Di casa in casa

Di casa in casa

Ultimi giorni italiani di questo mese di agosto; li passo attraversando le case mariste del nord Italia.

Da Sanremo vado a Genova, ripercorrendo in treno un tragitto fatto chissà quante volte, chissà con quante aspettative diverse, impegni, attività. L’unica cosa che non mi sembra cambiata è il tempo che ci vuole per giungere fino a Genova. Ricordo un testo di Rigoni Stern che metteva a confronto i tempi di percorrenza del viaggio tra due località del Trentino in tempi ancora più antichi, forse addirittura quando parte del territorio era sotto il controllo austriaco. Bene, nonostante le magnifiche sorti e progressive che hanno reso il treno sempre più rapido ed efficiente, i tempi non erano praticamente cambiati, a distanza di decenni. Qui in Liguria le cose sono praticamente identiche; se negli anni 1980 mi servivano quasi due ore per questo tragitto, adesso, 40 anni dopo, ne servono due e una manciata di minuti…
treno Regionale Veloce numero 3375
Partenza da Sanremo = 22/08/2024 – 16:12
Arrivo Genova Piazza Principe = 22/08/2024 – 18:17

Però Genova è sempre Genova! Mi sono tolto persino lo sfizio di assaggiare l’acqua di Boccadasse, di mattina presto. Certamente non è il luogo più adatto per incontrare acque cristalline e limpide, ma la cornice del piccolo borgo marinaro è sicuramente impagabile. Specialmente se per arrivarci si devia un po’ per i caruggi.

E il tempo genovese si è diviso tra camallaggi vari per i traslochi di alcuni fratelli che proprio in questi giorni si stanno recando nelle loro nuove destinazioni, salvataggi da piccoli allagamenti e attività per il sito su Gianni Rodari sul quale insieme a Giorgio Diamanti stiamo lavorando ormai da anni. Ma questa è un’altra storia 😉

La tappa successiva era quella di Carmagnola, la residenza dei fratelli maristi anziani d’Italia. Bello incontrare nuovamente tanti volti noti e tante persone conosciute in tempi di energie giovanili e momenti brillanti, perché anche la sera di ogni vita ha il suo valore e la sua bellezza.

A tavola ero vicino ai due centenari della comunità, Martino e Giuseppe! Giorni tranquilli, di semplice presenza ed ascolto, nella cornice di una casa che potrebbe essere davverso suggestiva, anche solo per il ricordo dell’Alpestre che qui veniva prodotto fino al … secolo scorso. Ormai l’Alpestre è stato ceduto, marchio e tutto quanto, anche se rimane ancora sul mercato, ma per produrlo è evidente che le 34 erbe che lo compongono si meritano un trattamente diverso; un conto raccoglierle in montagna (cosa ormai praticamente impossibile), ma coltivarle tutte in pianura, ha un altro impatto. Curiosando nei locali è inevitabile imbattersi, ad esempio, nei quadri e locandine che fr. Gino Righetto aveva prodotto, a partire dagli anni 60, con il suo indiscutibile gusto di artista. Anche per l’Alpestre ho sempre in mente di preparare una pagina per raccontarne la storia, il percorso, le tante varietà di prodotti che sono nati, le imitazioni (sia in Francia che Italia), ci sarebbe quasi materiale per un docuromanzo… per il momento mi limito a raccogliere materiali.

L’ultima è una tappa di avvicinamento per la partenza verso la Spagna: la casa marista di Cesano. Sarà che averla vista quasi nascere, con il suo laboratorio ora sede del centro diurno l’Albero, non mi lascia certo indiffirente, soprattutto ora che la casa resterà per un po’ (…) chiusa, senza più la presenza della comunità. Erano quindi gli ultimi giorni di presenza, con Antonio e Marco già proiettati verso i prossimi traguardi. Placido e immobile rimane solo il gatto, anche lui ben radicato nella memoria, visto che le prime notti del suo arrivo dormiva tranquillamente in camera mia, per il freddo che faceva fuori…

Sono passato anche da scuola, a salutare il nuovo staff (Alessia e Andrea)) che da domani inizia questa nuova avventura (una scuola marista senza la presenza di fratelli maristi…), la nostra bravissima segretaria, Marina, punto di riferimento per le famiglie da più di 15 anni, uno sguardo alla sede del Fresco, segno della continuità del Gruppo della Famiglia Marista.

La storia si fa con queste piccole pennellate, come quelle che rimangono ben visibili nel sottopassaggio della stazione (bello vedere che il murales è in ottima forma!).

Ma adesso si riparte, si torna a Melilla, passando per un paio di giorni da Madrid, nella nostra casa di via Xaudarò, per un incontro con gli animatori delle varie comunità mariste della nostra zona, la provincia mediterranea, in vista del nuovo anno… un modo concreto per rimettersi in pista.

Non conto le case in cui sono passato, ma ricordo ogni persona, ogni momento, è il bello del viaggio.

Sgoccioli d’estate

Sgoccioli d’estate

Inutile cimentarsi in un diario pedissequo di questi giorni estivi, si rischia di rendere il tempo sereno, così ampio e tranquillo, un appuntamento obbligato e allora, fine del relax. Ma in questi giorni di occasioni interessanti e piacevoli ce ne sono state davvero tante, bello ricordarne qualcuna.

Un po’ di mare; venire a Sanremo e non bagnarsi nel mare è un po’ come andare in India senza un’abluzione nel Gange o a Dublino senza tracannare una guinness.
Noi abbiamo i nostri posti, la zona di Ospedaletti, il Byblos (ma solo perchè lì diventa meno improbo trovare un parcheggio, anche se poi la spiaggia, tutta sassi, è sempre un’impresa da equilibristi) e anche i 3 ponti, con le sue insenature ormai sabbiose e gradevoli. Coltivo anche la comodissima e semplice spiaggia dell’Imperatrice, ci andavamo già…nel secolo scorso, con amici, parenti, papà e mamma… insomma, un appuntamento quasi obbligato.

Altra tappa interessante, sui sentieri della Melosa: mercoledì 21 agosto, insieme a Paolo, mio fratello, siamo “evasi” dalle tante piccole faccende dei giorni senza orario fisso e ci siamo addentrati per la Valle Argentina, altro luogo mitico della nostra storia. Prima tappa Badalucco, poi in un paesino arroccato sulle colline che potrebbe benissimo aver ispirato Steve Jobs per il nome dei suoi device: Aigovo. Qui abbiamo persino trovato un gioco di bocce a disposizione delle folle di turisti 😉 partitella al fresco, al cospetto di un paio di asini intenti a brucare sul prato. Ovviamente ha vinto Paolo… Poi ci siamo diretti verso il colle della Melosa, proprio nei pressi del Rifuio, Da qui iniziamo a scarpinare senza una meta particolare, semplicemente camminare in montagna. Abituato ad Entracque, mi sento praticamente a casa, paesaggi simili, sassi simili, fatica identica… Abbiamo camminato per un paio d’ore lungo lo stradone, salutato una fontana senz’acqua (dal nome altisonante, Fonte Itala), da qui partiva il sentiero degli alpini che negli anni 30 hanno edificato fortini e caserme in vista del prossimo scontro con la Francia.

Giungiamo fino al Rifugio Gray, semi abbandonato, da dove si coglie un panorama splendido di questi monti liguri, non si vede il mare, ma lo si indovina… e qualcuno lo ricorda. Si vede invece benissimo la diga di Tenarda con il suo bacino artificiale, la riserva d’acqua di Sanremo e dintorni, bello pieno dopo le piogge abbondanti di questi ultimi periodi. Decidiamo così di scendere seguendo la scorciatoia tra i prati; in 45 minuti ritorniamo al Rifugio, adesso una bella birra fresca è la soluzione ideale per i tanti passi percorsi.

Riprendiamo la strada di casa, ma invece di ripetere il percorso del mattino ci dirigiamo verso Pigna. Sinceramente ho una meta nascosta che vorrei visitare, ma quando arriviamo al paese e iniziamo a girare tra i suoi caruggi (incredibile trovare in un angolo 2 enormi bobine di fibra ottica di Open Fiber! il paese è già praticamente tutto cablato!) e dopo aver ammirato il polittico del Canavesio nella chiesa principale, convinco Paolo a cercare anche l’altro spettacolare scrigno pittorico di questa valle; una serie di affreschi, sempre del Canavesio, che precedono di alcuni anni la splendida chiesa di Notre Dame de Fontan (la “sistina delle Alpi marittime”); purtroppo l’edificio è sacro, e pur telefonando alla guida locale (mi azzardo, si chiama Giorgio come me, ed è stato davvero gentile al telefono), ma sarà per un’altra volta.

Per oggi il giorno è già stato abbondante di sorprese e di regali.

Ecco alcune foto del giro fatto da Badalucco alla Melosa

C’eri mai stato a Ceriana?

C’eri mai stato a Ceriana?

Spesso dico che Sanremo è un po’ la mia città, sicuramente quella dove ho vissuto, un po’ a singhiozzo, lo ammetto, tanti momenti della mia vita vagabonda; spesso d’estate, durante i momenti di pausa tra una scuola e l’altra, un’attività e l’altra. Ma dire che la conosco bene è un azzardo. Sicuramente oggi conosco meglio Giugliano, Cesano, Siracusa, e probabilmente anche Melilla…

Però resta questo appiglio nella memoria da collegare all’infanzia, ai primi anni di esplorazioni.
Poi sono tanti i luoghi dell’entroterra che hanno il loro fascino discreto ma evidente: Carpasio, Bussana, Taggia…ricordo una mattina passata a girare per Ventimiglia alta, dopo averne visto alcuni scorci, la Cattedrale, i bastioni sul Roja. Spesso giriamo il mondo per scoprire che le nostre terre hanno già tutto quello che serve per ammaliare e consolidare radici…

Anche per questo motivo non ero mai stato a Ceriana. Sapevo grosso modo dove si trovava, ma non era una di quelle località lungo i percorsi soliti che si facevano d’estate. Così questo pomeriggio domenicale ho deciso di puntare verso questo paesino delle valle Armea. Una decina di km di strada, uscendo da Sanremo est, inizialmente si percorre proprio la famosa traiettoria del Poggio di Sanremo, il tratto finale della gara ciclistica. “Spera solo di avere buoni freni”, mi dicevo assaporando, in salita, questo tratto che i corridori percorrono in discesa a manetta, nemmeno il tempo di gustare il deliziosa panorama di mare e porto sottostanti.
Rapidamente l’accozzaglia di case lascia spazio a un diradarsi di abitazioni, piccoli grumi di abitato, i pini riprendono il sopravvento e la macchia mediterranea si riappropria del terreno. Tante curve, tante strettoie, per fortuna, domenica pomeriggio, pochissime macchine.

Di colpo si sbuca davanti al paese, come al solito la strada provinciale lambisce uno dei suoi bordi, mentre vedi che l’abitato è tutto concentrato verso il suo centro. Colpo di fortuna nel trovare un parcheggio non troppo distante e poi inizio a vagabondare. Ieri doveva esserci stata la sagra della salsiccia di Ceriana ma per un’allerta meteo deve essere saltato tutto. Il paese così risulta persino ordinato, lindo e senza tracce di invasioni di turisti.
Giro senza meta, mi avvicino alla chiesa parrocchiale che è al cuore di questo borgo, un chiesone grande e imponente, per fortuna aperto; al suo interno è spettacolare il polittico dedicato a san Pietro. Merita davvero un’occhiata tranquilla, attenta e minuziosa.

Poi cerco tracce di altre mete interessanti, leggo di una chiesetta poco fuori dal centro e tento di andarla a raggiungere, ma dopo essere passato davanti alle scuole elementari ed essermi inerpicato sulle fasce sempre più incolte, capisco che non è il momento. Torno nel centro e punto verso l’altra chiesa interessante, fondata su un preesistente tempio romano (dopo Siracusa mi sembrano sempre agganci storici fino troppo recenti). La trovo ma è chiusa, la sua piazzetta silenziosa e tranquilla (vorrei ben vedere, tutta la gente ancora a tavola, saranno le 2 del pomeriggio!).


C’è anche una mostra itinerante, un museo sospeso tra i caruggi, ma si tratta quasi solo di fotografie, suggestive ma solo foto, qualche opera penzolante e vibrante all’aria, qualche composizione che richiama gli allestimenti food di un qualche supermercato di tendenza…
E così si scende, si gira, ci si chiede come possano vivere in questo borgo persone a mobilità ridotta, con tutti questi scalini e salite.
Forse il fascino degli scorci tranquilli, delle gallerie abitate, delle porte ben curate, dei panorami incredibili su piccoli gioielli architettonici (la chiesetta che si vede sbucare dal fondo è davvero uno spettacolo ammaliante…)
Si ritorna a casa con gli occhi pieni. Ne vale la pena.

Qualche foto? Ecco l’album fotografico su Ceriana

tanto per leggere

tanto per leggere

Estate, tempo per recuperare quei titoli da leggere che aspettano da tempo, sul tavolo, su qualche scansia, sull’e-reader… ma come ne inizi uno subito spuntano altri suggerimenti, altre curiosità, altre piste da esplorare. Meglio così, leggere ha davvero poche contro-indicazioni e rimane uno sport al quale tutti possono accedere.
Proprio in questi giorni mi sono lasciato ispirare da un link di un’amica teologa e dal titolo del “pezzo” in questione: il ruolo della letteratura nella formazione… l’autore è certamente un personaggio che se ne intende: papa Francesco. Da giovane è anche stato docente e formatore dei giovani gesuiti argentini e la sua passione per la letteratura è risaputa.

Sono dieci paginette interessanti e stimolanti che si leggono rapidamente (per fortuna!) e che lasciano il gradevole retrogusto del “ne vorrei ancora”; se non altro sono una motivazione in più per apprezzare la lettura, la letteratura e tutto quello che gli gira intorno. Che non è mai poco e spesso aiuta a digerire tutto il resto.

Certamente, leggere è un moltiplicatore della vita, delle esperienze e delle conoscenze, questi giorni di relax sono un’occasione ghiotta per approfittarne; cercando di non ingolfarsi troppo nei “consigli per le letture” (come questo, del Post che è comunque interessante) e prendendosi la sacrosanta libertà di leggere quello che ci piace, che ci capita, di smettere a metà un libro che non ci attrae più, di parcheggiarlo nel territorio dei buoni propositi, di curiosare nelle liste di lettura degli altri…

Qui sotto il testo, nella versione italiana

Dopo la ricreazione…

Dopo la ricreazione…

Benedette vacanze, si riesce persino a concludere qualche libro rimasto in stand-by.
Cosa sono stati gli anni di piombo per noi che li abbiamo semplicemente attraversati senza particolari eventi di contatto? Ricordo le ispezioni con i militari armati sugli autobus dell’Acotral che facevano servizio nei castelli romani, le dirette televisive quando è stato ritrovato il corpo di Aldo Moro, il clima perdurante di occupazione di sinistra negli ambienti dell’università romana (e alcuni amici ci “invitavano” a mangiare alla mensa universitaria, di straforo, come se fosse una pratica abituale…). Le tante lapide che poi sono spuntate a memoria di eventi tragici (una delle prime, vicino allo Champagnat di Genova, proprio alla fermata del bus, per ricordare uno dei primi attentati ai magistrati).

Sono passati ormai vari decenni da quel periodo tormentato; la produzione di libri su quell’epoca, sui personaggi è imponente. Mi sono imbattuto, grazie ad una segnalazione di amici, nel libro “La ricreazione è finita”, di Dario Ferrari. Leggere questo testo mi ha fatto rivivere in modo insolito quel periodo e le tante diverse prospettive che di un evento si possono avere e coltivare.

Libro insolito, osannato e grondante di recensioni lusinghiere, infarcito di libri e di cultura, anche se il protagonista spudoratamente si dichiara alieno da questo contesto, che però tallona da vicino, se ne nutre e vi accenna costantemente. L’ambiente accademico vi viene descritto dall’interno e in modo decisamentre vivace, per nulla edulcorato.
A sbirciare nella biografia dell’autore è facile poi trovare analogie e somiglianze con il protagonista trentenne (gli eterni trentenni che sfiorano persino i 40 e oltre…).


La storia è quella di una persona senza apparenti qualità, un bamboccione verrebbe da dire, che si trova quasi per caso invischiato in un percorso quasi universitario, riluttante e sempre poco convinto; diventare ricercatore nella cerchia di un noto docente, un barone riconosciuto e abbastanza osannato, che gli affida in pratica un lavoro di ricerca che potrebbe essere banalmente svolto senza infamia e senza lode. Si tratta di ricostruire in modo organico la parabola culturale, se non proprio letteraria, di un personaggio di terza o quarta fila di quegli anni di piombo, protagonista, insieme ad altri improbabili brigatisti, di un gruppo di sinistra che vuole portare avanti il suo discorso e la sua partecipazione alla rivoluzione che alcuni militanti hanno cercato di avviare. Buona parte della storia si ambienta poi in Italia, crocevia obbligato per tanti latitanti e brigatisti scivolati tra le maglie della memoria e ormai quasi dimenticati. Il nostro personaggio, tra magagne familiari, problemi di relazione con una fidanzata fin troppo paziente e meritevole, tra amici del bar che poco confidano nelle sue capacità, poco alla volta si lascia ammaliare dalla storia di questo personaggio, morto in prigione dopo un lungo periodo, 20 anni, di carcere, senza che si sia fatta veramente luce su quanto realmente avvenuto.
Il finale è originale e ben congegnato, anche se poi la effettiva portata del colpo finale viene ridimensionata dall’indole mite e sempre arrendevole del protagonista.

oplus_32

Lo stile è molto gradevole, snello e persino le divagazioni letterarie vengono sparse con leggerezza. Si ripercorrono il clima sociale che regnava in Italia negli anni 70, si avverte bene il divario tra gli ideali di sinistra e le effettive conquiste poi ottenute, si incontrano personaggi della porta accanto, pennellati in modo rapido e realistico. Una lettura che può appassionare per la leggerezza del modo e per la profondità del tema. E non solo politico o sociale, in fin dei conti anche culturale ed esistenziale. Il dramma di fondo è sempre quello delle tante persone che non riescono a fare della propria vita un qualcosa di valido o di sensato, si vive sempre in attesa, nell’aspettativa di un domani più stabile e dignitoso e intanto si dilapida il tempo. Significativa la citazione di Calvino (pensavo di essere incompleto, invece ero solo giovane) che alla fine del libro viene tragicamente ribaltata: pensavo di essere giovane, invece ero solo incompleto, che diventa quasi la cifra definitiva del protagonista.