Alla ricerca di chiarezza…

Alla ricerca di chiarezza…

Stiamo ripartendo con un nuovo anno, scolastico, sociale, operativo in tutti i sensi. Ormai abbiamo sulle spalle un’esperienza di svariati mesi tra lockdown, limitazioni, zone gialle e multicolor. Sarebbe bello che nel frattempo avessimo davvero imparato qualcosa… Ma si direbbe che la superficialità e il pressapochismo siano davvero duri da estirpare. La logica e il buon senso spesso sembrano quasi dei rifugiati in disperata attesa di un qualche spazio dove attecchire.

E quello che vedo qui in Sicilia spesso cozza contro il buon senso.
Solo qualche pennellata…

Lunedì 30 agosto, ritorna Nina dal Brasile: volo aereo con scalo in Spagna. Inizialmente sembrava quasi che non potesse proseguire per l’Italia, viste le limitazioni legate alla zona di provenienza. Poi tutto tranquillo. Arriva a Catania e in teoria dovrebbe seguire un percorso particolare, con obbligo di tampone. Coscienziosa com’è si era documentata ampiamente sul da farsi. Dal sito siciliasicura.it alle pagine dell’ASP. In teoria le informazioni erano chiare. Quello che invece risulta totalmente assente sono i link e i contatti per segnalare doverosamente la propria situazione. Niente mail di riferimento ufficiale, o se ci sono nessuno risponde (aveva già provato prima dell’arrivo); indicazioni un po’ contraddittorie (la quarantena dovrebbe essere di 10 giorni, ma per i vaccinati ne basterebbero solo 5, oppure 7…?), nessun telefono da contattare. All’uscita dall’aeroporto, inoltre, nessun corridoio sicuro, chi voleva poteva tranquillamente uscire senza nemmeno farsi il tampone. Nessun controllo.
Ormai Nina ha quasi finito la sua quarantena, relegata in casa da 10 giorni e il problema domani sarà superato; mi chiedo però quante altre persone siano state attente e coscienziose come lei…

Settimana successiva, domenica sera, vado a prendere Kike, sempre all’aeroporto di Catania. Stessa identica storia: all’uscita le persone sono tranquillamente libere di fare quello che preferiscono, senza percorsi obbligati per le provenieneze critiche (eppure sono ben indicate nei documenti e nella segnaletica dentro l’aeroporto). E poi, perché perdere altri 20 minuti in coda, per fare un tampone e aspettare il risultato? Meno male che anche Kike è molto scrupoloso (d’altra parte nell’attività che svolgiamo insieme al CIAO questo ci sembra il minimo, come forma di rispetto e sicurezza per tutte le persone che incontriamo). Mentre lo aspetto fuori dell’hub predisposto per i tamponi (che si trova ben lontano dall’uscita, con un corridoio di transenne liberamente “flessibili”) parlo con l’incaricato della Regione Sicilia, gli faccio presente questa incongruenza, ne parliamo un po’ insieme. Mi dice che lo sanno, che non dipende da loro ma dall’organizzazione dell’Aeroporto… insomma, un po’ di chiacchiere che alimentano solo la delusione per un approccio a questa delicata realtà così superficiale e inefficiente.

Non per niente la Sicilia è di nuovo zona arancione, il numero di vaccinati è inferiore a quello di quasi tutte le regioni italiane (e nessuno sembra voler affrontare con la necessaria decisione questo problema), il numero dei nuovi contagi è già preoccupante (oltre mille!), la piccola Siracusa si ritrova con numeri già visti mesi fa e non proprio confortanti….

Provo a cercare altre dritte sui siti ufficiali. Ma a quanto pare il sito dell’Azienda Sanitaria anche oggi ha deciso di prendersi una pausa di relax, (alle ore 9:50 questo è il risultato)

Asp.sr.it Status
Is asp.sr.it down right now?
It’s not just you! asp.sr.it is down.

(alle 10:17 sembra nuovamente raggiungibile)

Quello che noto con disappunto è il costante livellarsi al ribasso sull’accettazione di questa situazione.

Ora la scuola sta ripartendo e questo comporterà un maggior rischio di contagi, legati agli spostamenti, genitori che accompagnano i bambini, assembramenti a scuola, normale routine del traffico e dei trasporti. Per evitare nuove chiusure sarebbe saggio agire con maggior serietà. Ad esempio la mascherina che in questi giorni dovrebbe essere obbligatoria anche all’esterno. Ma girando per la città non si direbbe…

E poi aggiungiamo le altre “sorprese” che restano difficili da comprendere: ad esempio, le amiche del CPIA che svolgono il loro impegno presso la struttura del CIAO sono rimaste un po’ spiazzate da alcune decisioni che dovranno seguire nei prossimi giorni. Come quella di verificare il greenpass TUTTI i giorni di servizio. Un po’ come chiedere la carta di identità ad una persona, tutti i giorni, per verificare che sia sempre e proprio lui. Una volta si relegavano queste indicazioni nella sezione “barzellette sui carabinieri”. Ma quando poi vedi che hanno persino ricevuto un tablet con l’APP di verifica per svolgere questo compito e una serie di fogli sui quali registrare quanto verificato, si rimane davvero un po’ perplessi. Anche perché questo greenpass se lo devono controllare solo tra di loro docenti (non si chiede il green pass agli studenti)… misteri della burocrazia.

Ora non mi resta che contattare il nostro hub vaccinale di Siracusa, per chiedere se è ancora possibile inviare persone a fare il vaccino anche senza prenotazione (e magari anche con la tessera sanitaria scaduta); ma mi sto imbarcando in una nuova odissea. Cercando su Google alla voce Urban Center (il nostro hub) viene proposto un n. di cellulare; lo provo subito, ma risponde la segreteria telefonica di Tim. Riprovo sul sito dell’ASP, ma è ancora down, guardo allora sul sito del comune di Siracusa per avere qualche supporto e trovo la sezione dedicata al Coronavirus.

Trovo per fortuna alcune info: INFORMAZIONI VACCINAZIONI: URP 0931 484349/484360 email urp.siracusa@asp.sr.it ma tento inutilmente di telefonare; dopo una lunga attesa la chiamata viene staccata, stesso risultato con entrambi i numeri. Eppure siamo a metà mattinata… mi rassegno ad inviare una mail (e per sicurezza provo a farlo da un indirizzo istituzionale, magari le faranno più attenzione…).

E queste dovrebbero essere le priorità, o almeno tematiche importanti. O forse no?

Bellini, questi luoghi di Catania ;-)

Bellini, questi luoghi di Catania ;-)

Sto per iniziare il mio terzo anno qui in Sicilia, da Siracusa a Catania ci sono meno di 60 km, eppure, a parte le necessarie toccate e fughe presso l’aeroporto, non ero mai riuscito a ritagliarmi un po’ di tempo per visitare questa città. A dire il vero mi ero persino fatto consigliare da Mariagiovanna su un possibile itinerario di visita (e meno male che lo avevo scritto, perché pensavamo di andarci come comunità), ma tra una zona rossa e una a pois, le cose non sono andate esattamente nel migliore dei modi.

C’è voluta proprio l’occasione del fratello vacanziero per dedicare finalmente una giornata a Catania.

E ne valeva decisamente la pena, perché ho scoperto come la realtà siciliana non sia semplicemente identificabile con le belle cittadine barocche, un po’ trasandate e sonnacchiose come Modica, Ragusa e Siracusa….

In questi giorni Google Maps doveva avere le sue cose, perché ogni 3×2 esordiva con un “strada sconosciuta” oppure un enigmatico “fare inversione e tornare indietro”, anche se la strada era di quelle importanti e ben segnalata. Comunque, mettendone insieme un paio (chissà perché nella stessa macchina due versione di GMaps sembrano avere identità ed itinerari autonomi!) siamo finalmente arrivati alla zona in cui volevamo parcheggiare: la Via di Sangiuliano. Avevo rispolverato le note messe da parte, senza dilungarmi troppo sui siti ad hoc (tipo: le dieci cose da vedere assolutamente a Catania… per questi link ci pensava Lida).

La nostra prima meta era la piazza del teatro Bellini; doveva essere anche la tappa giusta per una granita e la brioche col tuppo, ma siamo capitati male. L’unico bar aperto della piazza ne era incresciosamente sprovvisto. Allora giusto il tempo di uno sguardo al teatro. Mi sono messo d’impegno e ho percorso tutto il suo perimetro, restando un po’ perplesso per l’esagerazione dei murales, il senso di abbandono e di quasi degrado da cui era circondato l’intero edificio. Difficile convivere con officine, autoriparazioni, saracinesche chiuse da anni, manifesti alternativi, scritte fluo dalla dubbia interpretazione, ma così succede. In compenso almeno la facciata, che collega magnificamente gli edifici attigui, ha la sua maestosa imponenza.

Poi ci siamo diretti verso il cuore della città: la piazza sulla quale si affacciano il Duomo, il Comune e la splendida fontana dell’Amenano. A dire il vero la prima tappa è stata presso il caffè Prestipino. Questa volta non siamo rimasti delusi, anzi, ammirando gli scaffali che grondavano di dolciumi, cassate, cannoli e altri veleni per diabetici, le nostre convinzioni sulla scelta del da scegliere traballavano visibilmente. Poco male, ci siamo rifocillati e poi abbiamo iniziato a contemplare il resto. La fontana dava veramente l’idea di un velo d’acqua impalpabile e fresco, il “lenzuolo”, come viene chiamato dai ccatanesi e quello spazio bianco e tremolante aiutava in qualche modo a sopportare il sole torrido. Poi il duomo, spettacolare e immenso, che richiama almeno per le dimensioni le basiliche di Roma (ormai io mi sono un po’ dimensionato sulle ridotte misure siracusane e il nostro duomo, al confronto, sembra una parrocchietta). E non per niente il primo uomo illustre sepolto in questa chiesa, lo incontri appena entri, è proprio il famoso compositore Bellini. Che dire poi dell’elefante in pietra nera che svetta nel centro della piazza? Dal 1239 è il simbolo della città e riporta indietro nel tempo, viene da pensare a Pirro o Annibale (l’origine della statua sembra infatti legata al periodo cartaginese), ma verrebbe anche da sottolineare il fatto che un tempo gli elefanti, quelli nani, erano di casa in Sicilia, per lo meno, nel …pleistocene. Anche il vicino palazzo del Comune (non per niente si chiama Palazzo degli Elefanti) riserva qualche sorpresa; nel suo androne d’ingresso, vi sono infatti delle splendide carrozze del 1700, una delle quali viene utilizzata ancor oggi, durante i festeggiamenti per S.Agata.

Ma dopo questa abbuffata storico-religiosa, ci siamo deliberatamente confusi nella Pescheria, cioè nel mercato popolare che si snoda nelle vie, nelle piazze e nei sottovarchi a sud della piazza. Un miscuglio di odori e colori, pesce e frutta, verdure e primizie, noci dell’Etna grandi come mele, fichi d’india già belli e pronti e profumo d’arancini (o dovrei dire arancine? hic est busillis); quando ci siamo seduti ad uno dei tanti street food self-service della zona, eravamo già belli che appagati in tutti i sensi (per lo meno, quelli che fanno parte del club dei 5).

Poi una scappata fino al castello Ursino, altro segnaposto di Federico II, tutto circondato come si ritrova oggi dalla lava. Riesce difficile immaginare che all’inizio era proprio a pochi passi dal mare. Meriterà una visita più calma, almeno per vedere il museo all’interno.

E per finire abbiamo dovuto fare una concessione a Lida, e inoltrarci nella “vasca” catanese di Via Etnea. Così l’itinerario era un po’ in versione step&go, con frequenti pause per contemplare le vetrine, ascoltare le dissertazioni dei commessi di Siculamente e cose del genere, superando di slancio le rovine dell’anfiteatro romano (si fatica davvero a coglierne l’imponenza, visto che doveva essere secondo solo al Colosseo di Roma); siamo giunti fino ai giardini di villa Bellini e lì ci siamo arenati un po’, prima di riprendere la strada verso l’aeroporto. Per Lida e Paolo il tour siciliano era ormai alla fine. Ma il bottino di bellezza, colori e sapori che avevano ormai raccolto, non aveva più bisogno di valigie per essere contenuto…

Ecco un album fotografico delle cose belle viste a Catania

A zonzo da turista…

A zonzo da turista…

In questi giorni sono in versione “quasi turista”, insieme a a mio fratello Paolo e Lida, sua moglie. Prima della ripartenza delle attività stiamo assaporando un po’ di zone caratteristiche della Sicilia. E siccome sono davvero tante e rimane sempre l’imbarazzo della scelta, ecco alcuni degli itinerari di questi giorni:

Taormina: il fascino che esercita questo luogo è decisamente forte, tutti quelli che passano di qui prima o poi ti chiedono di andarci o di visitarla almeno rapidamente. Per noi che abbiamo bene in mente Sanremo sembra quasi di assistere alle prove per un gemellaggio. Zone totalmente diverse, ma quando c’è il mare di mezzo balzano agli occhi soprattutto le somiglianze.

Così venerdì (meglio evitare i fine settimana, siamo ancora ad agosto e la Sicilia pullula di turisti) siamo partiti di buon mattino per andare in questo luogo spettacolare.

Ormai ci sono stato un paio di volte e diventa meno complicato orientarsi e organizzarsi, anche perché una visita generale è davvero semplice: metti il teatro greco all’inizio, poi ti avventuri nella vasca principale (il Corso Umberto, che va da porta Messina a Catania, i confini ideali della città), lasciandosi attrarre dalle case, i negozi, gli scorci pittoreschi, i tanti richiami gastronomici… alla fine ci sta bene una visita al giardino comunale, il lascito della famosa Lady Florence Trevelyan, una delle prime turiste della cittadina (quando arrivò nel 1884 con i suoi 5 cani e la sua dama di compagnia dalla Scozia, a Taormina c’era un solo albergo!).

In pratica ci siamo orientati proprio in questo modo, con molta calma e relax, visto che fare il turista richiede anche questo sovrumano distacco … 😉

Prima di iniziare avevo recuperato l’indirizzo della nostra “vecchia” scuola marista, in Via Pirandello 75. Adesso il suo giardino è utilizzato come uno dei tanti parcheggi per la cittadina, letteralmente invasa da macchine e turisti. Ma ho apprezzato con piacere il cartello che si trovava vicino ai locali della scuola, che continuano a fornire un servizio educativo, grazie all’attività della parrocchia. Vi campeggiava un bella scritta: Follest 2021; penso che fr. Claudio possa essere contento che l’attività lanciata come maristi prosegua ancora oggi, il campo estivo per i ragazzini di Taormina. Mi sembra un bel segno e un ricordo costruttivo.

Il teatro greco di Taormina è sempre uno scorcio suggestivo, forse più per il panorama che domina, per le aperture che suggerisce, la possibilità di cogliere Etna e Calabria con una semplice rotazione del capo… la cavea e il palco erano impegnati per l’allestimento di un concerto (se non sbaglio anche De Gregori in questi giorni è di scena qui); molte sedie di plastica avevano preso il posto dei semplici sedili di pietra o legno, con un effetto un po’ strano per chi si immaginava degli spalti più sobri (ma sicuramente più scomodi…); facevano da pendant a questa scenografia numerose opere d’arte (?) esposte lungo l’itinerario, sculture di metallo a volte colorate con tinte vivaci, a volte confuse con possibili pannelli di lavoro per la ristrutturazione. Originali, per lo meno, i titoli delle varie opere, spesso imprevedibili, misteriosi, allusivi… divertenti

Ci siamo fermati per il pranzo in uno dei tanti locali lungo la via principale (in questi casi è Lida che poi provvede alla valutazione, spietata o partecipe, su Tripadvisor…) e abbiamo concluso la visita passando nei giardini della villa comunale, un parco pubblico tenuto veramente bene, con attenzione e garbo (anche se alcuni degli edifici ormai datati sono in parte chiusi e pericolanti, Lady Florence li aveva pensati come sedi per gli alveari delle api!).

E certamente non ci sono sfuggiti i tanti balconi esuberanti, con piante grasse e ceramiche locali che letteralmente grondano dalle case, rendendole pittoresche ed uniche.

Ecco allora un po’ di fotografie di questo itinerario, a zonzo per Taormina

Sabato 28: continuiamo con le “escursioni” estive…

Il giorno dopo aver visitato Taormina ci siamo dedicati ad un momento di relax… nella cornice quasi esotica della spiaggia del Minareto, non lontana dal centro di Siracusa (10 km); la mia prima folle idea era quella di convincere Paolo e Lida a noleggiare due bici e fare il tragitto pedalando… ma questa opzione non combaciava con la loro idea di relax, pertanto, pochi minuti in macchina e via, verso l’Isola, come dicono qui i locali.

La spiaggia è davvero caratteristica, per metà è una spiaggia privata dell’Hotel Minareto (un 5 stelle fa sempre il suo effetto e forse è una garanzia per il luogo) la parte restante, comunque discretamente ampia, è libera. La cosa più attraente è comunque il mare e la costa, con le sue falesie, le sue grotte, il suo fondale, ricco di praterie di poseidonia (si dice così?), con un paio di occhialini e la maschera si può apprezzare anche la tanta vita marina di questo luogo. Un posto che merita, decisamente.

Nel pomeriggio invece ci siamo diretti verso Modica e Scicli, quasi sfuggendo alla bomba d’acqua che ha colpito Siracusa (26 mm in poche mezz’ore, tenendo presente che da aprile fino ad oggi erano caduti solo 4-5 mm di pioggia in tutto!). L’itinerario, in prima battuta, doveva comprendere anche Ragusa, ma poi l’afflato di Montalbano ha preso il sopravvento….

Modica l’avevo già vista tempo fa a gennaio del 2019, ma fa sempre bene ritornare sui propri passi, anche perché quella volta la fretta e il gruppo erano un po’ limitanti. Questo pomeriggio invece, con calma, abbiamo lasciato la macchina proprio sotto il duomo e ci siamo fatti con pazienza gli scalini (quelli ufficiali sono 164), apprezzando l’impatto visito che è davvero spettacolare. Poi come sempre accade, sembra che la cornice sovrasti il quadro e l’interno della chiesa sembrava quasi normale. A parte il calendario astronomico che aiuta a riportare lo sguardo alle stelle e un po’ più in alto del solito. Ci siamo quindi addentrati nelle viuzze, incontrando una sposa nel suo giorno più bello (ma penso che valga anche per lo sposo, soprattutto in questo giorno!), e il suo candido abito bianco sullo sfondo del paese era un tocco raffinato. Poi siamo passati vicini alla casa di Quasimodo (ma già le case grondano di poesia e di oboe sommersi…) e abbiamo dribblato con cura i tanti negozi che ti propinano il famoso cioccolato di Modica (con la convinzione che poi tanto si sarebbe sciolto e avrebbe perso le sue caratteristiche! io invece ho assaggiato anche quello all’arancio ed ero pronto a correre il rischio :-).

E ci siamo così diretti verso Scicli. Premetto che di Camilleri ho letto solo uno dei suoi ultimi testi, Dimmi di te, decisamente meno legato al suo filone tradizionale del giallo. Penso di non aver mai visto una puntata intera del famoso commissario Montalbano, ma mi sono lasciato contagiare da Lida che in pratica ci aveva dirottati a Scicli proprio per poter vedere i luoghi del set originale del suo commissario preferito… Così dopo una estenuante attesa per una pizza al Pura Follia (ci avevano relegato in un vicolo, sotto un terrazzo con i tappeti penzolanti, Lida era quasi sul punto di andarsene, ho giocato un po’ la carta del caratteristico, del local a tutti i costi, del made in sud … al resto ci ha pensato l’ottima pizza. Poi abbiamo iniziato l’esplorazione del centro. Pensavo che Scicli fosse poca cosa, un piccolo abitato; ma mi sono scontrato con una marea di gente, trenino del barocco compreso, turisti, locali, tutti riversati fuori casa, complice una serata gradevolissima e quel finale d’agosto che invita proprio ad uscire: una vera folla.

Poi Lida, googlando un po’, ha rintracciato la sua meta tanto ambita, siamo giunti davanti al palazzo Comunale e fortunatamente per noi, pur essendo ormai le 21:30, abbiamo trovato la cooperativa che assicura la visita ai luoghi del commissario più noto d’Italia ancora aperta e disponibile, anzi, disponibilissima e divertente. Così ho iniziato il giro con Lida, entrando in quelli che per me erano semplici locali e uffici, mentre per lei erano un ritorno al passato, alla storia, al mito del “Montalbano sono!” Ma così sono i personaggi di culto.

Io a dire il vero mi sono deliziato di più nel contemplare i tanti segni del barocco che in Sicilia veramente sembra di casa; con il contorno di santuari e conventi che sembrano appollaiati sui monti vicini, quasi a guardia del paese.

E per non dilungarci troppo: domenica 29 – dopo un lieto girovagare per il mercatino domenicale di santa Lucia, uno sguardo al sepolcro e al doveroso Caravaggio, nel pomeriggio era d’obbligo una visita al parco Neapolis, con il teatro greco di Siracusa. Un lungo giro tra le latomie, finalmente visibili (sono ormai 2 anni che mi trovo a Siracusa e ho finalmente potuto vedere il gigantesco ficus, la pseudotomba di Archimede, la grotta dei Cordari… e poi la cavea. Mi è quasi dispiaciuto, però, che per le visite turistiche non si possa passeggiare nella platea, almeno il corridoio centrale, per godere un po’ meglio dello spettacolo.

E verso le 19 e qualcosa, il sole al tramonto sul teatro è davvero uno spettacolo. Fino ad oggi con repliche quotidiane 😉

Ecco per concludere qualche immagine di questi due giorni, dal mare a Modica, da Scicli al Teatro Greco

Pedalare sotto questo sole…

Pedalare sotto questo sole…

Anni fa Baccini, con il suo tormentone estivo, ricordava che “Sotto questo sole è bello pedalare…” e tutto il resto. bene, tutto questo resto, insieme al bello, ovviamente, l’ho messo nel bagaglio delle esperienze compiute in questi giorni…

Sabato 21, insieme a mio fratello Paolo, ci siamo lanciati nell’impresa di farci qualche chilometro sull’antica via del sale, in groppa alle alpi liguri che fanno da cornice alla nostra terra. L’idea di una sgroppata in montagna riaffiora ogni estate. Lo scorso anno ero riuscito a fare una scappata ad Entracque, verso il rifugio Genova. Quest’anno le cose sono un po’ diverse e mi sarei accontentato di una decina di giorni casalinghi, insieme a mamma. Ma qualche eccezione si può ben fare. Così avevamo cominciato a valutare questa possibilità.

Per approfondire l’itinerario ci eravamo un po’ documentati sui vari siti locali, che ormai presentano con una buona documentazione gli itinerari possibili nell’entroterra: a cominciare dalle brochure disponibili in rete e persino ad un corposo documento con informazioni sui vari possibili itinerari, sempre rintracciato sul sito dell’Alta Via del Sale.

Allora, sabato mattina, all’alba (si dice sempre così ma erano ormai le 7) ci siamo diretti verso Monesi. In macchina fino a Imperia, poi verso Pieve di Teco e quindi, inerpicandoci su stradine non sempre perfette (le recenti alluvioni hanno lasciato il segno e Monesi è stata per mesi praticamente isolata dal resto del mondo!) eccoci arrivati al punto di noleggio della Mela verde. Naturalmente l’idea era quella di utilizzare delle e-bike e siccome era la prima volta che le usavamo in montagna, non sapevamo ancora bene a cosa andavamo incontro.

Senza tanti preamboli e seguendo le semplici indicazioni ricevute al noleggio da Marco, abbiamo subito iniziato a pedalare, apprezzando il valido contributo della pedalata assistita. Le bici erano della Fantic (io ricordavo solo che anni fa era una apprezzata marca di moto da trial) e il funzionamento molto intuitivo. Le batterie erano piene e la salita era tanta. La meta che volevamo raggiungere era il Rifugio don Barbera (un nome evocativo, ti fa pensare ad un gemellaggio con don Perignon o altri riferimenti da cantina…in montagna non stona di certo).

Il primo tratto di strada (i primi 5 km), fino al bivio per il Saccarello, era molto intenso, tutto in salita ma con un fondo stradale accettabile, alcuni tratti asfaltati, altri in cemento, pochi tratti di sterrato. Ma arrivati al bivio la musica cambia. Appena salutate le caprette all’alpeggio abbiamo preso il (duro) contatto con la strada bianca, la sua distesa di pietre e ciottoli, le buche e tutto quello che fa di una strada di montagna il “bello” della montagna. Ma intanto si pedala. Il fondoschiena comincia a sognare cuscini e soffici supporti, ma ad ogni scossone viene riportato crudamente alla dura realtà.

Tanti gli escursionisti, le moto, le altre bici, ma anche le macchine, le jeep… a volte la polvere si poteva tagliare a fette e l’aria di montagna sembrava un po’ deturpata. Per fortuna in poco tempo la situazione tornava limpida, il panorama riprendeva il sopravvento e l’occhio, soddisfatto della sua parte, si rappacificava.

Forse un’idea del percorso può rendere meglio l’idea del nostro tour. Siamo partiti da quota 1370 e siamo arrivati fino a 2240, con un totale di 50,4 km: per essere una prima volta, niente male davvero.

Dopo una pedalata di oltre 2 ore siamo così arrivati al tratto finale, discesa bruttina e piena di sassi, ma pur sempre discesa (e uno già ripensa al ritorno!); giunti al rifugio don Barbera, bello affollato di persone, abbiamo messo le bici sottocarica e ci siamo rifocillati un po’. E subito dopo, un po’ di sgranchimento di gambe nei dintorni, a gustare il panorama.

Quando decidiamo si ripartire scopro, dopo svariati minuti, che il tappo della ricarica non era stato chiuso bene e quindi la bici non voleva ripartire. Così, dopo averla spinta a mano per il primo tratto di salita, dal rifugio fino alla strada, rieccomi pronto per la partenza. Avevo un piccolo ritardo su Paolo, un paio di minuti, e quindi speravo di riprenderlo abbastanza presto, immaginando che avesse già iniziato il ritorno. Lo cerco lungo la strada e così com’ero, con gli occhiali da sole, mi sembra di vederlo ormai più avanti, con la sua maglia blu. Ma sono in tanti a pedalare in questo momento e non è certo facile superare il gruppone. Così penso di accelerare un po’ per riprenderlo. Il caso ha voluto invece che Paolo mi stesse aspettando proprio lì vicino e forse stava contemplando il panorama dall’altro versante. Così nell’illusione di raggiungerlo e lui nell’attesa di rivedermi… abbiamo ripreso la strada del ritorno separatamente. Ma poco danno, non c’erano molte possibili deviazioni… E siccome i 2 telefoni li avevo io nello zainetto, difficile sentirsi anche perché di campo telefonico, a quella quota, sopra i 2000, ce n’era proprio poco.

Il ritorno, o meglio, la discesa, tolti alcuni pezzi in salita, è stato un po’ massacrante. Salti, ciottoli, pietre, polvere (tanta polvere, con tutte le moto che salivano a quell’ora…) tutto documentato con pignola precisione dal mio fondoschiena che ha rilevato ogni buca. Ma vuoi mettere il panorama, gli scorci che si aprivano dopo una curva, il percorso in mezzo ai larici, il profumo di ginepro? Davvero un bel ritorno, nonostante tutto.

A forza di pedalare sono così ritornato al punto di partenza. Quando mi accorgo che Paolo non era ancora rientrato, nel dubbio sul cosa fare, riprendo la bici e risalgo un po’, giusto per attenderlo in un luogo più tranquillo e riposante. Infatti dopo non molto eccolo arrivare, con la sua maglietta blu 😉 e ricompattiamo il gruppo. Ormai il percorso è compiuto.

Sulla strada del ritorno una piccola deviazione verso Lucinasco, per ammirare il laghetto e la splendida chiesa di s.Stefano, del XV sec. Il panorama, come dice mio fratello Paolo, fa pensare più a una collina e un borgo toscano che al nostro entroterra ligure, se non fosse che da tutte le parti siamo circondati da olivi, olivi e olivi. E poi finalmente a casa, dove posso finalmente riconciliare le mie povere ossa su qualcosa di più morbido. Tanto lo so, il peggio arriverà domani 😉

E restano quindi le foto di questa giornata, comprese le aquile che volteggiavano fiere sopra di noi!

Album fotografico del bicitour
da Monesi al Rifugio Don Barbera

Povere diapositive…

Povere diapositive…

Correvano (e anche velocemente) gli anni 80. L’hobby della fotografia occupava uno spazio discreto…. Dopo le mie prime sperimentazioni di sviluppo e stampa in B&N il passo successivo si è indirizzato verso le diapositive. Facevo scuola e spesso i fotomontaggi (all’epoca era quasi il massimo della multimedialità) mi sembravano una soluzione percorribile e stuzzicante.

E naturalmente l’idea era quella di lavorare per produrre qualcosa di duraturo, da riutilizzare lungo gli anni. Le diapositive mi sembravano lo strumento adatto. Tutta plastica, coloranti a prova del tempo (almeno sul breve periodo) e così ho iniziato a prediligere questo metodo.

Durante l’estate, poi, quando c’erano i campi estivi ad Entracque o Lavarone, era uno degli appuntamenti fissi. Facevo foto al gruppo, durante le escursioni, nei vari momenti delle attività e poi, calcolando con pignoleria i tempi, si mandava a sviluppare il rullino nel fotolaboratorio più vicino (Cuneo o Trento) e spesso mi riusciva di proiettare le foto prima della partenza dei ragazzi.

Immaginatevi quindi la scena: nel cortile ormai buio, con un mega lenzuolo steso alla belle e meglio come schermo, tra due alberi, dopo aver sistemato cavi, cavalletto e proiettore, tutti i ragazzi in semicerchio per rivivere i momenti clou della settimana. Persino le diapositive sballate e fuori fuoco potevano servire; col pennarello ci scrivevi sopra il titolo della serata, la data del campo, qualche commento… In effetti era già possibile l’editing manuale (pennarelli indelebili con punta superfine, ovviamente). Durante lo show si sprecavano le esclamazioni, gli “Ohhh…!” di partecipazione e le pernacchie per qualche eventuale fuori scena… o foto simpatica.

Poi gli anni passano, le diapositive restano chiuse nelle loro scatole, o nei pratici (?) fogli in plastica che ne consentono una visione più rapida. Dopo gli anni 90 iniziano a farsi largo le macchine digitali. Ricordo ancora una delle prime che ho utilizzato, una Fuji con sensore da ben 3 Megapixel. E si apriva il dibattito se il digitale avrebbe mai soppiantato le foto e le diapositive analogiche, con una risoluzione decisamente superiore e per quei tempi irraggiungibile. Ma il digitale ha iniziato a galoppare e i risultati li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Cellulare da 54 Mpx, o con tripla fotocamera, ecc. ecc. Il sorpasso è ormai consegnato alla pratica quotidiana.

E dove sono finite le vecchie diapositive? Da un trasloco all’altro ho cominciato a sistemare le vecchie diapositive in qualche scatola di scarpe più robusta, in raccoglitori più pratici. Per poi lasciarli in qualche scaffale. Così le ho persino dimenticate in un sottoscala piuttosto umido (a Giugliano) e quando mi hanno detto che le avevano ritrovate ho sperato di poterne fare ancora qualcosa.

Gli scanner per diapositive sono ormai strumenti abbordabili, anche se per ottenere una qualche resa professionale è necessario rivolgersi a prodotti di classe superiore. Naturalmente tutto dipende dalla qualità delle diapositive. E quando mi sono ritrovato tra le mani le tante scatolette, nutrivo un bel po’ di aspettative: finalmente potrò recuperare le foto dei campi estivi di 30-40 anni fa! E invece… Dopo averle aperte e passate in controluce, la delusione cocente. Molte diapositive erano solo più un ammasso di pigmenti colorati, macchie colorate o suggestioni buone per Andy Warhol… Sicuramente l’umidità e il calore hanno compiuto il disastro. Solo qualche scatoletta chiusa meglio ha fornito qualche resto leggibile.

Ma ogni scarrafone è bello a mamma soia e quindi, ne ho recuperate un po’, anche se la qualità è decisamente bassa; in molte si fatica a riconoscere le persone, in altre la fantasia deve giocare un ruolo davvero ingombante.

Ho recuperato alcuni vecchi campi scout, qualche immagine della mia prima classe come insegnante di scuola elementare, qualche incontro marista a Las Avellanas (1986) e altri scampoli memorabili.

Ma in molti casi la qualità è così bassa che serve molto coraggio per conservare le immagini.
Giusto per un confronto, ecco alcune diapositive del 1981, eravamo a Trevi nel Lazio, per il nostro campo con i lupetti del SLM (io ero il Baloo ufficiale del gruppo), come Akela c’era Stefano Strano, ma tranne qualche immagine i volti sono proprio illeggibili. Persino quello di Laura Lega, che magari meritava qualcosa di più (in quegli anni era stata eletta Miss Cinema del Lazio, attualmente è il capo dipartimento dei Vigili del Fuoco!); ho rintracciato persino un antesignano dei selfie, un mio autoscatto nella sala dei bottoni del campo.

Speriamo che giunti a questo stato di “conservazione”, avendo passato il tutto in digitale, non succedano altri cataclismi, ma basterebbe riflettere sui recenti attacchi informatici, con ransomware selvaggio che cripta tutti i dati del tuo hard-disk, per capire che i disastri sono sempre più frequenti dei salti evolutivi!

E finito il lavoro, senza troppi rimpianti, tutto il materiale è stato eliminato definitivamente. Così al prossimo trasloco ci saranno meno anticaglie inutili da dover sistemare. Ma sono piccole lezioni utili, per ridimensionare le cose, la loro durata e persino la loro utilità.