo a piedi la vicina caletta, sulla mappa viene segnata come Tonnarella dell’Uzzo, una spiaggetta deliziosa, con sassolini regolari, gradevoli e, nonostante l’epoca, ci sono famiglie in costume, gente che prova l’acqua, bambini che si esercitano nell’antica arte del lancio della pietra che rimbalza sull’acqua (e qualcuno era intento a fornire corsi speciali di potenziamento…). Questa volta un po’ di foto erano il giusto tributo al luogo. E questo può bastare.

Un po’ di foto di San Vito lo Capo e della Riserva dello Zingaro

Da una punta all’altra della Sicilia

Da una punta all’altra della Sicilia

Week-end di novembre, un paio di giorni di stacco dopo il primo mese qui a Siracusa. Era già previsto un momento da vivere come comunità, senza altri impegni. E si stava parlando di visitare qualche posto nuovo, anche se per me lo sono tutti, ma gli altri, dopo 3 o 2 anni di permanenza qui in Sicilia un po’ di scorribande in giro le hanno già fatte. La meta prescelta era Trapani.

il “capolinea” della via centrale di Trapani, con lo striscione per Regeni ancora in vista

E Trapani sia. Siamo partiti il 1 mattino e ritornati la sera della domenica, abbiamo assaporato con calma una città ben diversa da Siracusa, pur essendo entrambe città che si protendono con decisione verso il mare, quasi ci si tuffano dentro. Ci siamo sistemati in un semplice B&B vicinissimo al centro e da qui abbiamo effettuato alcune piacevoli escursioni. Le sere e la mattina del sabato le abbiamo dedicate interamente alla città, girovagando quasi senza mete precise, per lasciarci avvolgere e conquistare dalle strade, i palazzi, gli angoli e gli scorci piacevolissimi di questa località. Ed eravamo noi quattro, io, Ricky, Rosa e Nina, strano modello di “famiglia alternativa”, ma d’altra parte la nostra comunità è proprio una cosa del genere…

E ci siamo proprio trovati bene lungo le strade principali del centro, un centro così essenziale che da certi incroci riesci a vedere i due lati del mare che si aprono a fine strada. Strade maestre ricche di vita, eleganti, ben curate e accoglienti (te ne accorgi persino dagli scoli che vengono ricavati sotto i marciapiedi, senza intralci nemmeno per la vista). Strade lastricate con gusto, belle pietre chiare, comode e sicure.

La sera poi la via si animava in modo vivace, accogliente e spigliata. Siamo ormai a novembre, aria di autunno, ma a parte alcuni momenti piovosi avresti detto che era primavera, con una temperatura mite e gradevole. Veniva naturale passeggiare di notte, sbirciare nelle vie laterali più sobrie, guardare i tanti palazzi importanti in bella mostra. Per noi che abbiamo riscontri da tante altre parti del mondo è inevitabile pensare a Mario che in questi giorni vive le agitazioni del Cile, agli amici del Libano che stanno manifestando con forza (anzi, proprio il 1 novembre hanno ripreso le scuole dopo giorni di chiusura), ai catalani in perenne agitazione… e invece qui a Trapani assaporiamo una tranquillità che dovrebbe essere la norma…

si costeggia facilmente tutto il lato ovest di Trapani

Domenica mattina ho raggiunto l’estrema punta della città, era abbastanza presto ma le strade già brulicavano di runner e il cielo di voli, il mercato del pesce, a pochi passi dall’approdo dei pescatori sembrava una pista di atterraggio per gabbiani e altri uccelli. La torre Bligny era come una sentinella della città, avamposto verso il mare. E oltre questo orizzonte siamo già in Africa…

navi e gabbiani vicino al mercato del pesce

Ci è piaciuta davvero Trapani, anche se dietro il centro, salendo sulle colline che poi si avvicinano ad Erice, si ammucchiano i palazzoni e l’effetto di crescita disordinata e grossolana è immediato, periferie poco invitanti e un po’ raffazzonate. L’ultimo saluto lo diamo alle saline e fa proprio strano vedere un mulino a vento (mica saremo finiti in Olanda?) posto a sentinella di questi prati di acqua e sale.

Due album per una città così interessante,
il primo con il solito cellulare usato al volo e con immagini e facce di noi 4 a spasso per la città e poi l’altro con una fotocamera un po’ più decente più concentrato sulle “cose”…

Iniziano gli incontri…

Iniziano gli incontri…

Dopo i primi giorni di navigazione a vista, di osservazione e di inserimento in punta di piedi, si comincia a dare una mano. La prima necessità è stata quella di sostituire una volontaria che aiutava alcuni migranti che vorrebbero prendere la patente. Probabilmente qualcuno ha già una lunga esperienza di guida nel suo paese (dal Gambia allo Sri-Lanka), ma in effetti l’esame di guida è più che altro un esame di italiano; sono talmente contorte, raffinate e criptiche le domande dei quiz che per chi non padroneggia bene la lingua …sono dolori!
La seconda cosa è il doposcuola con i bambini stranieri del quartiere; ma ne parlo prossimamente. Infine cominciamo con qualche lezione di informatica, insieme a Rosa… Ma il clou di questa settimana sono stati gli incontri e il corso di formazione sulla resilienza.

Giovedì e venerdì c’era un tavolo di approfondimento e di collaborazione sul tema del caporalato e dignità del lavoro. Come CIAO non siamo particolarmente esposti ma ho già capito che dal Comune ci vedono come un interlocutore privilegiato. Così ci siamo incontrati nel centro di Ortigia, la parte bella di Siracusa, per una mattinata di lavoro e scambio. A dire il vero c’era anche la serata precedente, ma … tutto non si riesce a fare. Pioveva, questo venerdì e trovare il luogo d’incontro è stato particolarmente umido, anche perché in Ortigia è meglio muoversi a piedi… Il luogo era presso l’Impact Hub di Siracusa, un centro di coworking nel bel mezzo dei vicoli antichi. Bel posto, ristrutturato con cura, gusto e fantasia. Il tempaccio ha condizionato le presenze, riducendoci al lumicino. Eravamo una dozzina di persone, tra referenti del Comune, del Progetto nazionale (che vede coinvolte Siracusa e Saluzzo… da quasi buon piemontese potevo scegliere!), della prefettura, la Caritas e noi del Ciao. Come primi passi sono utilissimi per capire, conoscere le persone, esplorare il territorio… e da quanto ho capito siamo anche coinvolti per un altro progetto legato al FAMI, in collaborazione con diverse realtà del posto.

L’interno dell’Hub di Siracusa

E poi il week-end di formazione sul tema della resilienza. Da venerdì pomeriggio fino a domenica mattina la sede del CIAO ha ospitato questo corso, offerto dal FMSI a diverse realtà mariste che operano in contesti marginali, spesso con migranti (dalla Spagna, al Ciao, fino al progetto Fratelli in Libano per finire ad Aleppo…). Vista l’occasione si era pensato bene di offrire questa opportunità formativa anche ad altri amici coinvolti nel medesimo campo. In tutto eravamo una ventina di persone. A guidare gli incontri è venuta Veronica, un’esperta dell’Univ. Cattolica che conosce molto bene le diverse realtà mariste e lasalliane in questa direzione. Logicamente lei è stata nostra ospite e si è subito sentita a suo agio nella nostra comunità; ci mancava solo che le facessimo lavare i piatti 😉

Una sorpresa imprevista di venerdì è stata la visita di un amico milanese, anzi per la precisione di Cesano Maderno. Cosa vuol dire il colpo d’occhio. Avevo visto il giorno prima un cartellone che ricordava un compleanno davvero particolare: i primi 2500 anni della Cattedrale di Siracusa, uno dei pochi luoghi al mondo che ha conservato da sempre la sua funzione di luogo religioso, prima con i greci, poi coi romani, quindi sono arrivati i cristiani, poi sono giunti gli arabi, e nuovamente i cattolici… Era prevista una lectio magistralis a cura di un docente dell’Univ. di Catania e poi l’intervento del Direttore del Beato Angelico di Milano, don Umberto Bordoni. Che guarda caso è un nostro ex-alunno della scuola di Cesano, sia lui che il fratello, e poi collaboratore dell’oratorio, giovane prete locale, amico di vecchia data. Subito due messaggi e poi una chiamata al volo. Un po’ di fretta, perché l’appuntamento è per le 19. Ma… il maltempo ha giocato un brutto tiro: allerta rossa, tutto chiuso, manifestazione rinviata. Così don Umberto insieme al vicario riescono a fare un salto presso il Ciao, per un rapido saluto. Fa il suo strano effetto vederlo proprio qui in Sicilia, e si chiacchiera allegramente per un po’, ricordando volti, persone, cose. E pazienza per la cancellazione dell’evento, avremo così un’altra occasione per rivederci, con più calma. La Cattedrale sicuramente non ha fretta…

La facciata della Cattedrale, con le colonne in luminosa evidenza

Pensavo proprio a questo straordinario edificio la sera dopo, sabato, quando siamo usciti con tutta la comunità e Veronica per un momento di stacco dal corso e per mangiare qualcosa. Non pioveva più e il clima si era subito addolcito, tiepidamente. La piazza del Duomo era particolarmente suggestiva e le nuove luci mettevano in evidenza le colonne doriche del tempio primitivo; pensando all’acquazzone della notte precedente (che ha fatto persino una vittima qui vicino), fermarsi tranquillamente a mangiare fuori, all’aperto, in questa fine di ottobre, fa una bella impressione. E ci faremo l’abitudine.

Domenica mattina abbiamo poi concluso il corso per illustrare lo strano mestiere del “tutore di resilienza”. Mi tornavano in mente le presentazioni degli alunni di terza media di giugno, la resilienza era uno dei temi da portare all’esame, e spesso gli interventi erano tra lo sconclusionato e l’approssimativo, chi avrebbe immaginato che dopo pochi mesi avrei avuto situazioni così concrete per toccare con mano quanto è necessaria e preziosa questa capacità… Due righe sul corso le ho già sistemate qui, non mi dilungo. Grazie a Veronica per la sua capacità di entrare subito in sintonia con noi tutti.