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Categoria: libri

Una persona alla volta

Una persona alla volta

Quasi impossibile non conoscere Gino Strada, il fondatore di Emergency. Ci ha accompagnato per decenni con il suo esempio e la sua presenza scomoda, fino alla sua partenza definitiva, nell’agosto del 2021. Un missionario laico, così come laica è la sua visione della vita, una prospettiva squisitamente umana e ricca di impegno e determinazione.

In questo testo si incontra la persona viva, la sua storia e si entra in stretto contatto con le motivazioni che hanno portato la sua vita ad identificarsi con la realtà di Emergency.

Il libro si legge con passione e interesse, difficile quasi catalogarlo in qualche filone che non sia “esperienza di una vita”. Racconta della sua formazione iniziale, la scelta di diventare medico, le occasioni e le esperienze iniziali che lo hanno poi portato ad una scelta di campo ben precisa e alla fondazione di Emergency, con i suoi primi e importanti passi. A dispetto del nome una storia tutta italiana, anche se, fin da subito, dal respiro internazionale.

Un medico, a partire dal giuramento di Ippocrate, si schiera inevitabilmente dalla parte della vita e vedere come oggi questa scelta sia ancora così osteggiata, a volte irrisa e spesso considerata poco funzionale ai meccanismi politici ed economici, apre necessariamente gli occhi.

Nei racconti di Gino riaffora l’idea ingenua ma inesorabile di Raoul Follerau, uno dei personaggi simboli del dopoguerra, quello che chiedeva a Usa e Urss di destinare il costo di un bombardiere ciascuno alla lotta contro la lebbra, così da poterla debellare per sempre. Sappiamo bene come sono andate le cose. Dopo la lebbra abbiamo avuto tante altre sorprese, ad esempio Ebola…

Il sogno di utilizzare l’intelligenza e la capacità umana per il bene dell’umanità si scontra da sempre con le lotte di potere e di conquista.

Gino racconta la sua esperienza in Afghanistan, dove tutte le grandi potenze hanno fallito e la guerra “di controllo” ha partorito altra violenza, con la quale oggi dobbiamo ancora fare i conti.

E dopo l’Asia abbiamo l’Africa, dove Gino ha preteso di realizzare ospedali utili e persino “belli”, con l’aiuto di architetti del calibro di Renzo Piano. Come se la solidarietà dovesse per forza rivestirsi solo di baracche e provvisorio.

Ma non solo bellezza: efficienza e modernità; il suo sogno era quello di fornire il top della possibilità medica alle persone che non potrebbero mai permettersi nemmeno le cure di emergenza. E’ un ribaltamento forte del diritto alla salute, che va esteso e rafforzato. Non mancano, in questa ottica, i commenti amari sulla deriva della sanità italiana, che da faro dell’occidente rischia di arenarsi nelle secche di una privatizzazione che equipare la salute ad una merce e la cura ad un bene monetizzabile.

Libro interessante, stimolante e vivo, che obbliga a ripensare l’impegno sociale con uno sguardo veramente fraterno, laico e senza necessità di un surplus religioso; proprio per questo capace di stimolare riflessione e impegno.

Ed è un po’ quello che mi torna in mente quando, in occasione di sbarchi di migranti e incontri con la malasanità o le difficoltà di chi cerca di accedere alle cure necessarie, rivedo questa grande E che riporta alla ribalta la necessità di una risposta.

Tutto sommato lo sono anch’io

Tutto sommato lo sono anch’io

A parte qualche quisquilia anagrafica che mi accomuna a Giugiaro (e non per il design, ovviamente), anch’io sono Giorgio e fosse anche solo per il titolo, un po’ di curiosità nasce spontanea…

Ebbene sì, mi sono letto il libro della Meloni, Io sono Giorgia, con calma e senza troppi pregiudizi, come dovrebbe farsi per ogni libro. L’ho letto ormai da diverse settimane e queste semplici riflessioni, come al solito, possono servire almeno a me, illuminate anche dagli eventi che in questo periodo si sono accumulati sulla scena mediatica.

Comincio da uno puramente statistico: quasi ogni giorno il Ministero degli Interni pubblica un documento statistico con i dati degli ultimi sbarchi, ad es. quello di oggi è qui (non so se il link durerà nel tempo). A fine novembre mi ero quasi preoccupato perché i numeri sembravano essersi congelati. Non arrivava più nessuno. Dal 22 novembre ai primi di dicembre nulla, calma piatta, nessuno sbarco in Sicilia e Italia. Ma con dicembre il flusso ha ripreso gradualmente, il suo andamento “normale”, quasi a ricalco di settembre e ottobre. Sicuramente a fine anno arriveremo a quota 100mila persone sbarcate, in pratica il doppio dello scorso anno e il triplo abbondante del 2020. Ma siamo ben lontani dei numeri astronomici del 2016-17, anche se il trend è chiaramente in aumento.

Nel frattempo il dibattito politico è acceso, le discussioni sono animate e le opinioni galoppano; non sempre però ancorate ai dati precisi, che è sempre meglio conoscere. Questi numeri non sono tali da suscitare timori o incapacità di gestione, ma tutto dipende dalla visione che si ha di questo fenomeno.

Il tema dei migranti, dei flussi di lavoratori dall’estero, del calo demografico italiano sono ben presenti nel programma di questo governo, e sappiamo bene in quale prospettiva. Spesso allarmistica e con i toni un po’ urlati.

Fanno capolino ovviamente anche nel testo della Meloni, che risulta molto scorrevole e, come spesso si legge in giro, si avverte dalle righe il suo modo normale di esprimersi (senza bisogno di ghost writer o altri intermediari), ma gli argomenti sono davvero tanti. Si parla di autobiografia, di agiografia, di pamphlet propagandistico. Inevitabile che le recensioni siano una carrellata di opinioni e in questo caso spesso gli schieramenti sono ben evidenziati fin dai blocchi di partenza.
Chi è di destra trova occasione di lodi e compiacimenti plurimi, chi di sinistra trova spunti critici, limiti e distinguo… sembra quasi sconsigliato un approccio “neutrale”.

Mi soffermo ad esempio solo sulla trasformazione di alcuni argomenti comuni in quasi bandiere di partito. Nel parlare dei libri e dei riferimenti culturali, la Meloni cita spesso Tolkien e il suo universo fantastico, ne parla con entusiasmo e con passione. Ma non credo che un autore o una storia possano essere semplicisticamente considerate un “possesso” esclusivo. E non credo nemmeno che se alla destra piace un libro o un personaggio o un’atmosfera particolare, questa automaticamente diventi di “destra” in modo esclusivo. Mi sembra una semplificazione davvero sbrigativa.

Altri temi del saggio sembrano ispirati ad una pacata saggezza (che in tempi di propaganda ci può anche stare, ha una sua ovvia funzionalità), mentre quelli più vicini al tema sensibile della fede e del cristianesimo mi sembrano affrontati in modo troppo personale, rispettabile ma che stridono spesso con una visione più aperta del vangelo stesso.

Abbastanza coerenti e chiare le prese di distanza dalla tanto temuta eredità della storia. Il fascismo è un’idra dalle mille teste e non sempre bastano le parole. Ma almeno in questo caso sono evidenti.

Quando poi si entra nel dibattito politico rischiamo sempre la polarizzazione estrema tra sinistra e destra, in questo periodo assistiamo poi ad un fisiologico slittamento culturale che rivaluta tanti argomenti di destra che fino a poco tempo fa venivano facilmente emarginati e spesso ignorati. Oggi invece riprendono piede e gradimento.
E’ la politica, bellezza…

Il mio sogno sarebbe quello di poter invece suddividere le questioni tra un orizzonte Alto, esigente, impegnativo e un profilo Basso, talvolta superficiale, semplicistico e populisticamente segnato.
Ma i sogni, come le opinioni, spesso si adagiano in letargo tra le chiacchiere. Come un gatto sonnacchioso su poltrone bianche.

Silicio e larghi dintorni

Silicio e larghi dintorni

Ci sono libri intriganti e altri meno. Questo lo colloco nel ripiano del più 😉
Federico Faggin è sicuramente una garanzia, come persona e come imprenditore. Spesso ci facciamo belli dell’italico ingegno citando personaggi mediaticamente altisonanti, sperando che qualche contagio culturale possa ricadere anche su di noi.

La traiettoria di Faggin è forse meno nota, anche se al termine del testo uno dovrebbe riflettere sul fatto che i passaggi epocali che abbiamo vissuto negli ultimi 50 anni, sotto il profilo tecnologico e informatico, lo dovrebbero riconoscere come uno dei protagonisti chiave. E’ vero, siamo esterofili e si preferisce citare Bill Gates o Steve Jobs, ma l’apporto di Faggin è davvero notevole, sia per quanto riguarda il versante tecnologico che quello legato alla visione del futuro che la tecnologia permette di realizzare. Non basta trovare una soluzione tecnica a un problema concreto, senza una prospettiva e una direzione, la cosa si fermerebbe lì. Invece i passi percorsi da Faggin rappresentano un sentiero che ancora stiamo calcando. Anche perché alcune delle sue invenzioni sono ancora oggi operative e ben presenti negli strumenti che utilizziamo.

Definire Faggin come il padre del microprocessore è ormai assodato e di pubblico dominio, anche se nel libro si percorrono tutte le difficoltà legate a questo riconoscimento. La vita è una giungla e il riconoscimento di alcuni meriti inventivi, soluzioni innovative e scelte tecnologiche sono un piatto ghiotto per molti concorrente e, spesso, detrattori. Nel testo emergono chiaramente questi scenari, scienziati che si fanno le scarpe a vicenda, verità che vengono mantenute sommerse o nascoste per non riconoscere i meriti delle persone. Anche di questo è lastricato il percorso della scienza e trovarsi di fronte ad una persona fondamentalmente mite e onesta come Faggin, spesso induce ad approfittarne.

Il testo è snello, semplice e si presta sia ad una lettura tecnica che sociologica. Raccontando la sua esperienza, le sue prime occupazioni nell’Olivetti, il suo trasferimento negli USA e la rapida scalata nel gotha degli “inventori” legati all’informatica, si incontrano molti attori famosi e fondamentali, le soluzioni tecnologiche presentate sono ormai parte della nostra vita quotidiana, anche se il primo microprocessore realizzato da Faggin oggi lo possiamo trovare annegato in dimensioni microscopiche nelle nostre chiavette USB, nei cellulari, nelle fotocamere, nei PC, come fosse un semplice “pezzetto” inerte. Quanta storia, invece, dietro queste innovazioni. Il libro sarebbe interessante anche solo per questo profilo informativo che mostra come la tecnologia ha preso rapidamente il volo dagli anni 60 in poi.

A parte alcuni capitoli che l’autore ritiene doveroso inserire per “spiegare” tecnicamente le soluzioni da lui pensate e prodotte (pagine che ho praticamente saltato a piè pari, senza perdere nulla di fondamentale), un secondo aspetto davvero importante è la crescita personale, umana e spirituale (Faggin la chiama giustamente “consapevolezza”) che l’autore ci presenta. Senza scadere in spiritualismi da new-age, la ricerca fondamentale dell’autore si rivolge al tema dell’intelligenza artificiale, che sempre più vedremo e dovremo affrontare come cruciale per i nostri tempi.

Ci viene quasi difficile ricordare che microprocessore è il componente basilare dei pc che usiamo ogni giorno, della DAD, delle videoconferenze, delle comunicazioni, della telefonia… un po’ come l’aria che respiriamo e diamo sempre per scontato…

Vuoi per la formazione iniziale (se nasci e studi in Italia una buona dose di “umanesimo” ti permea), vuoi per la riflessione condotta in questi lunghi anni, l’approdo di Faggin è tutt’altro che semplicistico o sensazionalistico. Quello che oggi l’hardware e il software possono offrirci, pomposamente etichettato come IA è ancora molto lontano da una vera “intelligenza” che sappia vedere, provare e sentire e soprattutto scegliere: molta la strada ancora da compiere e secondo l’autore non si può procedere semplicisticamente dicendo che i progressi dell’hardware (di velocità, intensità e complessità) e del software (che ormai viene realizzato mediante software sempre più complessi, reti neurali e altri procedimenti spesso fuori della portata di una “semplice intelligenza” umana) potranno giungere ad una consapevolezza intelligente. Insomma, per Faggin il mito dell’IA è proprio un mito non realizzabile.

Da un lato questa conclusione può rincuorare e mettere al riparo dai timori crescenti, ma l’attualità che ci propone proprio oggi situazioni in cui già viene utilizzata ampiamente questa cosiddetta IA (chi decide l’obiettivo di un drone-kamikaze? chi sceglie la popolazione target di determinate scelte politiche?) rimane il vero problema. Non ci sono facili soluzioni, anzi, rimane la necessità di approfondire, studiare, addentrarsi nel vivo di questa discussione. Ovviamente con competenza e saggezza.

Doti che nel libro risaltano veramente e sono la chiave dell’approccio di Faggin all’esistenza stessa.

Stimolante persino l’emergere di una ricerca in direzione non solo della tecnica, ma della spiritualità e del senso della vita. Argomenti che quasi non ti aspetti da un testo del genere.

Bello rivedere tante esperienze, studi, iniziative che sarebbero state sicuramente diverse senza queste innovazioni, dalle prime frequentazioni universitarie (quando per usare mezz’ora un Apple II occorreva prenotarsi con un mese di anticipo) alle prime sale computer allestite a scuola (quella di Genova risale a prima degli anni ’90, a Cesano nel 1997…)

Il sentiero Carrubella

Il sentiero Carrubella

Con la scusa delle vacanze a Siracusa sto esplorando un po’ gli altri luoghi interessanti di questo variegato territorio. A dire il vero mi sono dovuto improvvisare un po’ tour-operator per alcuni amici (e la cosa non è che mi dispiaccia, anzi, si impara a conoscere qualcosa solo quando cerchi di spiegarlo ad altri…) e così mi sono rivolto spesso al già noto. Ma questo sabato, con il caldo ancora imperante, mi sono detto: proviamo un’altra strada per la zona dei laghetti di Cassibile. Avevo già rivolto l’attenzione al sentiero Carrubella e così è stato.

Anche perché di laghetti lungo il fiume Cassibile a quando pare ce ne sono davvero molti e vale la pena addentrarsi un po’ più a fondo in questo splendido canyon verde. C’è chi lo chiama trekking, chi preferisce le escursioni, o una passeggiata… ma questo sentiero merita anche tutti questi termini.

Da Siracusa la strada più breve, consigliata anche da GMaps, è quella che passa da Canicattini e poi si dirige verso Noto; dopo il ponte e l’area attrezzata sul fiume Manghisi si deve prendere la deviazione che porta verso Avola Antica, una strada asfaltata che grosso modo percorre tutto il lato superiore della riserva; dopo alcuni km si trova il cartello con l’indicazione del parcheggio per il sentiero Carrubella. Ma siccome sono anni che tento di lasciare da parte i contanti e usare sempre e solo moneta digitale (ormai quasi esclusivamente tramite GPay/Wallet), non sapevo come sdebitarmi con il parcheggio. Siccome ero già arrivato fin lì (quasi 40 km da Siracusa) non mi sembrava il caso di tornarmene a casa senza nemmeno visitare il luogo, così ho parcheggiato lungo la strada superiore, in una zona tranquilla e spaziosa, per poi fare tutto il percorso a piedi.

Superato l’ampio parcheggio custodito (4 € per l’intera giornata…) ci si avvicina ad una masseria, sembra quasi di entrare in casa altrui, ma il sentiero è proprio questo, nemmeno troppo ben evidenziato. Si supera la masseria e finalmente si entra nella zona del sentiero vero e proprio, anche se l’ingresso è ancora piuttosto lontano. Un chioschetto di informazioni (e sabato, alle 18, c’era ancora il personale della Regione) e poco dopo un ampio piazzale con i cartelloni delle mappe e l’indicazione dei due percorsi. In pratica si tratta di un anello e seguire il sentiero A o quello B è indifferente. Ma da buon docente ho seguito l’ordine alfabetico, puntando verso il sentiero A.

Per le note tecniche, qui è possibile vedere i dettagli di questo itinerario

Il percorso iniziale è davvero molto suggestivo, con molti tratti in roccia scavata (chi lo avrà mai fatto questo lavoraccio?) e poi lunghi tratti a gradini, in pietra calcarea che certamente qui non manca.

Subito si inizia ad incontrare il verde, tante piante (e inizialmente ci sono anche i cartelli con le indicazioni botaniche delle essenze principali, querce, salici, oleandri, felci… Per quanto riguarda la fauna si avvertono numerose presenze, tante lucertole, voli di uccelli nella fitta boscaglia, il richiamo del cuculo…

La discesa è discreta, in pratica il dislivello da superare è di circa 250 m, ma la difficoltà è contenuta e il sentiero è abbastanza facile. Quando si giunge a fondovalle, la prima cosa che si incontra è una postazione idraulica, probabilmente una presa d’acqua, con le relative gallerie di controllo, che lungo il sentiero ogni tanto fanno capolino. Passeggiare in mezzo a questo fresco stride un po’ con il secco di questi ultimi mesi, ma qui immersi non si ha minimamente l’impressione di scarsità di acqua. Il livello del fiume mi sembra proprio normale, d’altra parte siamo in zona carsica ed è un vantaggio per le riserve d’acqua.

Data l’ora non ho incontrato altri viandanti, visto che ho iniziato il percorso verso le 18 del pomeriggio. Solo nella zona dei laghetti ho incrociato un folto gruppo di visitatori con guida, proprio nella zona in cui c’è il bivio per il ritorno; ma oltre a deliziarmi con il fresco e il panorama, avevo altro in mente.

Giunto quindi nella zona dei laghetti, in perfetto isolamento (davvero nessuno in giro, una sensazione quasi primordiale), mi sono goduto quella splendida marmitta dei giganti che è sicuramente uno dei laghetti più profondi (siamo sui 7 m.); sapevo che l’acqua sarebbe stata fresca, ma …. ci si prepara cominciando ad immergere i piedi e poi la temperatura dell’aria era ancora molto tiepida. Comunque il primo impatto, dopo il tuffo, è veramente una fresca frustata di refrigerio. Pochi minuti di sguazzata in quel piccolo paradiso sono più che sufficienti. Poi un po’ di relax, mi ero portato persino qualcosa da leggere (e visto il luogo, anche di ben collegato: Stefano Mancuso. Plant revolution). Una mezz’oretta magica in mezzo a quella valle, davvero delizioso.

Poi, con il sole ormai tramontato, si riprende la via del ritorno; nel finale è abbastanza spelacchiata e tutto sommato mi è sembrato saggio aver seguito il percorso in questo modo. Giunto fino alla cima, superato di nuovo il parcheggio, con le luci delle case ormai a punteggiare il panorama, visto che il buio era calato inesorabile, mi ha sorpreso provare una videochiamata con i miei fratelli in liguria; da loro la luce era ancora ben evidente, ma si sa, noi siamo ben a oriente e la differenza si nota davvero.

Splendido sentiero, incastonato nel verde e nel fresco; freschissime le acque; ogni tanto servono queste parentesi dove la natura ritorna al suo primo posto e ci limitiamo ad ammirarla.

E sempre in tema di contemplazione, ecco alcune foto di questo splendido sentiero Carrubella.

Parabola felina…

Parabola felina…

Qui gatta ci cova! Non sono un fedele devoto dei palinsesti Rai e non seguo nemmeno con blanda frequenza le trasmissioni di Insinna. Ma quando mi capita di associare il suo nome o il suo volto a qualcosa, sicuramente il link si conferma ad una qualche trasmissione televisiva. Aver trovato in giro un suo libriccino, un piccolo testo, mi ha incuriosito e ho provato a leggerlo…

Lettura gradevole quella de Il gatto del Papa, semplice e senza impegni, un testo anche breve, il che aiuta a circoscrivere l’impegno e poi a conservare la memoria. Si definisce come una favola, di quei testi cioè dove gli animali parlano e rispecchiano con evidenza alcune caratteristiche di noi umani. Ma qui ci sono anche persone in carne e ossa, un vecchio papa di bianco vestivo, un camerlengo fin troppo preoccupato… ma ormai anche i generi letterari sono molto liquidi e serve a poco incasellarli in precise geometrie.

A fine lettura rimane un senso gradevole ma incompiuto, qualche spunto interessante ma un finale che viene taciuto proprio dove poteva iniziare, invece, la storia vera.

Abbiamo questo papa anziano, che può fare benissimo riferimento sia a Giovanni Paolo II che a papa Francesco; ormai di acciacchi ne ha da riempire diverse cartelle cliniche anche l’attuale.

E poi inizia a comparire questo gatto nero, garbato ma insistente, che sfidando gli abbinamenti scaramantici è tutt’altro che una presenza malefica o combinaguai. Diciamo che è più un grillo parlante che stuzzica il pontefice a riprendere la barca e andare al largo.

Senza spoilerare più del necessario, i dialoghi tra il papa e il gatto sono attualizzazioni abbastanza concrete di quanto già conosciamo di questi papi, della loro capacità di entrare in contatto con le persone in modo informale e diretto, niente di inedito. Resta evidente l’invito a scrollarsi di dosso alcuni comportamenti paludati e istituzionali, una certa ansia francescana a vedere la realtà con gli occhi della gente, in particolare dei più sfortunati, per rinfrescare il messaggio del vangelo.

E il finale poi si spalanca su nuove possibili avventure, un po’ ingenue, ovviamente, come però una favola può facilmente evocare.

Peccato che di solito i gatti che incontro io, che ho accarezzato, inseguito, coccolato, fotografato… non siano mai stati così loquaci. Cosa mi sono perso…?