Itinerari da sogno

Itinerari da sogno

Mi ripeto volentieri, quando dico che in Sicilia si vive praticamente in vacanza. E basta aprire gli occhi, cambiare itinerario per scoprire tesori suggestivi poco lontani da dove si vive.

Sabato scorso abbiamo tentato un itinerario nuovo, almeno per noi che qui a Siracusa ci stiamo ormai da quasi 4 anni. Non avevamo mai inserito la meta di Ispica tra le nostre escursioni ma questa volta…

E così ci siamo diretti verso Ispica. Si lascia l’autostrada a Rosolini e se si segue l’itinerario più semplice; quando poi si giunge vicino al paese è bello lasciarsi catturare dalla strada che si perde nei tornanti di un antica fiumana, tra rocce scoscese e le immancabili cavità che farciscono il calcare di questa zona. E Ispica racchiude la più ricca necropoli di Sicilia, con migliaia di grotte e tombe disseminate sul territorio. Sembra di infilarsi in un trailer all’Indiana Jones, alla ricerca di templi e cavità nascoste.

In realtà il paese, che si trova su una sorta di pianoro rialzato, è piacevolissimo, pulito, accogliente (chissà perché ogni volta che usciamo da Siracusa ci tocca fare questa constatazione: cosa ci vorrebbe ad avere una città meno “sgarrupata”?); l’itinerario cittadino era tutto concentrato su un paio di eccellenze, in primis quel loggiato che richiama da lontano nientemeno che piazza san Pietro, con una fuga di archi e colonne interessanti.

Ma quando siamo entrati in questa piazza davvero suggestiva, il loggiato del Sinatra, ovvio che le dimensioni sono di tutt’altro tipo, quasi familiare. Un loggiato snello e piacevole che abbraccia una piazzetta di poche decine di metri, ma il suo bell’effetto lo sviluppa tutto, nel silenzio e nella tranquillità di una cittadina che sembra calma e assonnata.

Visitiamo anche alcune delle chiese che incontriamo lungo il breve percorso cittadino; ma quella che sicuramente ci colpisce di più, a cominciare dai suoi splendidi colori di cielo brillante, è la chiesa dell’Annunziata, un tripudio luminoso in cui è bello smarrirsi come nuvole al vento.

Percorriamo alcune delle tranquille strade del centro, fra palazzi liberty e scorci che da un lato traguardano sulla campagna e poco lontano rivelano il mare.

Girovaghiamo tranquilli per il paese, forse ancora ignaro della primavera che sta arrivando e finalmente ci decidiamo di avviarci verso la parte antica, quella “Cava d’Ispica” che rimbalza da tanti cartelli e da tutte le guide turistiche.

Ci arriviamo dall’alto, scendendo lungo un sentiero abbastanza curato che fa parte dell’itinerario ufficiale; lo spettacolo che si apre sotto i nostri occhi si fa già notare per l’assenza di case e altre costruzioni recenti. Sembra un vero panorama rupestre, ruvido e selvaggio. Luogo ideale per nascondersi e trovare riparo. Ma aguzzando la vista tra le rocce e le cavità si iniziano a notare le tracce di abitazioni antiche, portoni, finestre murate, tutto un mondo seminascosto e affascinante. Iniziamo così la discesa per contemplare questo paesaggio suggestivo.

Diciamo subito che una delusione piuttosto cocente la si incontra appena si mette piede nel letto di quei fiumi sassosi che dall’alto appaiono come strade imponenti.

Quando invece provi a risalirne il corso e a guardare con più attenzione, si rimane quasi sconvolti dalla quantità di spazzatura e rifiuti che si mescolano alle rocce e alle rive dell’antico fiume.

Un incontro che dispiace veramente, segno dell’incuria che sicuramente si trascina da anni. E che richiederà anni e più saggezza locale per ripristinare lo spazio e le condizioni che la natura reclama.

Poi giungiamo fino all’ingresso ufficiale del parco archeologico Forza, che troviamo inspiegabilmente chiuso (e siamo al 18 marzo! nessun cartello che indichi le prossime aperture). Purtroppo a queste sorprese siamo già abituati e per fortuna almeno su Google la segnalazione “chiuso temporaneamente”, ti informa del disservizio.

Tornando indietro incontriamo una scena degna di Pasolini, con un gruppetto di ragazzini che stanno aiutando i grandi a preparare la prossima via crucis; uno tiene in mano un fascio di corde e si diverte quasi a simulare la fustigazione del compagno che trascina una lunga trave di legno, a mo’ di croce. Sono i preparativi per la via crucis che a giorni si svolgerà in questo scenario davvero suggestivo, tra chiese rupestri e cavità naturali. Ma finiti i lavori di sistemazione ecco già il braciere con le salamelle ad arrostire per il pranzo in comune; sembra un vivido dettaglio da una crocefissione di Brueghel.

Noi riprendiamo la strada, verso Modica e poi Ragusa, mete già visitate e conosciute. Basterebbero queste immagini di Ispica per riempire la giornata!

E allora ecco le foto di questa giornata a spasso tra le bellezze della Sicilia estrema...

Nei pressi della necropoli di Cassibile

Nei pressi della necropoli di Cassibile

Ecco un altro itinerario abbastanza semplice da percorrere, sempre nei pressi di Cassibile. Appena usciti dall’autostrada (quando è aperta e non ci sono lavori in corso, come in questi giorni), si svolta subito a destra e subito oltrepassato il ponte si deve prendere quella piccola strada a asfaltata a sinistra, farcita di cartelli ormai slavati dal tempo e piuttosto confusionari. Ma la direzione è quella.

Sempre in macchina si giunge fino al primo bivio, proprio nei pressi della dimora storica del Marchese; qui conviene lasciare la macchina e iniziare a scarpinare. La prima volta, un paio di anni fa, avevo percorso questo sentiero, a tratti, persino in bici, ma il fondo non è proprio agevole e il timore di bucare (avendo una bici abbastanza normale) mi ha consigliato di utilizzare il più sensato cavallo di san Francesco. E questa volta mi ero portato addirittura le racchette. Le mie ginocchia, sentitamente, ringraziano.

Dalla dimora del marchese (con quell’esilarante cartello che invita i postini a suonare “a destra, vicino alla porticedda di ferro”) inizia il sentiero vero e proprio. Non riporto questa volta la mappa perché nella sitografia, in fondo a queste righe, ho scoperto che l’itinerario presente su Wikiloc è esattamente quello da seguire. Di alternative non ce ne sono.

La strada è una tipica interpoderale, bordata spesso da canaline in cemento o metallo per l’irrigazione; ai lati si trovano ampie coltivazioni di mandorli e olivi, poi si aprono anche spiazzi a grano. in questi giorni di inizio stagione, con una temperatura quasi fresca, difficile incontrare alte persone. Si prosegue quindi per una ventina di minuti, fino a giungere all’unico bivio, dove la strada quasi finisce e rimane sono la scelta tra la sinistra, verso il mare e la foce del Cassibile e la destra, che punta verso le balze delle montagne. Intanto già negli ultimi 2-300 metri è facile notare la balza rocciosa costellata di cavità e piccole aperture. Siamo già nel territorio della necropoli.

Seguendo la strada a destra si giunge rapidamente al cuore della necropoli stessa. Una curva che segue l’orografia del terreno e con un ponte in roccia supera un ruscello, che in questi giorni è completamente asciutto; siamo ormai nel vallone di s.Anna, che racchiude come uno scrigno le tante cavità di questa necropoli. Si tratta della seconda per numero di resti di tutta la Sicilia, seconda solo a quella di Pantalica, che in linea d’aria dista poche decine di km.

Superata la curva appare un cancello, arrugginito e ormai bloccato, un abbeveratoio di cemento, arido e senza nemmeno il tubo di collegamento; poi sulla destra un piccolo caseggiato, aperto. Al suo interno, per fortuna poco vandalizzato, ma vuoto e contenente solo ciarpame e un vascone per l’acqua (rigorosamente “non potabile”, come avvisa la scritta). Probabilmente era la sede di una ipotetica portineria/magazzino del sito archeologico. Da qui inizia un recinto in rete metallica, realizzato su muretto di cemento che delinea un ampia porzione di zona “riservata”. Sulla strada si apre invece una grande cavità rupestre, adibita ad ovile (il naso non mente!), che sicuramente è ancora utilizzata. Percorro i bordi di questa zona recintata, che racchiude sicuramente alcuni dei pezzi più interessanti.

Come spesso capita, sicuramente per l’abbandono prolungato, le alternative per la visita si possono trovare. Mi muovo sempre con attenzione e grande cura, per non rovinare nulla, ma almeno “vedere” mi sembra necessario. Senza voler invitare a valicare recinti e zone a rischio, un’occhiata più approfondita mi sembra il minimo. Intanto percorro il limite e sopra la zona recintata è facile trovare aperture percorribili e varie cavità facilmente accessibili.

All’interno della zona principale, che risulta ben chiusa e con i cancelli assicurati da lucchetti, arrugginiti ma chiusi, sembra quasi impossibile accedere, ma… con un po’ di cautela e sfruttando alcuni varchi nella recinzione…

Insomma, è possibile visitare le principali cavità (rimando alle foto che trovate in fondo a queste righe) e contemplarle con calma, così come era ai tempi del loro rinvenimento. Vi sono oltre 2000 grotte simili in questa zona e quelle più grandi sono state sicuramente utilizzate anche in epoche meno antiche, almeno medievali, forse comunità eremitiche.

Il soffitto pesantemente segnato dal nerofumo della combustione a legna lo conferma in modo evidente. Guardare la pianura sottostante da queste cavità, con il mare sullo sfondo, spiega sicuramente la scelta del luogo, difficile da raggiungere e al sicuro dalle vie principali. Quando il Paolo Orsi iniziò le sue esplorazioni (1897, il secondo sopralluogo è del 1923, esattamente cento anni fa!), raccogliendo svariato materiale che ora fa bella mostra di sé al museo di Siracusa la necropoli era ancora difficile da raggiungere, inserita com’era in terreni agricoli privati. Ma in pratica la situazione non è molto cambiata dal secolo scorso.

E forse è un bene…

Ecco intanto alcune pagine utili per approfondire il tema

Qualche foto della zona

Mi ero già soffermato lungo la strada verso la necropoli, un paio di anni fa, senza però raggiungere il cuore della Necropoli
Ecco invece le immagini della Necropoli di Cassibile così come appare nel 2023

Risalendo il fiume Cassibile

Risalendo il fiume Cassibile

Meno male che la primavera e le vacanze di Pasqua consentono un po’ di tempo liberato da poter dedicare alla riscoperta dei luoghi che circondano Siracusa. Questa volta mi sono avventurato dalle foci del Cassibile fino a … quando si riesce a ripercorrere il corso del fiume. L’idea era quella di giungere almeno fino alla Centrale dell’Enel; da lontano si notano le condotte forzate che solcano il versante ovest della grande vallata; avevo letto che da alcuni anni la centrale aveva ripreso a funzionare e logicamente una strada per raggiungerla ci dovrebbe essere!

Non siamo tra le montagne del Piemonte (ricordo ancora quando si passeggiava nel parco delle Alpi Marittime mentre Enel stava costruendo il grande complesso del Chiotas!) ma nel suo piccolo questa centrale può sempre rappresentare una fonte di energia meno invasiva e fastidiosa di altre (sarà che a nord di Siracusa siamo accerchiati dagli stabilimenti di Priolo… molto meno discreti!).

Uno sguardo alle mappe per trovare un itinerario fattibile, ben sapendo che qualche strada sarebbe stato un po’ disastrata. Mi accorgo che il punto migliore per entrare nel vivo del territorio è proprio quel parcheggio “alternativo” vicino alla spiaggia della Marchesa (Gelsomineto). In meno di 20 minuti di macchina da Siracusa ci si arriva. Poi si inizia a seguire l’intuito e la fortuna, perché le condizioni di queste strade di campagna lasciano molto a desiderare. Ogni tanto vi sono anche dei cancelli, spalancati ma sempre un po’ inquietanti. Nel complesso un itinerario facile, che si può completare in poco più di un’ora.

Poco dopo rispuntano tratti asfaltati, e poi di nuovo spezzoni di pietraglie da prendere con la dovuta calma. Sempre con un occhio alla visione satellitare di Google Maps (in questi casi davvero utile), arrivo fino ad un cancello inesorabilmente chiuso. Nessun segnale, nessun cartello. cioè, uno c’era, ma completament sbiancato; lo sbircio un po’ in controluce e si indovina qualcosa che riguarda la ***entrale idroel*. Mi basta per supporre di essere sulla buona strada. Lascio la macchina in una stradina costeggiata da limoni a grappolo e olivi rigogliosi. Per fortuna che a sinistra di questo cancello chiuso con lucchetto c’è il classico passaggio pedonale. Persino una bici farebbe fatica a passare, ma sgusciando di sbieco si prosegue tranquillamente.

La strada è molto buona, sicuramente i tecnici dell’Enel la mantengono operativa; siamo in pratica alla conclusione di quel grande canyon realizzato nel corso dei secoli (anche qualcosa di più) dalle acque del Cassibile. I laghetti di Cavagrande si trovano molto più all’interno, nemmeno pensarci di raggiungerli. La vallata è bella ampia e le sponde sono intensamente sfruttate. Un aranceto si presenta nella sua lussureggiante bellezza. Siamo ad aprile e le piante sono cariche. Proverò anche a fare un “controllo qualità”, assaggiando un’arancia fresca di pianta: deliziosa!

La strada è comoda, ma ogni tanto all’asfalto subentra la terra battuta, pietre e acciottolato grezzo. Rimangono i guard-rail ogni tanto e persino qualche cartello che avvisa del pericolo di caduta massi. La roccia in alcuni tratti è davvero a strapiombo. Proseguendo si giunge ad una piccola elevazione e un bivio, a sinistra si vede una serie di edifici, totalmente abbandonati. Procedo verso queste costruzioni, probabilmente la dimora degli operatori della centrale. Le dimensioni fanno pensare ad un vero e proprio villaggio, con numerosi abitanti. Tutto abbandonato, distrutto e lasciato all’incuria, basta guardare le foto di questo luogo, retaggio di un’epoca in cui abitare in zone come queste era forse possibile. Viene quasi da pensare che oggi lo sarebbe nuovamente, con pochi accorgimenti…

Salgo sulle balze del vallone, per contemplare la centrale dell’alto. La natura è accogliente e deliziosa, anche se rivela le tracce di un recente incendio (di pochi anni fa); ma passeggiare in zone quasi del tutto incontaminate fa sempre piacere. Arrivo fino alle condotte forzate, più o meno a mezza altezza dal loro punto di fuoriuscita dal monte.

Poi ritorno e mi dirigo verso la centrale; lungo la strada, subito dopo la curva sottostante l’edificio abbandonato, ci sono alcune grotte scavate nel fianco a monte. Più avanti la centrale, che si staglia in bella evidenza, operativa e ben curata. Prima del suo cancello una strada conduce al greto del fiume. Qui è possibile apprezzare il grande lavoro di erosione delle acque, con a tratti qualche gradino artificiale per muoversi meglio sul lato destro del fiume, fino al canale che trasporta l’acqua (immagino sia quella che esce dalla centrale), una bella portata che si riversa nel fiume, fino a quel tratto apparentemente asciutto, anche se il fondo sabbioso e petroso rivela che sotto sotto qualcosa permane.

Mi sposto anche sul lato opposto, dato che è facilissimo guadare il fiume apparentemente in secca,ma su quel lato non trovo sentieri o altro per raggiungere, da questa parte, l’altro traguardo che mi ero posto per quest’oggi (la necropoli di Cassibile). Sarà necessario tornare indietro e procedere con un altro itinerario.

Naturalmente, qualche immagine del percorso rende meglio di tante parole
Verso la Centrale idroelettrica di Cassibile

altri resoconti di questo itinerario:

Di guerra in guerre…

Di guerra in guerre…

E’ passato un anno esatto da quel 24 febbraio che ha segnato l’inizio del conflitto russo-ucraino. Un anno dove questa guerra assurda e anacronistica ha tenuto banco tutti i giorni sui media, i giornali, il web, i discorsi. La nostra ossessione quotidiana…

Ho avuto occasione di toccare con mano le conseguenze del conflitto, cercando di aiutare alcune famiglie ucraine giunte fin qui, in Sicilia, per aiutarle ad iscrivere i figli presso le nostre scuole italiane (e se ne sono arrivati persino qui a Siracusa, a più di mille km di distanza, si può ben capire come si siano diffusi. I dati parlano di oltre 170 mila ucraini giunti in Italia e le nostre sono briciole, rispetto a quanto successo in Polonia). Il difficile di questi inserimenti scolastici è che l’integrazione è stata davvero difficile. Anche in classe, qualcuno continuava a seguire le lezioni on-line da Kiev sul suo cellulare, pensando “tanto finirà presto”.

E sappiamo tutti che questo presto si è ormai trasformato in un quotidiano “perdurante”.

Ho letto il breve testo di Edgar Morin, per tanti motivi. Non per ultimo il fatto che la lucidità di questo scrittore, ormai centenario, può essere un buon viatico per tante persone anziane che ritengono la proprio memoria una merce di poco valore. Ed è invece un tesoro importante, da non sprecare e non disperdere. Il popolo che non conosce la propria storia è condannato a ripetere gli stessi sbagli (e anche questa citazione ha la sua storia, da Churchill, Montanelli, Pasolini, Santayana…). Abbiamo persino visto popoli e persone non solo ripetere sbagli ancestrali, ma farne di peggiori.

Il discorso di Morin è molto semplice e la sua narrazione è molto chiara; ci ricorda i tanti tragici fatti che hanno costellato la nostra storia europea, senza entrare in troppi dettagli ma con l’acutezza del testimone diretto (non sono poche le testimonianze dei suoi anni come soldato dell’esercito francese, presente sul suolo tedesco proprio negli ultimi anni del conflitto).

Mi chiedevo ad esempio perché nel testo non si parlasse minimamente del tragico holodomor, la carestia che fu provocata dal governo comunista dell’URSS nel territorio dell’Ucraina dal 1932 al 1933, causando diversi milioni di morti. Ma è proprio la cronologia la discriminante che l’autore ha scelto, così di parlare solo a partire dagli eventi a ridosso della 2GM.

Il testo abbraccia quindi eventi noti e altri meno conosciuti per il lettore italiano, l’equilibrio dell’autore si fa apprezzare quando mostra i limiti e gli sbagli della nostra cultura occidentale, con le sue pretese da prima della classe e con le varie debacle che ha dovuto affrontare.

Senza azzardare giudizi su eventi nei quali siamo ancora pienamente immersi, ci ricorda le tristi conseguenze di scelte autoritarie, dissennate e imperialiste, a vario titolo. Per questo racconta delle storture dei governi comunisti e occidentali, russi e statunitensi, per non dimenticare che la realtà storica difficilmente si può spartire in facili antagonisti, da un lato i buoni (cioè noi) e dall’altra i cattivi (sempre gli altri). Questo aiuta a relativizzare certi giudizi tranchant che oggi vanno molto di moda nei dibattiti.

Lettura utile, quindi, per riflettere e non credere di avere già capito tutto.

Peccato che i protagonisti in questione sicuramente non si addentreranno in queste considerazioni. E per molti versi è persino comprensibile capire certe posizioni.

La settimana scorsa anche qui a Siracusa c’è stata una manifestazione per la pace, il 24 febbraio. Molti gruppi e attivisti presenti, di varia estrazione. Anche un folto drappello di mamme e famiglie ucraine. Ma quando nel gruppo dei sostenitori di questa manifestazione sono sbucate anche le bandiere di Rifondazione, con l’immancabile disegno della falce e martello, per queste mamme è stato immediato associare il simbolo a una realtà nemica e subito sono iniziate le difficoltà. Si temeva persino che potesse degenerare la manifestazione per la pace. Poi la calma ha prevalso, ma la donna ucraina che ha parlato è stata molto chiara: “Se domani Putin smette di combattere avremo subito la pace, ma se invece è l’Ucraina a smettere di combattere, domani l’Ucraina non ci sarà più”. Così, senza mezze misure e senza molte possibilità di obiettare… Come dargli torto in questa situazione? Una volta rotolati nella china della guerra è quasi impossibile trovare soluzioni semplici e sensate, ancor meno pacifiche.

Non sono un grande esperto di zone di guerra, ma anni fa, all’inizio del nuovo millennio, quando ho avuto l’occasione di passare alcuni giorni a Sarajevo, ho avvertito tutto il disagio e la tristezza di chi ha perso familiari, amici, persone, cose, monumenti, storia… dormivo in un palazzo semidevastato, con le colonne dell’atrio in parte bruciate e calcinate (e sinceramente la fiducia nella tenuta del palazzo era minima), ma per gli inquilini del condominio era già una grande ricchezza, poter vivere con la paura del crollo ma con un tetto sulla testa. Ho cercato persino le tracce del famoso incidente che ha scatenato la prima guerra mondiale. Tutto scomparso (ma come il ponte di Mostar, sicuramente verranno ripristinate, probabilmente più belle e più antiche di prima). Come siamo abili a ricamare i disastri della storia con le nostre parole…

Tra le rovine di Noto antica

Tra le rovine di Noto antica

Sabato scorso, 25 febbraio, una tiepida giornata invernale, un po’ coperta ma senza vento, in fine dei conti gradevole. Avevamo programmato da tempo una giornata di pausa, di riflessione, un semplicissimo ritiro per la nostra comunità.

Ma sui luoghi ci eravamo impantanati perché nei fine settimana certe mete sono decisamente gettonate. Abbiamo provato allora una nuova meta. Ci avevano parlato bene del Santuario della Madonna della Scala, nell’entroterra di Noto. E così fu.

La strada è poco diversa da quella che punta alla radice della Riserva di Cavagrande di Cassibile, quindi da Siracusa si punta verso Canicattini Bagni e poi si solcano le zone pianeggianti di questa sorta di altipiano; colline, terreni recintati dagli immancabili muretti a secco bianchi, qualche cespuglio di bosco appena accennato. In meno di un’ora si arriva nei pressi di questo santuario che già per la sua posizione richiama la mente e il cuore. Un paesaggio più aspro, solcato da canaloni abitati da ruscelli. Il luogo ideale per qualche necropoli antica, infatti non mancano le cavità e certi luoghi richiamano quasi immediatamente altre storie, altre presenze, l’Altro.

Il Santuario dalla strada quasi non si vede, protetto da un muraglione imponente, subito dopo un ponte arcuato. Ma lasciando la macchina proprio ai piedi delle scale e salendo i gradini, si giunge rapidamente ad un vista davvero suggestiva. Trovare un struttura così imponente praticamente in mezzo al nulla mette quasi soggezione. Ma da tempo questo antico convento carmelitano è stato ristrutturato e affidato dalla diocesi ad una comunità di recente nascita, la Comunità delle Beatitudini. La chiesa brilla fin dall’inizio per un pavimento allegro, luminoso e per questa iconografia della scala che mette insieme la presenza di Maria con la sognante visione della scala di Giacobbe. Una “porta del cielo” che si adatta a pennello alla figura della donna che ha spalancato sul mondo una nuova presenza e una nuova stagione della vita.

Il Santuario è immerso in una zona quasi orrida, con ruscelli e rocce che da secoli intagliano l’acqua, a volte con piccole modifiche umane per sfruttare il luogo. Vi sono tracce antiche, le solite buche nel sentiero di roccia per consentire il passo agli animali, solchi di antichi percorsi, canali che rendono meno difficile l’accesso all’acqua. Davvero suggestivo. Poco distante si intravede benissimo la cava che ha fornito la roccia per il grande edificio. Sembra un foglio a quadretti abbandonato sui fianchi della collina. Ma una sbirciatina da vicino ne rivela persino l’effetto futurista, altro che le tele squarciate di Fontana, qui ci sono solchi e percorsi che disegnano in modo netto questa roccia chiara. E pensare che da lontano sembrava quasi un muraglione in cemento armato in fase di disfacimento, con i ferri bene in evidenza…

Nel pomeriggio sulla via del ritorno, abbiamo preso la deviazione verso Noto antica; dopo essere stati tante volte nella Noto barocca, vedere queste mura possenti e poi il nulla, qualche avanzo di castello e di torre circondati dal silenzio, ricorda come il nostro tempo sia segnato più dalla natura che dalle nostre scelte. Il terribile terremoto del 1693 che ha profondamente segnato questa parte di Sicilia, si manifesta in tutta la sua tragica enormità. Mura possenti e pietro vigorose, ma le altre tracce sono ormai svanite. Anche in questo caso quello che sembra aver meglio resistito al morso del tempo sono …le antiche tombe greche o iblee che ancora fanno capolino.

Meglio lasciare il resto alle immagini, più che alle parole. Ecco alcuni scorci di questa giornata, tra il Santuario della Madonna della Scala e le rovine di Noto antica.