C’ero già passato vicino in bici. Poco lontano dall’Anagrafe, un luogo che ultimamente stiamo frequentando molto per sistemare i documenti dei nostri amici che frequentano il CIAO.
Così mercoledì mattina, approfittando della piccola coda che si era format proprio davanti all’ufficio per le carte d’identità, ho portato il piccolo Yossef, anche lui in attesa, a fare un giretto. Prima al parchetto vicino alla chiesa di San Giovanni. Poi ci siamo spinti nella via che già dal nome prometteva qualcosa di speciale: Latomia del Casale, recitava il cartello. E siamo arrivati fino all’ingresso, che immaginavo chiuso e ben controllato… invece… invece. Il cancello era aperto così stavamo quasi per sbirciare l’interno ma… suona il telefono e ci chiamano all’ufficio perché adesso tocca a noi.
Ma l’acquolina in bocca era rimasta, così, nel primo pomeriggio, bici e via, per vedere se l’ingresso era ancora accessibile. Forse era proprio il giorno fortunato, trovo ancora aperto e con calma provo a dare un’occhiata, un lungo viale scavato in parte nella roccia, con un palazzo al fianco e giungo fino ad una sorta di piazzale. A destra un prato ben curato, qualche pianta e un panorama che finora avevo visto solo presso il parco Neapolis, vicino al teatro Greco. Rocce a picco, scavate, ingressi maestosi, cave dall’aspetto solenne. Non pensavo di trovare qualcosa del genere. Ma si sa, sono ancora un neofita di Siracusa 🙂
Ormai ci sono e allora azzardo qualche passo in più e scopro… il giardiniere che stava sistemando i mandarini. Ma per fortuna era un giardiniere cordiale e disponibile. Non solo mi ha lasciato dare un’occhiata, ma in pratica mi ha fatto rapidamente da guida. Attualmente questo luogo è praticamente chiuso, date le restrizioni non si sono più registrati eventi da tempo (ma su FB e in rete se ne possono trovare tante testimonianze).
Prima mi ha mostrato l’imponente salone, attualmente allagato per un problema idrico; mi ha spiegato che tutto l’ambiente viene di solito utilizzato come location per feste, matrimoni, sfilate… e mi ha indicato i vari ambienti che vengono utilizzati.
Uno sguardo al cielo e si resta affascinati, per l’effetto scenografico che si percepisce. I saloni sono enormi e altissimi, le pareti quasi levigate, l’effetto assicurato.
Ma non è finita, mi conduce poi attraverso un passaggio interamente scavato nella roccia, un tunnel di una decina di metri e mi ritrovo in un’altra cava, questa volta più selvaggia e ricoperta di verde, persino ciuffi di papiro (ma quello “domestico”, non quello siracusano). Un tempo c’erano persino gli animali al pascolo, mi dice il custode. E d’estate quel cunicolo nella roccia è una delizia, il luogo giusto dove riposare al fresco.
Non voglio abusare della cortesia e mi avvio verso l’uscita. Lungo il viale un carretto siciliano tipico, con le pareti disegnate e i classici personaggi dei racconti epici e medievali. In una location come questa un complemento d’arredo del genere, sicuramente un po’ dozzinale, fa comunque la sua bella figura.
Poi vedo un banano imponente, con i frutti già grandini. Ovviamente gli chiedo se qui giungono davvero a maturazione e lui mi conferma tranquillamente di averle mangiate…
Finisco la visita, altre due foto e poi a casa. Con un tesoro in più da sistemare nell’album dei tesori di questa straordinaria città.
Ho aspettato quasi 2 settimane prima di scrivere queste righe, in attesa di un riscontro. Ma forse è il periodo, forse il referendum, l’estate agli sgoccioli… Sinceramente mi aspettavo un riscontro, ma… vediamo se succede qualcosa nei prossimi giorni.
Lavoriamo con bambini e ragazzi, incontriamo tanti giovani, tante persone; questo lo facciamo quasi tutti, ogni giorno, ma nel nostro centro, il CIAO, ovviamente le situazioni e le attenzioni devono essere più controllate e professionali.
Tra pochi giorni inizieranno le scuole e anche presso la nostra struttura ospiteremo, come per lo scorso anno, alcune classi del CPIA, i corsi per adulti. Quindi dovranno scattare le stesse misure e i protocolli della scuola.
Riflettendo su questa situazione e per un “eccesso di zelo”, ho provato a chiedere come fare per effettuare il test sierologico. Ufficialmente non faccio parte, per lo meno adesso, di nessuna scuola (quando vado nelle presidenze o nelle segreterie di qualche scuola mi diverto a ripetere che sono un preside in vacanza…), ma le attività e le incombenze non sono poi così dissimili. Per questo ho provato a chiedere.
Ho chiesto alla mia dottoressa, ma a quando pare i dottori, per vari motivi, hanno declinato questa possibilità, decidendo di lasciarla esclusivamente alla sede centrale dell’ASP. E allora sono andato a vedere sul sito….
Ho notato con piacere che c’era una pagina dedicata proprio al personale docente e Ata. Leggo e trovo la mail da utilizzare per formulare richieste e chiedere eventualmente come procedere. (la pagina si trova qui)
E ovviamente invio una mail per questo motivo. Poi resto in attesa. Ben sapendo che il topic è piuttosto dibattuto e critico, in questi giorni, spero di non dover attendere troppo, perché le attività sono ormai imminenti e poter almeno avere la sicurezza di essere “negativi” al virus può essere un aspetto non trascurabile, per chi lavora spesso a contatto con la gente.
Per evitare una eccessiva informalità mando la mail da uno dei nostri indirizzi “istituzionali”, così da confermare la nostra natura di servizio aperto al pubblico. La mail è partita ormai 10 giorni fa, di risposte, finora, nessuna traccia.
Date: gio 10 set 2020 alle ore 10:29 Subject: richiesta info per test sierologici To: urp.siracusa@asp.sr.it
Essere qui ad Entracque e non approfittare dei tanti splendidi itinerari sarebbe proprio un peccato. Per questo oggi levataccia presto presto, con i nostri amici dell’Eur (Jeff, John, Antonio, Omar e Javier) e con Marco partiamo in macchina per raggiungere il campo base, il lago delle Rovine.
L’idea è quella di arrivare fino al Rifugio Genova, passando per la strada “panoramica” che si snoda sul versante a sud del lago. La salita diretta, che si potrebbe tentare in salita (il cartello indica 45 minuti di percorrenza), ci sembra poco adatta al nostro gruppetto. I miei amici non ci vogliono proprio credere che anni fa, quando ancora si stava costruendo la diga del Chiotas, nei primi anni 70, quel filino di sentiero che tra poco inizieremo era nientemeno che una strada asfaltata larga abbastanza da consentire il passaggio ai camion dell’Enel. Ricordo di averla percorsa alcune volte con il traffico dei mezzi che andava e veniva. Così lungo il sentiero non perdo occasione per rintracciare qualche piccolo resto di asfalto; in alcune zone se ne conserva ancora, ma è davvero notevole che in pochi anni la natura, le valanghe, gli agenti atmosferici si siano quasi riappropriati del terreno; solo qualche tratto di muretto in cemento, qualche spuntone di ferro emergono ancora con una certa evidenza…
L’Enel ha tenuto in piedi la strada per alcuni anni, poi la manutenzione troppo onerosa e i continui smottamenti, cadute massi ecc. hanno portato alla costruzione della strada nel versante opposto: un primo tratto asfaltato e poi tutto il resto in galleria. Si sbuca proprio ai piedi della grande diga e in questo modo il controllo e la manutenzione sono decisamente più abbordabili.
Noi iniziamo la nostra salita con allegra baldanza, speriamo di incontrare al solito giro intermedio qualche colonia di stambecchi. Ma forse è ancora troppo presto. Per evitare il sole cocente siamo partiti dal lago alle 7; giornata splendida, temperatura ideale. Così in poco meno di 2 ore siamo arrivati ad ammirare il bacino artificiale del Chiotas, con i suoi 27 milioni di mc. di acqua. In montagna sembra che dopo ogni spazio, dopo ogni vallata, si apra un nuovo panorama ancora più vasto e imprevedibile. Ci vorrebbe veramente lo sguardo dell’aquila, o del gipeto, per ricordarci che siamo nel parco delle Alpi Marittime!
Raggiungiamo con calma il rifugio. Ricordo ancora il vecchio, che durante i lavori è stato praticamente smantellato e lasciato in parte sotto il livello dell’acqua. Adesso è invece in una posizione veramente panoramica e magnifica, visibile da tutte le zone. Incontriamo gli scout del Savigliano 1 che riprendono la loro strada. Noi ci accontentiamo dell’acqua fresca della fontanella del rifugio.
Ci prendiamo un po’ di pausa e ne approfitto per andare a vedere, se ricordo ancora la strada, una zona poco distante dal rifugio; ci dovrebbe essere uno spuntone di roccia, quasi una grotta e al suo interno ricordo che con fr. Nito avevamo osservato numerose piante di quella che potrebbe essere a ragione la regina delle piante del parco, la saxifraga florulenta.
Nei ricordi ormai lontani si favoleggiava che non era chiaro ogni quanti anni fiorisse, così mi rimane la convinzione che, come certe agavi, succeda ogni 20-30 anni. Poi la pianta muore disseminando il suo futuro nei dintorni. Che devono essere rigorosamente freddi ed orientati verso nord. Ma non trovo niente, solo qualche rododendro a cui aggrapparmi per non scivvolare a valle!
Dopo la foto di rito, con il lago del Chiotas alle spalle e negli occhi il lago naturale del Brocan, riprendiamo la strada del ritorno. E finalmente riesco a rintracciare una “stazione” in cui questa rarissima pianta, un vero relito preistorico, si gode la sua bella ombra. Un paio di foto e continuiamo la discesa, nel tranquillo traffico di escursionisti che si avvicendano lungo il sentiero. Vedere quanta gente affronta i sentieri di montagna, certamente meno comodi dello spalmarsi al sole su qualche spiaggia, è confortante: il bello e questa natura ancora selvaggia sanno ancora fare breccia su molti, nonostante la fatica.
Ritorniamo alla base nel tempo previsto. Marco ha rodato i suoi bastoncini da trekking e ne è rimasto soddisfatto, anche Br. John, con i suoi 73 anni, apprezza questo sostegno provvidenziale per le ginocchia! C’è sempre da imparare, anni fa non li avrei proprio utilizzati, ma adesso… si vede che la saggezza avanza!
In questi giorni di relax ho avuto l’opportunità di passare alcuni giorni ad Entracque, rivedere cari amici e cari luoghi. E fare qualche passeggiata in questo luogo davvero speciale.
Il primo giorno siamo andati al Rifugio Genova, con Marco e altri amici; il secondo giorno ho invitato Br. Jeff, John e Omar (della casa generalizia del Fratelli Maristi) ad una breve escursione, la “classica” che spesso si propone a chi deve rimettere un po’ in moto le gambe e iniziare ad apprezzare le bellezze di queste montagne: le Gorge della Reina.
E come ogni tanto mi capita ho buttato giù anche 2 righe per le solite recensioni di Google; ultimamente arrivano numerosi messaggi un poì enfatici, del tipo “Complimenti, le tue foto sono state viste da migliaia di persone… ” mi sembrano un po’ tanti, ma queste righe servono essenzialmente a fissare nella memoria (la mia, in questo caso!) e poco altro, se possono far piacere ed aiutare altre persone, perché no?
Ecco il testo che ho sottoposto per la recensione su Google: La mia prima visita a questo luogo risale al luglio del 1969! Era un bambino di 5 elementare e ricordo ancora la gola interamente ostruita dalla neve/ghiaccio che durante l’inverno si era accumulata. Si entrava passando sotto la neve, e siccome si formava un tunnel per lo scioglimento, l’effetto “glaciale” era molto suggestivo. Ho visitato queste gole a più riprese, quasi sempre d’estate e con gli anni che passano ho visto il rapido cambio: negli ultimi 20 anni non ho mai più trovato la neve in estate e mi è capitato di andarci ai primi di dicembre e trovare ancora tutto vuoto e senza neve. Gola suggestiva, che non ti aspetti nel panorama montuoso di Entracque, ma da questa parte le rocce calcaree offrono scenari simili a quelli delle dolomiti (ho spesso sentito usare il termine “dolomiti di Entracque”, sono le montagne che si ammirano uscendo dalla chiesa principale del paese. Da Entracque ci si arriva in un’ora (occhio ai cartelli, il primo, vicino all’Hotel 3 Etoiles indica 40 minuti, dopo aver percorso quasi un quarto d’ora si incontra un secondo cartello che invece riporta…. 45 minuti !); il sentiero è questo tutto in ombra e l’ultimo tratto attraversa un fitto bosco di faggio, con un effetto molto suggestivo. La gola è lunga una 50ina di metri, ci sono anche alcune piccole cavità laterali, l’acqua filtra sotto le rocce e non sempre risulta visibile lungo il sentiero. Alla fine della gola si apre una sorta di vallata ad imbuto, molto gradevole e verdeggiante di arbusti. Prima dell’ingresso (o all’uscita), i fianchi dei monti sono molto ricchi di lavanda e di origano (ed è possibile raccoglierli, ovviamente con criterio e senza sradicare le piante). Nei pressi c’è anche una parete attrezzata per la palestra di roccia.
Avevo un lungo conto in sospeso con la valle delle Meraviglie. Una storia che risale ormai a 36 anni fa. Era il 24 agosto del 1984. Con un gruppo di amici eravamo partiti proprio da Sanremo, in jeep, una bella campagnola Fiat, alla volta di questa famosa vallata. Io ero il piccolino del gruppo, insieme a me c’erano papà Graziano e mio fratello Franco, poi fr. Nito Moraldi, l’esperto botanico e conoscitore della zona (se non sbaglio gli endemismi della vallata erano l’oggetto della sua tesi di laurea), poi c’erano Giancarlo Rilla, allora impiegato al Comune di Sanremo (divenne poi il primo webmaster del sito di Sanremo), alla guida c’era Gerard, cognato di fr. Nito e gestore di un albergo proprio all’ombra della Madonnina di Milano e concludeva il drappello il fotografo Moreschi, che da poco ha chiuso il suo storico studio fotografico, a pochi passi dall’Ariston.
Era mattina presto, un bel fresco, anche perché nella notte aveva piovuto; avevamo imboccato una delle strade militari che portavano alla valle, vero la Rocca dell’Abisso, una tipica strada sterrata, ben tratteggiata sui fianchi della montagna, ma senza nessun fronzolo o protezione a valle. Giancarlo per gustarsi il fresco si era abbarbicato all’esterno, e per essere più sicuro voleva quasi legarsi alla macchina. Meno male che la manovra era un po’ complicata e così ha desistito subito, restando aggrappato con le mani ai maniglioni. Noi dentro eravamo allegri come scolaretti in gita, Moreschi spiegava a Nito quali obiettivi utilizzava per le riprese macro, io guardavo il panorama. Poi ad un certo punto qualcosa è andato storto. Ricordo che la macchina ha iniziato a …rotolare, ci siamo adagiati su un fianco della scarpata piena di cespugli, forse la pioggia recente, il fondo poco solido, insomma la macchina ha iniziato a rotolare sul fianco verso il fondovalle. Ricordo ancora con un senso di stranissima attesa quel primo giro, poi il secondo e infine il terzo. A quel punto la macchina si è sfasciata, si è rotta la parte superiore imbullonata che non ha più retto e ci ha praticamente scodellati lungo il pendio, disseminandoci tra i cespugli, in un raggio di 40-50 metri, data la pendenza molto pronunciata. Poi la macchina ha continuato il suo ruzzolare fino a fondo valle, circa 300 metri più in fondo. Se penso alle jeep di oggi, con una scocca unica, so bene come sarebbe finita la storia. 6 funerali, perché Giancarlo, appena ha visto la macchina prendere la discesa è subito saltato a terra. E sarà proprio lui, dopo essersi sincerato che fossimo ancora vivi, pur nutrendo forti dubbi, andrà a chiamare i soccorsi.
Soccorsi che arrivano dopo circa 2 ore, da Cuneo; ricordo ancora la dottoressa, premurosa ma un po’ avventata che scivolando con le sue scarpe… se le era addirittura tolte e cercava di capire le nostre condizioni muovendosi praticamente scalza tra quei cespugli, rischiando anche lei di ruzzolare.
Morale della favola: papà Graziano ha avuto un paio di costole rotte, mio fratello una vertebra lombare incrinata, io una bella frattura alla scapola destra (che ancora oggi, di quando in quando, mi ricorda l’accaduto, anche se purtroppo non mi predice nessun cambiamento meteo); Nito con delle belle ferite alle gambe, Moreschi con qualche altra frattura e il povero Gerard, il più malconcio del gruppo, con trauma cranico e diverse fratture alle gambe. Diciamolo pure, un vero miracolo, soprattutto visto dalla prospettiva del rottame che si trovava a fondovalle!
Consultando l’Archivio de La Stampa sono riuscito a recuperare questi due articoli; pochi anni prima un certo Beppe Grillo aveva vissuto una vicenda simile e proprio nel 1984 si celebrò il processo per quell’incidente. Decisamente è una zona poco propizia ai…fuori strada!
Auto nel precipizio sei feriti a Limone Nella stessa strada dell’incidente di Grillo Auto nel precipizio sei feriti a Limone Il più grave è un ligure, direttore d’albergo a Milano – Tra le vittime tre sacerdoti (due sono fratelli, originari di Pinerolo) LIMONE — Sei persone, fra cui tre sacerdoti, sono rimaste ferite in un Incidente… La Stampa 25/08/1984 – numero 201 pagina 15
Leggi testo articolo – Articoli di questa pagina – Si rovesciano con una jeep Durante una gita a Limone Si rovesciano con una jeep Feriti albergatore e fotografo di Sanremo LIMONE — Bel persone, tra cui tre sacerdoti, sono rimaste ferite In un Incidente stradale avvenuto ieri mattina sulla strada militare che da Limone conduce al fortini, la stessa dove nel dicembre 1981 … La Stampa 25/08/1984 – numero 201 pagina 16
Esattamente dopo 30 anni ci siamo ritrovati ancora tutti quanti per festeggiare questo evento così incredibile, con una bella cena preparata da papà Graziano, avevamo persino tirato fuori il bottiglione di vino e quello di alpestre che altrettanto miracolosamente erano scampati all’incidente… Non li abbiamo nemmeno assaggiati, rimandando la degustazione ad un prossimo incontro… ma ormai l’equipaggio comincia a perdere pezzi…
Insomma, io questa Valle delle Meraviglie non ero più riuscito ad andare a vederla. Una volta ci sono arrivato vicino, da Entracque, durante le vacanze, ma con la scusa che di solito ero impegnato con i campi e con i ragazzi, non era facile staccarsi per altre divagazioni. Unica volta che si era pensato di organizzare un’uscita insieme… sono persino riuscito ad ammalarmi per un paio di giorni. Insomma, questa meraviglia si faceva troppo desiderare.
Come parziale consolazione qualche anno fa, approfittando di un itinerario tranquillo verso casa, passando da Tenda, mi ero soffermato a visitare il Museo delle Meraviglie… almeno per contemplare da vicino qualche iscrizione rupestre…
E finalmente venerdì scorso, 14 agosto, con un fratello e due cugini, mi sono tolto questa soddisfazione. Insomma, quasi un affare di famiglia…
Sveglia all’alba, o poco prima, appuntamento al campo Ippico di Sanremo e poi in macchina si oltrepassa Ventimiglia, si entra nella Val Roya e si prende la deviazione per Casterino, lasciamo la macchina nei pressi della diga e della centrale EDF e iniziamo finalmente il nostro viaggio. Rigorosamente a piedi, penso che questa volta ce la possiamo fare. 🙂
Gianfranco, la nostra guida, è l’esperto del gruppo, con tante escursioni sulle spalle (e sulle gambe), noi altri, per forza di cose, escursionisti del fine settimana, senza pretese ma con discreto impegno e poi la strada è davvero bella. Saliamo gradualmente immersi nei boschi di larici del Parco. Giunti al primo fontanile del sentiero prendiamo la deviazione nel canalone per evitare l’ampio giro della carozzabile. Verso quota 2000 iniziano i pratoni e poi le grandi distese di roccia, i sabbioni tipici di queste montagne (non siamo lontani dal parco delle Alpi Marittime, che sicuramente conosco meglio).
Arriviamo al Rifugio delle Meraviglie, pittorescamente collocato sopra un bacino artificiale che in questo paesaggio è perfettamente inserito, tra i tanti laghetti naturali. Numerosi i turisti, i viandanti, le comitive. Ma con grande attenzione al covid, soprattutto presso il rifugio; d’altra parte siamo tutti equipaggiati di mascherina e ci vuole un attimo a recuperarla, anche se qui in montagna sembra quasi un’assurdità. Meglio assurdi che ingenui.
Dopo il rifugio si moltiplicano i cartelli e le segnalazioni , ma le prime iscrizioni rupestri sono abbastanza lontane, quasi un’ora di cammino dalla casa. Tante le raccomandazioni, anche a chi utilizza i bastoncini ferrati (obbligo di utilizzare i puntali di plastica, per evitare “involontarie” aggiunte ai graffiti, un divertimento che purtroppo è stato molto diffuso negli ultimi 2 secoli). Quando finalmente arriviamo vicino a queste tracce che hanno sfidato i secoli (risalgono per la maggior parte all’età del Rame, 3-4000 anni fa) ci dedichiamo finalmente a contemplare queste scritture che il tempo e i nostri avi ci hanno tramandato. Ci sentiamo un po’ tutti più liguri, in questi frangenti, e tutto sommato questo slancio localista ci può anche stare. Me ne ricorderò quando tornerò in quel di Cassibile o nella necropoli iblea di Pantalica…
A dire il vero le iscrizioni visibili non sono tantissime, molte sono al riparo dei curiosi e il sentiero va rispettato con cura; ma quanto si vede è sicuramente sufficiente per giocare con la fantasia e immaginarsi alle prese di queste popolazioni antiche, soggiogate dal monte Bego (che con i suoi depositi ferrosi era uno di quelli che attirava più fulmini di tutti gli altri e un fulmine in montagna fa sempre un certo effetto, ne so qualcosa!); un temporale in montagna ti fa sentire davvero piccolo e insignificante, diventa quasi automatico aggrapparsi a qualcosa di più grande… ed era proprio in questa zona il cuore sacro degli antichi liguri.
Ci fermiamo con più calma davanti all’iconico Cristo delle Meraviglie e quasi dispiace scoprire che in partenza forse altro non era che il ricordo di un recinto per gli animali, poi trasformato in figura antropomorfa. E poi le leggende camminano da sole…
Pranziamo vicino al laghetto, siamo a quota 2400, il sole picchia, ma tenere i piedi a mollo per qualche minuto è una sfida, ma di quelle rinfrescanti che si fanno volentieri. Poi con calma riprendiamo la via del ritorno, guardiamo con aria di sufficienza le numerose jeep parcheggiate vicino al rifugio e seguiamo con pazienza lo stradone, quasi tutto all’ombra. A ben vedere le ore di marcia si stanno accumulando. A conti fatti, al nostro arrivo, saranno quasi 8 ore di camminata, per un totale di circa 24 km (qui le nostre app fornivano dati un po’ discordanti, la mia indicava “solo” 20 km, quella di Gianfranco almeno 25, preferiamo andare un po’ a spanne, dando la colpa al segnale GPS piuttosto ballerino a queste quote).
Verso le 16, dopo un italianissimo caffè preso in terra francese, riprendiamo la strada di casa. Ora possiamo iniziare a ricordare, rivedere, commentare, condividere le foto… adesso la valle delle Meraviglie può passare dalla ToDoList all’archivio delle esperienze completate. Ne valeva la pena.