Sfogliato da
Categoria: solidarietà

Piccola kermesse domenicale

Piccola kermesse domenicale

Domenica 27 marzo abbiamo vissuto alcuni momenti speciali, con tutta la nostra comunità marista, su invito del centro missionario diocesano. Insomma, ancora una volta p. Salvo ci ha “ingaggiati”. Ma ben vengano queste iniziative…

Si trattava dell’evento “Missio-fest” che da un paio di anni era rimasto chiuso nel cassetto (nelle nostre narrazioni ormai esiste un pre- e un post-lockdown o era-covid!). Con un largo battage e contatti mediatici, quest’anno si è ripartiti, finalmente in presenza e con un bel po’ di gente. A dire il vero i prenotati erano oltre 200 ma poi, complice una giornata che minacciava pioggia, tempo incerto e chissàcosaltro, i presenti erano decisamente di meno, diciamo una metà.

La mattina della domenica prevedeva un itinerario molto semplice: una chiesa disponibile per l’adorazione, un’altra con la presenza di sacerdoti per il sacramento della riconciliazione e un paio di luoghi per ascoltare delle testimonianza. Una coppia fidei donum, una comunità di missionari di Modica (proprio della comunità dove ora risiede p. Gigi Maccalli, che però non era presente in questa occasione) e poi… noi della comunità Marista, ad accogliere i gruppi nella chiesa di s.Giuseppe. Con la scusa che i maristi sono chiaramente abbinabili con la scuola, il nostro simbolo indicatore era belle che pronto: uno zainetto, libri e quaderni e …scuola sia!

Intanto in piazza Minerva, a fianco della cattedrale, gli stand del CSI per consentire minitornei di volley, di calcio, di minibasket. Più mini di così…

Era il giorno in cui arrivava anche un nostro ospite, fr. Orlando, un fratello colombiano, provinciale della Norandina (Ecuador, Colombia, Venezuela…) e Ricky era andato ad accoglierlo a Catania, ma sarebbero arrivati in tempo almeno per l’ultimo incontro.

la comunità (quasi tutta) con fr. Orlando

Schema semplicissimo: con Nina e Kike dovevamo semplicemente spiegare chi sono i maristi, come mai sono finiti qui a Siracusa e soprattutto qual è oggi il nostro impegno “missionario” nei confronti dei migranti. Quando si parla delle cose che si fanno ogni giorno e che si condividono insieme, non è molto difficile coordinarsi. E infatti nei 2 momenti di incontro non ci è stato difficile ricordare e presentare queste cose.

Giunti al fatidico problema del mezzogiorno, ci siamo incontrati con gli altri testimoni nei locali vicini a piazza Minerva, proprio dove ha sede l’Info point e la sala con la proiezione della ricostruzione in 3D dell’antica Siracusa (che ci hanno gentilmente offerto in visione). Un pranzo tranquillo con gli altri testimoni, uno scambio di esperienze e di contatti anche per noi.

Subito dopo l’organizzazione prevedeva un momento di festa e musica, aperto da una performance degli alunni dell’Inda, sul tema fin troppo attuale della guerra, anzi, di tutte le guerre.

E subito dopo, nel particolare scenario del cortile dell’Arcivescovado, con le colonne greche e romane a fare da sedili (insolito assieparsi su cimeli di 2000 anni fa, con la nonchalance dei giovani d’oggi), il concerto del gruppo Basic (alla chitarra il don, ovviamente), con una notevole voce solista femminile e un repertorio abbastanza rockettaro (a iniziare dalla cover di apertura dei The Sun, l’ormai conosciutissima Onda). Peccato per le goccioline di pioggia che consigliavano di restare ai bordi e non sotto palco ma l’effetto era discreto. Mi aspettavo quasi che a fine concerto si trasferissero direttamente in cattedrale, cambiare repertorio, ridurre i distorsori e passare ai canti della messa, ma … era stato previsto anche qui un ottimo intervento di un coro più “liturgico”.

La messa a conclusione della giornata era ovviamente presieduta dal vescovo. Un segno di attenzione e di partecipazione non scontato e quindi positivo. Ma non chiedetemi della predica; sicuramente il nostro Vescovo è un esperto biblista, ma il dono della parola non si alimenta solo di buone conoscenze. Ma siccome è la somma che fa il totale, il risultato finale mi sembra comunque positivo. Ce ne eravamo già accorti, insieme a Nina, la sera prima, durante la veglia sui martiri missionari, dove l’intervento del vescovo non aveva lasciato particolari tracce, ma il contesto aveva parlato in modo esauriente.

Crogiuolo di culture…

Crogiuolo di culture…

Momento interessante, ieri, legato all’attività che stiamo portando avanti come “sportello” delComune. Fose il nome è un po’ troppo altisonante, visto che si tratta di un’attività che faremmo comunque con il nostro centro del Ciao, ma siccome stiamo partecipando ad un progetto più ampio, dire ad un dirigente che “…mi manda il Comune”, a volte risolve alcuni problemi di fondo.

In pratica stiamo cercando di semplificare ed aiutare le persone straniere a iscrivere i propri figli alla scuola italiana e da pochissimo abbiamo anche saputo che questo “sportello” si dovrà occupare dell’emergenza Ucraina. Il tutto nella solita gestione un po’ siciliana che non sempre brilla per efficienza, chiarezza e affidabilità. Basti pensare che questo progetto è operativo da un paio di mesi ma… nessuno dei partner ha ancora potuto firmare uno straccio di convenzione! Intanto noi andiamo avanti, fornendo un piccolo supporto (anche di baby-sitting per consentire alle mamme troppo impegnate con figli piccoli di poter imparare l’italiano e dovreste vederli come si divertono).

Ma veniamo alle cose concrete. I profughi ucraini stanno arrivando anche qui, negli angoli remoti della Sicilia e Siracusa è decisamente lontana, ma le connessioni tra le persone non si preoccupano quasi mai della carta geografica. Dopo i primi due bambini iscrittti in prima media giorni fa, abbiamo aiutato un’altra mamma a iscrivere la piccola D. presso la scuola di s. Lucia. La mamma è una docente e quindi si sbroglia bene tra moduli e form da completare, a parte la lingua diversa, basta davvero un po’ di inglese per risolvere quasi tutto. E poi, in questo momento, anche se non sembra elegante dirlo, ai profughi dell’Ucraina tutti stanno offrendo facilitazioni e ponti d’oro che gli altri rifugiati non possono sognarsi! Abbiamo tutti negli occhi e nel cuore le scene di morte e distruzione della guerra in corso, forse abbiamo partecipato anche noi alle manifestazioni no-war; ma adesso si tratta di andare al concreto.

E infatti ieri mattina sono andato presso la scuola con la mamma e la figlia dell’Ucraina, ma insieme ad un atro nucleo familiare, ben diverso, proveniente dall’Afghanistan. Lo zio e il nipote in attesa da mesi, esattamente da settembre 2021, di poter mandare il ragazzo a scuola.

Si tratta in questo caso di un problema più delicato e complesso: il bambino è stato portato via dal paese durante gli ultimi disordini dell’estate scorsa; ha perso i genitori e la situazione caotica non ha certo consentito di raccogliere o chiedere i documenti necessari per l’emigrazione. Morale della favola, tra un rifiuto e la richiesta di un documento ineccepibile, a marzo il ragazzo è ancora parcheggiato in un limbo kafkiano, senza poter fare nulla, senza incontrare coetanei, senza poter iniziare un percorso di integrazione, di apprendimento della lingua, niente. L’unico tramite linguistico è lo zio, in Italia ormai da anni, ma il ragazzino a malapena si presenta con un “ciao”.

E per finire in bellezza dovevo anche presentare l’ultima richiesta, per una ragazzina di 12 anni del Marocco, arrivata da pochi giorni qui in Italia; relativamente fortunata perché il fratellino era arrivato in precedenza ed è già regolarmente iscritto alla scuola primaria. Un pizzico di francese (ma davvero poco), per chiarire i vari aspetti con la mamma.

Insomma, quando la dirigente mi ha visto per l’ennesima volta (ma ormai ci conosciamo e quindi capisce subito di cosa si tratta) avrà pensato: “Ancora un altro?”. Invece no, questa volta sono tre.
Per fortuna che la disponibilità anche in questo caso è stata molto cordiale e disponibile.

Anche le maestre e le insegnanti che si incontrano lungo le scale, e con alcune ormai c’è una discreta conoscenza, si ritrovano tutte d’accordo che i “ponti d’oro” per gli Ucraini non possono farci dimenticare le difficoltà degli altri, spesso apparentemente insormontabili.

I risultati sono positivi e rapidi. Oggi, venerdì, la ragazzina ucraina è già entrata a scuola; per il ragazzino afghano dobbiamo completare la documentazione ma la determinazione della dirigente è chiara: si tratta di un diritto del ragazzino da rispettare e mettere in atto. Per la ragazzina del marocco è solo questione di recupero dei documenti necessari per avviare l’inserimento. Per tutti loro sarà una bella sfida, perché entrare in una classe nuova è sempre un’avventura piena di incognite: affascinante ma anche difficile.

Quando usciamo dalla scuola siamo tutti un po’ più sollevati. Parlo con lo zio afghano che ha accompagnato il nipote, lasciando letteralmente a metà il suo lavoro: è un muratore, specializzato in muretti a secco, uno di quei lavori dove di siciliani ormai non se ne vedono più, mani segnate dalla polvere, dal lavoro. Commenti irripetibili sulla situazione del suo paese, segni di stanchezza per l’attesa così lunga, la burocrazia da seguire… lungo la strada incontro il papà eritreo di un altro bambino che conosco bene. Sarà così il nostro futuro, molto variopinto, pieno di lingue e di confusione, ma sicuramente più variegato. E’ l’occasione che abbiamo per costruirlo come dovrebbe essere, senza paure e timori di perdere qualcosa di “esclusivamente nostro”. Un crogiuolo di culture, insomma, dal risultato migliore della somma delle parti.

E comunque l’avventura è solo all’inizio, perché dopo servirà il supporto, l’aiuto per i compiti, un sostegno per le tante attività e pratiche collegate alla scuola. Di scontato e facile è rimasta solo la forza di gravità, tutto il resto è fatica e conquista… Ma so che ne vale la pena.

Primi arrivi dall’Ucraina…

Primi arrivi dall’Ucraina…

Che la guerra fosse un tale disastro era proprio difficile da immaginarlo. Tra gli strascichi di una pandemia (che sta rialzando la testa, grazie alla superficialità di molti) e le incertezze di una ripresa, ci siamo visti nuovamente travolgere, quasi nel cuore dell’Europa, da una nuova tragedia.

Ripenso ancora agli scenari di Sarajevo e vedo che il confronto è quasi timido. E’ vero, siamo circondati da tanti conflitti, dallo Yemen all’Etiopia, dal Sudan al Myanmar e serve a poco fare una classifica del peggio.

Qui a Siracusa, al momento, si cerca giusto la classifica del “noi siamo i primi ad accogliere”; cominciano a spuntare gli articoli sui giornali locali per attestare la disponibilità e il buon cuore di tanti, come in questo video; ma è una gara comprensibile, sull’onda delle emozioni.

Lavorando nel Ciao abbiamo avuto modo di dare una mano concreta e verificare la grande disponibilità dell’istituto comprensivo di S. Lucia. Dopo aver contattato la Dirigente per la possibilità di un inserimento di un ragazzo di 11 anni, in pochissimo tempo si è verificato un sano “accanimento” solidale. Nel giro di pochi giorni un paio di articoli su La Sicilia, un paio di telefonate per chiarire gli aspetti formali dell’iscrizione (perché mancano ancora documenti che di solito sono necessari, come il CF dei genitori e del futuro alunno), poi la preparazione dei moduli per l’iscrizione, e subito la notizia che gli alunni da iscrivere non sono solo uno ma sono già due, della stessa età e alloggiati nello stesso quartiere. Anche la fortuna ci dà una mano, perché proprio lì vicino c’è la succursale della scuola e ci sono persino dei posti liberi! Insomma, questi due ragazzi sono arrivati in Italia il 5 marzo e domani, lunedì 14, riusciranno ad entrare in classe. Una sola settimana di attesa. Questa è una bella notizia.

la Dirigente scolastica alle prese con l’iscrizione dei primi 2 ragazzi arrivati dall’Ucraina

Ma domani so che ci metteremo a chiarire anche la situazione di Alì, un ragazzo afghano che ha perso i genitori nei disordini della scorsa estate, e dal mese di ottobre è qui a Siracusa con lo zio, ma fino ad oggi non si è riusciti ancora ad inserirlo in nessuna scuola. Qui la burocrazia assesta sciabolate e colpi bassi. Speriamo di riuscire a dipanare questa matassa di obblighi e poche luci.

Giovedì scorso abbiamo avuto anche alcuni ragazzi del Quintiliano (4° linguistico) per il nostro appuntamento di alternanza scuola e lavoro (o qualunque altra sigla si voglia utilizzare). Sono ormai diversi anni che si ripetono queste attività, in vari contesti, e ne ho viste un po’ di tanti colori. Dai penosi parcheggi in ambienti del Comune per svolgere lavori altrettanto penosi (mi ricordo che a Giugliano i nostri ragazzi del liceo giungevano al Comune, su indicazione dei referenti, quando ancora i referenti non erano arrivati al Comune e la cosa più esaltante che gli toccava fare era qualche …fotocopia) a quelli molto più interessanti (a Cesano abbiamo avuto numerose esperienze di ragazzi che si sono immersi nel lavoro didattico con entusiasmo…). Qui presentiamo la nostra realtà del Ciao, spieghiamo come è nato questo centro, come funziona il progetto degli appartamenti, quali sono gli aspetti importanti da conoscere del fenomeno delle migrazioni. I ragazzi ci sembrano davvero attenti e partecipi. Manca persino il tempo per presentare le cose. Meglio così, resta un po’ di acquolina in bocca! E oltre al Ciao i ragazzi passano in rassegna anche il ruolo dell’associazione Accoglierete e le attività del CPIA.

ecco i ragazzi del Quintiliano, durante le attività di ASL

E nel pomeriggio mi è anche capitato di partecipare ad un tavolo di lavoro che vedeva presenti molte organizzazioni del 3 settore, gli ETS come si dice oggi. Il Comune di Siracusa deve elaborare progetti per la corretta finalizzazione dei fondi per il PNR; le associazioni si sono incontrare per mettere a disposizione del bene comune le rispettive competenze. Si andava dai sindacati alle associazioni di disabili, dai centri psicopedagogici alla Caritas, dall’Arci agli amici LGBT. Un panorama variegato e ampio, un segno di partecipazione e di concreta speranza. Anche se la pista da seguire è in salita, con pochi tempi per elaborare quanto serve (ma è sempre così… la Regione Sicilia non è certo un esempio in quanto a rapidità, i documenti sono della fine di febbraio e sul sito del Comune di Siracusa sono arrivati entro il 3-4 marzo, con una scadenza per la presentazione di eventuali progetti fissata al 15 marzo, poi prorogata al 21!).

Infine venerdì abbiamo ricevuto una visita speciale. E’ venuto a trovarci padre Gigi Maccalli. Il nome forse non è di quelli che identificano subito l’esperienza, perché siamo molto veloci nel dimenticare, ma si tratta di quel missionario che nel 2018 è stato rapito da un manipolo di jihadisti in Niger e per due anni è rimasto prigioniero come ostaggio. Due anni! Nel deserto, a volte legato ai piedi con una catena, nel totale isolamento, in mano ad una banda di persone che lui definiva quasi come più prigionieri di lui. Liberato nel 2020, ora fa parte di una particolare comunità intercongregazionale di missionari che si trova a Modica; insieme a lui c’era anche sr. Rachele, della Consolata. Una comunità con molti tratti in comune con la nostra. Anche loro saranno impegnati per alleviare i tanti problemi che riguardano i migranti della loro zona ed era venuto proprio per dare un’occhiata e prendere qualche spunto dall’esperienza del Ciao. Per questo abbiamo presentato le nostre attività e condiviso la mensa. E’ bello vedere che da un’esperienza che potrebbe essere devastante per molti, sia sgorgata la forza per superare il legittimo risentimento e il senso di sconfitta. Ci sono altri da liberare e questa adesso è la sua “missione”. Resteremo in contatto, sicuramente.

Per adesso può bastare, ho ancora un bel po’ di scartoffie da rivedere. Proprio in questi giorni stiamo terminando un bando del Fami (che scade tra 15 giorni, relativo al Comune dei Popoli), poi ne abbiamo iniziato un altro a gennaio, della Regione Sicilia (Polo Sociale Supreme, non ha molta visibilità sul web, ma ne parliamo qui!). E domani scadono i termini per la presentazione di un altro bando ancora… Staremo a vedere cosa giungerà in porto.

Ci mancava proprio una bella guerra…

Ci mancava proprio una bella guerra…

Settimana strana e cruciale quella che stiamo vivendo. Per me è stata anche una settimana di forti distacchi da alcune persone.

Qui eravamo insieme a Romena, nel 2016

Sabato scorso è mancato un grande amico, Carlo Molari, teologo di spicco della realtà italiana (uno che quando lo ascoltavi ti faceva sognare e desiderare le cose proprio nel modo con cui lui le presentava) con il quale ho vissuto i miei 5 anni a Roma; insieme abbiamo mosso i primi passi nel mondo del computer. Era davvero una persona attenta, curiosa, capace di apprezzare quello che la vita ci offre come risorsa, con lo sguardo aperto e positivo. Sicuramente era “troppo avanti” su molti aspetti, a cominciare dal suo convinto impianto evoluzionista, preso talmente sul serio da diventare un paradigma da applicare a tutti gli aspetti importanti della vita, dalla socialità alla tecnologia, soprattutto alla cultura e alla fede. Ricordo un incontro tenutosi all’Abbazia di Casamari, forse nel 1982, per un convegno degli scout della FSE (Federazione Scout d’Europa, era il nostro riferimento per gli scout del SLM, è la federazione che continua con l’educazione separata tra maschi e femmine e per quei tempi era un po’ giocoforza, visto che la prima classe mista nella storia del SLM era proprio la mia prima elementare del 1979-80!), a quei tempi l’Agesci veniva considerata fin troppo “di sinistra”, ma l’FSE sicuramente era dalla sponda opposta. Pertanto veniva ritenuta molto tradizionalista e reazionaria. Al convegno parlò un carmelitano, toni seri e quasi apocalittici, indicazioni necessarie e obbliganti, insomma, una conferenza dai toni piuttosto cupi. Poi parlò don Carlo, che già a quei tempi navigava su spazi molto più aperti e luminosi. Poteva criticare il relatore precedente, mettersi agli antipodi e favorire una sorta di spaccatura. E invece… con il suo modo mite e colloquiale ha semplicemente proposto una differente visione, una modalità per andare oltre, senza critiche o prese di posizione intransigenti. Così era e così mi piace ricordarlo, sapendo che i confini che lui ha esplorato e raggiunto sono oggi un territorio condiviso da molti cristiani e anche da molte persone che non hanno bisogno (o desiderio) di etichette sotto le quali distinguersi. Su don Carlo ho scritto alcune righe sul sito dei Maristi.

E dopo pochi giorni ha finito di combattere la sua corsa contro un tumore la mia amica Delia; avevamo stabilito quasi un patto, che ogni sabato, ormai da un paio di anni, ci eravamo consegnato a vicenda: un breve saluto al telefono, dai posti belli in cui mi ritrovavo. Di solito durante un giro in bici nei dintorni di Siracusa, dal mare, dal fiume, dalle saline. Proprio sabato scorso, in mezzo ai papiri del Ciane, l’ho sentita per l’ultima volta e capivo che le cose andavano male. Delia ci ha lasciati martedì 22 febbraio al mattino presto. I funerali ci sono stati il 24. La prima volta che ci siamo incontrati mi divertiva prenderla un po’ in giro: era una baby-pensionata coi fiocchi, avendo lasciato regolarmente l’insegnamento poco dopo i 37 anni, ma la scelta di dedicare il suo tempo alla famiglia si è rivelata una grande opportunità, visto che dopo i figli (e Ricky non me ne vorrà male se nel suo caso posso dire che era una scelta azzeccata, visto che le dava un bel po’ da fare 🙂 poi ha iniziato a dare una mano alla nostra scuola di Cesano, poi alla Famiglia Marista, buttandosi nel volontariato, poi è diventata lei il riferimento del gruppo e il sostegno infaticabile per il centro Diurno dell’Albero. Abbiamo condiviso insieme il sogno del capannone che ora è la sede definitiva del Centro Diurno e le tante attività di contorno: gli incontri in Comune, con la Fondazione Monza e Brianza, la stesura dei bandi (e almeno uno è andato proprio a buon fine), i rapporti con gli assistenti sociali… insomma, il nostro era un tandem affiatato. Doveroso per lei queste righe di ringraziamento. Questo sabato sarà diverso, senza il consueto appuntamento con lei.

Ma naturalmente non ci facciamo mancare nulla; dopo la pandemia (anzi, durante), una bella guerra per scaldare gli animi può galvanizzare l’opinione pubblica e vivacizzare la scena, ormai stanca di grafici e di indici RT. L’invasione dell’Ucraina ci lascia ancora attoniti e senza la capacità critica di vederla come una tragedia dai contorni ancora più ampi dei suoi confini.

alcuni palazzi di Sarajevo, dopo 5 anni dalla fine del conflitto… (foto del 2001)

Ho visto le macerie umane della guerra in Bosnia anche se solo di riflesso, nel campo profughi di Debrecen, giusto alla fine del conflitto e poi a Sarajevo, a inizio secolo; eravamo andati per un campo di solidarietà e vedere come era ancora conciata la città simbolo della Bosnia, la splendida Sarajevo (abbiamo ancora visto i cartelloni delle olimpiadi invernali di pochi anni prima della guerra) dopo più di 5 anni dalla fine del conflitto. Le immagini che stiamo ricevendo in questi giorni sono una ferita di oggi, ma resterà una tragedia per anni.

Pensavo a come davvero la storia ci ha insegnato poco (o siamo noi che ci ostiniamo a non imparare?); mi viene in mente che i maristi erano andati ad aprire la scuola di Giugliano su invito delle autorità perché in quel luogo c’erano ancora tanti organi. Un problema che oggi non si sente più menzionare da nessuna parte. Almeno qui da noi. Vedremo alla fine della conta quanti passi indietro avremo fatto come umanità.

Ora basta righe, vado a dare un’occhiata alla manifestazione no-war che si tiene qui in Siracusa, in piazza Archimede, dalle 10.

Intanto, ecco qui una carrellata molto colorata di foto di questo evento quasi “spontaneo”

E ancora…

E ancora…

Sera del venerdì 28 gennaio; il tam tam della CRI di Siracusa si mette in moto in previsione dello sbarco dei migranti dalla Geo-Barents, la nave di Medici senza frontiere che ha da poco ottenuto la destinazione di Augusta come porto sicuro. Sono 439 le persone a bordo e mi sembra di rivedere lo scenario esatto di un mese fa, il 28 e 29 dicembre, quando ho partecipato come volontario CRI all’ultimo sbarco del 2021. Quella volta i migranti erano oltre 500 e tra loro nessuno positivo al Covid. Questa volta il timore che ci fossero dei positivi, forse 5, si è poi sgonfiato nel mattino, probabilmente si trattava di un solo caso. Giusto per non allarmarsi sul fatto che il Covid lo portano i migranti…

E restando ben ancorati ai biechi numeri, sul sito del Governo è operativo da tempo un cruscotto con i dati aggiornati sul fenomeno dei migranti, in tempo decisamente reale per mostrare l’andamento degli sbarchi e l’afflusso di migranti. Una pagina interessante da consultare, per conoscere i fatti e non riecheggiare solo le opinioni. Balza subito agli occhi la prima immagine, che mette a confronto gli ultimi 3 anni. Sembra profilarsi un’impennata; ma questa prospettiva si dovrà misurare solo col tempo, quindi un po’ più avanti. Come recita il sito di MSF, ogni decisione si può rimandare a domani, ma una vita va salvata oggi. Fino a quando è possibile.

La macchina organizzativa si avvia un po’ lentamente al mattino, ci sono un po’ di problemi logistici; è in corso il carico di una chiatta di materiali ferrosi e la Geo-Barents si è scostata un po’ dalla zona dove si trovano i containers per le identificazioni. Il primo trasbordo viene addirittura fatto a piedi, in attesa del pulmino, ma i carabinieri giustamente si rendono conto che non è possibile far transitare i migranti, quasi tutti senza scarpe, con le sole calze, per un tratto di strada così impervio e pericoloso. Si procede quindi con il via vai del pulmino per trasferire a gruppi i vari migranti.

I numeri sono ben chiari. Il giorno prima lo sbarco ha interessato i minori, le famiglie, le donne… oggi tocca agli uomini. Ne restano più di 300. In maggioranza proveniente dall’Eritrea e dal Bangladesh. Si procede in modo regolare alle foto segnaletiche e poi ai colloqui di rito, con i mediatori linguistici, le impronte digitali e successivamente si sale sulla nave di appoggio per iniziare la quarantena. Notevole la presenza di forze dell’ordine e volontari. Sulla nave di appoggio operano in pianta fissa circa 30 volontari CRI. E il lavoro non manca, dalla sistemazione logistica delle persone, al magazzino (ci servono subito delle ciabatte, si inizia la distribuzione delle infradito ricevute in dono, peccato che non ci siano tutti i numeri per soddisfare le varie esigenze, ma per il momento anche un 43 può andare a chi vorrebbe invece un 41.

Essere presenti come volontari, sapendo che non si “salva il mondo” con gesti clamorosi è comunque un impegno necessario. A mettersi dalla prospettiva dei migranti una divisa è sempre una divisa, ma quella sgargiante della CRI trasmette un messaggio ben diverso dalle altre. Essere presenti in queste situazioni mette in risalto la partecipazione corale di tante presenze della nostra società. Mentre stiamo dando una mano a Roma stanno eleggendo il presidente.

Non ci riusciranno ancora ma in serata sarà cosa fatta e Mattarella si rimetterà sulle spalle lo zaino pesante di questa responsabilità nazionale. Mi fa piacere sentirmi in buona compagnia, sul tema della responsabilità, con una persona che (forse pochi lo sanno), ha maturato queste convinzioni anche frequentando la nostra scuola marista del San Leone Magno a Roma, tanti anni fa.

Verso le 13 tutte le persone sono ormai sbarcata e in attesa del colloquio. La necessità immediata è finita e si torna a casa. Lungo la strada, chiacchierando con la volontaria che mi ha accompagnato, si discorre anche di quello che ti rimane impresso nel cuore e nell’esperienza dopo gesti e momenti come questi. Qualcosa per cui vale la pena dedicare tempo, prendersi le folate di freddo e di polvere e zolfo che hanno flagellato un po’ questa mattinata. Ne vale la pena.