Difficile negare il fascino del colore; ne basta poco per accendere lo spettacolo, rallegrare le persone, riempire di fascino la geometria dei volti, dei corpi e della musica… Sarà per questo che la festa hindu che si è svolta a Melilla, nella grande piazza che ospita gli eventi periodici, non si è fermata nemmeno in presenza di un vento potenzialmente fastidioso. Davvero non pensavo che in questa località il vento fosse così presente e spesso insidioso. Vai in spiaggia e respiri vento e granelli di sabbia, scuoti l’asciugamano e collezioni briciole e briciole di conchiglie, devi quasi proteggerti gli occhi per evitare intrusioni fastidiose…
Ma l’evento era previsto da tempo, il nostro amico Ramesh, anima e promotore della vivace comunità indù di Melilla, ci aveva avvisato da tempo di questa speciale festa hindu, dal nome esotico ma nemmeno troppo: Holi (riporto la sintesi da Wikipedia: L’Holi è una festa religiosa durante la quale è usanza sporcarsi con polveri colorate per omaggiare un rito di origine indiana che simboleggia la rinascita e la reincarnazione). Insomma, un’occasione di festa che ben si coniuga con l’estate, la spiaggia e un divertimento quasi infantile nel giocare coi colori.
Sapevo che avrei incontrato diverse persone e volti conosciuti, infatti, dopo aver individuato la zona dell’evento e assicurato la bici da qualche parte, ho subito incontrato alcune ragazze dei corsi del progetto Alfa (che però erano ben poco intenzionate a partecipare al coloratissimo evento!) e poi diverse ragazzine che partecipano alla nostra colonia estiva; subito mi hanno riconosciuto e chiesto dove stavano gli animatori. Hai voglia a dire che “sono per strada, stanno arrivando”; il vantaggio della bici, in questi casi, è davvero notevole!
Poi ho incontrato Ramesh, indaffarato con l’organizzazione, ma si è subito prodigato per affibbiarmi una delle magliette dell’evento (se no non puoi partecipare al gioco nel “recinto”…) e poi, verso le 19, è cominciata la festa vera e propria.
Avevo una sorta di terrore legata alla polvere che avrei incontrato; nella zona recintata c’erano scatoloni e scatoloni di colori in polvere, piccole buste pronte al massacro 😉 e stavano cominciando a distribuirle a tutte le persone dentro al recinto. Tra il sole cocente, il vento disperato, la musica a palla e il contagio del gruppo, la festa è subito decollata con allegria. Era uno spettacolo girare per catturare qualche foto, curiosare tra gli effetti del colore lanciato per aria, immaginare gli effetti tra le nuvole di colore. Interessante vedere l’approccio dei bambini, inizialmente impauriti da tanta confusione, poi, poco alla volta, sempre più partecipi e contenti, fino a razzolare allegri per terra, raccogliere manciate di colore e rilanciarle in alto. Che dire… che festa sia.
Quando è stata l’ultima volta che ho scritto una lettera, ripiegato il lembo della busta dopo aver inserito il foglio, leccato con cura la parte collosa e sigillato la busta?
E quando è stata l’ultima volta che mi sono fermato a leggere una lettera arrivata per posta, non recapitata via mail?
O quando ho dedicato del tempo alla carta, alla penna, ai pensieri, da stendere con calma sulla superficie della memoria?
Ho trovato per lo meno interessante leggere uno degli ultimi libri di Susanna Tamaro, questo particolare “Il vento soffia dove vuole“; nella mia libreria digitale ho aggiunto come tag “romanzo epistolare”, anche se come classificazione fa davvero un po’ acqua. Ma in pratica è proprio un libro formato da lettere, tre per la precisione. Lunghe, intense e impegnative.
Nella prima la scrittrice, perché in fin dei conti sempre lei che parla, si rivolge alla figlia adottiva, una ragazza ormai ventenne, originaria dell’India, dal carattere solare, serenamente integrata in una famiglia che non era la sua, ricca di energie, di voglia di vivere, di accondiscendente partecipazione alla vita di una famiglia ormai pienamente sua.
La seconda è decisamente più tempestosa, sofferta e tortuosa; si rivolge alla figlia naturale, arrivata quasi per caso dopo l’adozione della prima figlia, decisa perché sembrava ormai improbabile una nascita naturale. Ragazza dal carattere difficile, scontrosa e quasi aristocratica, quasi a racchiudere un’eredità ingombrante, quella della nonna, che per tutta la vita trascina un rapporto conflittuale con la propria figlia, una difficoltà che sembra riemergere e definire anche nel susseguirsi delle generazioni.
Infine una lettera al marito, una figura apparentemente agli antipodi della sensibilità, esperienza e tradizione dell’autrice; tanto fine, snob e delicata lei quanto semplice, energico e immediato lui.
Addentrandosi nel romanzo si comincia a svelare il quadro di questa famiglia italiana che raccoglie tante situazioni, sensibilità, avventure, impostazioni della nostra attuale società.
Si parla di scuola, di letteratura, di vita normale, di formazione al lavoro, la salute e la presenza del medico, il rapporto tra nord e sud, tra famiglie reduci da una certa aristocrazia e l’impatto con le famiglie del centro-sud italiano, persone asettiche e impregnate di una modernità che sfocia nel quasi isolamento delle persone di oggi alla sussistenza di un tessuto familiare allargato, intriso di religiosità semplice e popolare, di rapporti che si instaurano sulla cornice di una tavola e di un bicchiere di vino; si parla dell’invadenza e onnipresenza del cellulare e della comunicazione onnivora che ormai ci pervade.
E alla fine fa capolino anche l’ultimo arrivato, il figlio inatteso e insperato, quasi un sussulto della vita in tempo limite, con quel suo nome che evoca brezze bibliche.
Qualche dubbio mi sorge nel leggere gli episodi in cui rimane coinvolto, anzi, invischiato, il marito medico, per un episodio che sembra un tantino improbabile, ma la cronaca ci fornisce spesso storie apparentemente insolite eppure avvenute.
In ogni pagina si avverte chiaramente la passione per una vita non banale, la ricerca di un senso che non sia già ricevuto e solo da subire; interessanti anche le aperture che conducono persino a cambi di mentalità, di considerazione e, in fondo, di stili di vita. Il tutto senza toni enfatici o pretese assolute. un atteggiamento mite però deciso e determinato.
Come è ormai consuetudine del nostro gruppo di fratelli maristi (nella fascia tra i 50 e 70), quasi ogni anno riusciamo a ritagliarci una pausa significativa, tra fine aprile e inizio maggio, per condividere alcuni giorni insieme e visitare, quasi con infantile gusto di scoperta, una nuova zona della Spagna. Quest’anno la scelta è caduta sulle Asturie. Che fino a pochi mesi fa nella mia inconsapevole ignoranza situavo poco a sud di Madrid… forse per assonanza con l’Estremadura, mentre invece…
Per la cronaca ecco qui una rassegna di queste nostre scorribande “fraterne”
Ci siamo incontrati a Madrid a fine aprile e dal sabato 27 fino al 30 siamo andati alla scoperta. Un itinerario interessante e vario, preparato dal nostro affidabilissimo due Pedro Sanchez e Serafin, che sono riusciti a concentrare in pochi giorni l’anima e l’essenziale di questa terra, mixando con gusto e fantasia tra cattedrali, degustazioni, città in espansione, esempi di pedagogia sociale del tempo appena passato e scorci marini mozzafiato.
Ma per dare almeno un filo cronologico a questi giorni, andiamo con ordine:
Arrivati nel pomeriggio ad Oviedo (con il treno, attraversando una Spagna baciata dalla pioggia) il nostro primo appuntamento è stato la visita della cattedrale. La nostra guida, Regina Buitrago, fin dall’inizio ha dato prova di una conoscenza approfondita e una capacità empatica notevole, facendoci così non solo apprezzare il bello che a profusione si svelava davanti a noi, ma stuzzicando anche la curiosità, i ricordi e la voglia di approfondire, in seguito, per nostro conto. Abbiamo così subito fatto conoscenza con i personaggi storici alle radici di questa terra, il grande re Pelayo, che nei giorni successivi avremmo ritrovato un po’ ovunque. Della cattedrale, una delle tante con una sola torre residua (come Genova, Malaga e altre) abbiamo apprezzato soprattutto gli angoli più antichi, le varie cappelle e la camera santa, nella quale si conserva anche il famoso sudario (e per un appassionato di Sindone il richiamo è sempre interessante), tra le curiosità si annovera anche una delle anfore delle nozze di Cana….
Suggestivo e folgorante il chiostro. Uscendo dalla cattedrale ci siamo immersi nel centro cittadino, sfiorando la statua della Regenta (protagonista di uno dei romanzi più classici della cultura spagnola del 1800, ambientato proprio ad Oviedo) e ricercando le tracce delle antiche mura. Nelle Asturie si colloca il primo guizzo di riscossa che ha portato la Spagna alla reconquista, e la genealogia dei primi re è uno degli archetipi forti della identità spagnola. Insomma, re Pelayo ci avrebbe accompagnato anche per i giorni successivi.
Domenica è stato il giorno del parco di Cavadonga e del Santuario della Santina; passando vicino a questo santuario (manco a dirlo, teatro della famosa vittoria che il re Pelayo aveva strappato ai mori che cercavno di conquistare tutta la pensiola iberica) abbiamo iniziato a salire, poco alla volta il verde esuberante dei boschi lasciavo spazio ai prati e ai cespugli, ma sempre verde e umido (fortunatamente abbiamo incontrato pochissima pioggia, in queste zone solitamente umide), poi con pulmini più piccoli siamo giunti in quota, quasi sui 1200, dove si trovano i laghi glaciali della zona e gli alpeggi dove si produce un tipico e famoso formaggio.
Bello rivedere nelle zone a nord di queste montagne ancora qualche tracca di neve e di ghiaccio; è stata anche l’occasione per qualche passo in montagna. Poi siamo tornati presso il santuario, visitando la cappella nella grotta e assistendo alla messa nella grande chiesa. La Vergine qui viene venerata qui con il nome familiare di Santina e la nostra guida cercava di insegnarci anche rapidamente l’inno, ma il grosso del nostro gruppo provenendo dal sud della Spagna, aveva un repertorio ben diverso.
Ci siamo poi recati nel paese vicino, Cangas De Onìs, dove un antico ponte romano (anche se un po’ a posteriori) fa ancora bella mostra di sè sulle tumultuose acque di questi torrenti sempre in piena. Anche il pranzo è stato un ricco catalogo di piatti e ricordi culturali della zona, a cominciare dalla fabada e compango, il mix di affettati iberici… insomma, ben poco dietetico! Ma il bello della tavola, oltre al cibo, era l’occasione di stare insieme, con amici che per un anno intero si trovano altrove. E subito dopo siamo andati fino alla costa, in zone rinomate e spettacolari, la zona di villeggiatura di Ribadesella, dove le dimore più imponenti ed esotiche erano quelle degli stranieri, generalmente indicati come “indiani”. Nelle acque ancora fredde e ventose erano già numerosi gli amanti del surf…
Lunedì le previsioni erano promettenti: sole. E sole fu, per tutto il giorno, incredibilmente. La prima tappa era presso il famoso villaggio di pescatori, Cudillero. Ci si arriva dopo una discesa folle tra boschi di eucalipto e rocce a strapiombo, poi il semicerchio delle case, ora belle colarate e sfavillanti (ma un tempo, ci diceva la guida, i colori erano molto meno pittoreschi…). Ci siamo inerpicati tra gli stretti passaggi, immaginandoci che no, proprio non era un villaggio per ginocchia artritiche, vista la pendenza e l’altezzza degli scalini. Ma il panorama e gli scorci che si potevano cogliere valevano bene una arrampicata tra i caruggi. Dopo ci siamo diretti verso la città di Gijon e dopo una visita alla zona del porto e del centro (a sorpresa la guida ci ha accompagnati a visitare, nel coro di una chiesa che dominava il golfo e le spiagge, una serie di mosaici recentissimi, opera del controverso Rupnik), poi ci siamo diretti verso l’università laboral, dal programma non riuscivo proprio a capire di cosa si trattasse. Quando poi si è materializzato davanti a noi l’immensa costruzione che ospita questo progetto educativo degli anni 50 ci siamo resi conto delle proporzioni e di come cambiano i tempi. Nato come grande colloggio per studenti dei corsi professionali, sotto il periodo franchista ha rappresentato un centro di eccellenza per la formazione di tanti spagnoli, che qui vivevano come interni; questo paradigma ha poi perso mordente dopo gli anni 80 e adesso si sta cercando di dargli una destinazione, sempre come centro educativo, adatto ai tempi. Nel solo cortile centrale possono entrare comodamente due campi da calcio e la torre centrale, una via di mezzo tra il campanile e un missile, svetta su tutta la pianura circosyante! Dopo l’ottimo pranzo al Parador siamo andati a visitare l’ultima meta del giorno, un altro paesino a vocazione estiva e marinara, il piccolo borgo di Tazones. Sotto le carezze del sole pomeridiano, quasi insperato, le piccole case dei pescatori, gli strumenti della pesca alla balena, la storia suggestiva di questo borgo (che nel 1500 aveva ostacolato persino l’arrivo del re Carlo V credendo si trattasse di…invasori) erano gli ingredienti per completare il quadro del giorno.
L’ultimo giorno, martedì era prevista la visita all’istituto marista Auseva di Oviedo (lo strano nome ricorda la montagna presso il quale si trova la scuola), una scuola che va dai cucciolotti della scuola dell’infanzia fino ai grandi del bachillerato; visita rapida anche per non disturbare, ed era bello sentire il prof di motoria parlare tranquillamente in inglese con gli alunni della scuola primaria per spiegare il da farsi. Poi visita alla comunità marista, ma l’idea di visitare anche l’opera sociale che i maristi portano avanti oltre alla scuola “normale” si è arenata per il fatto che il responsabile era stato chiamato per una riunione progettuale e in questi casi non poteva mancare… anche in Oviedo è forte la presenza di stranieri, migranti e persone in difficoltà, spesso irregolari per quanto riguarda i documenti e in questo centro si viene incontro a tale emergenza con corsi di vario tipo, quasi sempre di alfabetizzazione e rinforzo scolastico.
E poi, dopo il pranzo, raffinato e apprezzato da tutti quanti, siamo di nuovo ripartiti in treno alla volta di Madrid. Qui gli ultimi saluti in vista del rientro, ciascuno nella propria scuola. Melilla per il momento attende, visto che ci tornerò a breve e per il 1 maggio Madrid è sicuramente più interessante. Dopo i saluti e i ringraziamenti per gli organizzatori, la domanda che aleggia è evidente: dove andremo l’anno prossimo???
In questo album ho riunito solo le mie foto, visto che nel nostro gruppo gli appassionati di ricordi erano numerosi e in questo modo abbiamo conservato una traccia minuziosa e dettagliata di quanto visto; ma nell’album collettivo le foto sono quasi un migliaio…
Sembra il nome di un personaggio dei Puffi, o un cocktail esotico, invece si tratta semplicemente del massiccio montuoso che fa da cornice a Melilla. Una serie di cime, la più alta sfiora i 900 m., con un gradevole rivestimento verde che sa di boschi e in terra d’Africa, almeno a queste latitudini, fa decisamente piacere.
Già diverse volte Juan Antonio mi aveva parlato della sua ultima visita a questo piccolo massiccio. Lui è un appassionato di “aria aperta” e ci siamo già avvicendati in altre piccole uscite (dal Pino Rostrogordo, in pratica l’unicio spazio verde naturale di Melilla, al parco del Torcal, prima di Natale). E’ bello poter contare su queste piccole complicità.
Ma era dai tempi della pandermia che non era più riuscito ad andarci e aspettava proprio l’occasione buona. Il motivo principale è legato al passaggio di frontiera. Come minimo ci vuole un’ora per espletare tutte le formalità e questo incide parecchio. Ma mettendo insieme varie congiunture, il Ramadan iniziato da poco, l’allungarsi delle giornate, abbiamo colto la palla al balzo, così domenica scorsa, 17 marzo, ci siamo decisi per questa piccola uscita pomeridiana. Prima di salire in macchina JuanAntonio ha preso una manciata di noci nella speranza di poter avvicinare il protagonista speciale di questa montagna: il piccolo macaco africano, el mono del Gurugu.
Non eravamo sicuri di incontrare queste piccole scimmiette, perché non sempre si mostrano nei pressi della strada, ma un po’ di speranza c’era. Appena varcata la frontiera e iniziato il percorso in terra marocchina, il panorama urbano cambia davvero in fretta. Ragazzini aggrappati al retro dei camion, pecore sparse in mezzo alla strada, gente in motorino senza casco, doppia attenzione alla guida (non si sa mai come vengono interpretate le rotonde!). Ma la nostra strada si inerpicava rapidamente verso l’alto, e il traffico poco alla volta si andava riducendo.
Rapidamente ci siamo avvicinati alle pendici del Gurugu, strada un po’ di montagna ma tutto sommato ben praticabile; salendo si inizia presto a scorgere qualcosa di interessante. Dopo alcuni tornanti ecco sul ciglio della strada un venditore … di uova, poco distante una piccola fattoria, con oche, pavoni e altri animali che transitano liberamente sulla strada. Ma senza tanti preavvisi ecco spuntare alcune scimmie, piccoline, che si fermano tranquillamente a bordo strada. Qualche visitatore ha appena lanciato del cibo verso di loro e senza tanti problemi eccole avvicinarsi.
Noi procediamo alla volta del forte che si staglia ben visibile su una delle punte. Parcheggiamo e ci avviciniamo a piedi. Tutto libero e semidistrutto; il forte in cemento è sicuramente di epoca spagnola (quando tutta la zona era un protettorato) e i trascorsi storici sono stati piuttosto turbolenti (con assalti, massacri, invasioni, sbarchi…); il tutto risale alle prime decadi del ‘900. Dalla cima del forte, che si mantiene ancora solido e resistente, si gode di uno spettacolo ampio; tutta la zona di Melilla, fin verso a quella di Nador e oltre; l’ampia laguna costiera che protegge Nador, un ampio tratto di costa. Da lassù non si nota davvero il taglio forzato delle recinzioni, la valla imponente che separa Melilla dal territorio marocchino (e proprio nella zona marocchina si nota una intensificazione delle protezioni, con ampie zone recintate e rotoli di filo spinato quasi ovunque).
Riprendiamo la strada, puntando verso un altro fortino, solo segnato sulle mappe, che proprio non si vede scrutando il profilo del monte. Quando però lasciamo la strada asfaltata per tentare un percorso un po’ più accidentato, ecco che le scimmie si fanno davvero numerose. Ci fermiamo e la nostra razione di noci diventa subito una forte attrazione per questi piccoli animali, che prima si mettono a distanza, poi, poco alla volta, si lasciano attrarre da questo cibo fino a raggiungerci e prendere le noci direttamente dalle nostre mani, velocissime e titubanti. Si vedono in pratica intere famigliole raggruppate di questi piccoli macachi… e qualcuno si allontana arrampicandosi rapidamente sui rami dei pini. Sembra proprio di essere… in Africa! In questa zona le scimmie sono state reintrodotte (dovrebbe essere la stessa specie che si trova anche a Gibilterra, l’unica scimmia in territorio europeo), ma tra Ceuta e altre zone del Rif (la zona montuosa in cui ci troviamo, in questo nord Africa) la loro presenza è abbastanza naturale.
Il fortino che incontriamo sulla cima di questo secondo luogo è davvero singolare. molto ampio, con un fossato che sa tanto di epoca medievale (ma è in cemento, quindi anche questo è di epoca moderna) e probabilmente tutto sviluppato sotto copertura. Forse un centro sicuro a presidio di queste zone di confine.
L’ultima tappa è nuovamente nei pressi di un forte; a quanto mi riferisce Juan Antonio le fondamente sono sul luogo in cui sorgeva già un antico forte romano. Quando vediamo la zona, che può controllare un’ampia vallata interna, diventa facile cogliere l’importanza strategica di un tale posto. Dopo la prima presenza fenicia, il controllo romano di queste zone non poteva che passare dal controllo accurato delle vie di comunicazione.
Rientriamo in serata, dopo aver percorso vari km nell’entroterra marocchino, tra paesini semi deserti e altre zone in cui la gente cominciava a radunarsi per la rottura del digiuno del Ramadan (l’orario in cui si può iniziare a mangiare era intorno alle 19:15), ogni tanto un somarello bardato di tutto punto sembra parcheggiato al bordo della strada. Decisamente insolita la presenza di tanta polizia, visibile quasi ad ogni incrocio importante.
Torniamo a Melilla che è ormai scuro, sono quasi le 20 (ma in Marocco con il Ramadan cambia anche l’ora, con la nostra Pasqua la differenza sarà di addirittura 2 ore sul fuso orario) e la frontiera è praticamente vuota, ma per le solite formalità non riusciamo a cavarcela con meno di mezz’ora. Però rispetto alle altre volte, siamo stati quasi dei fulmini per la velocità.
Meritava davvero passare da queste parti un pomeriggio del genere.
Devolution, slow-process, calma zen… ma poi in concreto siamo sempre in frenetico movimento. Nei primi giorni di gennaio mi è arrivato un msg da Google con il Riepilogo degli spostamenti effettuati nel 2023. La mappa è abbastanza precisa e riassume senza tanti problemi le varie tappe dello scorso anno.
Ho dovuto aggiungere “a mano” alcune località: Genova, Sanremo, Entracque, Carmagnola… E poco importa se i calcoli sono comunque approssimativi per difetto, per tanti motivi (quasi un mese senza cellullare e quindi senza registrazione degli spostamenti, disattivazioni varie, cambio di app, problemi tecnici… ma fa sempre un certo effetto vedere che, grosso modo, questo è il totale:
Nel 2023 hai viaggiato per una distanza totale di 5.524 km (pari al 14% del giro del mondo)
Anche per quanto riguarda le località mi sembrano un po’ tanto sparpagliate e un po’ sbrigative come sintesi; si mette poco in evidenza che in almeno 2 di queste ho vissuto per tanti mesi (8 a Siracusa e ormai più di 4 a Melilla. Ma d’altra parte si tratta del registro degli “spostamenti”.
A mettere insieme questi dati insieme agli eventi che uno sistema e si segna nel calendario, si farà presto a redigere una biografia essenziale con i dati principali di una persona. Un diario un po’ asettico viene così redatto in quattro e quattr’otto, un modo rapido per togliere lavoro ai vari Eginardo (Carlo Magno), Paolo Diacono, ma anche Walter Isaacson (da Steve Jobs a Leonardo da Vinci…) che hanno fatto della scrittura di biografie un valido mestiere.
Un dato che sarebbe interessante valutare e che richiederebbe un po’ di calcoli, è quello del “consumo” più o meno sostenibile. Oggi ci spostiamo senza tanti patemi d’animo e la principale motivazione del viaggio, spesso, è il suo costo talvolta davvero esiguo, e così sorvoliamo rapidamente sulle conseguenze della nostra impronta più o meno ecologica per quanto riguarda i consumi…
Gran parte dei viaggi compiuti lo scorso anno sono stati fatti in aereo, mi consola solo il fatto che il ricordo di questi viaggi era di un velivolo sempre quasi completamente pieno.
Homo viator, ci ricordava Gabriel Marcel, mettendo in evidenza il nostro essere perennemente in movimento, alla ricerca di un fine, non di un parcheggio…