Il cavaliere di Modica e Ragusa

Il cavaliere di Modica e Ragusa

Sabato 28. Sveglia fresca e col sole appena sorto (quindi senza esagerare), il nostro gruppo oggi è speciale, la nostra comunità per intero, 4 amici di Granada che sono giunti la sera di Natale per condividere alcuni giorni con noi e soprattutto ci sono i ragazzi che stiamo seguendo e che vivono nei 2 appartamenti “di emancipazione” (troveremo un nome migliore, ma l’idea è proprio quella di fornire ad alcuni migranti un trampolino di lancio per la vita indipendente…). Siamo 4 macchine, quasi al completo, 17 persone in tutto. E si parte, prima destinazione Ragusa.

Giornata splendida e luminosa, il fresco però lo godremo un po’ per tutta la giornata, insieme al vento, non sempre gradevole, ma siamo in inverno, ragazzo mio, e lo scorso anno ero tra le montagne di Entracque, dove le temperature erano ben diverse e …polari. Quando giungiamo a Ragusa, dopo esserci persi nei vicoli del centro storico, alla ricerca di un parcheggio, finalmente ricompattiamo il gruppo e arriviamo, giungendo dal retro, davanti alla Cattedrale di s.Giorgio. Avevo già capito che il cavaliere ammazza-draghi sarebbe stata una costante della giornata. E ovviamente ho un debole per questo personaggio e simbolo della storia occidentale. Draghi e principesse a parte! Come prima visita mi ero informato poco sui posti da incontrare, per vivere un impatto più emotivo e immediato. Ne valeva la pena.

La facciata di questa chiesa è sicuramente un’opera da ammirare, una torre che svetta e che si fa notare per tante cose: è slanciata, elegante, persino un po’ di sbieco, quasi civettuola, come chi voglia farsi desiderare un po’ e guardare con più attenzione. Lo stesso cancello di ferro che ne blocca l’ingresso la rende più signorile e riservata. Entriamo dalla porta laterale, apprezziamo tra l’altro che non sia una delle tante chiese “a pagamento” del territorio, ma comunque è cordialmente presidiata da personale, gentile e informato. Giriamo all’interno con i nostri ragazzi, molti sono musulmani e alcune cose cerchiamo di spiegarle, dal presepe vicino all’altare centrale, il cavaliere con spada e cavallo, alcuni simboli. L’organo parla invece da solo, imponente. con le sue 3mila e più canne in evidenza (un’opera top dei mastri musicali bergamaschi, fin quaggiù sono arrivati!). E in questa grande e bella chiesa spicca anche il grande orologio delle stagioni sul pavimento, la meridiana pavimentale, a ricordare come il tempo che passa, che si misura, è un elemento costante di chiese e fede. Quello che non avrei mai pensato è che l’architetto si è ispirato al Pantheon di Parigi… ma era l’epoca figlia dell’Illuminismo e certe mode hanno bisogno dei tempi giusti per viaggiare.

Poi scivoliamo tranquilli lungo la via principale, elegante e linda, nel suo bianco smagliante. In fondo si apre il giardino pubblico, a strapiombo su queste valli dove la vita ha radici preistoriche. Belle da guardare, ottimi panorami per gli innumerevoli selfie dei ragazzi e per le nostre foto. La prossima volta mi ricorderò di portare le batterie di riserve, visto che oggi sono rimasto a piedi (cioé con il solo cellulare…). Così per gli altri scorci del centro, la chiesa delle Anime del Purgatorio o l’altro gioiello adiacente, mi accontento… e i dettagli sono veramente interessanti, i soliti balconi con mensole suggestive, facciate barocche che suggeriscono contorti ragionamenti…

Consumiamo il nostro pranzo a base di panini gustosissimi e per semplificare le cose solo affettati di pollo e tacchino (ma era tutto merito del pane fresco di giornata) e riprendiamo la strada verso Modica. Ci arriviamo rapidamente, data la vicinanza. E anche qui la città si offre allo sguardo come un presepe affollato, con tante case adagiate sulla collina. Ci limitiamo a scoprire la chiesa più elegante e rappresentativa, e anche qui si tratta del duomo di s.Giorgio. E’ destino, oggi draghi e principesse da salvare!

Poi scendiamo dalla coreografica scalinata, che continua idealmente le sinuose linee dei gradoni del sagrato. E ci si ritrova nella via principale. Tento di inoltrarmi nei vicoli, scopro il palazzo del Comune emi chiedo come sia stato possibile un’alluvione in questa zona, giungo poi quasi vicino alla casa natale di Salvatore Quasimodo. Sono nomi che non avrei mai pensato di incontrare in concreto, Quasimodo, Pirandello, Vittorini (ho scoperto da poco che aveva casa qui in Siracusa, a poche decine di metri da dove mi trovo io, una casa quasi sul mare, spesso l’arte s’intreccia di default al bello…); quanti siciliani. Forse per questo le strade di Modica pullulano di cartelli che ricordano i luoghi in cui hanno girato scene del Commissario Montalbano, e il siciliano di Camilleri non è sempre un percorso facile, ma rimane suggestivo.

Siamo a Modica

Non voglio obbligare i ragazzi e gli altri del gruppo a seguirmi per viuzze e androni, ma ne varrebbe la pena. Il primo contatto è andato, vediamo se qualche prossima volta ci sarà più tempo per vivere questi posti. Per il cioccolato di Modica ci sarà tempo (quando viene esposto in vetrina, in tutte le declinazioni inter-pluri-etniche ti viene quasi da sfogliare l’atlante dei prodotti esotici per tentare altri abbinamenti quasi impensabili, chessoio, cioccolato e salvia, cioccolato al ginepro, cioccofagiolo…

E anche in questo caso le immagini di questi luoghi, Ragusa e Modica ,non mi sembrano niente male…

Sui passi di santa Lucia

Sui passi di santa Lucia

Sono a Siracusa ormai da oltre 2 mesi, sono persino riuscito ad ottenere in tempi rapidi la residenza, vivo a pochi passi da piazza s.Lucia, sulla quale si affacciano sia la parrocchia che il sepolcro della santa. Lucia è una delle 7 martiri “canoniche” fin dai primi secoli del cristianesimo. Insomma, sarebbe anche difficile ignorare quello che succede in questi giorni che ruotano intorno alla sua festa.

In effetti tutto inizia il 13 ma la festa dura un’intera settimana, zeppa di appuntamenti, celebrazioni, commemorazioni, visite… E pensare che le vicissitudini della storia hanno fatto sì che il corpo, quello vero, sia finito nientemeno che a Venezia. Forse servirebbe non un referendum (i siracusani non vedono l’ora di recuperare i resti di questa illustre cittadina), ma una lettera…firmata da tutti i cittadini per stimolare un po’ i veneziani. Se la storia non fosse così contorta e complicata dovrebbe essere abbastanza evidente che il posto giusto di Lucia è … a casa sua.

I miei amici di qui dicono che lo scorso anno la folla era ancora maggiore, forse perché la chiesa parrocchiale è diventata in quell’occasione “santuario”, salendo così di grado. E persino nelle serate ventose in piazza, la sera tardi, era facile incontrare tanta gente. Invece abbiamo sperimentato la sera del 18 che non c’era praticamente nessuno. Ci siamo fatti un panino ad un chiosco che praticamente sembrava già in chiusura e poi con l’allerta vento, non era certo facile prevedere grandi folle. E in questa settimana ho quasi perso il conto di quante allerte meteo siano arrivate!

Il giorno 13 ero ancora con Gabriel per la processione di andata; la statua della santa parte dal Duomo e giunge nella parrocchia. Vuoi per il vento, la pioggia, il freddo… ma dopo il simulacro della santa c’era ben poca gente. In compenso li seguiva uno stuolo di persone e addetti pronti a togliere subito la cera che colava dai lunghi ceroni portati dai fedeli. Nemmeno tanti, considerando la pioggia che a folate infastidiva tutti.

la statua di Lucia, nella cappella del sepolcro …vuoto

Il giorno finale, il ritorno a casa, il tempo era più gradevole. C’era sempre un’allerta meteo per il vento, ma questa volta poco azzeccata. Mi ero così ripromesso di vedere o seguire almeno un pezzetto della processione. Alle 15:30 la chiesa di S.Lucia era già totalmente bloccata, in attesa della partenza; folla di persone, di addetti (molti con le divise e le livree tipiche dei vari ruoli che coinvolgono davvero molte persone; spiccano su tutti i “berretti verdi” che fanno un po’ Robin Hood se non fosse che ricordano gli artigiani che lungo i secoli si sono avvicendati in questi ruoli). Il percorso di ritorno è ben più lungo dell’andata. Così alle 19 pensavo di trovarli già vicini ad Ortigia, invece non erano nemmeno a metà strada. Alla fine decido di fermarmi comunque lungo il tratto finale, sul ponte Umbertino.

Atmosfera strana, non fa freddo, vento quasi assente, ma il fumo delle caldarroste che sono posizionate in modo strategico a lato dei ponti crea un clima quasi da favola, nebbioso e ovattato.

Ma quando chiedo ad un vigile quali sono le prospettive sui tempi, mi guarda rassegnato e azzarda un timido “forse verso le 21:10“. L’ipotesi di attendere per quasi un’altra ora e mezzo non era poi così allettante, quindi ne ho approfittato per girovagare quasi senza meta nel dedalo di stradine dell’Ortigia vecchia. Uno spettacolo: quasi nessuno in giro, luci soffuse, angoletti deliziosi, cortiletti da favola e androni suggestivi. Merita sicuramente un’altra visita.

Quando poi ritorno verso il ponte umbertino, in lontananza si intravede la statua. Ci siamo quasi. Quel quasi lo sconterò con altra attesa, ma fa parte del gioco. Quando poi arrivano le prime avvisaglie del corteo, ho la fortuna di rivedere alcune facce note e di incontrare quindi nuove persone. Chiedo ad un amico prete del gruppo se la maggior parte del clero sia coinvolta, “macché, praticamene siamo solo noi, meno di una decina”. Poi arriva il grosso del corteo, ed è subito pausa, perché quando la statua è sul ponte iniziano i fuochi d’artificio. Un bello spettacolo, da vedere e sentire in diretta.

Poi la processione riprende. Di profilo la statua della santa, con quel coltello conficcato in gola, è un po’ inquietante, quasi splatter. Faccio in tempo a vedere un’unica coppia che procede scalza (e ce ne sono ancora tanti, mi dicono) poi le due bande che seguono si rimettono in moto e in suono. Ancora pochi metri ed ecco subito i carrellini dei venditori ambulanti, con palloncini, caramelle e improbabili regali di natale. Fine del corteo, anche se la folla ai lati permane.

Mi aspettavo probabilmente una manifestazione più corale, più gente al seguito, più partecipazione convinta. Invece si susseguono fin troppo le grida alla santa che “sarausana jè“. Ma da tempo è ormai migrante a pieno titolo anche lei.

Vengono male le foto in notturna col mio cellulare, ma ormai le appendici digitali sono difficili da sostituire, quindi la galleria fotografica è quello che è, santa Lucia, patrona della vista, farà il resto.

Mestiere ingrato e indispensabile

Mestiere ingrato e indispensabile

Forse devo andarci un po’ più calmo. L’ultima recensione che ho scritto per Amazon non è stata accettata (ok, capisco, era per un disco e mi ero sbilanciato un po’ troppo per i contenuti e per la protagonista, avranno pensato che la stavo praticamente sponsorizzando ….) e quindi per il prossimo libro ho pensato di restare su livelli più generali 😉

E si tratta del recente libro della Tamaro, un libriccino corto e monotematico. Alzare lo sguardo, sembra persino un richiamo all’Avvento…

E’ tutto centrato sul problema dell’educare, un mestiere ingrato ma necessario. Nel nuovo contesto in cui mi trovo qui a Siracusa, nel CIAO, potrei quasi dire che un certo educare, quello della scuola, non mi riguardi più da vicino. Però il lupo perde il pelo ma non il vizio. Proprio questa mattina sono entrato nella scuola primaria di s. Lucia, a pochi passi dalla nostra sede del Ciao. Accompagnavo Daniel e il suo bambino, Yossef; vengono dall’Eritrea, dopo un’odissea durata anni passando dalla Svezia, strani cortocircuiti della globalizzazione. Il motivo è semplice, seguendo le spiegazioni del nostro avvocato Domenico. Girano un po’ di passaporti con foto molto generiche, chi dirige il gioco affida un passaporto a una persona che parte verso il nord-europa, alle frontiere europee non si accorgono nemmeno che la foto non è proprio quella della persona che lo esibisce e il passaggio è fatto. Poi quella persona riconsegna il passaporto a qualcuno che lo riporta all’origine. E il gioco ricomincia. Con tutti i problemi di documenti finti e falsi che ne scaturiscono. Questo bambino dovrebbe andare a scuola, ha 7 anni e per un po’ dovrà restare qui a Siracusa. Un paio di settimane fa lo abbiamo accompagnato per l’iscrizione ma gli è stato detto che “non c’era posto” e quindi la sua Betlemme ha completato il presepe.

Ma ci stiamo riprovando e questa mattina ho parlato con una docente, molto più aperta e sensibile (una collaboratrice della Direttrice). Forse mi viene facile, esordendo in qualche modo a partire dalla mia esperienza di preside. E in certi casi serve. Vedremo tra qualche giorno, dopo le vacanze di Natale, come andranno le cose. Sarebbe bello che di presepi e di Betlemme ce ne fossero sempre di meno in giro, anche se qui da noi è facile riconoscere tra i nostri amici quotidiani dei pastori, giovani madre e, speriamo, futuri messia…

La Tamaro nel suo testo tocca proprio il tema dell’educare. Ho letto in giro alcune critiche e molti “distinguo”. Un po’ retro, arcaico, sulla difensiva, nostalgico… ma non mi sembra tanto strano o veterotestamentario come testo. Inizia come fosse la risposta a una ipotetica lettera di una professoressa preoccupata sulle derive educative della scuola italiana, con un evidente riallacciarsi alle tematiche pedagogiche care a Don Milani. Ma la Tamaro non si atteggia a provocatore o innovatore, si accontenta di mettere in guardia genitori ed educatori contemporanei sui tanti rischi ormai ben diffusi e conosciuti. La fretta, la medicalizzazione degli alunni della scuola (uno slalom tra DSA, BES che spesso fornisce solo una stampella perpetua per i nostri ragazzi). Da persona esperta e intelligente non si perde in sterili accuse nei confronti di certe esagerazioni tecnologiche o burocratiche piuttosto diffuse nella scuola ma mette in guardia su adozioni troppo acritiche e conformistiche di questi trend, apparentemente inevitabili. Invita quindi a ragionare con la propria testa senza adeguarsi supinamente ai vari diktat. E insiste su un approccio umano all’educare, perché la tecnologia non è sufficiente. Forse potremo sostituire le api con droni impollinatori ma una carezza non è la stessa cosa di una pressione esercitata da qualche macchina.

Testo rapido e utile per una riflessione. Si può concordare o dissentire ma la posizione espressa è sicuramente condivisa da molte persone, anche da tanti docenti. Tra l’altro era proprio fare la docente il sogno lavorativo dell’autrice, che rivela inoltre le sue difficoltà personali (sarebbe stata sicuramente classificata come BES, data la sua sindrome di Asperger (che ultimamente l’ha portata ad annunciare una sorta di ritiro dalle pubbliche apparizioni)). Personalmente condivido alcune preoccupazioni ma penso che un corretto e competente uso di tecnologie avanzate possa essere un formidabile aiuto; ma come al solito il problema non è tanto nelle tecnologie disponibili quanto nella capacità di integrarle con intelligenza quando necessario (e in tanti casi siamo veramente indietro e timorosi nella loro applicazione). In conclusione, buoni spunti di riflessione e piste da approfondire: la posta in gioco è semplicemente il futuro della specie.

Il tempo di rientrare e …

Il tempo di rientrare e …

Quest’anno invece della pausa natalizia ho giocato d’anticipo e mi sono ritagliato un po’ di giorni in famiglia intorno alla festa dell’Immacolata; c’era di mezzo il compleanno di mamma Vittoria e una rimpatriata in quel di Sanremo ci stava proprio bene. Tra l’altro è stata l’occasione per ritornare ai tempi in cui, in tante case, si preparava il presepio

Sanremo#Siracusa? Uno scontro diretto? Me lo chiedono in tanti dove si sta meglio, ma non è questo il punto. Due città di mare, con storie molto diverse e tanti aspetti differenti, ma quando c’è di mezzo il mare (e qui non c’entra nemmeno il dire e il fare…) la sua presenza è così forte che accomuna tantissimo. Vuoi per il clima dolce (ho passato giorni a Sanremo con una temperatura deliziosa, mentre qui a Siracusa pioveva a barili), l’aria che ti inganna facilmente sul tempo… qui a Siracusa mancano le montagne a proteggere la schiena e fare da barriera. Me ne farò una ragione…

Appena tornato qui alla Borgata, è entrata nel vivo la festa di S. Lucia. E’ dall’inizio di dicembre che fervono i lavori, le luminarie si andavano completando giorno per giorno e noi, dalla nostra sede del Ciao, siamo vicinissimi alla piazza di s. Lucia, uno dei due cuori (o sarebbe meglio dire polmoni?) di questa festa. Peccato per le previsioni meteo inclementi. Mi avevano parlato di una processione interminabile, lunghissima, 6 ore per fare meno 2 km. C’era allerta arancione, se non quasi rossa; hanno anticipato le cose e quando sono uscito con Gabriel che era stato invitato dal responsabile per le comunicazioni della Curia per un’intervista durante la diretta tv, pensavamo di trovare la processione ancora in Ortigia. Senza ombrello, sfidando le prime gocce che iniziavano a infastidire, ci siamo avviati per tempo, ma giunti alla zona dell’Arsenale greco, quasi all’inizio di via Piave, siamo stati bloccati dalla marea di gente che accompagnava la statua. Una statua di argento impegnativa, con un peso di oltre 600 Kg, e un piedistallo altrettanto importante, con sbalzati gli episodi importanti della santa; il tutto supportato da un bel numero di persone col berretto verde (scoprirò che è un retaggio dei falegnami che un tempo avevano il privilegio del trasporto, ora passato ad altri artigiani…)

Ogni processione ha la sua storia e la sua coreografia, la gente poi vi gioca un ruolo insostituibile. Ho ancora in mente i sanguinosi battenti campani, le processioni popolari del Lazio, le pacifiche passeggiate dei paesini di montagna… adesso ho nelle orecchie il grido che ogni 4 passi qualcuno innescava, un’affermazione orgogliosamente popolare, quasi tautologica: “saracusanaè…e tutti rispondono col ritornello Viva santa Lucia“. Più è stentoreo e forte il richiamo, più convinta la risposta.

Mi aspettavo molta più gente, visto che poche decine di metri dopo la santa la coda della processione era praticamente conclusa. Ma la colpa era sicuramente a causa del tempaccio. E dopo essere andati fino in cattedrale, da dove era partita la statua, aver saputo che i tempi erano stati rivisti e accorciati, essere tornati in attesa di un possibile richiamo, fradici e bagnati come pulcini, siamo rientrati in casa, sperando che la pioggia diminuisse. Invece il temporale si è intensificato e le bordate di acqua verso le 20 ci hanno dissuasi da qualunque tentativo di tornare in piazza.

E sabato 14 avevamo un paio di appuntamenti davvero speciali. Il primo per il pranzo di addio con il saluto a Gabriel che dopo 3 anni di vita a Siracusa intraprende una nuova avventura. E in serata la presentazione della mostra realizzata dal Ciao nel museo civico di Canicattini Bagni. A essere meno distratti era anche una data probabilmente significativa anche per il sottoscritto, che festeggiava i suoi primi 60 anni, ma credo che i compleanni siano aspetti marginali che si superano col passar del tempo…

Passiamo allora a salutare anche qui Gabriel, della mostra… vedremo dopo.

Mi soffermo rapidamente sul saluto di Gabriel. Insieme a Onorino è uno dei “fondatori” dell’attività marista in Siracusa. Ha passato 3 anni veramente speciali della sua vita. Basti pensare che, tra le altre cose, è arrivato brasiliano e torna con la cittadinanza italiana. Per noi, italiani da sempre, non è facile cogliere il senso e forse il fascino di una cosa del genere. Recentemente ha visitato il paese “degli antenati”, si è persino procurato una carta di identità italiana (siracusana, per la precisione). Insomma, lascerà sicuramente una fetta importante di cuore, da queste parti. E nella giornata di sabato si è avvertito, quando al momento iniziale, dove ci si aspetta un saluto, un brindisi o cose del genere, le parole erano venate da quel senso di nostalgia che si appiccica solo alle cose importanti.

E per il saluto erano venuti in tanti, amici, ragazzi che Gabriel ha incontrato a casa Freedom (i primi migranti incontrati e diventati quasi parte della nostra attuale famiglia allargata), avvocati, collaboratori, persone impegnate nel sociale, tanti referenti di associazioni del territorio, genitori, ragazzi e…bambini. Un bel modo per dare senso e valore a questo momento significativo. Alla fine abbiamo rivisto alcune immagini e saluti che accompagneranno Gabriel nella sua nuova avventura. Lunedì sera vuole ripartire così come è arrivato, col treno (da qui a Roma ci vorranno più di 12 ore), e dopo gli ultimi saluti ai fratelli della casa generalizia, giovedì il volo definitivo. Poi il Brasile, relax, un po’ di casa a Porto Alegre , ma quasi pronto a riprendere il viaggio per frequentare un Master negli U.S.A.
E la sensazione concreta e innegabile di aver realizzato qui a Siracusa qualcosa che non c’era, qualcosa fatto insieme agli altri amici della comunità marista, spesso lavorando dietro le quinte, tessendo reti e contatti con le persone. Se il CIAO è nato, cresciuto e diventato una cosa bella e significativa è anche merito suo. Grazie, Gabriel.

Non potevano mica mancare un po’ di foto per Santa Lucia versione 2019
E anche quelle per il saluto di Gabriel (ma sto preparando un paio di altre righe sulle pagine del Ciao)

Pecore, pastori e rinoceronti

Pecore, pastori e rinoceronti

Da quanto? Da quanto tempo non facevamo insieme il presepe e l’albero, qui a casa nostra, una Sanremo dalle giornate terse e ormai invernali. Quei giorni che ruotano intorno all’Immacolata, tra una festa milanese per il 7 e un compleanno di mamma che si celebra proprio il 9. E così, vivendo tranquillamente alcuni momenti senza impegni particolari, Massimo si è attivato e pervaso dal sacro fuoco dell’entusiasmo ha fatto la proposta.

Facciamo l’albero, e il presepe. D’altra parte a Napoli e dintorni se non hai già allestito il “grosso” del presepe per l’8 dicembre siamo già un po’ fuori tradizione. Se no ti riduci al 23 dicembre, a tirar fuori frettolosamente qualche statuetta, una casina accartocciata, brandelli di muschio da smistare sul tavolino e un groviglio di lucette. Quest’anno avevamo il tempo giusto e ci siamo messi al lavoro. Perché dietro al presepe c’è più vita che pecore, più fascino che lucette…

Mi vengono sempre in mente a questo proposito i racconti di Natale di Buzzati. Da buon ateo devoto (sua la preghiera” Dio che non esisti, ti prego…”). Pensavo che qualcuno si fosse dedicato a raccogliere tutti i racconti che ha disseminato nelle sue opere; l’unico testo che ho trovato velocemente in giro è solo un generico “E se poi venisse davvero? Natale in casa Buzzati…“. Non so se ce ne sarebbe da compilare una raccolta ma ne ho usati spesso in occasioni natalizie; dagli antichi fotomontaggi, alle diapositive, ai powerpoint. Ce n’è troppo di Natale, il prete don Valentino che disperato viene mandato dal vescovo perché nella fredda cattedrale il buon Dio si è stufato di aspettare gli uomini, oppure i due bizzarri alieni che interrogano il prete chiedendogli spiegazioni mistiche sugli umani… E la sua sensibilità supera di certo la poca fantasia di tanti affezionati al presepe.

Ma torniamo alle scatole del presepe. 3 per l’esattezza. Qualcuna raccoglieva, come tesori di un museo chiuso da tempo, le statuine che forse avevano segnato i miei primi presepi; qualcosa come 50 anni fa, verrebbe quasi da dire “bei tempi”. Così con Massimo abbiamo messo sul tavolo tutti i personaggi presenti. E qui cominciano i problemi. Passi per i 2 sangiuseppe e il quarto remagio, ma che cosa ci faceva un rinoceronte tra gli animali del presepe? Aveva marcato male all’apello delle pecore, era invidioso delle due corna del bue? A scanso di equivoci lo abbiamo radiato dal presepe, seduta stante, e rispedito allo zoo, cambiandogli definitivamente di scatola. Le pecore erano in buona forma, una mezza dozzina. C’era persino il pastore della meraviglia, quello che vede la luce e rimane estasiato; deve arrivare di gran corsa l’angelo a svegliarlo e dirgli di sbrigarsi ad andare con gli altri. Anche per gli angeli eravamo messi bene, un paio al completo e poi il mistero di un paio di ali che non siamo riusciti a rifilare a nessuno, nè ad un pastore un po’ anonimo e tantomeno a una mugnaia con la sporta sul fianco. Infine un agglomerato di casette da farci un rione sanità in miniatura.

Insomma, i pezzi c’erano e per non far torto a nessuno li abbiamo sistemati quasi in fila indiana, salomonicamente divisi a metà tra destra e sinistra, a scanso di rimpasti politici. Ora toccava all’albero. Eravamo convinti di avere il nostro bel spelacchio da sistemare, in due pezzi, ma poi ci siamo resi conto che erano due mini-alberelli. E anche in questo caso abbiamo optato per la lex difficilior, scegliendo il migliore, cioè quello con la punta meno svampita. A questo punto abbiamo pianificato in 3D un attento studio di masse e volumi e sistemando alcuni mobili che nei prossimi 20/30 giorni potevano benissimo essere messi in quarantena, ci siamo avviati a completare l’embrione dell’opera.

Insomma, tra una reminiscenza dei tempi passati, un’autopsia di qualche statuina malconcia e l’analisi semiologica dei testi per avvalorare ardite tesi ermeneutiche (“se i pastori e le pecore dormivano all’aperto non poteva certo essere il 25 dicembre….”) abbiamo dedicato un bel momento della serata a questa preparazione. Mamma, in disparte, apprezzava il lavoro, fornendo a volte qualche consiglio per riutilizzare tutto l’utilizzabile. Si fa Natale anche così.

Ci mancano solo un po’ di lucette, qualche fascia di contorno e qualche pianta (mica può mancare una stella di natale a suggerire la selva, o lo spatifillo in gran forma, piante sicuramente abbondanti sulle brulle colline di Betlemme, a oltre 900 m. slm!). Intanto i protagonisti principali aspettano per l’entrata in scena clamorosa della notte santa.
Così alla fine ci siamo fermati a contemplare il risultato. Certo, manca ancora tempo e manca ancora molto per sistemare le cose al posto giusto… Ma anche questo aiuta a contemplare in anticipo il mistero di questa vita che continua a nascere in tanti modi diversi e luoghi impensati.

Qualche foto dei preparativi di albero e presepe aspettando Natale