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Ri-pronti, ri-a-posto, ri-via

Ri-pronti, ri-a-posto, ri-via

Sarà che a Siracusa il tasso di contagi si è sempre mantenuto molto basso (non abbiamo superato le 100 persone ricoverate, se non sbaglio), comunque l’impressione di questi primi giorni di ripartenza è abbastanza tranquilla. E tutto sommato anche abbastanza responsabile; fa piacere vedere che la mascherina, in pratica l’elemento clou per ricordare a tutti che non stiamo vivendo momenti normali, sia così diffusa. Speriamo che duri il tempo necessario.

L’estate è ormai evidente, con il suo azzurro mare e il caldo. Le strade si sono rianimate, la Borgata sta tornando alla quieta confusione normale, i negozi sembrano sulla strada della normalizzazione… chiaro che manca ancora molto. La coda davanti alle poste è ogni giorno un caos poco organizzato, con gente a zonzo sui marciapiedi di entrambi i lati, senza mai capire come funziona (dovrei ritirare un pacco ma tremo al pensiero di sorbirmi ore di attesa, meno male che abbiamo la sede a 20 m. e questo aiuta, ma senza un numero di attesa è anche un problema aggiunto).

Una cosa invece davvero imprevedibile è stato l’incontro che ho avuto a causa della sanificazione della sede. Avevamo bisogno di una documentazione ineccepibile per la sede del CIAO, d’accordo con il nostro mitico avvocato avevamo pensato di poter almeno esibire un documento formale. Quindi ci siamo messi alla ricerca di una ditta per la sanificazione.

A Casa Caritas, dove siamo ancora alloggiati, avevano effettuato proprio questa sanificazione, così mi ero fatto dare il numero. Poi avevo inviato un paio di messaggi per il contatto, la richiesta del preventivo ecc. Ma questo preventivo non stava arrivando e avevamo un po’ di fretta. E allora insisto un po’ per velocizzare.

La persona mi risponde subito dicendo: “Senti il mio capo, così fai prima” e mi manda il contatto del responsabile. Un cognome che tanto tempo fa mi era familiare, Poerio, ma si sa, i cognomi sono sparsi come il prezzemolo in Italia e la statistica è fatta per dare i numeri, più che per sistemarli.

E invece, quando finalmente chiamo, dopo i convenevoli la voce mi chiede: “Ma con i maristi che cosa avete a che fare?”. Curiosa come richiesta, qui a Siracusa fino agli anni 50 c’è stata anche una casa dei Padri Maristi, qualcuno ancora se li ricorda…, ma quando gli rispondo che tanto per cominciare io sono un fratello marista, ecco che si allarga la sorpresa, “perché mio fratello che adesso non c’è più, era un fratello marista”. Ma allora tu sei il fratello di Antonio? Non mi dire… che ci fai qui a Siracusa, ma non eri a Genova… quanto tempo…

Era proprio lui, Gianni, il fratello di Antonio, che è mancato nel 2015. Erano gli anni della formazione, del noviziato, del tempo passato insieme a Velletri. Nella foto Antonio è quello a destra di Giovanni Paolo II, invece sulla sinistra ci sono Marco, Paolo, Claudio e fr. Eugenio. Per mania di protagonismo io sono sicuramente quello esattamente dietro la testa del papa, quindi invisibile, ma c’ero. Avevamo appena terminato la partecipazione alla messa con il Papa, insomma, non capita tutti i giorni. E con Marco avevamo persino suonato la chitarra, insomma, una prova del fuoco! Mi era rimasta così impressa quella mattina, a Castelgandolfo, accompagnati da Onorino, che quella presenza me l’ero venduta molto bene quando poi sono capitato a Genova. Ricordo che uno dei primi anni allo Champagnat abbiamo preparato le cresime. Restava il dubbio dei canti e di come accompagnarli. Per me e Marco non c’era nessun problema: chitarra e organo, ovviamente.

Ma a Genova regnava ancora Siri, il principe cardinale, una presenza non sempre facile da conciliare con certi “adattamenti”. E infatti quando è entrato nella cappella e abbiamo iniziato a suonare… non ci ha guardato con troppi sorrisi. Alla fine infatti mi aveva detto: “Si ricordi che questi strumenti per la Chiesa non vanno mica bene”. Così ho potuto rispondergli che quando avevo suonato alla messa con il Papa non c’era stato nessun problema, anzi… Ma il card. Siri era una grande persona e non si perdeva in queste piccolezze. Poi venne Canestri 🙂 si scelse come segretario l’ultimo dei pretini del seminario (anzi, non era stato ancora ordinato) e le cose cambiarono, decisamente in meglio!

E questo era per Antonio. Con il fratello Gianni, che si è fatto invece un dovere nel darci una mano e sanificare gratuitamente i locali del CIAO, è ripreso così un contatto che ci farà piacere continuare nel tempo.

Ci ha sanificato la sede con l’ozono, ha sistemato i condizionatori, rilasciando i certificati necessari e promettendoci di sistemare prossimamente quanto ancora resta da fare. Come se non bastasse aveva invitato anche un suo amico, presidente della Consulta Civica di Siracusa, per fargli conoscere il nostro centro. Piccoli tasselli di amicizie che aiutano reciprocamente nel lavoro di ogni giorno. Soprattutto quando questo “lavoro” è schierato dalla parte dei più deboli e fragili.

Intanto, grazie Antonio.

Il giorno della terra, per s.Giorgio

Il giorno della terra, per s.Giorgio

Nomen Omen, direbbe qualcuno. E chiamarsi Giorgio ha sicuramente i suoi vantaggi. Ad esempio non sapevo mica che il mio personaggio preferito avesse visitato persino la Brianza e anche in quei luoghi si era dilettato nel salvare principesse e risolvere soprusi… Io mi ero soffermato su questo portale di Via Prè, a Genova, scoperto e immortalato qualche mese fa, prima della quarantena!

Ricordo un 23 aprile del 2004 (fa sempre un certo effetto rivedersi con quasi 20 anni di meno!), mi trovavo a Gerusalemme e mi ero ritagliato un po’ di tempo per girare senza meta nei vicoli della città vecchia. Mi sono imbattuto quasi per caso (“caso”, direbbe qualcuno, è uno dei tanti soprannomi della Vita, più che del destino) nei pressi della chiesa di s.Giorgio degli Armeni, il loro protettore nazionale. Forse proprio da questo fortuito incontro è nata poi la curiosità e la voglia di capirne un po’ di più (ad esempio leggendo il tragico libro I quaranta giorni del Mussa Dagh)

Ma adesso siamo in giorni ben diversi; quest’anno il giorno di san Giorgio ha comunque avuto i suoi momenti speciali. Il giorno prima era il giorno della terra e un pizzico di attenzione alla nostra madre comune fa sempre bene. Anche quando poi mi dedico al micro-giardinaggio utilizzando strategie più da colture idroponiche che altro, ma per il momento lo spazio è veramente poco e questo è quanto riesco a fare…
Una piccola serra con qualche vaso, alcuni in semplice fibra di cocco, senza un briciolo di terriccio (quello vero), giusto per assaggiare insalata a cm. 0. E se non tira troppo vento qualcosa si comincia a pregustare!

E sempre per caso, quello di prima, in questi giorni di attesa, senza poter disporre di un po’ di terra vera (ma senza rimpiangere tutti i posti dove invece potevo tranquillamente usarla e coltivarla un po’, perché toccare la terra aiuta a capire meglio le cose…) mi ero concesso una lettura di evasione…, un breve testo, ma stimolante e per certi versi controcorrente. Il libro di un autore sconosciuto che ha dedicato al giardino e alla cura di uno spazio naturale quasi tutta la sua esistenza, in modo discreto e senza pretese. Il libro in questione è E il giardino creò l’uomo; sono persino rimasto sorpreso quando, dopo pochi giorni dall’inserimento, ho notato che la recensione appena scritta era …in pole position

A questo punto, siccome non credo ci siano problemi di (c)… riporto anche qui la mia recensione del libro.
Al ritmo di una foglia – il giardiniere rivoluzionario
L’unica rivoluzione possibile? Diventate giardinieri. Libro insolito e delizioso, non è un trattato di botanica o una sfilza di consigli per creare un giardino. Racconta l’esperienza molto personale di un giardiniere decisamente particolare ed eclettico, Jorn de Precy (esatto, l’autore) islandese di origine, italiano di frequentazione, francese di contatto e inglese di definitivo assestamento, ma sempre originale e capace di una sintesi che si riscopre, oggi, in anticipo sul suo tempo. Nel 1912 quando il libro viene pubblicato in poche copie (2000), inizia un suo tour sotterrraneo e graduale, che porteranno questo testo ad influenzare molte persone. In che ambito? Anche nella cura del giardino, che lui considera come il massimo gesto rivoluzionario possibile per un uomo del suo e nostro tempo, ma probabilmente ad inoltrarsi con decisione nel percorso di approfondimento umano che cerca la piena realizzazione della persona non tanto nella tecnologia fine a se stessa, nella velocità, nel progresso e nel produrre, quanto nell’essere. Leggendo il testo si riassaporano molte immagini tipiche dei giardini italiani, da Bomarzo a Villa Adriana e si leggono con piacere le riflessioni di questo vecchio romantico o hippy anticipatario. Che ormai si sente troppo vecchio (scrive il testo quando ha ormai 70 anni) per correre dietro alle mode, ai perbenismi e alle teorie che vanno per la maggiore. Il testo è breve, in meno di un’oretta si completa questa godibilissima passeggiata tra viali, alberi selvatici e idee che sembrano scritte oggi.

Spesso guardo il cielo

Spesso guardo il cielo

Io guardo spesso il cielo. Lo guardo di mattino nelle
ore di luce e tutto il cielo s’attacca agli occhi e viene a
bere, e io a lui mi attacco, come un vegetale
che si mangia la luce.
(M.G. da “Fuoco centrale”)

Forse più che al cielo io mi soffermo sul mare. Da quando ho il privilegio di aprire la finestra al mattino e riempirmi lo sguardo di questo orizzonte, ne faccio incetta a man bassa. Ricordo il panorama che potevo contemplare a Cesano: aprivo la finestra sulla copertura di un capannone, plexiglas ondulato grigio-sporco, solo una fetta di cielo se ti sporgevi all’infuori.

E poi ci sono gli incontri imprevisti, le intercettazioni della cronaca. Proprio ieri mi stavo ritagliano uno spazio di notizie altre, se posso la domenica mi soffermo con calma sulle pagine del domenicale del Sole24, una consuetudine recente, visto che è solo degli ultimi 25 anni… Mi era caduto l’occhio su un articolo di musica contemporanea. Non è che oggi non ci siano autori di valore, è che troppo spesso ci accontentiamo di quanto conosciamo già. L’articolo presentava un pezzo di musica probabilmente “pesante”, un Requiem dedicato alle vittime del terremoto del 2009. L’ultimo requiem di cui avevo un po’ di memoria era quello di Verdi, per la morte di Manzoni. Ne avevo appena parlato con il mio alunno preferito di questi giorni (è il preferito anche perché è l’unico, Omar), perché stiamo parlando proprio dei Promessi Sposi e del peso che un’opera simile aveva nel contesto storico e culturale dell’epoca. Poi dalla notizia sono passato a Youtube per sentire almeno qualche brandello di questa musica composta da Silvia Colasanti, e poi a leggere alcune recensioni. Il titolo, in particolare, mi sembrava suggestivo, stringere nei pugni una cometa… non sembravano certo parole liturgiche (ma potrebbero diventarlo, perché no…) e quindi la ricerca si sposta sui testi e così scopro l’autrice, Mariangela Gualtieri e naturalmente si apre la caccia ai brani che si possono trovare in rete… ne raccolgo una piccola manciata qui prima di aprire la pagina ufficiale di questa voce narrante. A prima lettura mi sembra di risentire lo stile di un’altra poetessa che apprezzo, Livia Candiani, che ho iniziato a seguire dai tempi delle prime visite a Romena. Ma sarà forse che la poesia di oggi si muove tra spazi e regole comuni, per trapelare ai più.

E giungo anche a rileggere la poesia del 9 marzo, e quindi anche a sentirla e risentirla come una sorta di vaticinio e riflessione su questi tempi difficili, una poesia della Gualtieri che deve aver spopolato sul web (tra consensi e critiche equamente distribuite) ma che ‘scopro’ solo adesso. Segno ulteriore che di solito seguiamo solo che già conosciamo…

Scoprire un nuovo artista, una voce differente, un punto di vista originale è sempre utile, perché quando allarghiamo i nostri, di orizzonti, anche chi ci sta vicino vi si ritrova immerso. E adesso ritorno sul nostro splendido terrazzo panoramico. Non si può uscire, ma da qui il mondo entra.

Iniziamo il 2020 con un giro nel passato… quello antico!

Iniziamo il 2020 con un giro nel passato… quello antico!

Ma siamo sicuri che l’albero di Natale…

Pensavo in questi giorni di inizio anno nuovo che un po’ di propositi bisogna pur farli. Fosse anche il proposito di non farne troppi, o di inutili. Quindi meglio procedere come se niente fosse, come se i giorni continuassero a provenire dallo stesso fornitore, con la stessa intensità, con il loro consueto miracoloso carico di sorprese…

Approfittando poi della prima domenica di gennaio, mi sono concesso almeno il proposito di andare ad esplorare un po’ più a fondo questo splendido territorio che è Siracusa. Ma che dico: New-York, o forse Napoli. Anche perché recita proprio così il cartello all’ingresso degli scavi archeologici: Nea Polis. Più chiaro di così. Benedetti greci con la solita crisi di fantasia per i nomi di città.

Comunque oggi ho preso solo la bici e l’intenzione di non fare foto, almeno, non tante, almeno, non con una fotocamera seria. Semplicemente girare per cogliere una prima panoramica di quanto, in seguito, varrebbe la pena di approfondire. Arrivare all’ingresso è persino facile, pochi minuti da casa nostra. Questa domenica di gennaio era poi fresca, ma tersa e con un bel sole; dopo qualche ora avrei quasi rimpianto di essermi bardato un po’ troppo.

La visita degli scavi è molto lineare da compiere: si comincia dall’anfiteatro romano, si sorvola sulla ara di Ierone, si entra nella zona del teatro greco e si completa con un tuffo nelle latomie. Se poi uno è curioso dà uno sguardo alla base della chiesa vicina all’ingresso, la cappella dei Cordari, per ammirare le piscine d’acqua che i romani avevano realizzato per alimentare i loro giochi nell’anfiteatro. E poi l’ultimo sguardo andrebbe comunque al ficus secolare che occupa una bella porzione delle latomie.

Anfiteatro romano: sarà anche comodo il percorso su quella bella stradina in cemento (e penso non solo alle carrozzine ma a chi ha difficoltà serie di spostamento) che consente di ammirarlo facilmente. Ma penso sempre a cosa viene inevitabilmente perso e sepolto al di sotto. L’anfiteatro è grande, semi distrutto dai soliti spagnoli (che dovevano rinforzare l’isola di Ortigia), ma si coglie ancora benissimo tutto l’impianto, nell’arena c’è poi questa curiosa sala a tenuta stagna e le legende ricordano i vari passaggi “di servizio”. Niente da dire sui tempi, questo anfiteatro ha funzionato dall’età imperiale fin verso l’anno 400; vorrei vederlo uno stadio italiano di oggi così longevo…(e mi dicono che San Siro lo dovranno buttare giù per far posto al nuovo: e risale nella sua versione attuale al 1955, nemmeno 70 anni).

Il teatro greco: ho la fortuna di averlo già provato dal vivo, assistendo a giugno ad una rappresentazione davvero suggestiva. Visto così, vuoto, abbacinante e ordinato, sembra un animale parcheggiato. Ma potendo notare tutti i dettagli, la grandezza, la posizione, viene veramente il capogiro. Persino la parte superiore, con il Ninfeo e la sua sorgente d’acqua copiosa, le varie tombe e stanze scavate nella roccia, riescono a creare un fascino particolare. Peccato che la via dei Sepolcri sia quasi interamente sbarrata (e da quello che si vede si comprende che non sarebbe molto sicuro lasciarla preda di azzardati visitatori che si arrampicano per ogni dove).

E per finire l’orecchio di Dioniso, nelle Latomie. Anche qui sono rimasto un po’ deluso per la gran parte di strade interdette, si può visitare ben poco, il solo orecchio di Dioniso in pratica. Che rimane comunque qualcosa di imponente e incredibile. Tutto l’ambiente gode poi di un microclima speciale, il famoso ficus che vi è nato e cresciuto ha dell’incredibile, come grandezza e longevità, ma ci sono anche tanti aranci e mandarini, verrebbe quasi voglia di allungare le mani per coglierne qualcuno…

A conclusione della mattinata ho dato solo una rapida oocchiata anche alle sale inferiori del museo Paolo Orsi, uno dei più autorevoli di tutta la Sicilia, nato per volere di questo grande archeologo che ha saputo scoprire, valorizzare e dare importanza ad un passato così importante. Non dimentichiamoci che nella Champions del passato, Atene-Siracusa 0-1; Cartagine-Siracusa: 0-1, poi purtroppo sono arrivati i Romani e per Siracusa i momenti gloriosi si sono conclusi…

Ma a questo museo bisogna dedicare più attenzione; è incredibilmente ricco, non solo di storia, visto che traccia un itinerario che va dalla formazione geologica del territorio fino agli utilizzi delle risorse locali. Passando per tutto quello che ha accompagnato la costante evoluzione delle persone. Tra culture antiche e sogni remoti.

Ecco, lo dicevo all’inizio: niente foto. Ma poi mi sono lasciato un p’ andare. Pazienza, un po’ di sane contraddizioni possono continuare anche con il nuovo anno, Anche se quest’album fotografico è davvero piccolo piccolo!

Sui passi di santa Lucia

Sui passi di santa Lucia

Sono a Siracusa ormai da oltre 2 mesi, sono persino riuscito ad ottenere in tempi rapidi la residenza, vivo a pochi passi da piazza s.Lucia, sulla quale si affacciano sia la parrocchia che il sepolcro della santa. Lucia è una delle 7 martiri “canoniche” fin dai primi secoli del cristianesimo. Insomma, sarebbe anche difficile ignorare quello che succede in questi giorni che ruotano intorno alla sua festa.

In effetti tutto inizia il 13 ma la festa dura un’intera settimana, zeppa di appuntamenti, celebrazioni, commemorazioni, visite… E pensare che le vicissitudini della storia hanno fatto sì che il corpo, quello vero, sia finito nientemeno che a Venezia. Forse servirebbe non un referendum (i siracusani non vedono l’ora di recuperare i resti di questa illustre cittadina), ma una lettera…firmata da tutti i cittadini per stimolare un po’ i veneziani. Se la storia non fosse così contorta e complicata dovrebbe essere abbastanza evidente che il posto giusto di Lucia è … a casa sua.

I miei amici di qui dicono che lo scorso anno la folla era ancora maggiore, forse perché la chiesa parrocchiale è diventata in quell’occasione “santuario”, salendo così di grado. E persino nelle serate ventose in piazza, la sera tardi, era facile incontrare tanta gente. Invece abbiamo sperimentato la sera del 18 che non c’era praticamente nessuno. Ci siamo fatti un panino ad un chiosco che praticamente sembrava già in chiusura e poi con l’allerta vento, non era certo facile prevedere grandi folle. E in questa settimana ho quasi perso il conto di quante allerte meteo siano arrivate!

Il giorno 13 ero ancora con Gabriel per la processione di andata; la statua della santa parte dal Duomo e giunge nella parrocchia. Vuoi per il vento, la pioggia, il freddo… ma dopo il simulacro della santa c’era ben poca gente. In compenso li seguiva uno stuolo di persone e addetti pronti a togliere subito la cera che colava dai lunghi ceroni portati dai fedeli. Nemmeno tanti, considerando la pioggia che a folate infastidiva tutti.

la statua di Lucia, nella cappella del sepolcro …vuoto

Il giorno finale, il ritorno a casa, il tempo era più gradevole. C’era sempre un’allerta meteo per il vento, ma questa volta poco azzeccata. Mi ero così ripromesso di vedere o seguire almeno un pezzetto della processione. Alle 15:30 la chiesa di S.Lucia era già totalmente bloccata, in attesa della partenza; folla di persone, di addetti (molti con le divise e le livree tipiche dei vari ruoli che coinvolgono davvero molte persone; spiccano su tutti i “berretti verdi” che fanno un po’ Robin Hood se non fosse che ricordano gli artigiani che lungo i secoli si sono avvicendati in questi ruoli). Il percorso di ritorno è ben più lungo dell’andata. Così alle 19 pensavo di trovarli già vicini ad Ortigia, invece non erano nemmeno a metà strada. Alla fine decido di fermarmi comunque lungo il tratto finale, sul ponte Umbertino.

Atmosfera strana, non fa freddo, vento quasi assente, ma il fumo delle caldarroste che sono posizionate in modo strategico a lato dei ponti crea un clima quasi da favola, nebbioso e ovattato.

Ma quando chiedo ad un vigile quali sono le prospettive sui tempi, mi guarda rassegnato e azzarda un timido “forse verso le 21:10“. L’ipotesi di attendere per quasi un’altra ora e mezzo non era poi così allettante, quindi ne ho approfittato per girovagare quasi senza meta nel dedalo di stradine dell’Ortigia vecchia. Uno spettacolo: quasi nessuno in giro, luci soffuse, angoletti deliziosi, cortiletti da favola e androni suggestivi. Merita sicuramente un’altra visita.

Quando poi ritorno verso il ponte umbertino, in lontananza si intravede la statua. Ci siamo quasi. Quel quasi lo sconterò con altra attesa, ma fa parte del gioco. Quando poi arrivano le prime avvisaglie del corteo, ho la fortuna di rivedere alcune facce note e di incontrare quindi nuove persone. Chiedo ad un amico prete del gruppo se la maggior parte del clero sia coinvolta, “macché, praticamene siamo solo noi, meno di una decina”. Poi arriva il grosso del corteo, ed è subito pausa, perché quando la statua è sul ponte iniziano i fuochi d’artificio. Un bello spettacolo, da vedere e sentire in diretta.

Poi la processione riprende. Di profilo la statua della santa, con quel coltello conficcato in gola, è un po’ inquietante, quasi splatter. Faccio in tempo a vedere un’unica coppia che procede scalza (e ce ne sono ancora tanti, mi dicono) poi le due bande che seguono si rimettono in moto e in suono. Ancora pochi metri ed ecco subito i carrellini dei venditori ambulanti, con palloncini, caramelle e improbabili regali di natale. Fine del corteo, anche se la folla ai lati permane.

Mi aspettavo probabilmente una manifestazione più corale, più gente al seguito, più partecipazione convinta. Invece si susseguono fin troppo le grida alla santa che “sarausana jè“. Ma da tempo è ormai migrante a pieno titolo anche lei.

Vengono male le foto in notturna col mio cellulare, ma ormai le appendici digitali sono difficili da sostituire, quindi la galleria fotografica è quello che è, santa Lucia, patrona della vista, farà il resto.