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Pulizia som(m)aria

Pulizia som(m)aria

Ecco, è appena finita la partita Italia-Spagna e visto che si stanno organizzando le ronde per la borgata, per l’inevitabile strombazzamento e festa cittadina, ho già messo in conto che, oltre al caldo, per il rumore ci sarà poco da dormire almeno per un po’.

Per gli ottimisti era prevedibile, per chi invece, come me, considera il calcio come uno qualunque dei…. minerali, la cosa comporterà un’attesa supplementare. Il tempo giusto per buttare giù due righe.

Anzi, giusto il tempo per ripercorrere idealmente la strada della Borgata che spesso in questo periodo mi trovo a frequentare, per andarmi a rinfrescare nel mare.

Proprio sabato mi ero ritrovato a passare, con un look decisamente balneare, lungo il perimetro della piazza di s.Lucia. Ma c’era un movimento insolito. Tante macchine della polizia, dei carabinieri, un fermento inusuale, transenne e cartelli che regolavano diversamente il traffico. Poi mi sono ricordato. Nel pomeriggio sarebbero venute proprio in piazza le ministre Lamorgese e Cartabia, per ammirare il Caravaggio della chiesa di s. Lucia (Santuario, mi ricorda il buon fra’ Daniele, parroco della Borgata). Ecco spiegato l’assembramento, le tante persone, un insolito decoro, la Borgata velocemente risistemata.

Perché se è abbastanza noto che la Borgata sia uno dei quartieri più “vivi” di Siracusa, è certamente anche uno dei più trasandati, spesso caotico, sporco e non sempre presentabile.

Masserizie sulle strade, buche in promozione quotidiana, stendini in bella vista sui marciapiedi a sciorinare indumenti, residuati fecali mastodontici di cani da passeggio, gatti e piante che fanno a gara per conquistare il territorio e poi scritte di tutti i tipi ad imbrattare i muri.

Qualche notizia dell’evento è possibile leggerla qui (da Siracusa Oggi).

Però in questa occasione un piccolo passo avanti almeno è stato tentato. Talmente piccolo che in pochi l’avranno notato, ma visto che è avvenuto proprio vicino agli appartamenti dei nostri ragazzi è bello almeno poterlo notare.

La chiesa di s. Lucia confina proprio con lo stadio di calcio e da che mondo è mondo, tra un arbitro cornuto e un presidente da mandare al rogo c’è solo l’imbarazzo della scelta per insultare e offendere un po’ di gente. E ovviamente i titoli sono spesso coloriti, originali, irriverenti.

Forse troppo per lasciarli in bella vista, così oltre alle pattuglie di vigilanza devono aver movimentato anche qualche netturbino o altro addetto per cancellare alcune scritte. In alcuni casi l’effetto è quasi accettabile, in altri rischia di evidenziare ancor di più l’indecenza.

Già che c’erano la pulizia poteva essere totale, non sommaria e parziale. Una mano di bianco sarebbe più utile di un tentativo di diluizione con vernici semicoprenti. O forse il magazzino del Comune aveva solo quello… chissà. Per il portone dello Stadio è bastato uno strato azzurro, per le scritte sul travertino di rivestimento si è invece fatto poco, molto poco. Si rischia l ‘effetto palinsesto, offrendo ai prossimi imbrattatori fin troppi elementi. Suvvia, diamo spazio alla fantasia! Come se quella espressa sui muri non fosse già abbastanza logora è scombinata.

E se oltre al quadro di Caravaggio l’attenzione delle ministro (e dei vari personaggi politici, compreso il Presidente della Sicilia Musumeci) si fosse soffermata su altre opere “d’arte” della piazza, come le ormai inutilizzabili (e mai utilizzate, mi dicono) colonnine di rifornimento per le e-bike e così pure la colonnina di ricarica elettrica targata Enel (anche questa mai utilizzata!), magari sarebbe bello portare l’attenzione su troppe opere e iniziative di facciata che si arenano dopo pochissimo tempo alla realtà dei fatti. Siracusa comincia ad essere solcata da monopattini e bici elettriche, ma non mi è mai capitato di vedere qualcuno utilizzare questi punti di riferimento. Che sicuramente rientravano in qualche progetto d’avanguardia, dai costi lungimiranti (ovviamente), ormai persi nel nulla.

Anche questo contribuisce a diffondere l’immagine di una città che fatica a pensare in modo realistico al suo futuro… e mi piacerebbe vedere che fine ha fatto la notizia (o il progetto, difficile capirlo) di prossimi lavori per rifare la pavimentazione della zona vicina alla chiesa. Dovrebbero partire a luglio (ops, siamo già al 7 di luglio!) ma nell’ottica del lockdown oggi si fa presto a saltare i mesi e gli anni… Vedremo se prima di agosto qualcosa si muove.

Lungo il crinale della valle

Lungo il crinale della valle

La valle dei tempi, ovviamente. Quella di Agrigento, per intenderci ancora meglio.
Sabato scorso ci siamo concessi una visita a luoghi siciliani di particolare suggestione. Avevamo scelto due mete: la villa del Casale di Piazza Armerina e poi Agrigento.
Non sono proprio vicinissime, ma idealmente si possono collegare e visitare in un’unica giornata.

Quindi dopo aver visto le incredibili stanze e i mosaici della villa e aver scoperto che per una manciata di minuti ci siamo persi la visita della cattedrale di Piazza Armerina (chiudeva alle 12 e noi eravamo davanti alla sua facciata 7 minuti dopo, purtroppo, a volte i siciliani sanno essere molto precisi e puntuali!) così ci siamo diretti alla volta di Agrigento. Nina era già esperta del luogo, quindi ci ha condotto vicino vicino alla strada principale, quella “strada degli scrittori” che ha reso illustre la città. Viene da pensarci, sedendo sulla panchina accanto al Camilleri di bronzo, come a volte la cultura sappia essere contagiosa.

Lungo la strada fervevano i preparativi per un evento speciale della città, un master di scrittura sulle “parole della pandemia”, che aveva tra le varie sedi anche la chiesa del Purgatorio. Interessante scoprire, su spiegazione della persona che si stava dando da fare per le pulizie e i preparativi, che la statua a destra del portone d’ingresso, che un tempo impugnava un’asta e una bandiera, ecco, insomma, quella bandiera era stata tessuta e preparata proprio dalla mamma di Pirandello…
Una città dove la trama delle persone è fitta e vissuta e ogni angolo rischia di finire su qualche pagina di narrazione.

Ma il piatto forte (e caldo) era ovviamente riservato alla passeggiata nella valle dei templi. Sarà pure una valle, ma con il caldo che abbiamo sopportato e il lungo percorso, ci sembrava proprio di seguire il crinale dell’antica città.

Ci siamo quindi avviati lungo l’itinerario consigliato, ma ciascuno al suo passo. E sapendo che avrei divagato parecchio ho lasciato andare avanti gli altri per non torturarli inutilmente con le mie divagazioni; ma il buon Pepe, che è ormai con noi da oltre 10 giorni, ha resistito ampiamente.

Così abbiamo toccato tutti i punti speciali di questo itinerario nel passato, dal tempio di Giunone, il primo che si presenta al visitatore, fino allo spettacolare tempio della Concordia, che sembra appena toccato dal tempo. Dopo ci siamo immersi nel suggestivo e profumato giardino di Villa Aurea, ricco di essenze mediterranee, ipogee, piante, qualche rara fontana (di acqua tiepida, ma pur sempre acqua!); fino a giungere all’impressionante ammasso di rovine del tempio di Giove, che doveva essere veramente qualcosa di impressionante per quel tempo. E uno si domanda cosa potesse motivare tutto questo sforzo, questa grandiosità e queste opere. Anche a porsi domande del genere possono servire le tracce del passato.

Tanti i visitatori, le famiglie in gita, i bambini a curiosare tra le rovine antiche e moderne (come ho già trovato in altri luoghi di Sicilia, anche qui abbiamo una particolare opera di Igor Mitoraj, il Dedalo caduto, proprio vicino al tempio della Concordia). Interessante continuare questo dialogo tra il tempo passato, il nostro presente e, speriamo, un futuro migliore.

Alla fine, decisamente stanchi e accaldati, abbiamo ripreso con calma il ritorno verso casa (quasi 3 ore lungo le colline della Sicilia, che rigurgitano di messi appena tagliate, tracce di incendi a non finire, qualche pala eolica inspiegabilmente ferma e in attesa… Approfittando del traffico rarefatto, perchè gran parte della gente si stava ormai assiepando a casa in attesa della partita degli europei: Italia-Austria.

Ecco l’album delle foto realizzate ad Agrigento e presso la valle dei Tempi, nel loro cronologico disordine

Più che una villa… uno zoo!

Più che una villa… uno zoo!

Dal diario di Lucius: Morgantina, anno domini 432 d.C.

Ieri sono andato con mio zio, Flaccus Aurelius, per aiutarlo in una faccenda piuttosto strana. Mi aveva chiesto una mano per consegnare alcuni animali esotici al ricco padrone della villa che sta nella vallata. Tutti ne parlano di questa villa come di qualcosa di misterioso e meraviglioso. Dicono che sia la più bella di tutta la Sicilia, la prima provincia romana!

Enorme, piena di stanze e di corridoi, e soprattutto con degli incredibili pavimenti. Dicono che i migliori artisti della Sicilia vi abbiano rappresentato tutti gli animali che si possono incontrare nell’Impero; hanno usato una tecnica particolare, delle piccole pietre (le chiamano tessere) colorate per ricreare la forma e il colore degli animali, li chiamano mosaici e dovrebbero sfidare i secoli, altro che le pitture!

Dicono inoltre che proprio in questa villa ci sia una concentrazione incredibile di questi animali, e che il padrone di tutto questo abbia guadagnato una fortuna con il commercio di animali per le feste del Colosseo, a Roma. Ma quando sono entrato non credevo davvero ai miei occhi. Se penso alla mia casetta, con il suo pavimento in terra battuta, le mura di semplici pietre, qualche trave di legno per il tetto… sono rimasto a bocca aperta, guardando quelle colonne, i capitelli, le vasche di acqua. Ma soprattutto i mosaici. Ogni stanza ne aveva uno diverso. Il più maestoso era quello del corridoio centrale. In pratica la via obbligata per tutti gli ospiti che entrano in questa casa, e di ospiti ce n’erano davvero tanti: commercianti, soldati, gente importante… Mai vista una roba del genere. Ho visto i disegni (anzi, i mosaici, sono i primi che ho visto in vita mia!) di animali che secondo me non esistono nemmeno. Li chiamano elefanti, rinoceronti, ma mi sembrano davvero esagerati.

Troppo grandi per essere veri, anche se alcuni miei amici che sono andati a scuola mi raccontavano delle leggende di un certo Annibale che era giunto in Italia proprio con questi animali. Chissà… Poi mio zio è entrato nell’ufficio del padrone per discutere di affari e io ho cercato di sbirciare un po’ in giro. Ho visto il mosaico di Polifemo (e come mi diceva un magister, non è che quel gigante avesse un occhio solo, nient’affatto, ne aveva 3, perché il terzo occhio è proprio quello che usano tutti i fabbri dei dintorni, come segno di riconoscimento del proprio mestiere); ho visto anche dei mosaici con le gare delle bighe, ma che strano, chi guidava i carri erano dei bambini (forse i figli o i nipoti del padrone?);

e ho visto anche una cosa piuttosto strana, una stanza per i giochi delle femmine, con disegnate delle donne con pochissimi vestiti addosso… ma mi hanno subito detto di uscire da lì, che non era roba adatta per ragazzini; poi è tornato lo zio e ce ne siamo andati. Chissà cosa diventerà questa villa così affascinante e incredibilmente ricca… speriamo di poterla rivedere almeno un’altra volta!

Bene, sarebbe interessante potersi calare veramente nei panni di una persona di 1600 anni fa e poter rivivere l’emozione di una giornata presso la Villa del Casale, di Piazza Armerina, nello splendore della sua epoca d’oro. Sono riuscito a visitare questo luogo incredibile qualche giorno fa, a fine giugno (con un caldo notevole e il frigidarium della villa, purtroppo, non era disponibile 🙂 insieme a tutta la nostra comunità e Pepe, un altro appassionato di cose belle della storia. Abbiamo dedicato tutta la mattinata ad esplorare le stanze, ammirare i mosaici, comprendere l’effetto che poteva fare una cosa del genere nel contesto della sua epoca. Veramente qualcosa di incredibile e interessante.

Qualche altra immagine, ovviamente, l’ho messa in questo album sulla Villa del Casale di Piazza Armerina.

Fine pena…quando?

Fine pena…quando?

Forse non riflettiamo abbastanza sul fatto che alcune conquiste morali e sociali hanno bisogno di persone e tempo per crescere e raggiungere visibilità. Ci pensavo quando spiegavo il buon Cesare Beccaria (il nonno di Manzoni, per intenderci) e il suo fondamentale libro “Dei delitti e delle pene”, che nell’epoca dei Lumi ha posto con forza il dibattito sulla pena di morte. Ancora oggi ci sono numerosi paesi e località dove questo principio non ha ancora fatto breccia e la legge continua ad arrogarsi il diritto di spegnere una vita con la presunzione di fare una cosa giusta.

Oggi il dibattito si è spostato sul tema dell’ergastolo, sul paradosso di una legge che vorrebbe offrire con la reclusione una occasione di emendamento e che lo preclude, di fatto, impedendo un recupero della persona, seppellendolo in pratica prima della sua morte in un carcere.

E’ un tema, quello del carcere, che conosco sinceramente troppo poco per azzardare ipotesi, ma la lettura di questo interessante libro di Fassone apporta al dibattito un contributo personale e argomenti sensati molto particolari.

Scritto con uno stile lineare e scorrevole, mai sciatto e con tratti narrativi davvero felici e con alcune felici invasioni di campo nell’ambito della poesia, il testo racconta una storia che sembrerebbe inventata, nella sua paradigmatica coerenza. L’autore è un giudice e nel corso di un maxiprocesso, svoltosi a Torino negli anni ’80, mette in ginocchio un feroce giro di mafia catanese. A uno degli imputati, killer spietato e giovanissimo, viene comminata una serie di ergastoli, proprio per evitare le derive di una giurisprudenza che a volte rischia di disfare con la mano destra quello che la sinistra ha tessuto con fatica.

Ed è proprio tra questo ergastolano e il giudice che inizia una incredibile corrispondenza epistolare, che durerà per oltre 27 anni, fino al momento del tragico epilogo.

In questo che sembra quasi configurarsi come un romanzo di ri-formazione, avvertiamo tutto il crescendo di una relazione asimmetrica tra il giovane che poco alla volta si affida, quasi, alle parole sagge del giudice, che tenta in qualche modo di contribuire ad un recupero della persona alla quale ha spento, proprio con l’ergastolo, ogni possibilità di redenzione. Leggiamo quindi il lento procedere delle cose, i continui spostamenti di carcere, le regole ferree e le enormi difficoltà per recuperare una dimensione umana, la possibilità di un piccolo lavoro, di piccoli spazi di umanità, il sogno minuscolo di un amore che potrebbe accompagnare la vita ma che poi naufraga contro le barriere di un tempo che non arriverà mai…

Poco alla volta cambia il modo di vedere le cose di questo ergastolano, ma cambia anche la percezione dello strumento penale da parte del giudice, che poi diventa magistrato e senatore. E’ una lenta ma profonda riflessione sul senso del carcere, sulla possibilità di offrire un cammino di recupero, sulla assurda tenacia di alcune leggi che impediscono, di fatto, quello che persino la Costituzione addita come funzione necessaria del carcere, che non è la sola difesa e tutela dei cittadini, ma anche la possibilità di “emendare” il colpevole.

E’ un contributo prezioso al dibattito sul “fine pena mai”, sul senso che possa avere oggi, sulla capacità di una società a diventare più “giusta” (perché nessuna società nasce perfetta e le “perfezioni” di ieri non è detto che valgano ancora per domani).

Purtroppo l’epilogo è triste, il carcerato finirà col togliersi la vita e questa ferita colpisce doppiamente il magistrato, come uomo ma anche come rappresentante di quella “giustizia” che immaginiamo sempre come qualcosa di astratto e imponderabile. Un testo che trovo molto per far crescere le persone e ragionare su un tema che pur non toccandoci quasi mai direttamente, coinvolge davvero tante vite umane (in Italia sono oltre 1500 i condannati all’ergastolo).

Cosa FAI di bello domenica?

Cosa FAI di bello domenica?

Domenica pomeriggio, tempo ancora indeciso, una città, Siracusa, che invece sta seriamente lavorando per la ripartenza. E oggi lo fa sul versante della bellezza e della cultura, con le iniziative del FAI per la riscoperta di un patrimonio artistico spesso nascosto e quasi sconosciuto.

La giornata del FAI doveva svolgersi a metà maggio, ma siccome eravamo ancora in zona arancione, tutto era stato rinviato; tra l’altro ho scoperto un po’ per caso questa possibilità, visto che il battage pubblicitario era ridotto ai messaggi via mail della newsletter del FAI e al passaparola di qualche amica. Sarebbe bello se il sito del Comune veicolasse anche queste notizie, in maniera più consistente e precisa. Girando sul web non è difficile trovare pagine su Siracusa, ma spesso sono vetrine un po’ stantie e soprattutto poco collegate tra loro e ad ogni stagione decolla un nuovo sito “definitivo” che ama definirsi come “riferimento” per la città… intanto si brancola un po’ a vista.

La visita di domenica pomeriggio era tutta centrata sulla Ortigia minore, quella meno visitata e poco toccata dai flussi di turisti che stanno rapidamente invadendo i vicoli di questa piccola isola nella città di Siracusa. Tutto gravitava intorno alla chiesa di s.Giuseppe. Con un pizzico di soddisfazione p. Salvo, parroco di s.Martino (nella cui giurisdizione ricade questa chiesa) mi diceva che le chiavi erano state finalmente riconsegnate da pochissimi giorni. Valeva la pena una visita pomeridiana, anche solo per sbirciare qualcosa in questo concentrato di unicità.

Così, bici ai piedi, eccomi giungere fino al sagrato di questa chiesa di s. Giuseppe, che ho sempre trovato rigorosamebte chiusa. Il solo vederla spalancata, e incredibilmente vuota, senza nemmeno un banco sul pavimento lucente è già un bello scorcio. Conoscevo già qualcuno del FAI e mi sono subito unito al primo gruppo itinerante. Ottima l’organizzazione, che ha lasciato spazio a numerosi volontari (molti erano dei “semplici” studenti delle superiori, una visita del genere vale molto di più di una interrogazione e sicuramente è un elemento più gratificante, per tutti!); abbiamo iniziato il tour dal cortile (definirlo ancora chiostro fa un po’ tristezza) dell’ex-convento dei domenicani. La Chiesa purtroppo era esclusa dalla visita e non saprei in che stato versa.

Siccome ora è diventata la sede dei carabinieri, almeno la struttura è parzialmente in salvo, anche se adibire a parcheggio quello che era il chiostro, cintato dal suo bel colonnato, fa un po’ tristezza. Come residuo della presenza domenicana, con un rapido cenno all’epoca dell’Inquisizione, ci hanno fatto notare che permane ancora una cella di isolamento che risale proprio all’epoca di quel tribunale… per non parlare di alcuni capitelli che risalgono addirittura all’epoca di Federico II, visto che il convento era “sponsorizzato” da Costanza, la moglie dello “stupor mundi” del 1200, quando la Sicilia insegnava al mondo intero.

Siamo poi andati a visitare due resti di palazzi del 1400, ormai ricondizionati e utilizzati come sedi di appartamenti di prestigio: palazzo Cardona (in stile aragonese-catalano) e palazzo Ferla (in pratica abbiamo potuto ammirare solo il portale, realizzato con un originale bugnato su disegno di una rivista di architettura del 1600 (già esistevano!).

Poi siamo entrati nel museo dei Pupi. Era un luogo che mi ero già ripromesso da tempo di visitare, ma date le circostanze era sempre chiuso. Proprio per quest’occasione sta iniziando a riproporre visite ed eventi. L’ambiente è da subito intrigante, con tutti i pupi in bella mostra di sè appesi alle pareti; lo spazio è piccolo, ma ci attendeva sul piccolo palco proprio il responsabile del teatro, il sig. Alfredo Mauceri (erede della tradizione dei pupari) che dopo alcune parole per contestualizzare questa originalissima e sicula versione del teatro delle marionette, ci ha regalato una piccola ma significativa clip di cosa sono e come funzionano praticamente i pupi, esibendosi in un piccolo dialogo dall’Orlando Furioso.

Incredibile come dei fili e un po’ di carta argentata, un pupazzo e qualche brandello di costume possano ricreare con l’aiuto della fantasia le sognanti atmosfere dell’Ariosto e delle epiche chanson del medioevo.

Poi, dopo un rapido cambio di guide, ci hanno illustrato un po’ le vicende della piazza, delle sfortune legate alla costruzione di un “moderno” palazzo che ha poi pregiudicato la stabilità del vicino teatro (che è un altro dei luoghi off-limit di Siracusa, speriamo in questa estate di riuscire almeno a vederlo, se non utilizzarlo!); e intanto la curiosità si perdeva sui numerosi cordoli in bronzo che solcano il pavimento della piazza, segnaletica di antichi palazzi greci e testimonianza della struttura viaria di un tempo.

Sarà proprio nel vicino Museo del mare che l’esperta curatrice ci parlerà dei numerosi ipogei e percorsi sotterranei che solcano il cuore di Ortigia. Per il momento solo uno è visitabile, quello che dalla Marina giunge fino alla Piazza del Duomo, ma è fitta la ragnatela di passaggi, cisterne e condotte sotterranee che potrebbero, un giorno, formare un’attrazione davvero singolare, una Ortigia sotterranea che affonda le radici nella sua storia bimillenaria.

Proprio nel museo del mare, che purtroppo resterà ancora chiuso, possiamo ammirare i modellini, lo scafo, le costole delle nave, i pezzi e gli strumenti per calatafare le imbarcazioni, sembra un magazzino con tanto materiale accatastato un po’ alla rinfusa, ma era una chiesa e per Siracusa il mare è quasi una religione, visto che sul mare e nel mare si vive.

Quindi ci siamo affiancati davanti all’imponente cancello di quello che sembra una severa scuola, ma se poi si guarda bene nella cancellata si scopre la presenza del famoso “errore” delle antiche 500 lire, la caravella con le vele e il vessillo impossibili, perché l’orafo non aveva tenuto conto del vento. Le due studentesse che illustravano il complesso si sono addentrate negli intricati disegni di conventi, di converse, di pie congreghe di vedove e benefattrici del 1600, mostrando una vitalità che gli stereotipi solitamente attribuiti alle donne dei tempi andati faticano a raccontarci.

E poi l’itinerario continuava, ma ci stavo stretto coi tempi (avevamo impegni a casa e i fornelli reclamavano!), così mi sono staccato dal gruppo, almeno per entrare nella maestosa chiesa di s.Giuseppe. Fa veramente uno strano effetto vedere uno spazio sacro così “vuoto”, pavimento completamente deserto, tra l’altro lucidato a specchio da poco, quindi con un effetto luminoso davvero intenso. L’unica cosa che spiccava in modo evidente, i due organi gemelli, che sovrastano le due grandi porte opposte di questa chiesa a pianta quasi circolare. La stessa cupola, linda e senza affreschi, aumentava la lue di questo ambiente, che ben si presta a luogo per eventi, manifestazioni, concerti, attività a 360 gradi. Di sicuro in Ortigia le chiese sono già numerose e poter utilizzare spazi come questo per attività culturali o di aggregazione, può diventare una soluzione interessante. Ma ormai ero già in fuga. Per questo pomeriggio può bastare…

Ecco in sintesi l’Itinerario che ci è stato proposto: dal Chiostro di San Domenico, oggi Caserma dei Carabinieri, al Palazzo Cardona e Palazzo Ferla, fino al “Museo dei Pupi” della famiglia Mauceri ed al “Museo del mare” della famiglia Aliffi, per terminare nella chiesa di s.Giuseppe, da poco restaurata e restituita alla sua parrocchia di origine (s.Martino)

E perché noi, anche i video realizzati dagli appassionati o dalle piccole case di produzione video, come questo, aiutano ad apprezzare meglio le bellezze di questo spicchio, anzi, di questo scoglio, di terra.

Ecco l’album fotografico di questo breve ma ricco itinerario in Ortigia, piazza di s.Giuseppe e tesori limitrofi.