Risalendo il fiume Cassibile

Risalendo il fiume Cassibile

Avevamo preparato questa uscita già da parecchio tempo con degli amici appassionati di montagna e di lunghe passeggiate; ci avevano proposto di esplorare la splendida zona dei laghetti di Cassibile, e curiosando in rete avevamo già scoperto di cosa si trattava e allora eccoci pronti, io, Nina e Rosa per il nostro viaggio di esplorazione.

Certo, permaneva qualche pizzico di dubbio perché ci avevano detto di procurarci degli zaini impermeabili e che probabilmente avremmo dovuto fare qualcosa di molto simile a Indiana Jones nell’esplorazione dei canyons tropicali… ma che problema sarà mai, pensavamo noi!

Il nostro gruppetto era formato da una quindicina di persone tutti amici o amici degli amici e ci siamo ritrovati intorno a Pippo che già ci avevano presentato come una mitica guida di questi splendidi luoghi della Sicilia. Quello che non ci avevano detto era che il buon Pippo pochi giorni prima aveva provato inc oncreto questa uscita, verificando che il sentiero fosse fattibile per tutti. E questo a dispetto dei suoi agili 71 anni e di un bel bypass (un semplice “tagliando”, diceva lui) e comunque sembrava ancora il più arzillo e dinamico del gruppo.

Abbiamo cominciato la discesa nella zona Mastra Ronna (chissà perché Mastra al femminile…) cominciando ad apprezzare dal cornicione nord la panoramica spettacolare della Vallata del Cassibile che si stava aprendo davanti ai nostri occhi; un vero e proprio canyon vasto e largo, luogo frequentato dai nostri antenati fin dalle epoche preistoriche.

La prima tappa è stata quella di soffermarci a dare un’occhiata alla splendida grotta del Brigante (con Nina e Rosa stiamo già pensando che probabilmente potrebbe essere una delle nostre prossime mete), un covo spettacolare e suggestivo (se non ci credete gustatevi questo video del Brigante Boncoraggio che in questo nido d’aquila ha vissuto parecchi anni tenendo in scacco l’esercito piemontese conquistatore), e poi abbiamo continuato la discesa, ripida ma tranquilla e ben segnalata, superato lo spiazzo erboso che a volte ospita l’elicottero di soccorso, poco lontano dall’antica casa del pastore, e finalmente si giunge ai laghetti.

Qui naturalmente in bagno non ce lo toglieva nessuno, eravamo arrivati molto presto (ti credo, l’appuntamento per la partenza da Siracusa era per le 7, ma sicilianamente “trattabili”) e non c’era ancora nessuno, anche perché l’ingresso più facile si trova dalla parte opposta, nella zona sud perché si arriva più comodamente in macchina fino alla zona attrezzata e servita da bar .

Noi alle 9 eravamo già lì a sguazzare nella freschissima acqua dei laghetti e a farci le Jacuzzi fornite dalle numerose cascatelle di questi luoghi spettacolari e pulitissimi.

Poi è cominciata la parte interessante perché invece di riprendere con la salita normale, abbiamo cominciato ad affrontare direttamente il fiume, che non è gigantesco, più torrente che altro, ma in alcuni tratti non è certo da trascurare.

Cominciamo a scendere nell’acqua, quasi tutti con le normali scarpe, per ripercorrere tutto il percorso del fiume (tranquilli, il percorso non è molto viscido, la natura delle pietre calcaree e del’acqua aiuta anche in questo); in breve l’acqua ti arriva alle ginocchia, poi alla vita poi sempre più su fino quasi a sommergerti e devi proseguire a nuoto per diversi tratti. Qui si è vista la capacità e l’ingegno di chi non si era equipaggiato con i famosi zaini “impermeabili” e ha fatto di tutto per salvare il salvabile, con sacchetti di plastica o portandoli in testa, tipo sherpa tibetani, cercando di passare nei luoghi meno profondi, aggrappandosi alle liane (pardon, fichi e altre piante locali), per fortuna che ad ogni tratto guadagnato lo spettacolo ripagava le fatiche, le scivolate e le piccole contusioni (a volte veri e propri tonfi nell’acqua). Il buon Pippo naturalmente ci precedeva e ogni tanto (anzi, ogni spesso) ci immortalava con la scusa di preparare il suo prossimo scoop sul National Geographic.

In questo modo abbiamo risalito un bel tratto del fiume giungendo fino alla nostra successiva tappa, un altro laghetto verde smeraldo e raggiungibile anche dalle zone superiori oltre che dal corso del fiume, anche se non sembrano essere molte le persone appassionate di torrentismo da queste parti.

Qui finalmente ci si ferma per davvero, sotto un sole che riscalda e che ci asciuga deliziosamente, per consumare il nostro pranzo, controllando quanto dei nostri panini si fosse salvato dalle molteplici immersioni nell’acqua. Ma poco dopo Pippo ci riporta con i piedi in acqua per andare a a vedere gli splendidi laghetti di Venere famosi, dice lui, per le loro virtù taumaturgiche tipo la ricrescita dei capelli per i calvi e il recupero delle forme femminili ecc. ecc.

Peccato che nessuno avesse voglia di provarci, perché è vero che non avremmo più rimesso i piedi in acqua, ma il tempo si stava preparando per un’altra sorpresa, infatti cominciando la risalita ecco un bel acquazzone estivo (da quanto tempo non camminavo con lo zaino sotto l’acqua?), pochi minuti e la pioggia ci avvolge fornendo un’ottima distrazione per sentire meno la fatica di quella risalita tra sassi scivolosi, erba tagliente, rami che grondano docce appena li afferri…. e altre piacevoli amenità.

Ma ormai ci siamo, giungiamo al Pianoro dell’ingresso nord, attraversiamo le pecore e le capre sparse vicine alla masseria e ci godiamo ancora un po’ di questa vita selvaggia.

Sono ormai le 16 quando riprendiamo la strada del ritorno, umidi, accaldati, stanchi ma veramente soddisfatti e pieni di immagini incredibili. A questo punto blocco la registrazione del percorso (fatta con Komoot) per avere un po’ di elementi utili per una prossima volta. Il tempo di marcia sicuramente è un po’ ballerino, visto che il nostro percorso è iniziato verso le 8 del mattino e a parte qualche sosta panoramica e il pranzo, non ci sono stati momenti di effettivo stop. Pippo parlava di 6 ore di marcia. mi sa che ci sono state tutte!

Ovviamente l’album con le foto di Cavagrande del Cassibile è visibile qui, anche se durante la parte migliore, spesso immersi sott’acqua, possiamo contare solo sulle foto di Pippo (quando arriveranno)

4 salti nel passato

4 salti nel passato

Domenica 12 – la nostra casa al 4 piano di via Enna è stranamente deserta, Nina e Rosa sono a Palermo e ci siamo solo io e Ricky: il caffè, un po’ di lavoretti, qualche lavatrice, il nuovo rubinetto flessibile per sfruttare l’acqua del serbatoio sul tetto (ogni tanto succede che in questo quartiere la distribuzione dell’acqua segua il calendario maya!)

Nella mattinata c’è con noi Omar per le battute finali di preparazione al suo esame da privatista, cerchiamo insieme di scrivere un testo, ripassando gli ultimi argomenti. E’ ammirevole questo giovane gambiano, perché anche ieri sera è andato a lavorare nel locale dove arrotonda un po’ gli spiccioli (fin dopo la mezzanotte) e anche questa sera farà lo stesso. Nonostante la difficoltà dell’esame e la scarsa vicinanza dei docenti (uno dei quali ha mandato solo ieri alcune indicazioni per le prove d’esame…).
Lo invitiamo a pranzo, preparazione rapidissima, una pasta allo scoglio e un trancio di salmone alla piastra (sigh, abbiamo dimenticato la carta di alluminio presso il campo, saranno dolori ripulirla!).

Poi con Ricky partiamo per la nostra esplorazione domenicale, alla volta del teatro greco di Palazzolo Acreide; lo raggiungiamo facilmente (ma ci vuole più di mezz’ora di macchina) e ce lo godiamo in beata tranquillità, approfittando della quasi totale assenza di turisti. Oltre a noi 2 c’è solo una coppia e il personale del sito archeologico, 6 persone in tutto.
E io che pensavo che Palazzolo fosse un appannaggio della Brianza…

Il sito è veloce da visitare, il teatro adagiato sulla collina è grazioso e molto semplice, non ha certo l’imponenza di quello di Siracusa, anche se l’abitato era sorto proprio come prima colonia siracusana. Ma le cose più interessanti non sono nella cavea e nella scena ben conservate e ancora oggi utilizzate, il bello viene… all’intorno.

Sono infatti molto interessanti le due latomie adiacenti, quella dell’Intagliata (liberamente visitabile) e quella dell’Intagliatella (chiusa al pubblico, avendo reperti più delicati). Ripenso ai diversi commenti trovati su GMaps dove molte famiglie ricordano con piacere l’avventura di esplorazione con i propri ragazzi, una visita all’Indiana Jones, per intenderci.

E in effetti è davvero interessante entrare nelle cave, scendere nelle tombe, visitare i vari loculi ricavati nel tempo. Se non altro, data la forte calura estiva, il fresco era godibilissimo. Mi ricordano da vicino le impressioni provate nella necroppoli di Castel d’Appio a Viterbo, con scenari molto simili…. e le stesse mosche a sciabolare nel buio traiettorie musicali.

Ma avevamo anche un piano B: vedere dove si trovava la necropoli di Pantalica. Pensavo ad un luogo molto circoscritto e puntuale, non ci aspettavamo una estensione così vasta.

Ci siamo prima fermati presso il fiume Anapo, dove un tempo passava anche la ferrovia (oggi il sentiero che la sostituisce è percorribile a piedi o in bici, previa autorizzazione). C’è una sorta di gabbiotto con tanto di personale, gentilissimo, che fornisce rapide informazioni sul luogo e le modalità di accesso.

Dopo uno sguardo al fiume, limpido e fresco, riprendiamo la strada e facciamo rotta verso Pantalica (anche se come al solito i siciliani sono avari di indicazioni e cartelli).

Boschi, tornanti, brughiere, tracce di incendi, ponti nuovissimi, colline assolate e b&b dai nomi esotici; ma la strada continuava e allora continuiamo a seguirla fino al parcheggio conclusivo, dove troviamo una bella folla di turisti di ritorno dai sottostanti laghetti (una mezz’oretta di strada, ci hanno detto).

Lungo il percorso si potevano scorgere numerosi, in lontananza, i luoghi con necropoli, grotte, abitazioni e segni della preistoria. Sono oltre 5000 nel parco, che si rivela davvero suggestivo. Ma servirebbe più tempo e calma per esplorarlo con gusto. Ci potremo tornare (ma Ricky conferma che fino ai laghetti… neanche a pensarci!).

Rientriamo in serata a casa, dopo aver macinato in tutto quasi un centinaio di km e conservando negli occhi i paesaggi suggestivi di questo pomeriggio.

Ed ecco qui una carrellata di immagini di questa domenica pomeriggio, a zonzo tra il sito archeologico di Palazzolo Acreide e Pantalica.

La resa mite

La resa mite

Vivere a Siracusa ed essere quasi quotidianamente a contatto con migranti e stranieri sta diventando una sorta di osservatorio speciale. Di quelli che permettono di cogliere le diverse visuali e lunghezze d’onda delle persone, al di là degli schemi e di certi stereotipi.

Si incontra un po’ di tutto anche se spesso le situazioni in cui ci imbattiamo sono quelle più ai confini del normale.

Qualche giorno fa un messaggio di Susy, del CNA con il quale spesso si collabora e ci si scambia idee e suggerimenti. Mi segnalava una persona con grossi problemi di salute, i postumi di un incidente non ancora risolto, con la necessità di visite, di spostamenti, di aiuto, insomma.

Sembrava proprio uno di quei sassolini che ti si infila nelle scarpe, tenti in tutti i modi di farlo scivolare via, ma niente, resta lì. Giorno dopo giorno quel messaggio rimbalzava sugli altri. Così ne parlo un po’ all’amico Daniele che a quanto pare lo conosceva già. In questi giorni Daniele è tutto preso perché il centro Freedom di Priolo ha riaperto ed è di nuovo pieno di persone, un 150 che almeno hanno un riferimento più sensato e logico. Con la storia che le leggi sui migranti sono praticamente saltate e si sta ancora aspettando (ormai da troppo tempo), sta diventando sempre più difficile aggiustare i cocci, aiutare le persone, favorire una integrazione reale. Che poi è l’unica strada possibile se vogliamo un futuro degno di questo nome, ma quanta fatica per realizzarlo!

Questo nostro amico poi me lo incontro inaspettatamente davanti, al mattino presto, proprio nei giardini del santuario di Siracusa, mentre sta facendo l’unica cosa possibile che nelle sue condizioni si può fare, chiedere aiuto alla gente. Quando gli dico che il giorno dopo avremmo cercato di trovare una qualche soluzione per i suoi problemi, non finisce più di ringraziare…

E il giorno dopo riusciamo ad organizzare l’incontro, giusto per dipanare i tanti problemi che si sono ingarbugliati, anche per colpa del coronavirus. S. è ormai grande, avrà sulla quarantina, sorridente, tranquillo, una persona pacifica e grande lavoratore. Stava lavorando infatti, ovviamente in nero, e il suo padrone lo aveva mandato a sistemare un albero, alto. Ma c’era vento. “C’è troppo vento, è pericoloso”, ma poi era dovuto salire lo stesso. Un colpo più forte, la caduta e si è risvegliato all’ospedale. Fratture, femore malconcio, alcuni giorni in coma e tanti guai e quei pochi amici che promettevano sempre qualcosa non si vedono nemmeno più. Aggiungici pure il lockdown, la frattura che stenta a saldarsi, la stampella che ormai è compagna di viaggio… Vediamo che ha un foglio per una visita medica, ma a metà agosto. Sono mesi che sta aspettando. Daniele lo invita ad andare all’ufficio dell’ASP per chiedere una visita più ravvicinata e possibilmente di chiamarlo quando è allo sportello per poter parlare con il personale dell’ufficio.

Dopo qualche giorno lo incontro di nuovo, quasi per caso, fuori dal CIAO, ha ottenuto la visita, andiamo già un po’ meglio, è per il 23 luglio, ma ci sarebbe anche la possibilità di una visita più ravvicinata, il 2 luglio, un po’ lontana da Siracusa: a Noto. Ne parliamo con Daniele, sicuramente vale la pena così … gli dico che ci pensiamo noi ad accompagnarlo.

Ma il giorno della visita, dopo un rocambolesco appuntamento (per S. è difficile anche ricaricare il telefono, vive da un amico, in modo piuttosto precario, non sempre ci sono le comodità che pensiamo ovvie, quasi quasi rischiavamo di non incontrarci nemmeno!). Arriviamo comunque all’appuntamento, 1 minuto di anticipo, siamo quasi contenti. …ma quando il medico esce dallo studio, dove non c’è ancora nessuno e vede il foglio ci ricorda anche un po’ bruscamente che dovevamo prenotare la visita, che S. non è in elenco, che anche volendo non si può fare, che sul foglio è chiarissimo che bisogmava prenotare (in effetti la scritta è disarmante nella sua stesura, se anche voi mi aiutate a capirla…ve la riporto…):

Prima disponibilità: 1 luglio, ore 14:50 Presso Dott. XXX
Poliambulatorio di Noto.
Richiesta con accettazione da parte dell’utente dell’erogatore

con tempo diverso dal più breve.
Data e Firma

Provo pacatamente a chiedere se non è possibile visitarlo lo stesso, veniamo da lontano, S. è già da mesi che aspetta…. Niente da fare. E così ce ne dobbiamo tornare indietro. Senza prenotazione non se ne parla proprio. Preferisco non manifestare in nessun modo il mio dissenso, non voglio che a rimetterci sia ancora una volta S. che mogio mogio mi segue mentre torniamo in macchina.

Lungo la strada del ritorno S. racconta un po’ la sua vita, nel suo stentato italiano. E così molti dettagli chiariscono il suo quadro, già abbastanza cupo. Gli avevo mandato una sfilza di messaggini su whatsapp e mi preoccupavo che non rispondesse, ma lui mi rivela che … “il mio nome lo so scrivere, ma il cognome è difficile”, non sa nè leggere nè scrivere. E’ arrivato dal Marocco prima del 2008, ormai sono tanti gli anni di permanenza qui a Siracusa, non ha girato da nessun’altra parte, sempre impegnato in lavori di basso livello, contadino, guardare le pecore, lavori pesanti. Documenti? Nessuno, non è mai riuscito a regolarizzare la sua posizione, anzi, qualche “amico” è riuscito persino a spillargli 1500 € con la promessa di regolarizzarlo, poi ancora 500 € per chissà quali pratiche, altri soldi ancora per gli onorari…, insomma, tante prese in giro. Ha sempre lavorato, mandando qualcosa alla sua famiglia in Marocco, il padre è morto nel 2000 e in famiglia sono in tanti.E’ un racconto mesto quello che mi fa, non si arrabbia per le troppe sfortune, gli imbrogli, condisce la storia con un “poverino” ogni tanto e quello è lui… Veramente.
Fa tenerezza e quando lo riporto vicino a casa sua ci salutiamo sperando di trovare una soluzione migliore nei prossimi giorni.
Ma non sarà certo facile…

Ma quante belle ville…

Ma quante belle ville…

E lasciamo pure perdere Madama Dorè, non si tratta in questo caso di uno dei suoi sogni. Qui in Sicilia le vestigia romane antiche davvero si sprecano e come spesso accade sono così numerose, insieme a quelle greche e dei popoli anteriori, che non si riescono a valorizzare appieno…

Terminato il lockdown anche i siti archeologici si sono ripresi il loro spazio e la Regione Sicilia si è data da fare per ricordarlo un po’ a tutti. Banner, giornata del Fai, siti istituzionali che invitavano a tornare in luoghi speciali… Mi era caduta l’attenzione su una proposta che sembrava allettante: la Villa del Tellaro, tra Avola e Noto, poco lontano dalla mia Siracusa. Non potrà certo competere con Villa Armerina (che mi manca ancora da visitare) ma la vicinanza giocava a suo favore.

Così approfittando della calma di una domenica pomerigigo siamo andati con Ricky a visitarla. O almeno, questa era l’intenzione, perché con la scusa che da Catania in giù l’autostrada è gratis (ma spesso anche le condizioni lasciano molto a desiderare, tra segnaletica e apparente abbandono…) dopo aver imboccato la E45 all’altezza di Cassibile e avendo “calcolato” che l’uscita migliore doveva essere quella dopo Noto…. siamo arrivati fino alla fine ontologica di questa autostrada, a Rosolini (mi sembrava quasi di essere a Cuneo, dove un troncone giustamente si conclude) e tra indicazioni un po’ ballerine e bislacche… ce ne siamo tornati indietro per quella che era invece l’uscita giusta: Noto. Poco danno, solo una ventina di km in più, su strada deserta, ampia, assolata… benvenuti in Sicilia.

Ma finalmente siamo arrivati alla Villa. Si tratta in pratica di una vecchia masseria del ‘7/800, costruita sui resti di una villa romana; nel secolo scorso hanno iniziato gli scavi perché affioravano alcune evidenze interessanti e così sono venuti alla luce dei mosaici veramente notevoli. Sono stati riparati con una grande tettoia, ma con ampie aperture alla base. Il “pezzo forte” è quindi la passeggiata sotto questa tettoia, un ventina di metri, per ammirare quanto rimane dei mosaici. Essendo comunque all’aria aperta il caldo e la polvere possono ancora infierire. Infatti la prima cosa che mi ha fatto notare Ricky, facendo un rapido confronto con Villa Armerina, è proprio questa forte differenza di conservazione, qui piuttosto approssimativa e in balia di vari agenti atmosferici (salvo pioggia e grandine!), i mosaici risultano quasi “sbiaditi” e questo non aiuta a coglierne la bellezza. Per il resto l’estensione dei mosaici di Villa Armerina, secondo Ricky, è almeno una ventina di volte maggiore!

Ci sono alcune rappresentazioni mitologiche e altre parti con motivi ornamentali e floreali. Indubbiamente doveva essere una villa di prestigio. Tutt’intorno si vedono altri resti portati alla luce; le dimensioni della villa sono ancora maggiori e non tutto è stato ripristinato. Ma a conti fatti il sito si visita in poche manciate di minuti. Ricky dopo 10 era già uscito, io, con maggior pignoleria e con la scusa di qualche foto, in meno di mezz’ora avevo esaurito gli spazi da vedere e gli scorci da immortalare.

Altre cose da vedere, all’interno, sono i recuperi di alcuni locali, scavi delle fondamenta e delle tubature, un forno, pochi altri resti,che erano stati sommersi ed inglobati nella masseria.

Quando siamo usciti stava arrivando un’altra piccola comitiva. Al personale d’ingresso ho chiesto quante persone erano già venute nella mattinata, in tutto una ventina. Per una piccola realtà era comunque il numero “giusto”. Insomma, passando da Noto, capitale del Barocco e curiosando nella zona di Avola, una piccola digressione per questo sito ci può stare davvero bene.

Ma ecco l‘album fotografico per la Villa del Tellaro

Se fossi un rifugiato…scapperei!

Se fossi un rifugiato…scapperei!

Sono le parole di una delle nostre mascotte del CIAO, poche manciate di anni, scuola primaria. Tanto vere quanto tragiche… ma per la giornata del Rifugiato 2020 mi sembrano calzare a pennello.

Nina e Ricky poco dopo l’allestimento…

Era da tutta la settimana che con la Comunità marista e con gli amici stavamo progettando qualcosa, ci sembrava importane riallacciare le fila di un impegno che il lockdown aveva praticamente tranciato; da pochi giorni è perto parzialmente anche il Ciao. Ma se ormai sembra che tutto sia ripartito, diamoci da fare per le cose più necessarie.

Anche l’ufficio Migrantes si è rimesso in moto e ci fa piacere ogni tanto essere un po’ di stimolo per questa cosa. Ma il vero stimolo era stato fr. Emili Turu (insomma, uno che è stato Superiore Generale dei Maristi deve per forza avere il fiuto buono!) che ci aveva sottoposto il documento elaborato dalle associazioni religiose in anteprima, così di poterne anche essere firmatari. Non cambia le cose, ma aiuta a cambiare noi. Se non altro sei obbligato a leggerlo con attenzione.

Abbiamo cercato di fare un po’ di battage, prima con il documento firmato, poi con il comunicato stampa della Diocesi di Siracusa e poi con le indicazioni per l’attività del sabato pomeriggio. Ora che sul sito del Ciao è presente anche il resoconto dell’evento, mi accorgo che un po’ di tempo e attenzione gliel’abbiamo dedicata. Ma può essere solo un punto di partenza, perché in questa condizione sono molti dei nostri amici a navigare…

Nella mattinata di sabato, complice don Luigi dell’Ufficio Migrantes e il responsabile della comunicazione della diocesi, c’è stata una rapida intervista su FMItalia per parlare dell’evento del pomeriggio. Probabilmente l’avremo ascoltata solo noi due che parlavamo, nonostante la brevità, ma come detto prima, anche questo obbliga a chiarirsi le idee.

Ci pensavo nel pomeriggio, quando in piazza Minerva vedevo la gente passare davanti alle foto, ai cartelloni… uno sguardo incuriosito non si nega a nessuno e poi costava nulla; c’erano anche alcuni dei nostri ragazzi, che la parola rifugiato la vivono non come optional da calendario. Con loro ci tocca quasi ogni giorno toccare con mano la difficoltà di coniugare le buone parole (come diceva Mattarella? protezione e accoglienza…) con le lungaggini burocratiche per chiedere anche solo un documento. In questo periodo in molti hanno il permesso di soggiorno scaduto, prorogato d’ufficio ma senza prospettive chiare per capire fino a quando. E se devi fare un documento ti succede che le pezze giustificative non bastano mai.

Durante il lockdown sembrava bello che si potessero fare i documenti tramite mail, da inviare all’Anagrafe di Siracusa. All’inizio mi hanno anche risposto, ma poi i tempi della mail si sono gemellati con quelli delle code solite: voce del verbo attendere! Nella prossima settimana sperimenteremo in concreto quanto tempo (e pratiche) serviranno per un semplice cambio di residenza!

Siamo rimasti nella splendida Piazza Minerva fino alle 22, serata calda e tranquillissima, estate ormai piena (anche se era solo il primo giorno), con i tepore di queste mura e colonne che sfidano i secoli. Discutendo con amici di Siracusa sul fatto che basterebbe veramente poco per rendere splendida questa città dalle potenzialità incredibile. Ma continuano a dirmi “ma qui è così, cosa ci vuoi fare, non puoi pretendere“.

Ma io un pizzico di pretesa credo sia giusto continuare a metterla in conto.

E qui ci sono anche tutte le foto, condivise con il Ciao