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Il Nobel all’autrice de La Vegetariana

Il Nobel all’autrice de La Vegetariana

Quando uno vince il Nobel e ti accorgi che nemmeno sai di quale paese sia, cosa abbia scritto di interessante, e ti chiesi perché i nobelisti svedesi abbiano scelto proprio questa persona per un riconoscimento così ambito, scatta quasi in automatico la tentazione e la voglia di scoprire qualcosa di più.

Quest’anno il nobel per la letteratura è andato alla scrittrice sudcoreana Han Kang che, probabilmente come tanti, non avevo mai sentito nominare, incontrato, letto…
Così ho cercato almeno il suo libro più rappresentativo: la Vegetariana. Per conoscere un po’.
Delusione cocente.

Tanto su queste righe che leggiamo in pochissimi una stroncatura non dovrebbe dare molto fastidio, ma il bello della lettura è proprio questa libertà di dire: non mi è piaciuto per niente, anzi, quasi quasi non lo finisco nemmeno.


Ma siccome il libro era corto sono riuscito a terminarlo, sempre sperando di capire dove fosse il talento speciale dell’autrice, cosa avesse di così interessante da diventare quasi un punto di riferimento mondiale. Passi il nobel a Bob Dylan, ma in questo caso sono rimasto spiazzato perché non sono proprio riuscito a trovare qualcosa di speciale in questo testo.
La storia di questa donna che, a partire da una esistenza borghese e alquanto insignificante, sviluppa quasi una avversione al mangiare carne apparentemente senza tante motivazioni mi sembrava l’occasione per una riflessione sui tanti cambi epocali che stiamo vivendo e una possibile indicazione per un piano d’uscita. In fin dei conti il principale cavallo di battaglia di vegetariani e vegani è proprio la poca sostenibilità del mangiare carne. Insomma, un filone ecologico plausibile, ma nel libro non trovi niente di tutto questo, salvo vaghi cenni.
L’esistenza della coppia subisce quindi una lacerazione, una divisione; lei, ostinata a non voler più mangiare carne, a rovinare le rimpatriate familiari senza fornire spiegazioni accettabili, provoca la rottura del matrimonio con il marito, che senza troppe discussioni accetta che la vita cambi definitivamente il suo corso.

Poi subentra un cognato, con la passione delle riprese video e qualche altra velleità artistica, che propone alla protagonista di diventare il soggetto di alcuni video, tra il bodypaint e l’approccio erotico.
Nel finale la donna si trova ricoverata in un centro psichiatrico, accudita senza troppa convinzione dalla sorella, che coltiva sensi di colpa e altri problemi di relazione. Lentamente si sta spegnendo, rifiutando le cure e soprattutto senza mai fornire esplicite motivazioni a questo suo lasciarsi andare, il rifiuto di ogni cibo animale, il nutrirsi solo di pochi elementi, quasi solo foglie, la spinge quasi ad identificarsi con gli alberi del bosco che circondano la clinica e durante un temporale spingerà questa sua identificazione quasi ad una fusione materiale.
Questo è il contenuto che, alcuni mesi dopo averlo letto, mi rumino ancora dentro, senza nemmeno troppa convinzione.
Non ho letto altre opere dell’autrice, sicuramente ci saranno motivi che da un primo accostamento sfuggono. Ma quando poi prendi in mano altri libri, che ti avvinghiano, affascinano e obbligano a pensare in maniera differente, ti chiedi davvero se il valore attribuito da un premio simile non sia un tantino eccessivo.
Penso di sì.

Tra Granada e Jaen

Tra Granada e Jaen

Il nostro secondo giorno lo passiamo a Jaean.

In pratica è stata la mia prima vera cittá spagnola, visto che proprio 20 anni fa ci ho passato quasi un mese intero, un po’ per iniziare a capire meglio lo spagnolo, parlarlo, infarinarmi un po’ di cultura iberica. Ho ripescato persino le mie “memorie” di quel tempo, quando le paginette web erano molto piúi spartane ed essenziali (tanto che non riesco nemmeno più a linkarle, dovrei rimetterci mano, ma non adesso).

Le cose che avevo scritto e vissuto erano queste… ero giá grafomane ad oltranza…

Eppure, dopo 20 anni le cose che ti rimangono nella mente, sono davvero poche. Un po’ perchè in quell’occasione avevo girato davvero poco per la cittá, non avendone grandi motivi; interessante però ricordarle e confrontarle con l’oggi che siamo diventati.

In questo sabato ci siamo dedicati solo alla visita del Castello e poi della Cattedrale, insieme alla nostra amica Chiqui.

Mi ricordo che ero salito al castello a piedi, dal Barrio della Magdalena, dove vivevo con la piccola comunitá di inserzione in quell’animato quartiere. Era gennaio, il fresco e l’umido della mattina si ricordano facilmente, ma del castello ben poco, visto che il Mirador era giá pronto, ma non si poteva ancora visitare il resto, che adesso invece è stato ristrutturato e ben sistemato.

Un castello che domina imponente tutta la cittá e la pianura vicina. Ovvio che gli arabi ne hanno subito fatto il loro centro di controllo, poi si passa agli spagnoli, dopo la Reconquista, per scoprire l’ultima tappa movimentata bisogna giungere fino al 1812, quando l’esercito francese riesce ad occupare questo maniero roccioso e in poco tempo lo modificano profondamente, costruendovi un ospedale e adattandolo alle loro esigenze. Quando poi vengono sconfitti riescono ancora ad avvelenare l’acqua della cisterna, ma per fortuna non riescono a far brillare le cariche disposte nei punti strategici. Sarebbe stato davvero un peccato perdere questo gioiellino difensivo, ora mite base per foto panoramiche e passeggiate mattutine.

Dopo il castello siamo scesi in cittá, appuntamento presso la cattedrale. Era ad aspettarci la nostra amica Chiqui, che periodicamente incontro, anno dopo anno (il momento piú interessante quando l’ho accompagnata, da Giugliano, a visitare gli scavi di Ercolano); è davvero speciale visitare un luogo importante seguendo le parole di chi, nel suo piccolo, fa giá parte di questa storia; lei che ha seguito i corsi del docente biblico di grande rilievo, tanto che gli hanno messo una targa vicino al suo posto nel coro, lei che ha seguito l’iter della riesumazione di un famoso vescovo della cattedrale, che per vari secoli (!) era rimasto sepolto in una… cassapanca di una cappella e ora, finalmente, interrato con la sua bella lapide, lei che fa parte degli “amici della Cattedrale”… Le cose acquistano un buon sapore, quasi di famiglia. E poi in questa cattedrale si conserva il Santo Rostro e allora la storia prende le ali…

Siamo saliti anche nella parte alta della cattedrale, il corridoio che la contorna dopo la prima serie di colonne, uno spettacolo soprattutto per gli scorci che regala sulla cittá…

Ecco le immagini del Castello e della Cattedrale di Jaen

Torniamo a Granada in serata e nei momenti tranquilli ho modo di immergermi ancora una volta nel caos di questa vorticosa città, incredibilmente affollata in questi giorni di ponte festivo.

La domenica mattina, in attesa della comunità marista che rientra da Cartagena, io e Ventura, come ormai spesso capita, ci mettiamo ai fornelli, per un pranzo in diretta, un po’ di patate al forno, fettine di lonza e soprattutto un po’ di spaghetti allo scoglio diventano il nostro gesto di riconoscenza per l’accoglienza ricevuta in questi giorni. E alle 13, visto che la scuola marista celebra la festa dell’Immacolata, siamo tutti invitati alla celebrazione e riesco anche a rivedere Rosa, un anno dopo l’ultimo saluto, quando ancora aspettava la piccola Fatima. Naturalmente poi arrivano anche il papá Omar e la piccolina, che ha quasi un anno (festeggia il 2 gennaio… giá marista in partenza!).
E poi, sapendo che a Granada ci tornerò tra un paio di settimane, dopo Natale, lasciamo ancora un po’ di visite in sospeso…

Ripartiamo il lunedì, qualcuno in aereo e io, insieme a Jaun Antonio, torniamo in macchina, passando per Archidona (con la sua bella piazza a 8 lati, che peró qui si chiama ochavada, non ottagonale… !). Ci prendiamo un caffè in un piccolo locale che gronda di nostalgia franchista (libri, immagini, busto, berretti militari… incredibile!); ci imbarchiamo a Malaga e sul traghetto passiamo tranquillamente le 7 ore del viaggio, belli comodi e rilassati. Una pausa di relax davvero interessante…

Mi sembrava capoeira…

Mi sembrava capoeira…

Qui in Spagna le vacanze di Natale sono una tappa impegnativa, tanto che per farle venire bene si sono premuniti di un ponte bello lungo per fare le prove generali; il 6 dicembre è la festa della Costituzione (quella emanata dopo il periodo di Franco, ovviamente) e l’8 dicembre, festa dell’Immacolata è una sosta talmente importante che se cade di domenica (come quest’anno), si aggiunge una festa per il giorno 9 per sottolinearne il significato. Morale della favola, siamo partiti da Melilla il 5 sera e ci siamo presi una pausa di relax di un paio di giorni. Ora siamo qui a Granada, che diventa il nostro punto di partenza, per un paio di visite allo splendido entroterra spagnolo.

La tappa di ieri era verso la zona di Alpujarra, la parte a sud della Sierra Nevada, un territorio montagnoso che appartiene alla provincia di Granada e di Almeria. Dopo la reconquista la zona è stata interessata da processi di ripopolamento da parte di gente proveniente dalla Galizia e quindi è facile trovare toponomi con un vago sapore di lingua portoghese, molti i paesini che terminano con “…eira”, insomma, girando a forza di curve mi sembrava che fossero tutti sulla falsariga di capoeira. Ma niente a che vedere con questa leggiadra forma di danza marziale… 😉

Da Granada la zona dista quasi 90 km (e sarà solo al ritorno che mi renderò conto di aver macinato più di 200 km, tra curve e controcurve di montagna); i luoghi sono davvero suggestivi, ti capita di passare nella famosa Lanjaron (una nota marca di acqua da tavola che sgorga proprio in questa zona) e di aggirarti per i paesini a terrazza di questo territorio, che sembrano costruiti dai puffi bianchi (un bianco abbacinante, nella splendida giornata di ieri). Ci siamo anche avventurati tra le strette viuzze di Orgiva, fidandoci imperterritamente (si può dire?) di Google Maps e… ha funzionato, anche se con un margine di poco più di 10 cm per lato dalla macchina, io guidavo ma gli altri guardavano con terrore gli angoli e i muri delle viuzze, che sembravano sempre più accarezzare la carrozzeria!

Ci siamo poi goduti davvero le splendide città bianche di Pampaneira e Capileira (che ti dicevo prima sulla capoeira?), con i loro tetti che formano la terrazza della casa adiacente, i loro grandi camini bianchi, le ardesie a profusione, i passaggi coperti nel paese, dei piccoli gioiellini.

E complice il lungo ponte, ci siamo ritrovati compresi nell’esercito di turisti che, come noi, si erano diretti nella stessa zona. Code di macchine, file di persone nei caruggi, bar presi d’assalto, davvero una grande quantità di persone. Meno male che avevamo prenotato per il pranzo, cercando una zona non troppo centrale di uno di questi paesini. Pranzo con vista monti spettacolare e di forte impatto. Ma come vivevano in queste zone prima delle invasioni dei turisti? Pochi boschi di castagno, terrazze e coltivazioni, ma doveva essere davvero dura la vita un tempo.

Nell’ultimo villaggio l’attività svolta era invece molto chiara: zona di vacanza per prosciutti da stagionare; a Tresvelez la scritta del paese è contornata da ridenti prosciutti, le luminarie di natale sono a base di prosciutti, i murales richiamano prosciutti… qui venivano posti a stagionare i prosciutti, per il clima secco e fresco.

Bene domani sarà la volta di Jaen (ci sono stato esattamente 20 anni fa, vediamo se ricordo qualcosa…) Ma per oggi di cose suggestive ne abbiamo raccolte davvero tante!

Ecco qualche immagine di questo giro presso la Alpujarra

Fino alla fine di Melilla

Fino alla fine di Melilla

Il titolo è un po’ catastrofico, il contenuto è molto meno emozionante: venerdì scorso abbiamo fatto una piccola escursione insieme ad un gruppetto delle nostre “alunne” (i corsi del Progetto Alfa, che si rivolge esclusivamente a donne marocchine della nostra città) e con grande sprezzo del pericolo e delle nostre ginocchia, siamo andati fino alla fine … di Melilla. Si’, perchè giungere fino al limite nord non è poi così avventuroso: sono meno di 3 km lungo un sentiero per metà cittadino e per il resto nella periferia e negli spazi verdi che delimitano la nostra enclave. Esattamente fino al bordo delimitato dalla recinzione, la famosa valla di Melilla.

link alla pagina di Komoot per visualizzare i dettagli del percorso

Come si vede dall’immagine (se ci cliccate sopra passae ai dettagli, realizzati mediante l’App di Komoot), i dati di percorrenza (quasi 2 ore di camminata per poco più di 7 km di percorso) non sono una prova massacrante; ma dovevamo tener conto del nostro gruppetto, formato non solo da donne giovani e forti 🙂

La nostra guida era fr. Juan Antonio, FSC, che ormai questo percorso lo conosce come le sue tasche, anche perchè di alternative non ce ne sono poi molte nella nostra città. Per gli amanti delle passeggiate le mete sono davvero limitate e restando all’interno di Melilla ci sono pochi sentieri. L’unica alternativa è quella di varcare la frontiera, che si puo` fare per chi ha i documenti in regola, ma bisogna poi calcolare il tempo necessario, sempre variabile e comunque mai inferiore alle… 2 ore!

Ci siamo dati appuntamento alle 16 e poco dopo eravamo già in viaggio, lasciandoci alle spalle il collegio Carmen – La Salle, dove abitualmente svolgiamo le classiche lezioni. Quella di oggi era una passeggiata per stimolare le persone ad assumere anche stili di vita più salutari (era il giorno internazionale di prevenzione per il diabete) e inserire qualche momento di attività fisica nella propria routine giornaliera, cosa che di solito le nostre alunne non riescono a fare, per molti motivi… alcuni anche solo prettamente culturali, perchè se qualcuno li organizza loro si aggregano, ma da sole… difficilmente ci provano.

Il primo tratto era squisitamente cittadino, dovevamo passare sui marciapiedi del nostro quartiere, salendo leggermente verso la parte alta di Melilla; percorso non sempre elegantissimo, dovendo spesso fare un po’ di slalom tra i cassonetti della spazzatura, molti dei quali bruciati (e i commenti delle nostre amiche erano unanimi: “che incivili”….); a Melilla i quartieri del centro sono quelli più “occidentali” e abitati dagli spagnoli, man mano che si va verso la periferia il panorama cambia rapidamente, l’ordine e la pulizia lasciano abbastanza a desiderare. Spesso poi si incontrano edifici abbandonati, spesso si tratta di vecchie caserme, come quella che abbiamo visitato all’inizio del nostro percorso…

Lasciamo la strada asfaltata poco prima di giungere alla grande caserma dei Legionari e ci addentriamo nel terreno “selvaggio”; molte macerie, sassi, incuria varia, ma questa è anche la zona riservata alle manovre militari dei mezzi, che spesso vi fanno esercitazioni. Lo spazio è contiguo anche alla zona, ben recintata, dove si svolgono anche le manovre di tiro e le esercitazioni militari più tecniche.

Per fortuna inizia presto la zona dei pini di Rostrogordo, una grande pineta che è anche il polmone verde della città; la domenica spesso si incontrano famiglie che vi fanno picnic e si godono un po’ lo spazio verde; continuando il percorso tra gli alberi si giunge fino al Barranco del Quemador, che probabilmente un tempo era il luogo deputato per la bruciatura… dei rifiuti; adesso, per fortuna, il luogo è ben ripulito e si lascia decisamente apprezzare.

Si giunge fino al punto di osservazione, il mirador, una terrazza quasi sporgente sulla imponente scogliera che giunge fino al mare. C’era aria di burrasca, le onde si vedevano impetuose e il colore del mare e del cielo era abbastanza fosco e tempestoso, comunque gradevole e suggestivo. Logicamente non c’era praticamente nessuno oltre a noi.

Ma siamo ormai a novembre e le ore di luce si sono ridotte rapidamente; cerchiamo di far ritorno a casa prima delle 18:30, cercando di sfruttare gli ultimi scampoli di luce. Così, tra la ricerca dei proiettili vuoti usati dai militari nelle esercitazioni, la raccolta di qualche pigna (tra non molto arriva Natale e anche qui le decorazioni sembrano quelle classiche dei nostri luoghi europei, anche se la maggioranza è di fede e cultura musulmana); il venticello che si sente non invita certo a fermarsi e nessuno si è preoccupato di portare un po’ di merenda, giusto qualche biscotto, un po’ di frutta secca. E siamo già sulla via del ritorno, scambiando qualche chiacchiera, spiegando dettagil della storia antica di Melilla e informandoci sulle abitudini, sui cibi, sulle cose semplici del quotidiano.

Ed eccoci tornati a casa, tutte quante felici e contente di aver vissuto un pomeriggio diverso dal solito.

E per la cronaca, ecco l’album fotografico della nostra passeggiata a Rostrogordo

Sabato di feste…

Sabato di feste…

Qui a Melilla il sabato è un po’ il nostro giorno di “stacco”: niente lezioni, niente gruppi, niente riunioni (se non quelle nostre, tipiche di una piccola comunità). Sabato scorso, 9 novembre, era però infarcito di numerosi appuntamenti, molti dei quali erano stati rinviati a causa della DANA, questa impressionante sfuriata meteo che in poche ore ha visto cadere nel sud della Spagna, in particolare sulla zona di Valencia, l’intera quota di acqua di un anno, con le catastrofiche conseguenze. Sarà anche per questo che qui a Melilla si iniziano a vedere le ruspe che si dedicano alla pulizia dei fossati pieni di canne che in realtà sono l’alveo del Fiume de Oro (da circa 3 anni non ci passa nemmeno un rigagnolo di acqua, completamente asciutto!).

L’appuntamento più interessante era la festa del Diwali, la ricorrenza hindu che segna l’inizio del nuovo anno, festa della luce e della serenità. Cadeva in pratica il 2 novembre ma il responsabile hindu (nostro grande amico e volontario anche del progetto Alfa) non voleva metterla a ridosso della ricorrenza dei Defunti e con le immagini delle alluvioni ancora così lancinanti. Così la zona tipica delle feste di Melilla, la Piazza delle culture era pronta per i festeggiamenti, in pieno stile bollywood, l’ampio palco era fiancheggiato da due grandi elefanti gonfiabili (che ricordano Ghanesh, una delle tante e variopinte divinità hindu) e uno spazio speciale era riservato alla creazione di un mandala e all’accensione di una candela simbolica; poi vari stand per i bambini, per le decorazioni con l’hennè, le degustazioni tipiche…

Verso le 18 la piazza era già affollata e il gesto che sottolinea la grande tranquillità nel convivere tutti insieme, a prescindere dalle fedi, dalle credenze e dalle nazionalità era proprio quello di mescolarsi, richiamare le persone “diverse” dal proprio modo di essere. E qui tutti stanno al gioco, che forse è la cosa più seria. Così diventa normalissma la foto della nostra comunità (noi siamo quelli a sinistra…) e quella delle suore insieme ai responsabili nei sari indiani, o la foto di rito con le autorità politiche, religiose, sociali, senza nessuna forzatura. Anzi, qui non provoca nemmeno discussioni la presenza di musulmani ed ebrei e di questi tempi sappiamo quanto sia difficile!

Bello poi ricordare che questa festa viene proposta da un gruppo di hindu che, tutto sommato, non raggiungono nemmeno le 100 persone, davvero un pizzico di lievito.

Ma noi eravamo nel bel mezzo della festa insieme ad un gruppetto dei “nostri ragazzi”, come Comunità ci stiamo sbilanciando abbastanza in questa direzione, lavorando sia con ragazzi e ragazze che ci vengono segnalati dai centri sociali della città che da famiglie marocchine con adolescenti senza troppi punti di riferimento (e sono tanti, in questa situazione, troppo grandi per un inserimento scolastico e ancora piccoli per il mondo del lavoro). Con loro abbiamo avviato corsi di formazione al mattino e al pomeriggio, cercando di aiutarli a padroneggiare meglio la lingua spagnola, ben sapendo che soprattutto quelli che provengono dai centri non aspettano altro che l’opportunità di recarsi nella penisola (qui a Melilla quando si accenna alla Spagna si usa sempre questo termine… penisola, tassativamente!).

Così eravamo anche noi a gironzolare tra gli stand, ad ascoltare la musica a palla con i classici ritmi ballabili dei film indiani, a fare la coda per una decorazione con l’hennè (questa volta potevamo anche saltare un po’ la fila, visto che le decoratrici sono anche … le nostre alunne del pomeriggio!), poi verso le 8:30 avevamo un altro appuntamento interessante, presso il teatro Kursaal (che grosso modo è l’unico di tutta Melilla e si trova a pochi passi dalla piazza).

Qui abbiamo assistito ad una performances organizzata dalla associazione Nana che, coinvolgendo i bambini e le bambine dei centri (in particolare quello della Divina Infantita, che conosciamo bene anche noi) ha invitato a riflettere, in modo molto articolato e artistico, sul tema del nostro essere fin troppo “connessi” al mondo social, al cellulare, ai trend di moda… peccato che alcuni dei nostri ragazzi facciano ancora fatica a comprendere lo spagnolo e quindi… sono stati per lungo tempo appiccicati al proprio cellulare ;-/

Il gran finale lo abbiamo poi celebrato nel bar vicino, dove abbiamo offerto una pizza ai nostri amici e l’occasione di passare insieme un momento davvero informale. Abbiamo concluso abbastanza presto perchè un paio di loro doveva tornare al proprio centro (che non si trova proprio dietro l’angolo) e anche quelli che dovevano tornare in famiglia sono riusciti a rientrare prima di mezzanotte. Una bella serata da ricordare.

Tanto che abbiamo raccolto alcuni ricordi in questo album fotografico del Diwali 2024