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Categoria: religion

Dal balcone del vescovo

Dal balcone del vescovo

Ormai siamo a quota 2. Due settimane di presenza qui a Siracusa e ogni tanto qualcuno mi chiede se “sono nuovo”. Un po’ stagionato ma … in effetti sono ancora straniero a questa terra e mi godo questo periodo di osmosi intensa, a livello di paesaggio, di strade, di profumi (anche qualcuno non proprio delizioso…), di persone.

Ieri mattina primo momento ufficiale, l’incontro col Vescovo e il suo vicario, Padre Nuccio, che avevo già sentito al telefono ma praticamente al volo. Avevamo appuntamento alle 10 e dopo aver percorso le stradine pittoresche e contorte che portano al centro di Ortigia (la parte bella di Siracusa, l’isolotto splendido e raffinato) ci siamo presentati in Curia; eravamo quasi al completo, mancava solo Gabriel, quindi con me c’erano Rosa, Nina e Ricky. Dopo una discreta attesa siamo entrati negli spazi del vescovo. L’ultima curia vescovile che avevo visitato, qualche mese fa, era quella di Aversa, una diocesi normanna, antica, un palazzo da grandi occasioni, ma non opulento, e poi il vescovo Spinillo che sbrigava da sè le faccende diplomatiche, dal rispondere al telefono all’introdurci nelle stanze. Per fortuna qui ho ritrovato un ambiente simile. Padre Nuccio ci ha introdotti nella sala dei colloqui; c’erano tante sedie quasi in circolo, vicino al divano per il vescovo ce n’era una più imponente. “E’ per il superiore, devi metterti lì”… Come comunità Lavalla200 qui sono già abituati a convivere con questo modello “classico”, quello dove uno dirige e gli altri sottostanno. Far capire che si possono immaginare modelli alternativi o non standard è ancora un po’ insolito. La leadership nelle nostre comunità è condivisa, non c’è un “superiore”, ci sono impegni che comportano ruoli, ma solamente all’esterno del nostro vivere comune. E ho già visto dallo sguardo di Rosa e Nina che le donne, poi, sono ancora viste come ospiti occasionali in questo tipo di comunità. Vuol dire che c’è ancora spazio per crescere in questa dimensione.

Poi è arrivato il vescovo, Salvatore Pappalardo, cordiale e sorridente. Breve presentazione, ripasso dei membri della comunità, dei luoghi di provenienza, gli portiamo i saluti di fr. Onorino, lo informiamo sugli ultimi sviluppi del Ciao, la collaborazione con il Cpia, gli racconto alcuni scorci delle mie ultime esperienze. Un momento molto sereno e informale.

“E giò che ci siamo, questa sera abbiamo il Consiglio Pastorale Diocesano, visto che fr. Onorino ne faceva parte, come superiore, venga anche lei”. Quando l’invito te lo fa il vescovo in persona non hai molto spazio di manovra. E come ciliegina sulla torta ci chiede anche se Gabriel può venire a parlare, sotto il profilo giuridico e sulla base dell’esperienza del CIAO, sul tema dei migranti. Incastrati in due, ma la stima e l’apprezzamento per quanto viene fatto come Comunità ci sembrano un giusto scambio morale. Così in questa giornata il vescovo lo incontrerò ben due volte…

Alla fine le ‘ragazze’ chiedono a P.Nuccio se era possibile ammirare la piazza del Duomo dal balcone. Così lui ci accompagna volentieri per le antiche scale, passaggi interni da fortezza rinascimentale, pavimenti in cotto siciliano da scaldare gli occhi, un salone da grande rappresentanza e ci affacciamo. Sotto la piazza brulica di persone, di turisti, in questo ottobre che sembra ancora estate. Nuccio ci spiega le righe scure del piazzale, che delimitano le antiche costruzioni, la via Sacra, i temppli, rintracciate nelle ultime indagini archeologiche. Avere un duomo che rappresenta il fulcro religioso di popoli antichi e millenari, siculi, greci, romani, musulmani e poi di nuovo cristiani non è cosa da tutti. Qui veramente la storia si presenta con l’abito delle feste e delle grandi occasioni. Rosa ricorda la notte di Natale, con la folla assiepata per gli auguri e le parole del Vescovo, che in quell’occasione era andato giù duro sul tema dell’accoglienza. P. Nuccio sembrava un po’ rassegnato, dicendoci che dopo le parole sferzanti non era poi successo granché. Ma bisognava che qualcuno le dicesse e credo sia già un buon segnale quando l’autorevolezza della Chiesa va di pari passo con i segni dei tempi. E così la prima foto quasi ufficiale di quella che sarà la comunità in versione 2020 la facciamo insieme a Nuccio, dal balcone del vescovo.

Mentre torniamo a casa, attraversando il ponte di Ortigia, con uno splendido veliero a far da quinta al panorama, riflettiamo sull’incontro, sullo stile colloquiale e sulle premesse che qui ci sono offerte per una presenza significativa. Addirittura il vescovo aveva esordito con legittima soddisfazione, citando alcune testate che ricordavano come Siracusa, grazie alle recenti attività sul versante migranti, realizzate dalla suore scalabriniane e dai maristi, veniva additata come modello per l’integrazione e come chiesa al passo coi tempi. Siamo qui per questo, pensavamo noi…

E naturalmente la giornata si conclude con il Consiglio Diocesano, che si svolge presso il Santuario delle Lacrime. Appena entro incontro subito il segretario e in men che non si dica la presentazione è fatta; il tema da sviluppare era proprio quello dei migranti. Aprono l’incontro le parole di don Luca Saraceno, che per anni era stato rettore proprio del santuario. Una riflessione molto attenta e pacata sui termini, sulla necessità di “pensare” e conoscere questo problema che non è nato ieri e non finirà sicuramente domani, un atteggiamento di profonda attenzione che dovrebbe distinguere tutti noi cristiani; poi Gabriel (che prima viene indicato come Padre marista, poi fratello, poi chissà cos’altro… si vede che il termine “laico” fatica ad entrare nel linguaggio dei consigli pastorali), ha illustrato i vari elementi giuridici, proprio a partire dai termini (dal migrante al rifugiato, passando per quel “profugo” che non è nemmeno presente nelle altre lingue) e dal dettato legislativo internazionale. Interessante vedere quante norme del diritto vengono infrante dal cosiddetto decreto sicurezza di Salvini. Sono quelle situazioni in cui, da italiano, uno preferirebbe la cittadinanza libanese… Ottimi spunti di riflessione e di approfondimento.

Girovagare tra assoluta bellezza

Girovagare tra assoluta bellezza

Questa domenica ero a Roma, tra l’altro era l’ultima domenica del mese; forse non tutti sanno che in questa domenica si possono visitare liberamente i Musei Vaticani, senza nemmeno bisogno del biglietto. Sarà che la mia prima (ed unica visita) risaliva all’aprile del 1984 (a conti fatti siamo a 35 anni di distanza, bel colpo!), mi andava l’idea di vedere come stavano le cose. Ovviamente lo scopo era molto più semplice, dedicare del tempo a curiosare senza meta particolare in questo scrigno dell’esistenza umana. Inebriarsi un po’ di splendore. Avevo il tempo, la possibilità e la voglia. Quindi partiamo.

Il primo intoppo era chiaramente romano; è domenica, ma la MetroB oggi non funziona, mi dicono per motivi di lavori in corso, sarà… e mi tocca girovagare per cercare il 714, mi avevano giusto detto che si fermava vicino al S.Eugenio, in pratica ad un passo dalla casa generalizia. Ma la legge di Murphy era in agguato: la domenica il 714 fa un altro percorso e così, alla fine, mi sono ritrovato vicino alla nuvola di Sottsass per prendere finalmente il mezzo. Tappa a Termini, altro scalo e poco prima delle 8 ero nei pressi del Vaticano.

Adesso si tratta di mettersi in fila, non penserai di essere l’unico ad aver avuto questa pensata! I Musei aprono alle 9 e almeno una bella oretta di fila ci vuole. E in effetti è così, ma alle 9:25 ero già nei pressi dell’ingresso. Si può fare, evitando le occhiatacce di qualche cinese insofferente che ti rimprovera se italianamente avanzi di qualche postazione lungo la coda…

Mi ero scaricato la mia bella mappa e una sorta di veloce descrizione dell’itinerario tipico; ma veramente potevo permettermi di non andare a caccia di nessun capolavoro o sezione particolare, giusto lasciarmi affascinare un po’ dal tanto, troppo, che si incontra in ogni sala. Veramente da perderci le giornate. E poi, dopo aver visto a metà agosto il musical sul Giudizio Universale, un’occhiata al capolavoro finito ci stava proprio bene.

In pratica basterebbe il gruppo plastico del Laoocoonte per rispolverare mezza vagonata di cultura dell’occidente, da Omero ad Ulisse, dalla storia all’anatomia, dal concetto di paternità a quello della vendetta implacabile, e ancora la scultura, il disegno, il mito… E poi ti sposti di pochi metri e ricominci, con il torso del Belvedere; cambi di sezione e ti basterebbe la Dama del Vaticano per intraprendere un altro percorso. O guardare i ritratti dei giovani amici di Raffaello per capire senza troppe aggiunte cosa significa rendere vivo un ritratto… e capire cosa differenzia un artista da un imbianchino.

Insomma, tra un salone e un corridoio, una foto alle antiche cartine geografiche dei nostri luoghi (logicamente ho fotografato la Valle Argentina così come era conosciuta nel 1600, peccato, Carpasio non risulta! in compenso Ortigia si vede benissimo 😉 e una doverosa sosta nella Cappella Sistina, stracolma di turisti, di chiacchiere, di foto abusive (anche le mie, lo ammetto) il tempo si faceva rapidamente breve.

Un percorso altrettanto interessante è quello tra le numerose opere di arte contemporanea. Ad essere curiosi si ritrova un po’ tutta l’iconografia che spesso occhieggia dai tanti testi di religione delle nostre scuole. Interessante notare come tanti mostri sacri della pittura abbiano tratteggiato, a modo loro, questo insopprimibile istinto religioso. Gauguin, Matisse, Dix, Cezanne, Van Gogh, Fazzini, Mondrian… e l’elenco si fa lungo. Ognuno esprime con sensibilità diversa un diverso modo di cogliere e sentire il sacro, dai toni più sommessi a quelli quasi lancinanti e duri da cogliere. Bel percorso, davvero.

Otto Dix

Ultimo appuntamento: in piazza S.Pietro. Domenica 29 è anche la giornata dei Migranti e mi sentivo quasi in dovere di non mancare a questo appuntamento, che nei prossimi giorni lieviterà ancora. Sapevo che nella piazza sarebbe stata inaugurata una presenza particolare. Così sono andato a vederla: un barcone affollato di migranti di tutti i tempi e tutti i ceti, moderni e antichi, perseguitati e sfortunati, tutti in piedi, pronti a continuare il percorso. E intanto ricevevo i msg di Luke appena giunto all’aeroporto di Sidney e in attesa del volo per le Fiji, di Esteban già arrivato in Spagna, di Almera in procinto di salire sull’aereo per le Filippine. Siamo tutti viaggiatori di questa piccola terra. Tutti in attesa di un approdo.

E, ovviamente, ecco qualche foto di questo lungo percorso artistico

E visto che siamo in ballo…

E visto che siamo in ballo…

Ovviamente balliamo! E dopo la celebrazione di giovedì sera, alla presenza degli ormai amici del gruppo Horizontes, delle comunità di Lavalla e dell’Hermitage, rimaneva ancora una promessa da concludere.

i magnifici 7 dopo la celebrazione di invio, con Ernesto e Jeff

Una vera promessa, proprio come quella che Colin, Champagnat e gli altri loro amici avevano sigillato a Fourviere nel 1816, il 23 luglio, appena dopo la loro ordinazione sacerdotale, per dar vita alla famiglia marista. Il giorno dopo, un po’ alla chetichella, Marcellino era tornato per affidare il suo sogno, una famiglia di fratelli, sempre a Maria. E noi volevamo fare lo stesso!

Nelle ultime settimane avevamo lavorato insieme al Pact, un testo nel quale condensare sogni, promesse, idee, suggerimenti, intenzioni. Discusso parola per parola (in inglese), limato dalla nostra avvocata Qalista, tradotto con certosina pazienza in spagnolo, approvato da tutti, restyled by Fabricio. Il testo era pronto, così venerdì mattina siamo partiti per l’ultima giornata insieme; via col pulmino (non ho nemmeno contato quanti km ho fatto in questi 2 mesi, come autista quasi ufficiale… ) alla volta di Lione. Gps puntato sulla basilica e senza intoppi siamo arrivati a mezza mattinata. Avevamo ovviamente avvisato e prenotato per svolgere questa piccola cerimonia nella parte antica del santuario. E con noi c’era anche Ernesto, il superiore generale, più “ufficiale” di così…

Due parole di introduzione di fr. Jeff, un rapido saluto di Ernesto poi abbiamo letto con calma e attenzione il testo che ciascuno ha poi firmato sull’altare del santuario. La statua e l’ambiente tutto rimandavano al momento importante di Marcellino, ma era un momento forte anche per noi. Spostarsi dalle Fiji al Brasile, dalla Malesia alla Romania, dal Mexico al Bangladesh… non sono certo passeggiate.

Al termine, dopo il canto della Salve Regina, come recitava il permesso che ci avevano consegnato, c’era la possibilità di scattare “una o due fotografie”; Fabricio ha pensato bene di interpretare in modo meno restrittivo questa indicazione 🙂

E poi tutti insieme, come una semplice famiglia in scampagnata, siamo scesi verso il cuore della Lione vecchia, una città piena di charme, fascino e suggestione. Abbiamo pranzato insieme (questa volta lo sponsor era nientemeno che Ernesto, mica potevamo rifiutare) e poi abbiamo gironzolato un po’ per il vecchio quartiere lionese. Cioé, qualcuno si è limitato a quattro passi e una panchina, mentre io sono andato alla ricerca delle traboules

Cosa sono le traboules? erano e sono dei passaggi interni alle case che collegano in modo molto spiccio alcuni tratti di strade, per evitare troppi giri, sono un’eredità medievale e permettono di entrare proprio nel cuore del quartiere, quasi di entrare nelle case; sono passaggi pubblici, ma spesso nascosti dietro una porta, rigorosamente aperta; chi conosce entra e passa veloce… Se ne contano ancora un centinaio, quasi tutti nella città vecchia. E si respira quasi un’aria di antico qui in mezzo, tra scale a chiocciola e rampe traforate di finestre.
Ok, meglio che le parole possono diventare utili adesso le immagini.

L’album fotografico della nostra giornata a Lione

Pronti per un nuovo inizio

Pronti per un nuovo inizio

Finalmente ci siamo, dopo 2 giorni di ritiro guidato da fr. Luis Sobrado, nella cornice unica dell’Hermitage, è arrivato il momento ‘quasi’ conclusivo; nella messa che abbiamo celebrato giovedì 26, insieme alla comunità e ai fratelli del gruppo Horizontes (con i quali avevamo già condiviso dei bellissimi momenti a Manziana), fr. Ernesto, il superiore generale (per la terza volta insieme a noi, ci sentiamo proprio dei privilegiati), ha ufficialmente comunicato i luoghi in cui saremo inviati. Per molti di noi erano già stati condivisi e conosciuti da qualche settimana, per chi scrive forse da qualche mese :-), ma un pizzico di emozione in questi casi non guasta proprio e la disponibilità era comunque a… 365 gradi.

Diciamolo pure, per qualcuno adesso inizia la fase di “sistemazione”: ricerca dei visti necessari, un po’ di burocrazia (a volte tanta), la conclusione di alcune attività già avviate nelle rispettive realtà di provenienza. Qualcuno ne avrà per qualche mese.
Per me le cose saranno decisamente più semplici, problemi diplomatici non ce ne dovrebbero essere (ci siamo persino ritrovati un governo che sta avviando prassi meno meschine e miopi del precedente sul tema dei migranti), il viaggio è quasi una passeggiata, mentre Fabricio e Luke e Qalista e Cesar stanno già conteggiando le migliaia di Km che dovranno sorbirsi nei prossimi mesi.

E allora ecco i luoghi di missione in cui siamo stati mandati

Esteban Ortega (Spagna) in Libano, Progetto Fratelli
Cesar Barba (Mexico) -> in Bangladesh, con il progetto AMD (Asian Marist District)
Luke Fong (Fiji) -> a Tabatinga, in Brasile
Fabricio Basso (Bresil) -> a MontDruitt, in Australia
Qalista Dohny (Malaysia) -> a Moinesti, in Romania
Almera Ibáñez (Filippine) -> nelle Filippine
Giorgio (Italia) -> a Siracusa
(per rinfrescare i volti di ciascuno del nostro gruppo basta guardare qui)

i ‘magnifici 7’ con fr. Jeff. Nell’ordine, da sinistra a destra,
Jeff, Esteban, Qalista, Giorgio, Cesar, Luke, Almera, Fabricio

Ma il bello arriva adesso, come ci ha ricordato fr. Ernesto, con le parole di “invio” alla fine della messa. Ci ha regalato una immagine di Maria e una piccola croce, che ci è stata consegnata dal fr. Jean Touillex, consigliere ai tempi di fr. Basilio (e io ho avuto la fortuna di incontrarlo, a suo tempo, tra Velletri e i dintorni romani), perché le comunità nelle quali dovremo integrarci sono davvero speciali.

Domattina andremo a Lione, per rinnovare il nostro impegno proprio nella cappella di Fourviere dove è iniziato tutto il percorso marista. A domani, allora…

Sui passi di Marcellino

Sui passi di Marcellino

Altro appuntamento significativo di questi giorni è il percorso ormai classico sui passi di Marcellino Champagnat, che in questi luoghi è nato, cresciuto e “decollato” verso destinazioni che ancora oggi coinvolgono migliaia di persone appassionate.

Così lunedì mattina siamo partiti tutti insieme, i magnifici 7 e Jeff (perché purtroppo Angel è dovuto tornare rapidamente in Spagna per la mamma, deceduta in seguito ad una caduta). Insieme a noi c’era anche fr. Benito, in splendida forma; fa veramente piacere condividere questi giorni con lui (ex-superiore generale dell’Istituto, ma ancora così fresco e stimolante).

L’itinerario è quello classico; per prima cosa abbiamo visitato la piccola frazione del Rosey, dove Marcellino è nato. Per chi l’ha già vista altre volte non ci sono particolari novità, a parte il fatto che adesso vive qui una piccola comunità marista, 3 fratelli incaricati dell’accoglienza dei numerosi pellegrini e turisti. Si entra nella piccola stanza che racchiude il forno di famiglia, si sbircia dalla finestra che forse era quella della camera di Marcellino, contemplando un panorama davvero bucolico (ma il senso dell’agreste dipende tutto dal fatto che non sei tu a doverti occupare delle mucche e dei cavalli che vedi pascolare sui prati!). Nel nostro gruppo ci sono Almera e Qalista, le due laiche provenienti dall’Asia, che forse hanno sentito poche volte ripetere gli aneddoti e le narrazioni classiche; la mela per il catechismo (quel ragazzino che ascoltando i primi catechismi di Marcellino deciderà poi di farsi prete, sarà il primo vescovo martire dell’Oceania, ed era nato proprio in una di queste casette qui vicino, Mons. Epalle), il piccolo gregge, la Rivoluzione… così decidiamo di non dare nulla per scontato e un po’ a turno raccontiamo i diversi episodi.

Scendiamo tranquillamente a piedi (poco più di 2000 passi) fino al centro di Marlhes, entriamo nella solenne chiesa parrocchiale, la più alta e magnifica di tutto il territorio, anche se la chiesa centrale è quella di St. Genest Malifaux, che tra l’altro ha preso recentemente il nuovo nome di Parrocchia di Saint Marcellin en Pilat, e seguiamo la descrizione di fr. Benito, che ci spiega il senso di quella statua in granito che la gente del luogo ha dedicato al “roccioso” Marcellino. Sorridiamo nel vedere le vetrate un po’ naif, disegnate dai bambini, ma poi cambiamo opinione quando ascoltiamo che sono state fatte insieme ai fratelli come omaggio proprio per i fratelli maristi. La scuola qui vicino è già piena di bambini, un tempo era dei maristi che poi l’hanno lasciata (con tutte le vicissitudini che hanno attraversato la storia francese del 1900), ma porta ancora il nome di Marcellino.

Riprendiamo il pulmino e ci rechiamo al Bessat, altro luogo simbolo, vicino a quell’episodio del giovane morente che tanto filo da torcere dà oggi ai nostri storiografi maristi (ci sarà stato? era proprio della famiglia Montagne? si chiamava così? com’è che non si riscontra nessun documento? a quando risale il fatto?…), fermo restando che episodi del genere, di giovani vite spezzate senza nemmeno conoscere il senso vero della vita, Marcellino ne avrà incontrate diverse, nei suoi primi anni da vice-parroco. Con questo spirito osserviamo la placca posizionata negli anni ’80, i resti della casa (che ostruiva il progetto della nuova strada e quindi è stata demolita)… E poi, attraversando colline puntellate da mucche, cavalli, abetaie fitte fitte (Qalista che viene dalle foreste tropicali, così aggrovigliate, si stupiva di tutto questo “ordine” vegetale), stagni e laghetti, siamo arrivati finalmente a Lavalla. Qui incontriamo quasi tutta la comunità al completo, che ci invita a pranzo. Solo dopo inizieremo il giro della casa ristrutturata.

Come gruppo Lavalla200> ci sentiamo davvero a casa. Qui è iniziato un po’ tutto, anche se la ristrutturazione della casa ha dovuto fare i conti con il tempo passato e con le tante ‘ristrutturazioni’ che i fratelli avevano già apportato lungo i decenni, come la famosa tavola realizzata da Marcellino. Benito ci racconta di quel fratello che dopo gli anni 50 voleva fare un po’ di pulizia nella vecchia casa e stava per rompere quel vecchio tavolaccio abbandonato all’esterno. “Fermati, cosa fai, non ti ricordi che i ‘vecchi’ ci raccontavano che questo tavolo era stato costruito proprio dal Fondatore?” ; bene, ora ci siamo noi, seduti a questa tavola, per un momento di riflessione. Immediatamente ripensiamo al mese vissuto insieme a Canale Monterano, spesso intorno alla tavola di cucina, un po’ tutti affaccendati a preparare o sistemare cose e poi tutti riuniti per il pranzo o la cena. Un tavolo è davvero un catalizzatore formidabile; Marcellino aveva calcolato giusto.

la croce vicino al villaggio di Lavalla

E infine, dopo aver visitato la piccola chiesetta di Notre Dame de Pitiè, che Marcellino aveva tentato di rimettere un po’ in sesto (ma che ancora adesso è mezza rovinata dall’umidità), proprio di fronte al luminoso cimitero di Lavalla, col suo cancello spalancato sul panorama, riprendiamo la via di casa. E quasi tutti decidiamo di seguire il sentiero che porta a valle, percorso chissà quante volte da Marcellino e dai primi fratelli. Ecco la croce, rossa come ai tempi dell’arrivo di Marcellino in questa parrocchia di montagna. Bello farlo in discesa, sulle pietre levigate da tempo, in mezzo ai pascoli, vicino al fiume, oggi imbrigliato da due piccole dighe e con la pretesa del piccolo lago alpino. Arriviamo rapidamente a casa, con la possibilità di ripassare con calma le immagini e le impressioni di quest’oggi.

E naturalmente le foto di questa giornata sono qui