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Categoria: luoghi

Eccoci a Melilla, prima settimana

Eccoci a Melilla, prima settimana

Ormai ci siamo, è esattamente da una settimana che mi trovo qui a Melilla, Africa del Nord, quasi Marocco, propaggine della penisola spagnola…

Sono arrivato praticamente all’inizio di settembre, ancora piena estate, nonostante abbia già visto che la pioggia qui non è una rarità: abbiamo avuto due giorni di pioggia abbastanza intensa, certo, niente a che vedere con le inondazioni che hanno colpito altre località spagnole del sud, ma pioggia era. Controllando i dati storici sulle precipitazioni del luogo vedo che grosso modo non siamo tanto lontani da quelli di Siracusa…

La mia nuova casa è la sede dell’Istituto Lasalliano del Carmen, molto vicina al centro e al porto (qui, grosso modo, tutto è vicino al porto, fulcro ideale di questo territorio a mezzaluna che ha un raggio di poco più di 3-4 km), si trova già nella parte “alta” della città (che ha numerosi saliscendi collinari, come tante città di mare) e da qui in poco tempo si raggiungono facilmente i vari luoghi necessari: gli uffici centrali del Comune, il porto, la città vecchia, qualche bel parco, i primi negozi utili. Per il centro commerciale più grande occorre prendersi per tempo e camminare per un paio di km.

Faccio parte della comunità “Fratelli” di Melilla, un’esperienza di vita insieme che da qualche anno i maristi e i lasalliani portano avanti (e non solo qui, la prima è stata realizzata in Libano, la seconda a Bonanza e poi a Melilla). Siamo in 5 persone, due maristi (io e Ventura) e poi fr. Eulalio, il “decano” (con le sue 85 primavere), Jesus, l’animatore della comunità (qui si usa ancora il termine “direttore”) e Juan Antonio.

Sono impegnati con l’insegnamento nella scuola (l’istituto comprende primaria e secondaria ed è diretto da laici) e in varie altre iniziative solidarie, la principale delle quali inizieremo presto a conoscere: il progetto Alfa per l’alfabetizzazione di donne marrocchine… Qualche giorno fa c’è stata la prima riunione del corpo docente, con una simpatica animazione per l’avvio del nuovo anno scolastico e poi, nei giorni successivi, le classiche riunioni di inizio anno. Abbiamo partecipato anche io e Ventura che comunque non saremo direttamente coinvolti con l’impegno scolastico della scuola.

Con Juan Antonio sono già salito in collina per giungere alla “fine del mondo” zona-nord, l’ultimo punto di osservazione prima del confine marocchino, con mezz’ora di marcia ci si arriva, attraversando i quartieri marginali della città e passando per alcune zone forestate a pino marittimo; si arriva fino al mirador, il punto panoramico, da cui si osserva la costa e si può notare anche l’impianto dissalatore che fornisce acqua potabile alla città (come è facile immaginare, in questa piccola penisola che ospita Melilla, di torrenti ce ne sono proprio pochi e l’acqua è un problema serio). Abbarbicati alle rocce e in mezzo a scampoli di natura non proprio selvaggia, il panorama era suggestivo, l’unico rumore era quello del mare. Peccato che proprio davanti inizia quella muraglia in metallo e filo spinato che avvolge tutta la città…

Inutile nasconderlo, Melilla deve fare sempre i conti con la sua situazione molto particolare; è interamente circondata da questa rete protettiva, oltre la quale si dovrebbe stendere una porzione di terra di nessuno che però è stata assorbita immediatamente dal governo marocchino, che da parte sua ha eretto un’ulteriore baluardo a poca distanza. L’effetto è imponente e sicuramente drammatico. Fino all’epoca pre-covid, mi raccontano, nella città giungevano ogni giorno tantissimi lavoratori giornalieri dal vicino Marocco e poi anche molti che tentavano l’ingresso in Europa. Poi i numerosi assalti, l’ultimo dei quali nel giugno dello scorso anno, finito in tragedia. Adesso apparentemente è tutto calmo. Il numero di migranti in arrivo è calato drasticamente (dal migliaio a poche decine), ma la tensione è evidente. Non è un fenomeno solo locale, lo si comprende bene allargando la visuale a tutto il Mediterraneo. Una realtà che ormai conosco abbastanza bene. In fin dei conti siamo qui anche per questo.

Ma tra le tante cose da scoprire, Melilla è anche un posto davvero caratteristico. Ho solo iniziato ad esplorarla, con una passeggiata nella città vecchia. Ne vale davvero la pena.

Qualche immagine di questa prima settimana?
Ovviamente sono impressioni di settembre 😉

Sbarco a Melilla

Sbarco a Melilla

Ed eccoci arrivata a Melilla, exclave spagnola in terra africana. Dopo tanti giri, da Siracusa a Catania, poi Siviglia, poi Jerez, Malaga… eccomi finalmente “a casa”.

Sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per chiamarla così, ma le premesse mi sembrano già positive. Ne ho già lasciate diverse, di case di pietra e saperle portare nel cuore rende meno difficile i vari distacchi; e poi sono le persone che contano, non gli indirizzi o i codici postali!

Il 30 agosto mattina ci siamo trasferiti con tutta la nuova comunità da Jerez a Malaga; e già che ci siamo presentiamola anche, questa nuova “famiglia”. Siamo parte del progetto Fratelli che vede riuniti fratelli maristi e fratelli lasalliani. Jesus è il direttore della scuola e docente, Juan Antonio è docente anche lui nelle superiori, poi abbiamo Eulalio, il veterano della comunità, con i suoi 85 anni e 15 di permanenza in questa terra africana (ma in totale ne ha passati oltre 30!); come maristi ci siamo io e Ventura che per molti maristi italiani è un volto noto e di riferimento. Ci saranno altre occasioni per presentarci meglio…

In due sono andati in aereo da Malaga, li abbiamo accompagnati all’aeroporto, cercando inutilmente il cartello che indicasse le “partenze”. Niente da fare, non risulta, ci sono solo gli “arrivi”, le idiosincrasie dei cartelli sono un po’ ovunque e non c’è Google Maps che tenga per risolvere certi piccolo problemi. Li abbiamo lasciati nel punto più vicino a qualche ingresso e noi tre ci siamo diretti a Malaga, per il traghetto.

Avevamo un po’ di tempo e il porto è vicinissimo al centro, così quattro passi fino alla cattedrale (rigorosamente chiusa, erano le 12!) e al vicino anfiteatro romano ci sono rientrati senza problemi. Juan Antonio, il nostro autista ed esperto locale (nemmeno Ventura era mai stato a Melilla) si aspettava più gente, più confusione, invece, poca roba.

Entrati nel grande ventre del traghetto, semivuoto, ci siamo recati sui ponti di attesa. Traghetto enorme (130 m. di lunghezzza per 30 di larghezza) e c’è sempre qualcuno che si chiede come potrà mai fare una massa così importante di ferro a galleggiare. Per fortuna che il nostro siracusano Archimede…;-)

Per la partenza siamo ovviamente tutti sul ponte. Si lascia la Spagna, anzi no, il continente (mi dicono subito che questa sarà la dicitura da usare, perché Melilla non è “fuori”, ma parte integrante, quindi ci si deve riferire alla Spagna sempre e solo come al “continente”: mi sento quasi sardo in questo genere di cose!). Comunque si parte e si inizia subito a correre, mentre i gabbiani ci scortano quasi immobili nell’aria e il profilo di Malaga e della costa comincia a sfumare. Ci vuole tempo, il viaggio è lungo, si parte alle 14:30 e l’arrivo sarà per le 20:30. Tra un boccone al self-service e una pennichella sulle poltrone della sala di attesa le ore passano, ma ogni tanto è bello sgranchirsi un po’ salendo sui ponti esterni.

Quando le coste dell’Africa iniziano a delinearsi ci mettiamo quasi in contemplazione. Forse ne vale la pena, pensando a quanto i confini, i limiti, possano non solo contenere esperienze, ma forgiarne di nuove. Almeno per me e Ventura si tratta proprio di questo.

Ecco finalmente spuntare nitida la costa, poi il bianco delle costruzioni, poi il profilo del porto, quindi si entra e si attracca, puntualissimi. Ora si riprende la macchina e in pochi minuti si giunge alla nuova sede. Melilla è piccola, molto difficile perdersi in questi 12 km quadrati di Europa in terra africana. La luna si accende, quasi per intero, in questa prima serata; una nuova camera, una prima sbirciata al nuovo luogo… domani si vedrà. Intanto benvenuti da queste parti, mi ripeto con calma.

Negli occhi i nuovi panorami e paesaggi africani che da oggi
entreranno a pieno titolo anche nel cuore.

Sempre più a sud – el Andalus

Sempre più a sud – el Andalus

A dire il vero ero già passato da queste parti, molti anni fa. Probabilmente di fretta e con poca attenzione. Ma adesso che uno si sposta ancora più a sud, capire il cuore e il fascino di queste zone diventa sicuramente più interessante.

Il sud della Spagna, da Sevilla fino alle coste di Jerez, San Lucar de Barrameda, Bonanza… è davvero un luogo particolare. Anni fa ero capitato dalle parti di Huelva, l’occasione era per la prima professione di Alberto Vizcaya. Chi lo avrebbe mai detto che poi ci saremmo quasi scambiati i posti. Ora lui sta per arrivare a Siracusa e io sto scivolando un po’ più in basso di dove si trovava lui.

In questi giorni abbiamo fatto tappa fissa a Jerez (parola quasi esagerata, 2 notti intere e poco più), ospitati presso l’Hogar dei Lasalliani, un centro dove vivono, tra le altre cose, alcuni giovani migranti che stanno costruendo in modo concreto il proprio futuro. Grosso modo un progetto che farebbe piacere anche a noi a Siracusa, con i dovuti adattamenti perché i cambi politici e strutturali sono spesso l’ago della bilancia di queste avventure. Non per niente la sera andiamo a mangiare presso il ristorante afri-spagnolo dove stanno lavorando 3 ragazzi che condividono questa esperienza.

E passando da queste parti non sarebbe sensato attraversare da distratti questi luoghi. Ci sono spiagge immense e deliziose, come quella della Barrosa (vicino a Chiclana) dove era doveroso immergere almeno i piedi: così mi sono immerso un po’ nell’atlantico e poi, poco più a nord, anche nelle acque del Guadalquivir, a pochi passi dalla casa marista di Bonanza.

Devi veramente sforzare un po’ la mente per tornare indietro di 500 anni e pensare a come dovevano essere queste zone, brulicanti di caravelle, navi e marinai appena sbarcati da quel nuovo mondo che avrebbe cambiato il destino del nostro vecchio pianeta.

Mi piace sempre pensare a Genova, proprio davanti alla cattedrale, quella viuzza, vico del Filo, piccola e appena lambita dal sole per pochi minuti al giorno: il giovane Colombo che passava in questi vicoli dove si stavano discutendo le nuove mappe di quelle terre che dalla Spagna stavano poco a poco prendendo dimora nell’immaginario collettivo, i marinai che si scambiavano appunti, disegni, poveri segni a sapore di mappa….

Attraversare il centro di Jerez, leggere di Magellano e di El Cano (del povero Pigafetta solo pochi cenni) e del loro incredibile periplo del mondo, un viaggio che avrebbe definito per sempre la nostra piccola rotondità… e poi la sera perdersi insieme agli amici nei vicoli del centro, fino ad un tabanco doc, un piccolo locale contornato di botti e vecchie fotografie. Viaggiare con persone del luogo ti permette davvero di entrare con più facilità nel cuore stesso del posto. Una differenza notevole.

Penso che i prossimi giorni saranno ancora segnati da questi contatti diretti, concreti, umanamente profondo e speciali.

Prossima tappa: porto di Malaga, pronti per il traghetto che ci condurrà a Melilla.

Ed ecco l’album con le immagini di questi giorni – profondo sud della Spagna

Tappe di avvicinamento

Tappe di avvicinamento

Ormai mi sono lasciato Siracusa alle spalle; tante parole, tanti volti, tante immagini da cullare a lungo e con calma. Ma intanto il quotidiano prende il sopravvento.

Una mezza giornata di viaggio, da Catania a Barcellona e poi, verso mezzanotte, arrivo a Siviglia. Un tranquillo zigzagare tra i soliti enormi corridoi e spazi di questi nonluoghi così presenti nella nostra vita, mi veniva da ripensare all’ultima rappresentazione teatrale vista nel teatro greco di Siracusa, una rivisitazione del viaggio di Ulisse, tutto ambientato nello scenario di un grande aeroporto: ogni epoca alimenta i suoi miti e li condivide ampiamente.

Nel mio viaggio di avvicinamento alla meta definitiva (che non so ancora bene se definire semplicemente Melilla, costa del Marrocco, Africa o qualcosa del genere) mi ritrovo per alcuni giorni nel sud della Spagna, in piena Andalusia. Sono anche giorni in cui il termometro lascia comprendere come questa terra sia davvero ardente e persino difficile. Il caldo di questi pomeriggi, sempre sopra i 40, non lascia molto spazio alle alternative: o la siesta o la ricerca di ambienti con aria condizionata.

In questi ultimi giorni abbiamo girato un po’ per il centro di Siviglia; la nostra guida è Jesus, che in questa città ha vissuto a lungo e ci sta portando ad assaporare il cuore della città senza indulgere troppo sui luoghi comuni. La cattedrale e il suggestivo quartiere della Santa Cruz che la circonda (insolito vedere pavoni che ti passeggiano sulla testa anche se al riparo di un pergolato d’uva), la spaziosità della Piazza di Spagna, edificata per l’expo del 1929 (per la cronaca ci hanno girato anche alcune scene di Star Wars, non potevo non mandare qualche foto a Ricky!); ovunque un brulichio di gente, turisti, curiosi, e noi tra loro.

Nel secondo giorno abbiamo puntato il GPS (ormai ci si muove così) verso la Macarena e il quartiere che la circonda, fino alla chiesa del Poder. Per un italiano toccare con mano come sia presente e forte nel tessuto cittadino il ruolo delle confraternite che poi animano la settimana santa risulta quasi difficile da comprendere, anche se la Spagna per molti versi vive una deriva etica e cristiana persino più accelerata della nostra.

E sono i giorni in cui inizio a conoscere da vicino la mia nuova “famiglia”, la comunità che sarà il mio punto di riferimento per questa nuova tappa: in ordine, da sinistra, Jesus, Juan Antonio, Eulalio, io e Ventura, un “mattoncino” del progetto Fratelli che vede riunita in una stessa comunità i lasalliani (i primi 3) e i maristi. Senza nemmeno esserci seduti a tavolino per disquisire, non sembra davvero un problema condividere questa esperienza (cioè, a tavolino ci siamo già seduti parecchie volte, ma quasi sempre per una birra, una tapas, una sosta per rifocillarsi…).

Naturalmente girando in questa città non possono mancare le altre mille parole, insomma, qualche immagine: ecco un piccolo album fotografico di quanto visto finora a Siviglia.

Aria di quiete…

Aria di quiete…

In effetti, andar per cimiteri a Siracusa non dovrebbe rappresentare una cosa inconsueta. A guardarla dall’alto è un aspetto che molti ignorano, ma quando si scava il parcheggio del Lidl ecco spuntare una necropoli, proprio all’inizio della zona del tribunale si stende una sterminata zona di tombe e fosse a cielo aperto, tanto che qualcuna è rimasta intrappolata nella banchina che divide i due sensi di marcia!

Ci sono ristoranti con tombe incorporate, un Santuario che conserva nella sua cripta un ipogeo bizantino e relative camere tombali greco-romane (e qui stiamo gettando sale in mare), balze akradine che rigurgitano grotte e tombe, una via dei sepolcri proprio sopra il teatro e per chiudere in bellezza la seconda rete di catacombe cristiane del mondo, dopo Roma. Insomma, di tombe non ne mancano.

Abbiamo persino un angolino del parco del museo Paolo Orsi adibito a cimitero “dei gentili” (quando ancora i non cristiani o gli atei dichiarati non potevano essere sepolti nei cimiteri normali), così per chi vuol capire come mai via Von Platen ha questo strano nome, basta leggere la lapide…

A dire il vero volevo esplorare la zona oltre il cimitero di Siracusa, che si trova su una delle strade di ingresso principale della città; confina proprio con la balza di Epipoli e già in antico questa era zona di sepolture; ma costeggiando il bordo del cimitero ci si ritrova bloccati e non è possibile risalire la collina. Per questo ho proseguito in bici e subito dopo il centro di depurazione acque ecco comparire lo spazio verde ed ordinato del cimitero di guerra.

A questo punto pensavo di visitarlo con calma e magari soffermarmi un po’, leggere qualcosa, trovare un angolino suggestivo lontano del rumore del traffico.

Così entro, il cancelletto aperto e basso è già un invito. Subito si rimane colpiti dall’ordine, la tranquillità e il nitore del luogo; le lunghe schiere di croci quasi plotoni di soldati ormai quieti e rassegnati al riposo, il praticello verde curatissimo e appena rasato, che invita proprio a non calcare in modo indegno questo prato; togliersi i calzari diventa quasi un imperativo biblico, per riconciliarsi con la terra.

C’è solo un piccolo, disastroso, elemento a dar fastidio. Siamo proprio a ridosso del centro di depurazione acque di Siracusa e l’odore che pervade l’intero cimitero è talmente fastidioso e forte da restare con forza in prima linea, rinviando tutto il resto a contorno quasi secondario. Difficile quindi permanere in questo luogo senza sentirlo come mantra assordante e quasi insostenibile.

Passeggio per l’intero giardino, curato in modo ineccepibile, leggo alcune delle tante lapidi, mi soffermo soprattutto sull’età dei giovanissimi soldati, 21 il ritornello ossessivo… ma le narici impongono di proseguire. Noto che nella zona a sinistra dall’ingresso sono numerose le lapidi di soldati sconosciuti. Torna il mente l’ossario di Redipuglia, con il suo milite ignoto e l’unica donna ivi sepolta, ricordo ancora i ragazzini delle tante gite scolastiche accompagnati in quel dizionario dei cognomi italiani che quasi tutti erano in grado di abbinare al proprio…

Mi colpisce poi l’affermazione che l’assalto sferrato dagli Alleati in Sicilia, nell’estate del ’43, sia stato persino più massiccio di quello compiuto quasi un anno dopo in Normandia, almeno, così recita la targa che si può leggere (ingrandendo la foto dovrebbe essere fattibile).

Comunque restano i numeri di questi ospiti del cimitero, il terzo presente in Sicilia di questo tipo (e incredibilmente in tutto il mondo sono più di 20mila!)

Chissà cosa avrebbe risposto Buzzati ai due visitatori dello spazio in uno dei suoi surreali racconti, che chiedevano “come mai tenete tanti campi con delle croci tutte belle in ordine, come fossero dei vivai…”

Mi torna in mente anche un altro suggestivo cimitero di guerra; in Trentino, poco lontano dal paese di Lavarone, proprio vicino alla linea tedesca della Strafexpedition; anche qui il luogo richiama ora alla calma e alla pace, dopo essere stato a lungo teatro di tragedia e dolore immane (ma oggi bastano le immagini dei telegiornali per farci capire come siamo ancora, se non peggio, agli stessi livelli di allora).

Un bosco silenzioso, un prato morbido, uno sfondo di vite tranciate…

E queste sono le immagini del cimitero della Seconda guerra mondiale in Siracusa

Qui, invece, uno sguardo al cimitero di guerra di Slaghenaufi, presso Lavarone (TN)