Armi e bagagli, anzi, bagaglio solo…

Armi e bagagli, anzi, bagaglio solo…

Lo stavo trascinando da diverse settimane, ma questa volta perché mi sembrava doveroso dedicargli il tempo giusto per approfondire, capire e utilizzare le risorse indicate. Il libro si intitola “Il Bagaglio” e l’autore, Luca Attanasio, è particolarmente impegnato nel “settore”, collabora con diverse testate e sfogliando anche solo distrattamente le sue pagine social si vede che si muove all’interno di ben precise coordinate solidali. Una rapida scheda con la presentazione del testo mi aveva stuzzicato e calcolando che adesso questo ambito è diventato il mio orizzonte di riferimento, mi sembra anche doveroso capirlo meglio.

Il testo si apre con una presentazione di Roberto Saviano, graffiante e incisiva e come sovente riesce a sintetizzare in poche righe il tema centrale, il dramma dei minori stranieri non accompagnati (MSNA, ormai questa sigla ricorre frequentemente tra le mie letture).

Nel testo si parla soprattutto del viaggio che molti di questi giovanissimi uomini (soprattutto uomini) compiono per giungere fino alle nostre terre, spiagge, case, strade. Il bagaglio che spesso manca, sovente viene perso lungo il percorso, coincide infine con la sola persona, è un elemento che segna per sempre queste vite. Esiste un prima e un dopo. Una vita critica e difficile prima e una situazione spesso altrettanto incerta dopo.

Nel testo si presentano i vari problemi legati alla politica italiana degli ultimi anni, dalla fase di emergenza con Gentiloni, al cambio radicale imposto da Salvini, agli strumenti legislativi che comunque restano importanti, come la legge Zampa. Viene presentato il sistema di accoglienza con le sue idiosincrasie, le problematiche legate all’età dei giovani migranti, le soluzioni possibili, il rischio frequente per questi giovani di finire nei meccanismi della criminalità. Sono presentati anche alcuni modelli di buon funzionamento che hanno portato ad una corretta integrazione. Nel libro sono presenti molte voci, soprattutto quelle dirette dei ragazzi che hanno fatto il viaggio, spesso nel loro italiano conquistato a fatica ma così lucido. Alla fine del saggio è presente anche un insolito viaggio all’indietro, compiuto da un giovane migrante africano che ha intrapreso la strada per ritornare nel suo paese e impiantarvi un’attività nuova (un laboratorio fotografico).

Molte le indicazioni operative nel testo, i riferimenti legislativi attuali, i rimandi a pagine web e risorse online che analizzano il fenomeno in modo obiettivo, scientifico e approfondito, le interviste a personalità politiche e operatori del settore. Un testo che arricchisce e fornisce una panoramica abbastanza esauriente del fenomeno “migranti”.

E pensare che ad un certo punto mi ero incuriosito per uno dei nomi dei testimoni citati nel libro. “Ma io questo Daniele forse lo conosco“, mi sono detto, chiedo alla mia comunità… ma certo, è proprio il Daniele che viene al Ciao insieme all’avvocato Domenico, tutti i mercoledì e venerdì sera! Per me, arrivato da poco, è ancora solo una presenza tra le molte, ma mi raccontano subito che era il responsabile di Casa Freedom, il centro da cui provengono gran parte dei nostri ragazzi più grandi. Insomma, uno che di esperienza nel campo ne ha raccolta davvero tanta… Quando, il giorno dopo, gli ho fatto leggere le sue parole di qualche anno fa, tra l’altro ancora attualissime, quasi non si ricordava: “In quei giorni mi intervistavano in tanti, dalla BBC alla Rai… eravamo nell’occhio del ciclone”. Bello sentirsi al posto giusto con le persone giuste!

Eccolo qui il nostro Daniele Carrozza, intervistato a metà libro

Viene quasi la voglia di contattare direttamente l’autore, per tenerlo “al caldo”, chissà, magari un invito per presentare il libro come approfondimento da offrire presso il Ciao? Chissà …

Da notare che siamo a Noto…

Da notare che siamo a Noto…

Forse i giochi di parole con questa splendida cittadina siciliana sono fin troppo facili, ma semel in anno… E visto che domenica scorsa eravamo proprio a passeggiare per le strade di questo capolavoro del barocco siculo, mi viene proprio da pensare che l’ipotesi di scrivere un po’ più spesso su queste pagine è proprio un pio desiderio!

Eravamo con la comunità al completo (ormai il buon Gabriel è nella fase di transizione per lasciare Siracusa, mancherà fino al 29 novembre e partendo il 16 dicembre stiamo anche cercando di lasciarlo un po’ più libero…) e con c’era anche il provinciale, fr. Juan Carlos, che come me non era ancora mai stato in questa località. Tutti ne parlano, le guide la esaltano e allora, andiamola almeno a vedere.

Diciamolo pure, quando io vado a vedere qualcosa comincio con il mettere in pausa le lancette dell’orologio, il tempo della visita è sempre molto relativo e vagare anche senza troppe mete è una cosa che faccio di default; ma non pensano la stessa cosa i miei compagni di viaggio… visto che in meno di un paio di ore siamo persino riusciti ad andare da un’altra parte. Ma è il bello del vivere insieme condividere sensibilità così diverse. Di sicuro se non avessero dovuto aspettarmi ci avrebbero messo poco più di mezz’ora 🙂

In pratica il bello di Noto si concentra lungo i fianchi della strada principale, corso Vittorio Emanuele e il parallelo, corso Cavour (con tutti questi piemontesi mi sento quasi dalle mie parti…); il nuovo asse scelto dopo il rovinoso terremoto del 1693 (che ormai ritrovo in tutte le zone che sto cominciando a conoscere, una sorta di “nuovo inizio” anche qui) per ricostruire la città distrutta, scegliendo coraggiosamente un nuovo sito e cambiando del tutto zona, spingendosi i verso il mare. Nobili e congregazioni religiose sono stati i promotori. E comincio anche a capire, come mi spiegava P. Nuccio, che qui il termine “don” per i preti è poco usato, prevale il “padre”, sicuramente retaggio del tempo incui la gran parte dei sacerdoti erano tutti di qualche congregazione e ben sparuto era il clero diocesano.

Passeggiando per queste ampia strada, isola pedonale e discretamente affollata di turisti, anche in una giornata come questa domenica piuttosto grigia e minacciosa di vento e pioggia, è davvero uno spettacolo. Insomma, la cittadina è decisamente coerente in questo suo centro, dal colore della pietra (estratta in quel di Siracusa, siamo a meno di 30 km) allo stile dominante. Niente accozzaglie di palazzi o soluzioni architettoniche improvvisate, si respira armonia e buon gusto. E questo barocco non infastidisce, non ha un volume eccessivo, ben si adatta al clima e alle persone…

Nella cattedrale, proprio all’ingresso, spicca la croce realizzata qualche anno fa con il legno dei barconi dei migranti. Adesso che sto cominciando anch’io a toccare con mano le persone che questa vita l’hanno vissuta davvero e hanno superato in modo quasi incredibile le traversie di un viaggio biblico, alla commozione sento che deve subentrare l’impegno perché questo rimanga nel passato e non torni a verificarsi nel futuro.

Finiamo il percorso vicino all’immancabile monumento a Garibaldi, anzi, al balcone dal quale, come sempre, ha incitato la popolazione contro la tirannide (per il momento non addentriamoci in terreni scivolosi); poco lontano un giovane nordafricano con chitarra inonda la strada a ritmo di raggae, nemmeno troppo fuori tema con le sue sincopi e il ritmo pittoresco.

Ritiro una mappa della città per una prossima visita, raccolgo qualche squarcio non solo dell’oggi, scopro con piacere che anche qui si svolge una infiorata (l’imprinting di quella di Genzano che porto nella memoria non lo posso certo cancellare), per una prossima visita ci sarà materiale a sufficienza per consolare la fretta di quest’oggi.

E come da programma, ecco un po’ di foto scattate a Noto in questa giornata

Papiro per davvero…

Papiro per davvero…

Lo sapevo già che a Siracusa è presente una pianta speciale, il papiro, o come direbbe il mio amico fr. Nito, rispolverando un po’ di latino botanico, il Cyperus papyrus.; secondo gli esperti è l’unica stazione europea dove cresce il papiro egiziano, quello famoso del Nilo, proprio quello degli storici rotoli di papiro.

Spulciando sul web scopri che proprio a Siracusa si è conservata la tradizione di produrre carta dal papiro, per alcuni tempi è stato l’unico luogo al mondo dove si realizzava (cioè, nemmeno in Egitto la producevano più!) e proprio qui si trova l’unico Museo del Papiro del nostro continente.

Era domenica 10 novembre, pomeriggio sereno dopo una settimana di piogge. Ce n’era abbastanza per andare ad esplorare il corso del fiume Ciane, un tranquillo corso d’acqua che scorre quasi parallelo al fiume Anapo. Dato il terreno calcareo anche qui sono frequenti gli ingrottamenti e il fiume quasi scompare (e io che spiegavo il carsismo ai ragazzi e pensavo che fosse appannaggio solo del territorio triestino…). Stessa cosa vale per le sorgenti del Ciane, che di punto in bianco spuntano dal suolo. Ma andiamo con ordine.

In bici (ovviamente), si esce da Siracusa e si costeggia fino al ponte sull’Anapo, subito dopo si incontra il Ciane e si prende, un po’ bruscamente, la strada che lo costeggia. Si passa vicino a coltivazioni d’aranci, la gente li raccoglie già in questo inizio di novembre. Si supera una fattoria (dall’odore la porcilaia si avverte subito, anche se non si vedono i protagonisti!), si oltrepassa un binario con passaggio a livello che non si capisce bene sia ancora utilizzato e finalmente ci si avvicina veramente al fiume Ciane. Un ponte semi-inagibile, probabilmente per evitare troppe intrusioni, segna l’inizio del percorso vero e proprio. Qualche scalino da fare con la bici al seguito e poi la stradina in terra battuta è tutta parallela al corso d’acqua che tranquillamente si snoda nella campagna.

E lo spettacolo è veramente insolito, sembra proprio di attraversare un pezzo d’Africa in giardino: palme lussureggianti, piante di papiro che superano i 3-4 metri, vegetazione rigogliosa e qualche slargo del fiume a simulare piccoli bacini.

Ogni tanto un ponticello consente di osservare meglio il corso d’acqua. Colpisce soprattutto la pulizia e la splendida trasparenza delle acque. Fa veramente piacere che tutto l’ambiente rifletta questa attenzione e cura (purtroppo non così frequenti da queste parti, come avrò modo più volte di osservare). Incontro poche persone, un turista che scruta una mappa e confronta sul cellulare, alcune persone che lasciata la bici sul bordo si rilassano serenamente sulle rive, poche altre persone in bici.

eccolo, il papiro!

Più avanti il terreno si fa più fangoso, scontiamo le piogge di questi ultimi giorni, ci si inzacchera alla grande e la bici percorre metri e metri nel fango, se non nell’acqua. Infine, dopo un percorso di quasi 2 km si arriva alla sorgente, cioè il luogo in cui sgorga copiosa l’acqua. Qui una breve passerella consente di immergersi letteralmente in questo paradiso verde. Uno spettacolo fresco, naturale e veramente particolare.

Ritornando a casa cerco di visitare anche il vicino Tempio di Giove, ma dalla strada non si vede nemmeno, il cancello e chiuso e si resta a becco asciutto. Ma per oggi il papiro può bastare.

Ecco le foto di questa “caccia al papiro” lungo il fiume Ciane

Curiosando sulla costa

Curiosando sulla costa

Altro che sogni di mezza estate pensando di avere il tempo quotidiano di buttare giù qualche riga ogni tanto, anzi, ogni spesso. Vedo che più passa il tempo qui a Siracusa e più si aggrappano cose alle ore, ma in fin dei conti immaginavo già che dovevo metterlo in conto.

Sabato abbiamo passato una giornata tranquilla a riflettere e ragionare noi 4 della comunità, insieme a Juan Carlos (il provinciale dei maristi della provincia mediterranea, e noi siamo proprio in mezzo!) che sta passando questo lungo week-end con noi. Abbiamo iniziato in modo davvero ufficiale, con una visita al vescovo di Siracusa.

eccoci insieme con il vescovo e il provinciale

A conti fatti lo sto andando a visitare una volta al mese, visto che già ad ottobre eravamo andati a trovarlo. In questa occasione abbiamo anche accolto la proposta che la Diocesi ci sta facendo, per risolvere in modo meno provvisorio la nostra permanenza qui. Parleremo anche di questo, visto che un posto dove stare non è certo un dettaglio…

alba sulla spiaggia di Fontane Bianche

Sabato 16 ci siamo quindi presi una giornata di stacco completo. Al mattino presto Gabriel era in partenza (e siccome dovrà partire per rientrare in Brasile a metà dicembre, questi ultimi giorni sono un po’ speciali per lui), così ne ho approfittato per andare a vedere l’alba dalle coste a sud di Siracusa, che ancora non ho avuto modo di saggiare. Come al solito peccato che nelle foto sia necessario giocare d’inquadratura per escludere bottiglie, ciabatte, sacchetti che anche qui “impreziosiscono” il paesaggio. Che invece sarebbe davvero unico. E le spiagge di Fontane Bianche meriterebbero un’attenzione migliore da parte di tutti.

E così la nostra comunità, insieme a Juan Carlos, ci siamo recati presso la struttura della “Città di Bethania”, che si trova a sud di Siracusa, non molto lontano, mezz’oretta di macchina. Si tratta di una fondazione nata nei “mitici” anni 60, come tante altre opere, dal sogno di un sacerdote locale e di una suora, anche lei siracusana. Attualmente è un posto per incontri, ritiri, momenti di riflessione.

La Chiesa, anzi, il santuario, attorno al quale ruota l’opera, è veramente strana, o per lo meno particolare. Non siamo riusciti a capire se era in fase di completamento o di ristrutturazione. Certamente è un’opera imponente, un po’ fredda, poco armonica con il paesaggio in cui si trova. Ma a discutere con gli artisti e gli architetti non si finisce più. In compenso nel primo pomeriggio, con la cocciuta idea di arrivare fino al mare, che nemmeno si vedeva in lontananza, ho preso la strada della costa.

Tra un faro in vicinanza, la silhouette di Siracusa sullo sfondo e campi coltivati (non ho ben capito a cosa… si vedevano solo innumerevoli tubi per l’irrigazione), cammina cammina sono giunto fino al mare, attraversando viali avviluppati in siepi fiorite, pini, eucalipti, scritte in siciliano per invitare a non degradare i luoghi, muraglioni con belle evidenze di opere antiche, cavità nella pietra che suggeriscono necropoli o ingressi ad ipogei. C’è veramente di tutto da queste parti. Compresi resti di costruzioni quasi con le fondamenta in mare, probabili resti di tonnare ormai abbandonate.

E lo spettacolo è nuovamente affascinante, molto articolato, ricco di scogliere, falesie, insenature… e purtroppo in molti punti ben poco valorizzato. Stradine improbabili, un po’ dissestate, ogni tanto rifiuti (amianto compreso) in bella vista. Peccato, il luogo sarebbe veramente da riscattare. E qualche capatina, magari in bici, ci scapperà sicuramente.

E naturalmente qui ci sono le foto, in ordine sparso, di questo sabato a sud di Siracusa

Tra le rovine di Segesta

Tra le rovine di Segesta

Ultima tappa della nostra gita nei dintorni di Trapani è stata Segesta. Dopo una velocissima perlustrazione delle saline e dei suoi … mulini a vento (fa tanto Olanda, ma senza i tulipani), per non rientrare troppo tardi a Siracusa, evitare il traffico del rientro, tutti quei calcoli per le partenze intelligenti e cose varie, abbiamo pensato che visitare Segesta, praticamente una piccola deviazione lungo il percorso, poteva essere una buona occasione, anche perché nessuno vi era ancora stato.

Abbiamo bisticciato un po’ con i cartelli locali, perché appena usciti e arrivati in macchina fino all’ingresso del parco archeologico di Segesta ci hanno gentilmente rispediti indietro per utilizzare l’apposito parcheggio. Peccato che si siano dimenticati di mettere qualche cartello decente e così siamo finiti di nuovo in autostrada 🙁 altro giro, altra uscita e rientro. Sicily way…

Ma quando poi siamo finalmente arrivati all’ingresso del parco, con il frontone del tempio che tralignava sopra i pini, le cose sono cambiate. Tanto per cominciare non avevamo fatto caso al fatto che era domenica, la prima del mese, quindi ingresso free. Niente male.

Prima tappa: il tempio di Segesta. Dopo una breve scarpinata su scalini probabilmente realizzati dagli stessi greci… ecco apparire un’imponente selva di colonne, con il perimetro perfettamente conservato e possente. Una costruzione che risale al 6 sec. a.C., probabilmente interrotta per colpa di qualche guerra (forse una delle classiche contro Cartagine!) e mai più completata. Un esempio spettacolare di come venivano eretti i templi nell’epoca classica. Perché quando noi pensiamo alla Grecia antica dovremmo renderci conto che in realtà stiamo parlando proprio della Sicilia! Girare intorno alla costruzione, guardare il panorama facendolo collimare con gli spazi tra le colonne, respirare il vento di questa zona montuosa, a ridosso di una sorta di canyon, forse solcato da un torrente. Insomma, sapevano sceglierli bene i posti suggestivi, i nostri antichi.

E dopo la visita al tempio siamo saliti con la navetta fino ai resti del teatro, recuperato e utilizzato anche in epoca romana. Lo spettacolo è davvero insolito, un teatro per 5000 persone incastonato in cima alla montagna, con lo sguardo che giunge fino al mare.

E’ interessante rileggere alcune pagine di Goethe (nel file accluso siamo a p. 36) che nel suo famoso Viaggio in Italia è passato anche di qui (peccato, a Siracusa non è giunto, in quei tempi, fine 1700, era ridotta piuttosto male).

Segesta, venerdì 20 aprile
Il tempio di Segesta non è mai stato finito, e la piazza intorno non vi è mai stata adattata; hanno pianificato soltanto il perimetro sul quale dovevano essere messe le colonne: ancora adesso, in alcuni punti, i gradini sprofondano per nove o dieci piedi e non si vede un pendio nelle vicinanze dal quale pietre e terreno avrebbero potuto scendere. Le pietre inoltre stanno nella loro posizione quasi naturale e non ci sono rovine al di sotto.
[…]

Confrontare le esperienze, gli interessi e le curiosità è sempre interessante.

A noi sicuramente sfugge il senso e la portata di quegli spettacoli, che coinvolgevano tutti gli abitanti del luogo (mio fratello Massimo, interpellato al volo, mi ricordava che ai contadini veniva pagata la giornata di lavoro pur di farli assistere alle tragedie e ai riti sacri!). Poi il borgo di Segesta ha tentato di varcare i secoli, ma ha superato a malapena il medioevo e si è fermato, iniziando a sbriciolarsi man mano. Ne rispolveriamo adesso i confini, i limiti, la silhouette. Siamo fatti di terra e qui anche di tanta aria, vento e sole. E di pioggia, almeno quella che abbiamo preso durante il viaggio di ritorno a Siracusa.

Ecco le immagini di questa rapida incursione a Segesta