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Categoria: migranti

Primi arrivi dall’Ucraina…

Primi arrivi dall’Ucraina…

Che la guerra fosse un tale disastro era proprio difficile da immaginarlo. Tra gli strascichi di una pandemia (che sta rialzando la testa, grazie alla superficialità di molti) e le incertezze di una ripresa, ci siamo visti nuovamente travolgere, quasi nel cuore dell’Europa, da una nuova tragedia.

Ripenso ancora agli scenari di Sarajevo e vedo che il confronto è quasi timido. E’ vero, siamo circondati da tanti conflitti, dallo Yemen all’Etiopia, dal Sudan al Myanmar e serve a poco fare una classifica del peggio.

Qui a Siracusa, al momento, si cerca giusto la classifica del “noi siamo i primi ad accogliere”; cominciano a spuntare gli articoli sui giornali locali per attestare la disponibilità e il buon cuore di tanti, come in questo video; ma è una gara comprensibile, sull’onda delle emozioni.

Lavorando nel Ciao abbiamo avuto modo di dare una mano concreta e verificare la grande disponibilità dell’istituto comprensivo di S. Lucia. Dopo aver contattato la Dirigente per la possibilità di un inserimento di un ragazzo di 11 anni, in pochissimo tempo si è verificato un sano “accanimento” solidale. Nel giro di pochi giorni un paio di articoli su La Sicilia, un paio di telefonate per chiarire gli aspetti formali dell’iscrizione (perché mancano ancora documenti che di solito sono necessari, come il CF dei genitori e del futuro alunno), poi la preparazione dei moduli per l’iscrizione, e subito la notizia che gli alunni da iscrivere non sono solo uno ma sono già due, della stessa età e alloggiati nello stesso quartiere. Anche la fortuna ci dà una mano, perché proprio lì vicino c’è la succursale della scuola e ci sono persino dei posti liberi! Insomma, questi due ragazzi sono arrivati in Italia il 5 marzo e domani, lunedì 14, riusciranno ad entrare in classe. Una sola settimana di attesa. Questa è una bella notizia.

la Dirigente scolastica alle prese con l’iscrizione dei primi 2 ragazzi arrivati dall’Ucraina

Ma domani so che ci metteremo a chiarire anche la situazione di Alì, un ragazzo afghano che ha perso i genitori nei disordini della scorsa estate, e dal mese di ottobre è qui a Siracusa con lo zio, ma fino ad oggi non si è riusciti ancora ad inserirlo in nessuna scuola. Qui la burocrazia assesta sciabolate e colpi bassi. Speriamo di riuscire a dipanare questa matassa di obblighi e poche luci.

Giovedì scorso abbiamo avuto anche alcuni ragazzi del Quintiliano (4° linguistico) per il nostro appuntamento di alternanza scuola e lavoro (o qualunque altra sigla si voglia utilizzare). Sono ormai diversi anni che si ripetono queste attività, in vari contesti, e ne ho viste un po’ di tanti colori. Dai penosi parcheggi in ambienti del Comune per svolgere lavori altrettanto penosi (mi ricordo che a Giugliano i nostri ragazzi del liceo giungevano al Comune, su indicazione dei referenti, quando ancora i referenti non erano arrivati al Comune e la cosa più esaltante che gli toccava fare era qualche …fotocopia) a quelli molto più interessanti (a Cesano abbiamo avuto numerose esperienze di ragazzi che si sono immersi nel lavoro didattico con entusiasmo…). Qui presentiamo la nostra realtà del Ciao, spieghiamo come è nato questo centro, come funziona il progetto degli appartamenti, quali sono gli aspetti importanti da conoscere del fenomeno delle migrazioni. I ragazzi ci sembrano davvero attenti e partecipi. Manca persino il tempo per presentare le cose. Meglio così, resta un po’ di acquolina in bocca! E oltre al Ciao i ragazzi passano in rassegna anche il ruolo dell’associazione Accoglierete e le attività del CPIA.

ecco i ragazzi del Quintiliano, durante le attività di ASL

E nel pomeriggio mi è anche capitato di partecipare ad un tavolo di lavoro che vedeva presenti molte organizzazioni del 3 settore, gli ETS come si dice oggi. Il Comune di Siracusa deve elaborare progetti per la corretta finalizzazione dei fondi per il PNR; le associazioni si sono incontrare per mettere a disposizione del bene comune le rispettive competenze. Si andava dai sindacati alle associazioni di disabili, dai centri psicopedagogici alla Caritas, dall’Arci agli amici LGBT. Un panorama variegato e ampio, un segno di partecipazione e di concreta speranza. Anche se la pista da seguire è in salita, con pochi tempi per elaborare quanto serve (ma è sempre così… la Regione Sicilia non è certo un esempio in quanto a rapidità, i documenti sono della fine di febbraio e sul sito del Comune di Siracusa sono arrivati entro il 3-4 marzo, con una scadenza per la presentazione di eventuali progetti fissata al 15 marzo, poi prorogata al 21!).

Infine venerdì abbiamo ricevuto una visita speciale. E’ venuto a trovarci padre Gigi Maccalli. Il nome forse non è di quelli che identificano subito l’esperienza, perché siamo molto veloci nel dimenticare, ma si tratta di quel missionario che nel 2018 è stato rapito da un manipolo di jihadisti in Niger e per due anni è rimasto prigioniero come ostaggio. Due anni! Nel deserto, a volte legato ai piedi con una catena, nel totale isolamento, in mano ad una banda di persone che lui definiva quasi come più prigionieri di lui. Liberato nel 2020, ora fa parte di una particolare comunità intercongregazionale di missionari che si trova a Modica; insieme a lui c’era anche sr. Rachele, della Consolata. Una comunità con molti tratti in comune con la nostra. Anche loro saranno impegnati per alleviare i tanti problemi che riguardano i migranti della loro zona ed era venuto proprio per dare un’occhiata e prendere qualche spunto dall’esperienza del Ciao. Per questo abbiamo presentato le nostre attività e condiviso la mensa. E’ bello vedere che da un’esperienza che potrebbe essere devastante per molti, sia sgorgata la forza per superare il legittimo risentimento e il senso di sconfitta. Ci sono altri da liberare e questa adesso è la sua “missione”. Resteremo in contatto, sicuramente.

Per adesso può bastare, ho ancora un bel po’ di scartoffie da rivedere. Proprio in questi giorni stiamo terminando un bando del Fami (che scade tra 15 giorni, relativo al Comune dei Popoli), poi ne abbiamo iniziato un altro a gennaio, della Regione Sicilia (Polo Sociale Supreme, non ha molta visibilità sul web, ma ne parliamo qui!). E domani scadono i termini per la presentazione di un altro bando ancora… Staremo a vedere cosa giungerà in porto.

E ancora…

E ancora…

Sera del venerdì 28 gennaio; il tam tam della CRI di Siracusa si mette in moto in previsione dello sbarco dei migranti dalla Geo-Barents, la nave di Medici senza frontiere che ha da poco ottenuto la destinazione di Augusta come porto sicuro. Sono 439 le persone a bordo e mi sembra di rivedere lo scenario esatto di un mese fa, il 28 e 29 dicembre, quando ho partecipato come volontario CRI all’ultimo sbarco del 2021. Quella volta i migranti erano oltre 500 e tra loro nessuno positivo al Covid. Questa volta il timore che ci fossero dei positivi, forse 5, si è poi sgonfiato nel mattino, probabilmente si trattava di un solo caso. Giusto per non allarmarsi sul fatto che il Covid lo portano i migranti…

E restando ben ancorati ai biechi numeri, sul sito del Governo è operativo da tempo un cruscotto con i dati aggiornati sul fenomeno dei migranti, in tempo decisamente reale per mostrare l’andamento degli sbarchi e l’afflusso di migranti. Una pagina interessante da consultare, per conoscere i fatti e non riecheggiare solo le opinioni. Balza subito agli occhi la prima immagine, che mette a confronto gli ultimi 3 anni. Sembra profilarsi un’impennata; ma questa prospettiva si dovrà misurare solo col tempo, quindi un po’ più avanti. Come recita il sito di MSF, ogni decisione si può rimandare a domani, ma una vita va salvata oggi. Fino a quando è possibile.

La macchina organizzativa si avvia un po’ lentamente al mattino, ci sono un po’ di problemi logistici; è in corso il carico di una chiatta di materiali ferrosi e la Geo-Barents si è scostata un po’ dalla zona dove si trovano i containers per le identificazioni. Il primo trasbordo viene addirittura fatto a piedi, in attesa del pulmino, ma i carabinieri giustamente si rendono conto che non è possibile far transitare i migranti, quasi tutti senza scarpe, con le sole calze, per un tratto di strada così impervio e pericoloso. Si procede quindi con il via vai del pulmino per trasferire a gruppi i vari migranti.

I numeri sono ben chiari. Il giorno prima lo sbarco ha interessato i minori, le famiglie, le donne… oggi tocca agli uomini. Ne restano più di 300. In maggioranza proveniente dall’Eritrea e dal Bangladesh. Si procede in modo regolare alle foto segnaletiche e poi ai colloqui di rito, con i mediatori linguistici, le impronte digitali e successivamente si sale sulla nave di appoggio per iniziare la quarantena. Notevole la presenza di forze dell’ordine e volontari. Sulla nave di appoggio operano in pianta fissa circa 30 volontari CRI. E il lavoro non manca, dalla sistemazione logistica delle persone, al magazzino (ci servono subito delle ciabatte, si inizia la distribuzione delle infradito ricevute in dono, peccato che non ci siano tutti i numeri per soddisfare le varie esigenze, ma per il momento anche un 43 può andare a chi vorrebbe invece un 41.

Essere presenti come volontari, sapendo che non si “salva il mondo” con gesti clamorosi è comunque un impegno necessario. A mettersi dalla prospettiva dei migranti una divisa è sempre una divisa, ma quella sgargiante della CRI trasmette un messaggio ben diverso dalle altre. Essere presenti in queste situazioni mette in risalto la partecipazione corale di tante presenze della nostra società. Mentre stiamo dando una mano a Roma stanno eleggendo il presidente.

Non ci riusciranno ancora ma in serata sarà cosa fatta e Mattarella si rimetterà sulle spalle lo zaino pesante di questa responsabilità nazionale. Mi fa piacere sentirmi in buona compagnia, sul tema della responsabilità, con una persona che (forse pochi lo sanno), ha maturato queste convinzioni anche frequentando la nostra scuola marista del San Leone Magno a Roma, tanti anni fa.

Verso le 13 tutte le persone sono ormai sbarcata e in attesa del colloquio. La necessità immediata è finita e si torna a casa. Lungo la strada, chiacchierando con la volontaria che mi ha accompagnato, si discorre anche di quello che ti rimane impresso nel cuore e nell’esperienza dopo gesti e momenti come questi. Qualcosa per cui vale la pena dedicare tempo, prendersi le folate di freddo e di polvere e zolfo che hanno flagellato un po’ questa mattinata. Ne vale la pena.

I miei vampiri preferiti

I miei vampiri preferiti

Lo so per l’Avis ormai ho un debole che dura da circa …40 anni! E se non era proprio l’Avis, visto che la prima donazione l’ho fatta presso il San Leone Magno, nell’associazione Ematos che fr. Vasco aveva da poco avviato, il contenuto è sempre quello: donare il sangue. Da sempre mi è sembrato un “rito di passaggio” all’età adulta più significativo e necessario di tanti altri modi di fare…

Anche qui a Siracusa cerco di essere un cliente “affezionato”; tra l’altro la sede è vicino a casa nostra, carina, moderna ed accogliente; da poco hanno persino fatto le votazioni del presidente, ma siccome mi arrivano ancora le lettere della sezione di Cesano, mi sentivo quasi in zona conflitto d’interessi.

Ci ha pensato la tecnologia a togliermi dall’imbarazzo; qui in Sicilia sono riusciti a fare delle votazioni di domenica mattina dalle 10 alle 13, orari che per me erano comunque impossibili. Ma non conoscendo nessuno, poco importa!

Invece giorni fa era iniziato un lavoro in preparazione ad uno spettacolo, proprio organizzato dall’Avis, in occasione dei suoi 50 anni locali e della giornata mondiale del donatore di sangue (che dovrebbe essere il 14 giugno). A tessere le fila dei preparativi, oltre ad Accoglierete, c’era una docente di drammaturgia dell’Inda. Erano stati individuati alcuni protagonisti stranieri e serviva un luogo dove fare le prove. Il Ciao, come spesso accade in questi casi, è sembrato il luogo più adatto ed accogliente per questo genere di attività, così, nelle mattinate ormai semivuote di giugno, abbiamo avuto un po’ di vita in più, con la regista e gli attori intenti alle prove.

La serata era per sabato 19 e la location un luogo di tutto rispetto: l’ampio cortile del castello Maniace, un luogo dove ancora si dovrebbe aggirare il fantasma di Federico II; o almeno, gli elementi ci sono tutti: mistero, fascino, eleganza, forza, strategia, un ponte gettato verso l’oltre.

Per l’occasione ci son andato con Pepe, arrivato da pochi giorni dal centro della Spagna. Siccome lo spettacolo era tutto in italiano forbito e spesso letterario, credo di avergli inflitto una punizione non da poco. Spero solo che lo spettacolo, le voci, il plot narrativo e la cornice suggestiva abbiano supplito. Compresa l’attesa per l’inizio, che si è protratta, com’era prevedibile di quasi un’ora. Ma si stava davvero bene, al fresco della sera.

Lo spettacolo è stato molto semplice ed essenziale; alcune parole di presentazione, come d’obbligo per quanto riguarda il nuovo presidente dell’Avis, e poi un intervento più interessante dell’Assessore dell’Inda (non so se si definisce così, certamente uno dei responsabili), che ha innalzato sicuramente il livello della serata, spingendosi a concepire questo castello come un ponte verso gli altri orizzonti, dando rilievo alla necessità di accogliere e di aprirsi alle necessità degli altri. Chi dona sangue, in fin dei conti, ha a che fare con la vita, non con dei cerotti o delle flebo!

Sul palco si avvicendavano 4-5 narratori, alcuni professionisti, altri invece scelti tra i migranti con un certo livello di padronanza della lingua. Il testo si è concentrato molto sull’esperienza e la storia degli sbarchi nell’isola di Lesbo, mettendo in rilievo la risposta immediata di tante persone semplici e le conseguenze che questi gesti hanno poi scatenato, non sempre gradevoli o pacifiche. Una metafora di quanto succede a Lampedusa e in vari luoghi siciliani.

Insomma, una serata per riflettere, ricordare, affrontare il presente e progettare il futuro. Davvero interessante.

Una soluzione decorosa…

Una soluzione decorosa…

Ho visitato in questi giorni il campo di Cassibile, il progetto di cui hanno parlato numerosi giornali e media, sia locali che nazionali.

Un luogo dignitoso dove ospitare i lavoratori (tutti migranti) impegnati nelle attività di raccolta dei prodotti agricoli della piana di Cassibile, una zona ad alta vocazione agricola, con un clima favorevole e una configurazione territoriale davvero felice. Ma con un grave problema di coesistenza tra i lavoratori e i cittadini locali.

Fino all’anno scorso la situazione dei lavoratori migranti era davvero qualcosa di indegno e di vergognoso. Quando iniziava la stagione della raccolta, su Cassibile convergevano centinaia di lavoratori, preda di caporali e di una gestione molto ambigua.

In pratica le persone restavano accampate sotto gli alberi, senza servizi igienici, senza acqua potabile… e questa situazione logicamente comportava per la popolazione residente una difficile convivenza con tale degrado.

Quest’anno il Comune di Siracusa è riuscito finalmente (lo scorso anno ci si è aggiunta la pandemia a complicare le cose) a sistemare un campo di accoglienza con prefabbricati offerti dalla Protezione Civile.

Tra l’altro questa soluzione ha visto anche la collaborazione del Comune dei Popoli, che si è interfacciato tra i l lavoratori (che devono essere tutti in regola con i documenti) e le istituzioni comunali, per la raccolta dei vari fascicoli e la parte burocratica, semplificando e snellendo le diverse procedure, perché la cosa importante di questa operazione è che tutti i lavoratori hanno un regolare contratto; è questo il modo corretto per combattere il caporalato e lo sfruttamento.

Tanti gli articoli della stampa che ne hanno parlato, sottolineando in vario modo i vari aspetti, da quello semplicemente logistico a quelli prettamente politici. Ma un semplice confronto con la situazione precedente sarebbe sufficiente a mostrare i passi avanti che si sono compiuti, segno che si possono gestire queste situazioni al di là delle chiacchiere e dei pregiudizi. Mettendo ad esempio in gioco la presenza di tante associazioni locali e di tanti volontari che sanno rimboccarsi le maniche per venire incontro alle situazioni di emergenza.

Domenica 16, nel pomeriggio, mi sono recato al campo insieme ad altri volontari della Croce Rossa, per aiutare nelle procedure per i tamponi anti-covid; Eravamo una decina e abbiamo rapidamente allestito il tendone e tutto il necessario per procedere con i tamponi. Il personale del campo aveva già informato da tempo i presenti (anzi, un primo gruppo aveva già fatto il tampone la settimana scorsa).

Il campo può ospitare fino a 80 persone (e al momento ci sono ancora posti liberi) e il primo impatto che si presenta al visitatore è molto positivo: pulizia, ordine, spazi ben organizzati. Il mediatore linguistico ha favorito la comunicazione e in poco tempo si è conclusa tutta l’operazione. Alla fine delle rilevazioni i tamponi eseguiti sono stati 25 e … tutti negativi.

A molti di noi veniva in mente di suggerire al personale medico di competenza che, invece di sottoporre queste persone a tamponi periodici, sarebbe ormai preferibile fare a tutti la vaccinazione, sensibilizzando anche i datori di lavoro nell’esigere un simile trattamento.

Sperare in un tempo gentile…

Sperare in un tempo gentile…

Il titolo sembra la reclame che tempo fa impazzava sulle radio, per reclamizzare una catena di supermarket che, oltre alla convenienza, puntavano sul fatto di essere “gentili”. Una virtù in via di estinzione, a giudicare dalla cronaca quotidiana. Forse perché, come le cose preziose, sta diventando sempre più rara.

Ho letto il libro senza informarmi troppo sul contenuto e ancor meno sull’autrice, Milena Agus. Sarà che la Sardegna sono riuscito a sbirciarla una volta sola, così ogni tanto tento incursioni almeno letterarie. Ma stavo seguendo il filono delle esperienze locali sui migranti e questa mi sembrava interessante.

Il racconto si snoda in modo gradevole, anche se non è dato di capire se alla radice della vicenda narrata ci sia uno sfondo di realtà. I fatti sono semplici: un gruppo di migranti giunge in una sperduta località sarda, una di quelle non toccate dalla fortuna dei bilionaire e delle calette di sabbia candida o da qualche altro orpello turistico. Un piccolo paese che si sta lentamente spopolando, figli non ne nascono più, le pecore e le coltivazioni locali sembrano ormai in definitivo declino. In questo paese sembrano essere rimaste solo più i vecchi, soprattutto le donne, e poche altre presenze. Nessun giovane. E arriva questa comitiva sbandata di migranti, in gran parte africani, accompagnati da alcuni volontari italiani. Conoscendo un po’ la realtà dei fatti sembra difficile poter collocare in concreto una simile avventura, ma il pretesto per iniziare a presentare le possibili reazioni di persone è plausibile.

La narrazione è quasi totalmente al femminile, sono le donne del paese, ormai tutte anziane, che discutono, parlano, si interrogano su questa ulteriore disgrazia capitata al paese. Un manipolo inutile di umanità precipitata nel posto sbagliato e nel momento meno opportuno.

Le prospettive di inserimento sembrano nulle, le ipotesi di integrazione ancora minori. Ma la presenza stessa di questa realtà obbliga le persone a modificare le proprie abitudini, a chiedersi almeno cosa fare, come reagire, in pratica come difendersi da questo assalto.

Ma poi emerge l’umanità delle persone, di queste donne dai mariti quasi assenti, dai figli lontani. In un modo o nell’altro si deve fare qualcosa, ci si mette d’accordo, si superano rivalità allenate dal tempo. Che sia per il pranzo o per l’ospitalità, qualcosa bisogna fare. Le donne del paese iniziano a cercare almeno piccoli accomodamenti, qualche soluzione per questo gruppo abbandonato quasi a se stesso. Il gruppo dei migranti va a vivere in un casolare semiabbandonato, le istituzioni pubbliche sembrano praticamente inesistenti. Nel testo compare a volte il sindaco, ma è del paese vicino, perché il fulcro della vicenda è talmente ridotto male che il comune è stato accorpato ad un altro. A volte fa la sua presenza un prete, abbastanza sgangherato e in odore di eresia new-age, ma tutto sommato simpatico.

I volontari che accompagnano questi migranti sembrano una accozzaglia variegata di persone con storie al limite dell’improbabile, il docente un po’ frustrato, l’ingegnere con sogni utopici, la studentessa rimasta affascinata dal docente e al quale vorrebbe dichiarare il suo amore, un ancor più fortuito giovane lavoratore che lavorava in un sexy-shop del capoluogo, ma che si rivela alla fine il personaggio più sensato e operativo. Insomma, una band un po’ onirica.

Si delineano i vari profili dei migranti, con le loro storie, la loro umanità, i loro tanti problemi e il modo comunque vitale di affrontare queste tragedi, mentre le comari del paesino si accorgono, pagina dopo pagina, di ricevere da questi sfortunati il dono di saper apprezzare quanto invece loro possiedono già. Sono le cose semplici a fare da traino, dal mangiare condiviso ai vestiti da recuperare. E’ forse un invito dell’autrice a vedere comunque questa congiuntura del tempo come un richiamo a qualcosa di più essenziale e profondo, che potrebbe aiutare anche la nostra Italia a recuperare brandelli di coraggio e di umanità per essere meno superficiale, avvilita e, in fin dei conti, rassegnata.

Lo stile è gradevole, leggero e il romanzo tiene, pur nella sua fragilità. La conclusione, prevedibile, è che questo manipolo di personaggi viene ulteriormente spostato e destinato ad altri luoghi. Ma intanto il loro stimolo alla piccola comunità del paese ha forse innescato un processo di rinascita. Un buon augurio.