Il fascino di Staffarda…

Il fascino di Staffarda…

Ogni tanto riesco a farci capolino, una sbirciata veloce, almeno un tentativo. Quest’anno è andata bene!

Lo scorso anno avevamo trovato tutto chiuso, forse perché era proprio il primo gioroi di gennaio, così questa volta ho controllato meglio. Mi trovavo a Carmagnola per un incontro e nel pomeriggio una scappata in direzione Monviso ci poteva stare.

Insieme a fr. Paolo e a Juan (da Cordoba con tutta la curiosità di un giovane prof di storia!) ci siamo così diretti alla volta di questo splendido luogo.

Ricordo ancora la prima volta che l’ho visitata, quando non era ancora inserita nei circuiti ormai standard delle visite “interessanti”. Eravamo ancora nel secolo scorso; tra le pubblicazioni un po’ underground era uscito (forse per Stampa Alternativa?) un libretto con un centinaio di luoghi insoliti da visitare. Staffarda era uno dei più quotati… E siccome ogni tanto ci si passava vicini, un bel giorno sono riuscito a visitarlo.

Non c’erano ancora orari di visita precisi o indicazioni chiare; arrivati nel piccolo borgo abbiamo trovato uns acerdote, forse il parroco del luogo, che ci ha fatto un po’ da cicerone.
O almeno, questo è quello che la memoria e la curiosità mi riportano alla mente. Perché se si trattasse veramente del parroco dovrebbe essere Carlo Peano, autore, tra le altre cose, di una curiosa guida a Staffarda. Guida che non sono ancora riuscito a recuperare in nessun modo… alternativo 🙂 e pensare che dopo un po’ di ricerche in rete, il libro che su vari altri siti è semplicemente quotato con il prezzo di copertina, 12 € più che oneste, adesso viene riproposto da Amazon alla stratosferica cifra di 1890 €…

Insomma, mi porto dietro l’impressione che la nostra guida fosse proprio lui, perché ha iniziato con entusiasmo a portarci all’ingresso della chiesa per farci osservare con attenzione i livelli delle due prime colonne (“Toh, è vero, una ha il basamento e l’altra no…”), poi, indicandoci col dito per mostrare il fatto, insolito, che nelle volte successive non si riuscissero a vedere in modo corretto i punti centrali, che dovrebbero essere invece ben visibili, poi l’approssimazione degli angoli (“Tranquilli, qui dentro di angoli retti ne troverete ben pochi… la perfezione appartiene a Dio, non agli uomini”), l’altezza dei capitelli, che apparentemente sembrano ben allineati sono invece tutti posizionati su livelli diversi (“E provate a chiedere ad un architetto che complicazioni comporti una cosa del genere….”).

Ricordo quindi che ci ha fatto osservare questi e altri aspetti delle tante e incredibili asimmetria del luogo; che i capitelli del chiostro fossero tutti differenti non era certo un problema, è un tema ricorrente in molti conventi; anche in questo caso l’unicità artistica richiama la capacità dell’uomo e la sua peculiarità. Oltre alla splendida chiesa si sono conservati in parte alcuni altri luoghi, la sala capitolare, alcuni magazzini, qualche sala adiacente il chiostro. Purtroppo la battaglia di Staffarda tra Piemontesi e Francesi del 1690 ha pesantemente influito sull’Abbazia, colpita, in parte distrutta e abbandonata a lungo. Il lento recupero di questo gioiello non è ancora completato, ma proprio questa sua caratteristica ha consentito che il borgo e tutto lo spazio adiacente non abbia subito particolari modifiche negli ultimi secoli. Il che è già un bel risultato.

Girando per gli spazi, in questo pomeriggio invernale e quasi gelido, avvertire quindi l’effetto che doveva fare un tempo il convento (dove oltre ai luoghi comuni l’unico spazio un po’ riscaldato era lo scriptorium), rende molto bene l’idea di come potesse essere, un tempo, il modus vivendi quotidiano.

Tra qualche mese torneranno poi, come è ormai consueto, i pipistrelli, che qui hanno uno dei loro principali luoghi di raccolta. Oltre 1200 chirotteri per non parlare dei nuovi nati. Un tempo lo strato di guano che si formava nelle stalle dove questa colonia si è ormai stabilita, diventava merce preziosa…

Nulla si perde di questo antico tesoro!

Qualche spunto di riflessione, reuperato in rete:

Ecco le immagini di questa visita a Staffarda – sabato 4 febbraio

I dati meteo del 2022

I dati meteo del 2022

Finalmente è arrivato anche l’inverno, un po’ di freddo, un po’ di pioggia, un po’ di nuvolaglia grigia.

Ho pensato allora di sistemate i dati della piccola stazione meteo che sta sopra il nostro tetto, giusto per fare qualche rapida osservazione. La tabella conclusiva di questo anno da poco traascorso è la seguente:

Un dato che sicuramente fa impressione, dopo le abbondantissime precipitazioni del 2021 (che erano praticamente il doppio della media annual degli ultimi 50 anni a Siracusa, una media che si aggira sui 500 mm di acqua) è la scarsità di pioggia di questo ultimo anno, poco più di 2/3 della summenzionata media. Numeri che sicuramente hanno avuto un forte impatto sulle attività agricole, sugli approvigionamenti idrici ecc. ecc.

Quando poi si leggono i report nazionali che piazzano la Sicilia in fondo alla classifica delle regioni attente all’acqua, con una dispersione in linea con il sud Italia, di oltre il 50% e praticamente il doppio del dato medio nazionale… si rimane alquanto sconcertati.

In effetti da quando sono in Sicilia non ho mai sentito parlare di progetti o finanziamente per affrontare questo problema. Ma la gente è rassegnata, ti dice che “siamo in Sicilia” e si tira avanti!

E se non altro abbiamo approfittato del tepore di questo inverno, che ha evitato a lungo l’accensioni del riscaldamento e dei condizionatori, visto che i freddo è stato abbastanza contenuto.

Quasi tutte le ultime domeniche, passando sul bordo esterno di Ortigia contemplavo le decine di persone in spiaggia a prendere il sole! Non meraviglia leggere in rete che Siracusa detiene anche il primato di ore di sole durante l’anno, con un recordo di 346!

Lo dicevo io che a Siracusa praticamente si vive in vacanza tutto l’anno 🙂

Dalla pagina dedicata alla stazione meteo è possibile scaricare anche il file excel con tutti i dati.

Quei giorni dopo Natale…

Quei giorni dopo Natale…

Niente da dire: la pausa natalizia di quest’anno è stata una occasione per visitare luoghi (e persone) davvero significativi.

Difficile documentare tutto con precisione e costanza, di cose da fare ne sorgono sempre nei momenti apparentemente tranquilli, ma sottolineare alcuni di questi momenti è doveroso.

Proprio intorno a Natale siamo andati con tutta la comunità marista di Siracusa a trovare i nostri “vicini” di Giugliano in Campania, approfittando così dell’opportunità di visitare con un po’ di calma quella splendida città che è Napoli: il centro, le stazioni della Metro, il Cristo velato, la zona dei presepi… e naturalmente gli amici di Giugliano, con una cena di natale in pieno stampo napoletano (con il pesce che sgusciava da tutti i piatti).

Poi il nostro campo invernale coi bambini di Siracusa e quindi una settimana di relativa calma, ma puntellata, qua e là, da alcune incursioni in luoghi ancora da esplorare: il paese marinaro di Brucoli, le saline di Priolo, la riserva di Vendicari, le rovine di Eloro. Insomma, qualche luogo di notevole interesse, tutte zone apparentemente minori ma che a ben vedere definiscono quel ricco patrimonio, naturale e storico, che questa zona di Sicilia (anzi, la Sicilia tutta) hanno come retaggio.

In particolare ho apprezzato la località di Brucoli e i suoi dintorni, che avevo iniziato a sondare via Internet perché mi sembravano proprio zone interessanti. E devo dire che ne vale la pena. Ci sono stato così 2 volte, la prima il 2 gennaio e poi sabato 13, tanto per sottolineare la piacevolezza del luogo. Tra le altre cose volevo capire se il santuario di Adonai, così poco documentato su Internet, poteva diventare una meta interessante per potenziali incontri, ritiri, momenti comuni di relax.

Il Santuario di Adonai: abbiamo incontrato il responsabile che gestisce questo luogo, don Palmiro. Un prete spiccio, che prende il decespugliatore e mette ordine negli spazi verdi, senza nessun problema; ci ha illustrato rapidamente la situazione attuale del santuario, un luogo bimillenario, probabilmente il più antico santuario dedicato a Maria di tutto l’occidente, visto che qui il termine “Maria madre di Dio” era utilizzato ben prima del concilio di Efeso che lo stabilì come dogma nel 431 d.C. Una immagine molto rimaneggiata che fa bella mostra di sè nella grotta che ha dato origine al santuario; la zona è ricca di tombe già utilizzate nell’epoca greca e forse anche prima, sia per la tranquillità del posto che per la sua scarsa accessibilità, visibile com’è quasi solo dal mare. Il santuario con la struttura di accoglienza si trova a pochi km da Brucoli, lungo la costa, verso Catania, nella località Gesira, una zona costiera ancora intatta e libera da abusi edilizi. Una piccola conca (quasi un canale) incassata nel terreno, ricoperta di vegetazione. Era diventato luogo di rifugio durante le persecuzioni, poi, dopo il IV secolo, lentamente abbandonato, insieme al quadro mariano che la tradizione attribuisce alla mano del futuro vescovo di Lentini.

Nel 1600 la riscoperta fortuita e la nuova rinascita del luogo, che diventa centro di eremiti, l’ultimo dei quali conclude la sua vita negli anni ’50 del secolo scorso. Nuovo abbandono del luogo (e relativo saccheggio) fino alla ristrutturazione degli anni ’90. Oggi è luogo di incontri, raduni scout, colonie estive ed escursioni di scolaresche. Quasi 60 posti letto e un panorama mozzafiato a fargli da cornice(con lo sfondo maestoso dell’Etna), insieme a necropoli e boscaglia tipica del mediterraneo. Un luogo da visitare, raccomandato. Ci torneremo a breve…

Brucoli: è un piccolo borgo marinaro, 2 casette e un paio di vie che lo percorrono, una serie di abitazioni basse, con numerosi quadri dipinti (quasi tutti dalla stessa mano, in questo secolo) ovviamente a soggetto marinaro. Nato alle foci di un piccolo fiume che si butta nel mare dopo un paio di curve provvidenziali, così da offrire uno splendido riparo alle barche. Tanto speciale che veniva utilizzato già nel neolitico e ancora oggi alcune caverne e ripari di quell’epoca sono utilizzati dai marinai come deposito. Il paesino sorge nei pressi del castello Aragonese, un massiccio fortino proprio sulla roccia che controlla la foce del fiume. In queste spettacolari giornate di gennaio, con un sole smagliante, è veramente un paradiso di luce, odore salmastro e tranquillità; stradina a senso unico, con due giri hai completato il paese.

E pensare che nei secoli passati il suo piccolo porticciolo rivaleggiava con quello di Augusta in quanto a traffico per i cereali e per le derrate alimentari, complice ovviamente la posizione riparata delle sue navi.

Il complesso rupestre Pantàkias-Gisira: ma non basta, Guardando Brcoli su GMaps spicca immediatamente la presenza di uno stranno villaggio, nei pressi del santuario, razionalmente strutturato. Si tratta del villaggio turistico che la Valtur ha realizzato a cavallo degli anni ’70, una moda di quell’epoca e un tentativo di sfruttamento intensivo del luogo. A quanto pare questo villaggio non è mai decollato e non ha ricevuto quel traffico di persone che ci si aspettava. Eppure la scelta del luogo vanta degli illustri precedenti storici. Infatti, proprio vicinissimo a Brucoli, lungo il percorso del fiume, si trova un antico insediamento neolitico, tutto realizzato sfruttando la roccia calcarea e la sua posizione strategica. Dalle memorie dei viaggiatori stranieri (Brucoli si trova non per caso nell’itinerario del Grand Tour, interessante curiosare sulla pagina FB dell’associazione che ne cura la promozione). Durante la nostra visita ci siamo incuriositi di questo luogo e nonostante fosse ormai quasi buio, abbiamo cercato di visitare questa zona. L’itinerario non è per niente segnato, ma non è difficile seguire il corso d’acqua, la strada è praticamente una sola e obbligata. Ad un certo punto si incontra uno sbarramento di cemento (una presa d’acqua?) che blocca in pratica il fiume, proseguendo quindi sul lato destro (con le spalle alla sorgente, da bravi scout) ci si addentra in una sorta di fiordo dalle alte pareti e lungo il percorso si incontrano numerose grotte, cavità e anfratti che prima dell’arrivo dei greci, verso l’800 a.C. erano già ampiamente abitati dalle popolazioni sicane. Il luogo è affascinante, anche perché in questo periodo l’erba alta, i rovi, le frasche e la vegetazione la fanno da padrona. Molte grotte sono appena visibili e solo qualcuna è di facile accesso (ma poi ci ritrovi dentro l’immancabile segno dell’imbecillità umana che non perde occasioni per scritte fuori luogo).
Basterebbe davvero poco per valorizzare ancora di più questa passeggiata, questi luoghi, queste memorie.

Inutile dire che l’album fotografico su Brucoli e dintorni è particolarmente abbondante

Il famoso fattore T di Siracusa

Il famoso fattore T di Siracusa

Forse ho scoperto la pietra filosofale che risolve i problemi, il fattore che inserito con sapienza e costanza permette a questa piccola città di risolvere (o almeno di eludere) i suoi tanti piccoli problemi. Eppure era facile da scoprire e da riconoscere…

Ci avevo già pensato un paio di anni fa, quando in Via Agrigento, poco prima di immettersi su Via Piave, era successo un piccolo incidente: la strada era stata chiusa, transennata e fasciata con le onnipresenti strisce rossobianche del pericolo generico, cippi e paletti in mezzo alla strada per impedire l’incauto passare delle macchine. Sulla parete della casa sembravano più evidenti del solito alcune crepe, segnale di un possibile serio pericolo. Si provvederà alla manutenzione, alla riparazione, a breve sorgerà la solita impalcatura per consentire ai muratori di sistemare il tutto. Ma poi il tempo, col suo manto pietoso, si è impadronito del problema; poco alla volta, mese alla volta, sono scomparse le strisce rossobianche, poi i cippi, poi le macchine hanno ripreso a transitare. Ora non si nota praticamente più nulla. Tranne le stesse crepe sulla facciata. Non c’è stato nessun cantiere o riparazione (almeno visibile dall’esterno), ma tutto è tornato come prima. Risolto….

Un fatto analogo è capitato poche settimane fa in Via Enna, all’altezza del n. civico 29. Dopo le forti piogge di fine novembre abbiamo visto arrivare persino i vigili, con il mezzo, la scala, numerosi occhi attenti. Dal tetto si erano staccati dei calcinacci e logicamente uno si chiede se la stabilità del cornicione, ecc. ecc.

Come era prevedibile il piccolo angolo di strada, tutto il marciapiede e la zona di sosta viene transennata e inibita al passaggio.

Eravamo anche nei giorni vicini alla festa della santa Patrona, Lucia, e comunque su Via Piave il cantiere di rifacimento dei marciapiedi era ancora bello aperto e funzionante. A conti fatti un piccolo intervento, almeno per togliere i calcinacci, ci poteva stare.

Proprio nel giorno della festa, il 13 dicembre 22, la strada si presentava così.

Anche in questo caso uno si immagina i possibili interventi per sistemare, consolidare, ecc. ecc.

Ma basta tener conto del fattore T, per procedere con nonchalance; ecco infatti come si presenta la strada poco prima di Natale, il giorno 19 dicembre…

E siccome le feste sono anche implacabili e portano con sè mille altre domande, impegni e preoccupazioni, ecco come si presenta la strada nel nuovo anno, il giorno 4 gennaio ’23.

Le macchine hanno ripreso possesso dei loro spazi (che qui in Borgata sono ovviamente vitali…), i calcinacci sono al loro posto, in attesa di un degrado fisiologico che non mancherà (Siracusa vanta una storia quasi trimillenaria, nessuna fretta…)

Tracce di lavori o di interventi … visibilmente nessuno.

Ne consegue che il fattore T sia la soluzione migliore e storicamente più collaudata. Vedremo se la fine del tempo natalizio introdurrà qualche colpo di scena o intervento nuovo.

Una persona alla volta

Una persona alla volta

Quasi impossibile non conoscere Gino Strada, il fondatore di Emergency. Ci ha accompagnato per decenni con il suo esempio e la sua presenza scomoda, fino alla sua partenza definitiva, nell’agosto del 2021. Un missionario laico, così come laica è la sua visione della vita, una prospettiva squisitamente umana e ricca di impegno e determinazione.

In questo testo si incontra la persona viva, la sua storia e si entra in stretto contatto con le motivazioni che hanno portato la sua vita ad identificarsi con la realtà di Emergency.

Il libro si legge con passione e interesse, difficile quasi catalogarlo in qualche filone che non sia “esperienza di una vita”. Racconta della sua formazione iniziale, la scelta di diventare medico, le occasioni e le esperienze iniziali che lo hanno poi portato ad una scelta di campo ben precisa e alla fondazione di Emergency, con i suoi primi e importanti passi. A dispetto del nome una storia tutta italiana, anche se, fin da subito, dal respiro internazionale.

Un medico, a partire dal giuramento di Ippocrate, si schiera inevitabilmente dalla parte della vita e vedere come oggi questa scelta sia ancora così osteggiata, a volte irrisa e spesso considerata poco funzionale ai meccanismi politici ed economici, apre necessariamente gli occhi.

Nei racconti di Gino riaffora l’idea ingenua ma inesorabile di Raoul Follerau, uno dei personaggi simboli del dopoguerra, quello che chiedeva a Usa e Urss di destinare il costo di un bombardiere ciascuno alla lotta contro la lebbra, così da poterla debellare per sempre. Sappiamo bene come sono andate le cose. Dopo la lebbra abbiamo avuto tante altre sorprese, ad esempio Ebola…

Il sogno di utilizzare l’intelligenza e la capacità umana per il bene dell’umanità si scontra da sempre con le lotte di potere e di conquista.

Gino racconta la sua esperienza in Afghanistan, dove tutte le grandi potenze hanno fallito e la guerra “di controllo” ha partorito altra violenza, con la quale oggi dobbiamo ancora fare i conti.

E dopo l’Asia abbiamo l’Africa, dove Gino ha preteso di realizzare ospedali utili e persino “belli”, con l’aiuto di architetti del calibro di Renzo Piano. Come se la solidarietà dovesse per forza rivestirsi solo di baracche e provvisorio.

Ma non solo bellezza: efficienza e modernità; il suo sogno era quello di fornire il top della possibilità medica alle persone che non potrebbero mai permettersi nemmeno le cure di emergenza. E’ un ribaltamento forte del diritto alla salute, che va esteso e rafforzato. Non mancano, in questa ottica, i commenti amari sulla deriva della sanità italiana, che da faro dell’occidente rischia di arenarsi nelle secche di una privatizzazione che equipare la salute ad una merce e la cura ad un bene monetizzabile.

Libro interessante, stimolante e vivo, che obbliga a ripensare l’impegno sociale con uno sguardo veramente fraterno, laico e senza necessità di un surplus religioso; proprio per questo capace di stimolare riflessione e impegno.

Ed è un po’ quello che mi torna in mente quando, in occasione di sbarchi di migranti e incontri con la malasanità o le difficoltà di chi cerca di accedere alle cure necessarie, rivedo questa grande E che riporta alla ribalta la necessità di una risposta.