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Buona la prima…

Buona la prima…

Ok, con il fatto che tra le altre cose sto dando una (piccola) mano come volontario della CRI, sono rientrato nelle categorie che hanno già ricevuto la prima dose del vaccino.

Avevo fatto domanda fin da dicembre e ormai non ci contavo molto, ma invece, quando domenica sera sono andato per una attività di Croce Rossa presso la Pizzuta (dovevamo dare supporto per la vaccinazione dei docenti), dopo aver girato come trottole tra fogli, documenti e mansioni varie, in serata è arrivata la bella notizia che il giorno dopo potevamo recarci per la vaccinazione. Eravamo quasi tra i primi ad utilizzare la struttura individuata dal Comune, l’Urban Center, riorganizzato per questa necessità. In questa sede ero già stato a ottobre per una manifestazione legata al progetto Dignità in Campo e avevo apprezzato gli spazi e la centralità della struttura…

Per la cronaca mi hanno somministrato la prima dose di Astra Zeneca proprio nello stesso giorno in cui è successo l’incidente mortale ad un giovane poliziotto, vaccinato anche lui. Sicuramente i vaccini provenivano dallo stesso lotto… Qualcuno mi ha chiesto: “Ma non sei preoccupato?”. Dopo aver letto, analizzato e approfondito i risultati, le statistiche e tutto il resto, sinceramente il timore mi sembra infondato. In Italia è molto più pericoloso attraversare le strade, statisticamente parlando, quindi inutile rimuginarci sopra.

Ecco l’Urban Center durante l’Hackaton di ottobre 2020

Gli effetti? Per uno-due giorni mi sentivo come se avessi fatto una intensa seduta di addominali e di esercizi fisici, articolazioni un po’ infastidite e indolenzimento agli arti superiori. Ma se vado a rileggere la chat degli amici volontari della CRI trovo sinceramente di peggio. Chi si è dovuto mettere a letto, chi accusava dolori insoliti, chi aveva la febbre a 38,5. Ma anche queste conseguenze erano secondo le previsioni, quindi abbastanza normali.

Quello che adesso mi preoccupa un po’ è l’attesa della seconda dose, che dovrei fare a fine maggio, cioè tra oltre 2 mesi. Mi piacerebbe capire nel frattempo (trascorse almeno 3 settimane dalla somministrazione per attivare la protezione), quanto sono “coperto” da eventuali infezioni. E mi consola anche sapere che nella mia comunità ormai siamo abbastanza al riparo, perché essendo in 4, una persona ha già ricevuto le 2 dosi (Nina), Kike invece ha fatto anche lui la prima dose (Pfizer)…. ci manca solo Ricky, che deve aspettare pazientemente il suo turno.

Una cosa positiva: il sistema di prenotazione che si sta utilizzando mi sembra molto efficace e ben fatto. Proprio in questa settimana ho aiutato un amico dello Srilanka, reduce da alcune visite in cui gli avevano diagnosticato il diabete (e subito inserito nella categoria 013 dei pazienti con questa malattia). E’ bastato inserire il codice fiscale e il n. della tessera sanitaria (viene però da chiedersi chi è quel buontempone che ha escogitato un numero di ben 20 cifre, le prime dieci delle quali sono praticamente tutte uguali!) per trovare subito una data per la vaccinazione. Una data vicinissima, era venerdì e abbiamo potuto fissare per l’immediato lunedì successivo. Buon segno.

Qui a Siracusa è stato individuato nell’Urban Center il luogo centrale per le vaccinazioni. Ho scoperto che un tempo era stato un teatro, ma dopo essere stato anche la sede di una centrale elettrica di smistamento. Adesso è una struttura polifunzionale, sede dell’associazione Città Educativa e di altre iniziative estemporanee, meeting, riunioni, conferenze…

In questa prima settimana ho sentito spesso lamentele, anche autorevoli, di persone che segnalano la scarsa organizzazione dell’attesa, l’ancora poco rodata funzionalità del percorso vaccinale. Vedrò lunedì prossimo se le cose si stanno finalmente assestando in modo migliore.

Intanto, come primo passo doveroso, mi sembra un buon passo. Ho persino intravisto la primula (non ce ne voglia Boeri che deve aver studiato in fretta e furia avveniristici ambulatori quando in realtà le strutture da utilizzare sono già molte), quando si fa la prenotazione il cursore che segnala l’attesa del sistema, è proprio questo simpatico fiore, che in pochi secondi accompagna alla pagina dell’inserimento dati. Insomma, qualche piccolo tributo ci può anche stare…, della serie: ditelo coi fiori

Sperare in un tempo gentile…

Sperare in un tempo gentile…

Il titolo sembra la reclame che tempo fa impazzava sulle radio, per reclamizzare una catena di supermarket che, oltre alla convenienza, puntavano sul fatto di essere “gentili”. Una virtù in via di estinzione, a giudicare dalla cronaca quotidiana. Forse perché, come le cose preziose, sta diventando sempre più rara.

Ho letto il libro senza informarmi troppo sul contenuto e ancor meno sull’autrice, Milena Agus. Sarà che la Sardegna sono riuscito a sbirciarla una volta sola, così ogni tanto tento incursioni almeno letterarie. Ma stavo seguendo il filono delle esperienze locali sui migranti e questa mi sembrava interessante.

Il racconto si snoda in modo gradevole, anche se non è dato di capire se alla radice della vicenda narrata ci sia uno sfondo di realtà. I fatti sono semplici: un gruppo di migranti giunge in una sperduta località sarda, una di quelle non toccate dalla fortuna dei bilionaire e delle calette di sabbia candida o da qualche altro orpello turistico. Un piccolo paese che si sta lentamente spopolando, figli non ne nascono più, le pecore e le coltivazioni locali sembrano ormai in definitivo declino. In questo paese sembrano essere rimaste solo più i vecchi, soprattutto le donne, e poche altre presenze. Nessun giovane. E arriva questa comitiva sbandata di migranti, in gran parte africani, accompagnati da alcuni volontari italiani. Conoscendo un po’ la realtà dei fatti sembra difficile poter collocare in concreto una simile avventura, ma il pretesto per iniziare a presentare le possibili reazioni di persone è plausibile.

La narrazione è quasi totalmente al femminile, sono le donne del paese, ormai tutte anziane, che discutono, parlano, si interrogano su questa ulteriore disgrazia capitata al paese. Un manipolo inutile di umanità precipitata nel posto sbagliato e nel momento meno opportuno.

Le prospettive di inserimento sembrano nulle, le ipotesi di integrazione ancora minori. Ma la presenza stessa di questa realtà obbliga le persone a modificare le proprie abitudini, a chiedersi almeno cosa fare, come reagire, in pratica come difendersi da questo assalto.

Ma poi emerge l’umanità delle persone, di queste donne dai mariti quasi assenti, dai figli lontani. In un modo o nell’altro si deve fare qualcosa, ci si mette d’accordo, si superano rivalità allenate dal tempo. Che sia per il pranzo o per l’ospitalità, qualcosa bisogna fare. Le donne del paese iniziano a cercare almeno piccoli accomodamenti, qualche soluzione per questo gruppo abbandonato quasi a se stesso. Il gruppo dei migranti va a vivere in un casolare semiabbandonato, le istituzioni pubbliche sembrano praticamente inesistenti. Nel testo compare a volte il sindaco, ma è del paese vicino, perché il fulcro della vicenda è talmente ridotto male che il comune è stato accorpato ad un altro. A volte fa la sua presenza un prete, abbastanza sgangherato e in odore di eresia new-age, ma tutto sommato simpatico.

I volontari che accompagnano questi migranti sembrano una accozzaglia variegata di persone con storie al limite dell’improbabile, il docente un po’ frustrato, l’ingegnere con sogni utopici, la studentessa rimasta affascinata dal docente e al quale vorrebbe dichiarare il suo amore, un ancor più fortuito giovane lavoratore che lavorava in un sexy-shop del capoluogo, ma che si rivela alla fine il personaggio più sensato e operativo. Insomma, una band un po’ onirica.

Si delineano i vari profili dei migranti, con le loro storie, la loro umanità, i loro tanti problemi e il modo comunque vitale di affrontare queste tragedi, mentre le comari del paesino si accorgono, pagina dopo pagina, di ricevere da questi sfortunati il dono di saper apprezzare quanto invece loro possiedono già. Sono le cose semplici a fare da traino, dal mangiare condiviso ai vestiti da recuperare. E’ forse un invito dell’autrice a vedere comunque questa congiuntura del tempo come un richiamo a qualcosa di più essenziale e profondo, che potrebbe aiutare anche la nostra Italia a recuperare brandelli di coraggio e di umanità per essere meno superficiale, avvilita e, in fin dei conti, rassegnata.

Lo stile è gradevole, leggero e il romanzo tiene, pur nella sua fragilità. La conclusione, prevedibile, è che questo manipolo di personaggi viene ulteriormente spostato e destinato ad altri luoghi. Ma intanto il loro stimolo alla piccola comunità del paese ha forse innescato un processo di rinascita. Un buon augurio.

E vai con Astrazeneca…

E vai con Astrazeneca…

8 pagine di modulistica da compilare e controllare, firme e controfirme, ma anche questa adesso è fatta. Come volontario della CRI avevo inoltrato la domanda per il vaccino alla fine di dicembre 2020, visto che c’era questa concreta possibilità. C’è voluto del tempo, ma quando non puoi agire diversamente è saggio aspettare… E da ieri sono vaccinato anch’io.

Domenica pomeriggio ero andato per un servizio alla CRI, mi aspettavo la solita kermesse per i tamponi, che ormai conoscevo bene, presso la Pizzuta (non lontano dall’Ospedale Rizza di Siracusa).

Invece, ero quasi sul punto di mandare un messaggio per chiedere “ma dove siete?” perché vedevo giusto un po’ di gente davanti all’ufficio della Farmacia dell’Ospedale, ma nessuna macchina in file lungo il viale. Poi scorgo l’inequivocabile divisa rossa fiammante e capisco che gli altri amici sono lì. Entro e nel giro di pochi istanti mi ritrovo con una tessera sanitaria e un foglio da riconsegnare a una persona. Full immersion immediata per dare una mano nella logistica. Nel giro di pochi minuti Maria mi spiega cosa dobbiamo fare: restituire tessera e modulo con la data per la seconda somministrazione a tutte le persone che hanno appena ricevuto il vaccino e stanno terminando i 15 minuti precauzionali di attesa.

Ci sono 2 stanze dove si effettuano i vaccini, con un dottore ciascuna e altre persone che provvedono al disbrigo e controllo dei documenti. Un altro volontario crocerossino è all’ingresso per smistare gli arrivi e assegnare il numero di pratica, altre 2 sono impegnate nel controllo delle prenotazioni. Varie volte i dottori ci guardano soddisfatti, dicendo: “Se non c’eravate voi tutta questa gente non saremmo riuscita a vaccinarla”. E in effetti la situazione è abbastanza pittoresca, la stanza di attesa è piccolina, il va e vieni di persone molto serrato. Ma ci si riesce tranquillamente. Io faccio la spola con la stampante che riceve i moduli dalle due postazioni di vaccinazione; per ogni persona vengono stampate 3 pagine (la pila di fogli che stiamo alimentando cresce implacabilmente! altro che ufficio senza carta!).

Scopro che in mattinata il Presidente della Reg.Sicilia è passato proprio a Siracusa per inaugurare il nuovo centro Vaccinale, presso l’Urban Center. Nella sua prima giornata operativa verranno vaccinati 49 persone. Qui alla Pizzuta, invece, a fine giornata faremo i conti e scopriremo che sono state assicurate col vaccino quasi trecento cittadini, 285, per l’esattezza. Decisamente un buon ritmo.

La ciliegina sulla torta arriverà alla fine del servizio, quando ricevo il mesaggio che domani posso andare anch’io per la vaccinazione, presso l’Urban Center. Non ci penso due volte e così poco dopo le 8 e 30 sono già in fila, proprio con gli altri amici della Croce Rossa. L’allestimento è ancora in fase di rodaggio e ci fa piacere essere un po’ delle “cavie” per poter fornire anche qualche suggerimento (in effetti come primo impatto non è facile capire il percorso ottimale da suggerire alle persone, per non creare assembramenti e per facilitare il deflusso). In questa nuova sede le postazioni per la vaccinazione sono più di quindici, immagino che a pieno regime si potranno superare tranquillamente le 1000 persone al giorno.

E oltre all’annuncio di questa nuova sistemazione di Via Malta, sede dell’Urban Center, leggo da poco che è già possibile prenotarsi per la vaccinazione; al momento riservata agli over 80, ma intanto si comincia anche qui. E leggendo con timore l’aumento dei contagi, la curva ascendente delle varianti e la difficoltà nel gestire i tanti nuovi ricoveri, questa mi sembra l’unica strada da percorrere.

Ho già segnato la data per il richiamo, che per Astrazeneca, il vaccino che ho ricevuto, è previsto dopo un paio di mesi. Dovrò infatti andare a fine maggio, il giorno 30. Ma sapendo che già la prima dose è un buon viatico, posso considerarmi già abbastanza tranquillo. Oggi sono soltanto un po’ indolenzito, come dopo un allenamento intenso e sapere che altri amici hanno invece avuto conseguenze un po’ più marcate, febbre, spossatezza e altro, mi fa sentire anche un pizzico fortunato.

#pontedicorpi

#pontedicorpi

Si fa presto a dimenticare le immagini, le notizie e i reportage di quello che si pensava impensabile. Nel cuore della nostra Europa, a pochi passi dall’Italia, sulla ormai famigerata rotta dei Balcani, scene che vorremmo relegare ai gulag o ai campi di sterminio. E invece sono ancora con noi.

Con il diluvio di notizie e altri problemi che ci attanagliano, dai vaccini alle zone rosse incombenti, si fa persino presto a cambiare canale e togliere dalla mente queste situazioni. Ce lo possiamo permettere perché nonostante i problemi e le tragedie nostrane, il nostro tenore di vita, la quotidianità, è ancora intessuta di normale benessere. Ma tra il voltare lo sguardo e puntare al prossimo intrattenimento c’è ancora spazio per la memoria e l ‘ascolto.

Qui a Siracusa, con diverse associazioni, abbiamo accolto anche noi l’invito di Accoglierete per realizzare un piccolo evento nella nostra città. Prima un semplice tam tam sui social, poi in settimana anche il semplice realizzare qualche striscione, organizzarsi per essere presenti come piccolo stimolo, o pungolo, per le persone che lentamente stanno ricominciando ad assumere ritmi di normalità. Anche a Siracusa i fine settimana cominciano a sembrare meno desolati e vuoti, gruppi di persone, turisti, iniziano a muoversi e a sciamare per il centro di questa cittadina unica.

Ci siamo ritrovati nella sede del Ciao, qualche giorno fa, a preparare lo slogan che avrebbe fatto da orizzonte. Facile dare una piccola mano per colorare le scritte, così, tanto per ritrovarsi con persone dalle origini più disparate, un’artista tedesca, una belga, la nostra Maria di Avola che, con la scusa di essere anche docente di arte presso la scuola media, ha facilitato a matita il lavoro. Una scritta semplice, liberate le frontiere, contornato da quel filo spinato che sembra così di moda oggi tra un confine e una legislazione in cui dovremmo sempre venire per primi noi, chiunque siamo, purché non gli altri. E tra una pennellata e l’altra vanno anche i discorsi, le parole, lo scambio di idee.

Come se non bastasse sta ritornando, come ogni stagione, anche il problema dei lavoratori migranti di Cassibile, che causeranno anche quest’anno interminabili discussioni, incontri, tentativi di regolarizzare questa incredibile situazione. Così le coperte che si volevano utilizzare come simbolo vengono presto dirottate in questa più urgente necessità, perché a poche settimane dall’inizio della raccolta nei campi, il freddo è ancora intenso, anche qui dove le temperature sono decisamente più miti.

Finalmente, questo sabato, dalle ore 12 in poi, si è realizzato il semplice evento. Non eravamo folla, ma nemmeno il lievito ha bisogno di grandi numeri. Sulla spianata vicina alla Fonte Aretusa, una delle zone di più forte attrazione per i turisti, ci siamo disposti, con la giusta distanza, per ascoltare la motivazione di questo piccolo raduno. Cercare di realizzare un ponte simbolico per denunciare le continue violenze e i respingimenti di cui sono vittime le persone che tentano di raggiungere un luogo in cui poter vivere con dignità. Insomma, dare ali a questa farfalla per librarsi oltre il filo spinato.

Sembra quasi irreale leggere, come abbiamo letto, le notizie dell’indagine nei confronti delle persone che a Trieste si davano da fare per alleviare la situazione dei migranti che riuscivano a varcare i confini. L’accusa è nientemeno che di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Mi viene quasi da chiedermi se non mi stia spostando pericolosamente anch’io su questa china assurda, tutte le volte che devo trattare per qualche forma di aiuto con qualche migrante coi documenti non in regola… E se penso che quel pericoloso attivista di Trieste, Gian Andrea Franchi, ha la veneranda età di 84 anni… penso con un pizzico di sollievo che, se gli anni passano, non è detto che ci si spenga in modo automatico e si diventi insensibili.

Questo momento condiviso, l’ascolto di alcuni testi evocativi, il sentirsi convocati per un rigurgito di umanità, con il mare di fronte, sotto un sole che forse nei Balcani, adesso, se lo possono solo sognare, è stato un piccolo gesto di responsabilità, una sorta di preghiera laica (ma non sono forte nelle nette separazioni tra laico e religioso) per ricordarci le cose importanti. Da ricordare e scolpire forte nel cuore, come le parole di Prino Levi, lo shemà di cui la nostra cultura dovrebbe fregiarsi con più frequenza.

E se qualcuno volesse approfondire l ‘argomento, ecco un dossier interessante su La rotta balcanica (da Altreconomia)

Ecco nell’album alcune foto dei preparativi e dell’evento
#unpontedicorpi vissuto oggi, 6 marzo 2021, a Siracusa

Un passo dopo l’altro…

Un passo dopo l’altro…

Nel titolo c’è già molto: Un passo dopo l’altro: viaggio nell’Italia che resiste nonostante tutto. L’autore è Lorenzo Tosa, fino a poco fa un illustre sconosciuto per il sottoscritto, per poi scoprire che la sua presenza sui social è decisamente “tanta roba”, più di altri personaggi che fanno spola continua su tv e social frizzanti. Non sono un habituè della sopravvivenza social (nel senso che spesso è decisamente effimera), ma preferisco che abbiano un ruolo e una rilevanza in questo campo persone con valori e buon senso in testa. Mi sembra che in questo caso ci siamo, le attese e le ansie dell’autore sono davvero condivisibili.

Il libro invece mi ha fatto l’effetto di una maionese un po’ aspra, con tanti ingredienti ancora da amalgamare, qualcuno anche poco funzionale al gusto principale, che comunque si avverte da subito, cioè l’accoglienza, la tolleranza, l’apertura alle persone in quanto persone, il condividere della natura umana il fatto che siamo davvero tutti nella stessa barca. Non si tratta propriamente di un libro sui migranti (un settore in costante crescita) ma le storie raccontate nel testo lasciano trasparire in filigrana questa attenzione, come una traccia costante e pervasiva.

I capitoli sono apparentemente slegati, si inizia con i personaggi di Luciana e Liliana, poi si passa a Mimmo Lucano, dopo entrano in gioco altre figure, una calciatrice che ha fatto finalmente coming out, mixate con i viaggiatori del medesimo scompartimento del treno che l’autore ha preso, forse da Genova, per raggiungere la Calabria e incontrare il paese di Riace. Una sorta di viaggio nel profondo sud alla ricerca delle persone che resistono ad un certo degrado sociale e all’andazzo un po’ diffuso che attanaglia l’Italia di oggi, spesso appiattita su stereotipi ricorrenti, come quelli sui migranti che bisogna aiutarli a casa loro e che prima vengono le nostre esigenze di italiani e via saltando. Ogni capitolo scivola quasi da un personaggio ad un altro e solo dopo metà libro si iniziano a tirare con più logica le fila del discorso, evidenziando i protagonisti principali del testo, che pian pano si rivela più unitario e comprensibile.

Lo stile dell’autore, giustamente, non si discute, ma una lettura frazionata, come spesso ci capita di fare oggi, con i tempi sbrindellati e frettolosi, mal si adatta a questo testo, ci vorrebbe un tempo calmo per leggere attentamente i vari profili. Perché la storia che si dipana e le storie che vengono raccontate meritano decisamente una lettura attenta e una riflessione successiva. Basterebbe la storia di Luciana e Liliana, deportate ad Auschwitz quando erano appena adolescenti, la loro caparbia sopravvivenza nella follia dello sterminio e il lento recupero dopo la liberazione.

Il finale è forse un invito a prendere posizione, ad accompagnarsi a queste persone che si impegnano concretamente per una società più accogliente e aperta, un deciso invito alla speranza e ad una reazione concreta. Basterebbe questo a consigliarne la lettura.