Souvenir della casa generalizia

Souvenir della casa generalizia

Tanto era già prevedibile che queste pagine finivano per trasformarsi in una specie di diario delle cose che mi capitano. Mi era successo dal lontano ’96, con i primi stralci da Debrecen, per poi passare a San Paterniano (ce lo ricordiamo ancora il terremoto dell’Umbria del 1997?), poi è stata la volta di Sarajevo, quindi la Spagna e l’Amazzonia dell’Ecuador… per limitarsi alle mete più ‘esotiche’. Adesso ripartiamo da Roma-Eur.

In effetti Roma, dove mi trovo adesso, non è un luogo insolito, anzi, una meta ben nota. Fuori dalla finestra di questa assolata e torrida domenica ho un concerto di cicale da fare invidia a Montale, mettere il naso fuori è per pochi arditi (conviene farlo al mattino presto, ad esempio per un tour intorno ai laghetti dell’Eur). Sono nella casa generalizia dei Fratelli Maristi, un luogo che mi richiama alla memoria squarci ed episodi di vita interessanti.

La prima volta che sono capitato qui era nel …1976, sempre in estate. Mi trovavo a Velletri nella casa di formazione marista e il nostro responsabile, fr. Gabriele, partecipava al capitolo. Se non sbaglio dovevo portargli dei documenti; fatto sta che ho passato la mia prima notte in una delle tante camerette dei fratelli studenti (per l’epoca mi sembrava una distesa sterminata di stanze. Erano nate da poco in Italia le radio libere, ricordo che avrò passato un paio di ore, prima di dormire, ad esplorare tutte quelle che si riuscivano a sentire. Sarà un caso che La Radio di Finardi è proprio di quell’anno? Poi nei miei primi anni di Roma (dal 79 all’84) questa casa generalizia era la meta di tanti sabato pomeriggio; venivamo dal San Leone a giocare con gli studenti stranieri. Non che il gioco del calcio fosse tra le prime 27 attività preferite dal sottoscritto, ma la compagnia faceva il resto. Ci si incontrava, si scambiavano 2 chiacchiere, si scoprivano persone di paesi lontani, ci si trovava in modo semplice a contatto con una delle dimensioni più preziose della nostra famiglia, l’internazionalità, il confronto, il conoscere altre persone che vivono e agiscono nello stesso campo ma con modi e mentalità differenti. Qualcuno si ricorda che il buon Emili, che sarà poi superiore generale nel nuovo secolo, preferiva passeggiare sui terrazzi con un libro in mano 🙂

Sta per iniziare il corso Lavalla200 e oggi è il giorno degli incontri. All’alzata ci siamo già visti, in modo molto semplice, visto che in tutto saremo in 7. Tornando poi dalla messa in S.Paolo Fuori le Mura (non oso immaginare l’effetto che possano aver fatto tutti i ritornelli in latino dei benedettini nei miei poveri amici delle Fiji, Filippine e Maleysia… vedremo poi) abbiamo già scoperto i due estremi del gruppo, e sono le donne, andiamo dai 77 anni ai 26! Ma procediamo con calma, una volta tanto senza fretta.

Un occhio alla rete – E poi non guasta, se penso che qualche settimana fa in Libano nei momenti liberi vagavamo alla ricerca dell’angolino dove la connessione wi-fi era più intensa e si navigava (anzi, si annaspava) al massimo sui 2 Mb, almeno qui il problema non si pone… Siamo quasi a 100 Mb e ormai si sa, ubi wi-fi ibi vita est!

E adesso si riparte

E adesso si riparte

In fin dei conti lo slogan marista di quest’anno era “CAMBIA“, e manca ancora un po’ di tempo prima di adottare il nuovo (tranquilli, niente spoiler 😉 E da domani ci proviamo decisamente…

A conti fatti sono passati qualcosa come 40 anni di insegnamento, se ripenso al mio percorso; ho iniziato come maestro di 1a elementare al SLM, era il mese di settembre del 1979; per far capire ai genitori la differenza tra il maestro e il loro figli usavamo ancora la tonaca! Dopo il primo mese di scuola e forse la seconda uscita ai campi sportivi di Prato Lauro ho pensato che la lezione fosse sufficiente e mi è sembrato più normale usare abiti “normali”… I ricordi di quegli anni, un intero corso di scuola elementare, sono ancora belli freschi, anche senza ricorrere a FB; poi nel 1984 a Genova, dove sono rimasto 12 anni e quindi si passa a Cesano, ma questa volta come preside ; mezzo anno di pausa, dal gennaio al luglio del 2004 (decisamente un ottimo “stacco”) per spostarmi poi nel bel mezzo della terra dei fuochi, tra l’altro erano proprio gli anni intensi delle faide di Scampia, dei disastri ecologici… nel 2012 il pendolo mi ha riportato in terra brianzola, di nuovo a Cesano per giungere ancora una volta a Giugliano. Insoma, 40 sono un bel traguardo biblico (mi viene da pensare al buon Mosè, ma qui si esagera in accostamenti biblici…)
E adesso? Ovvio che i miei alunni della futura 3mediaA avranno un guizzo del tipo “un altro cambio?” ma conoscendoli so come apprezzeranno chi mi dovrà sostituire.

Ok, ma il cambio in cosa consiste? Da diversi anni i maristi hanno lanciato il progetto Lavalla200>, la proposta cioè di comunità internazionali, fratelli maristi e laici, in situazioni di periferia, seguendo le indicazioni di papa Francesco e del nostro ultimo capitolo generale. Così sono sorte comunità nel quartiere di Harlem, a New York, ad Atlantis, in Sud Africa, a Moinesti, in Romania, a Siracusa, a Tibatinga (Amazzonia…). Per motivi contingenti (la salute di papà, in primo luogo), pur avendo accolto l’invito, non avevo potuto partecipare, anche perché il momento formativo indispensabile per far parte di questo progetto era sempre in zone off-limit per il mio calendario (coincideva sempre con la fine della scuola, non mi andava l’idea di mettere nei casini qualcuno nel momento più delicato dell’anno scolastico); quest’anno il corso si svolge da agosto a settembre. E così ci siamo. Da domenica 11 agosto ci riuniamo presso la casa generalizia dei maristi, a Roma-Eur.

Intanto si parte. Il resto un po’ alla volta…

Sono tante le stelle di Lampedusa

Sono tante le stelle di Lampedusa

Ho finito da poco l’intenso libro del medico di Lampedusa; ammetto di essere un po’ di parte 😉 e con gli interessi emergenti di questi miei ultimi periodi si tratta di sfondare una porta più che aperta: anzi, sto proprio cercando di allargare un po’ i confini conoscitivi su queste tematiche, proprio per non accontentarmi di informazioni generiche e sbrigative…

Ecco le righe che ho preparato… sperando che vengano poi pubblicate (mi è già successo che alcune recensioni su Amazon NON venissero accettate, forse per il tono troppo personale? Se non altro vuol dire che qualcuno le controlla… il che non guasta).

Il tema dei migranti e dei continui sbarchi continua a interessare la nostra società. L’approccio che ne fa l’autore è molto concreto e senza sterili polemiche. Anche il suo impegno politico rimane sullo sfondo, senza nessuna forzatura o invadenza.
Come medico di Lampedusa ha un punto di osservazione particolarmente significativo, essendo spesso tra i primi a dove incontrare le persone che giungono coi barconi sul suolo italiano. Il libro nasce dopo il film Fuocammare del 2016 (Leone d’oro al Festival di Berlino), ma l’autore non trasforma le pagine in un trampolino promozionale. Traspare dalle storie che vengono raccontate l’estrema umanità del personaggio, con i suoi entusiasmi, le sue emozioni e talvolta le sue decisioni impetuose, sulle quali in seguito dovrà ricredersi lo stesso autore. Come filo conduttore del libro si intravede la storia di una bambina africana, giunta da sola in Italia, alla ricerca della mamma che l’ha dovuta abbandonare da piccolissima; l’autore si affeziona a questa bimba, si interessa al suo caso, smuove personaggi, uffici e amici per aiutarla, con tenacia e ostinazione; non tutto procede secondo i desideri, si giunge a rintracciare la madre, anche lei clandestina ma in Francia, ma i tempi per il ricongiungimento si dilatano, incontrano l’ostacolo grigio della burocrazia, scatenano nella bimba reazioni pericolose ed inquietanti. Ma il lieto fine, che sostiene l’impegno umanitario del dottore, ripaga alla fine di tutto quanto. Molto umano e toccante.

Perché leggerlo: conoscere da vicino il problema dei migranti e le dinamiche degli sbarchi, saper vedere oltre l’emergenza o il clamore mediatico, capire che si tratta di persone, individui, ciascuno da cogliere con uno sguardo unico e solidale.

Da Sidone al Progetto Fratelli

Da Sidone al Progetto Fratelli

E così arriviamo anche al nostro ultimo giorno di tour libanese. Oggi l’itinerario è verso sud, a una manciata di km dal confine con Israele. Quando si pronuncia questo nome bisogna sempre fare un po’ di attenzione, per capire con chi si sta parlando; i nostri amici e fratelli libanesi hanno un bel da fare a spiegarci le differenze, la storia, i problemi intercorsi.

Per noi è complicato e capire come mai qualche cristiano preferisca Israele (scottati per il problema dei tanti profughi palestinesi che hanno invaso il sud del paese) oppure si appoggi ad Hezbollah, la forza musulmana che comunque si è distinta nella resistenza contro l’Isis. Ma a quanto pare qui le liti e i problemi hanno radici lontanissime.

Dopo aver faticosamente attraversato gli ingorghi di Beyruth, che al mattino presto assomiglia a tutte le congestionate città dell’occidente, aver superato l’immenso cumulo di spazzatura in attesa di trattamento (anche da queste parti i problemi sono seri, soprattutto in questi mesi), aver cercato inutilmente turisti e ombrelloni sulle spiagge (che strano, sembrano accoglienti e selvagge, ma le nostre guide ci dicono che solo poche spiagge sono pulite e con acqua non inquinata…), ecco finalmente giungere alla biblica città di Sidone, l’attuale Sayda. E… diamo spazio alle crociate, ai francesi, ai genovesi, ai veneziani, che in questi porti hanno vissuto e lavorato per secoli. La prima tappa è proprio un antico castello francese, fatto costruire dal santo re Luigi; rimangono poche macerie, curiose tra l’altro (avete mai visto un muro dove al posto dei mattoni si usano “fette” di colonne romane?), ogni tanto passa un barcone con allegri gruppi di ragazzini, i grest estivi funzionano anche qui!

E poi entriamo nel cuore della vecchia Sidone, nel souk arabo a prevalenza musulmana, ben diverso dal pittoresco souk di Biblos, molto più signorile. Iniziamo dal caravanserraglio costruito dai francesi (ospita ancora il centro culturale francofono), semplice e ben conservato, sede di convegni e incontri. Ma appena si esce e si entra nei vicoli… si sperimenta veramente l’apoteosi del caos: portoni da cui straripano pacchi e prodotti, vetrine infarcite di mercanzia, sciami di donne velate che ondeggiano quasi a cullare le borse ripiene, venditori ambulanti di foglie di vite (!) da preparare e friggere in cucina (!!), viuzze monotematiche (prima tutti i ciabattini poi i meccanici, poi i macellai, con tanto di sciorinamento di frattaglie e interiore di animali penzolanti…). Talmente affascinante che riusciamo a perderci! Meno male che poi raggiungiamo in un modo o nell’altro la prossima meta, il museo del sapone della famiglia Audi, una pausa di fresco e di relax…

Prima del pranzo ci rechiamo sulle alture; c’è una grande chiesa, ancora in costruzione, anche qui i mosaici che l’adornano sono tutti di provenienza italiana, la chiesa è vicina ad una grotta speciale. La nostra guida, fr. Georges Trad, ci spiega che è un luogo “quasi” biblico. Un tempo queste erano zone di frontiera tra Israele e il popolo dei fenici, capitava spesso che qualche rabbi sconfinasse, come infatti i vangeli ci raccontano di Gesù, che opera anche nel basso Libano (o Alta Galilea); solo che le donne non avevano tutta questa libertà, così il gruppo dei supporter di Gesù, cioè sua madre e le altre donne, aspettavano il ritorno di Gesù in questa grotta, per questo qui si venera Maria “madre dell’attesa”. E davanti alla grotta un fiorente sicomoro ci accoglie con la sua ombra (e con i suoi originali frutti, che crescono direttamente sui tronchi), perché il sole anche oggi picchia solenne! Qualcuno scruta tra i rami per vedere se spunta anche Zaccheo…

L’appuntamento per il pranzo è a pochi passi dal mare, una riva impervia, onde consistenti, e anche qui nessuno in spiaggia. Nel ristoranti abbiamo l’appuntamento con tutto lo staff del Progetto Fratelli, arrivano fr. Migueles (fms) e Andrès (fsc) insieme a tanti volontari. Incontriamo volti noti, amici, qualcuno incontra ragazzi spagnoli a cui ha fatto scuola anni fa. Fa piacere vedere che oltre alle materie insegnate è passata anche la passione per qualcosa di più. Il Progetto Fratelli, che ormai ha 3 anni di esperienza, vede la collaborazione dei maristi e dei fratelli delle scuole cristiane, il target è molto concreto: i minori siriani in fuga dalle zone di guerra. Il piccolo Libano conta poco più di 6 milioni di abitanti ma ha accolto, a partire dal 2012, circa 1 milione di profughi dalla Siria in guerra, un numero imponente (mi fermo per non scivolare in critici confronti con la nostra Italia di oggi, situazione che sfiora se non il ridicolo sicuramente la perdita di ogni proporzione). Nei dintorni di Sidone c’è anche il più grande campo profughi palestinese ma le condizioni dei siriani sono davvero drammatiche. Sulle colline di Sidone i Maristi avevano costruito negli anni 60 una grande scuola, con l’inizio del conflitto, nel 1975, l’edificio si trovava proprio nel centro dei combattimenti, diventò impossibile continuare. L’edificio abbandonato venne occupato dall’esercito libanese; proprio grazie a questo non venne distrutto o saccheggiato. Ci sono stati restituite alcune zone della scuola (altre rimangono sotto il controllo militare, ma la scuola è decisamente grande e non si nota quasi). In questi locali, gradualmente riparati e ristrutturati, si svolgono oggi le attività di formazione e di alfabetizzazione.

La situazione non consente di avviare una scuola regolare, ma in questo modo si offre un’alternativa sensata a tutti quei minori che altrimenti resterebbero segregati e persi nei campi profughi senza un’occupazione e senza uno scopo. Quanti sono? Attualmente frequentano il campo oltre 500 minori, nei mesi estivi sono previste inoltre attività ricreative e più vacanziere, molti i volontari che giungono a dare una mano a questa realtà di frontiera. Chiediamo a fr. Andrès che ci accompagna nel tour della scuola come sono le relazioni con i musulmani (che sono la maggioranza dei bambini): “nessun problema, ovviamente non si fa un annuncio esplicito del vangelo, le famiglie e tutti i nostri ospiti sanno che siamo cristiani ma i valori e i contenuti che presentiamo e cerchiamo di vivere sono validi per tutti”; d’altra parte la Siria era già uno dei pochi paesi arabi dove i cristiani potevano liberamente vivere.

Intanto fuori arrivano dei ragazzi, inizia una partitella a pallone sul piazzale, poi spuntano alcune bambine, tutte felici perché oggi non c’è concorrenza e possono usare le altalene tutte per loro (oggi pomeriggio il centro è chiuso). Ma qui si sentono a casa e quando possono …vengono, visto che abitano vicino. Sono minori e profughi siriani, semplicemente sono bambini.
Per noi occidentali abituati dalla tv e dal clamore mediatico ad una visione netta, dove tutti gli arabi sono sempre visti sulla sponda nemica, questa visione più serena e tollerante è una bella novità. Invece di maledire il buio, qui veramente si accende una luce. Fr. Georges Hakim, che è venuto con noi, ci mostra la sua vecchia camera, gli ambienti della comunità (lui era qui come docente negli anni 70), i giardini esterni. Tra poco anche lui tornerà ad Aleppo per continuare la missione dei maristi blu, ci saluterà segnalandoci l’ultimo numero della “lettera di Aleppo” con i progetti e i sogni da trasformare in realtà, perché la guerra è solo “quasi” finita, la pace è ancora lontana…

Ed ecco l’ultimo album fotografico: da Sidone al Progetto Fratelli

Terra di madonne e santi

Terra di madonne e santi

E’ incredibile come ogni 20 o 30 m. lungo le strade, i sentieri, le rocce, i giardini, si incontrino nicchie con statue di santi, madonne, monaci oranti e profeti col braccio levato. I fratelli ci tenevano ogni tanto a segnalarcelo: “Questa è una zona quasi completamente cristiana… qui ci sono i Drusi, qui la maggioranza è sunnita…” e per marcare il territorio i cristiani hanno disseminato ovunque segnali ben evidenti (i musulmani si prendono la rivinciata con i muezzin amplificati a tutto volume!): edicole votive e statue di santi.

Così lunedì 29 il giro è stato essenzialmente alla scoperta di santuari, chiese e personaggi mistici. Iniziamo la discesa (da Faraya siamo a quota 1200 e dobbiamo sempre riprendere la via verso la costa) e tra un sali e scendi arriviamo nei pressi del Santuario di Nostra Signora del Libano; una chiesa ardita, moderna, che ricorda la carena di una nave ma anche lo slancio del cedro. Vicino c’è anche una statua della Vergine su un alto supporto. Alcune rampe di scalini e al primo passo si rimane un po’ spiazzati perché… ci sono delle scarpe sul pianerottolo, alcuni vanno scalzi!
Peccato però che la basilica è chiusa, oggi è lunedì e non ci sono “molti” curiosi in giro, ma grazie alla nostra guida, Pascale (che tra l’altro è la resonsabile della pastorale della scuola di Champville), riusciamo a convincere i custodi che appena sentono la composizione del gruppo (Spagna, Italia, maristi!) molto cortesmente ci spalancano le porte di questa spettacolare chiesa. Non capita tutti i giorni un trattamento così attento e cordiale. E veramente la chiesa è imponente, tutta in cemento ma non fredda, elegante e luminosa.

Ci rimettiamo subito in cammino per visitare un’altra chiesa, molto vicina a questa basilica, ma di fattura totalmente diversa: è una chiesa greco-cattolica e al suo interno ha un tesoro di icone e mosaici spettacolari. Piccolo dettaglio: tutta l’opera artistica è realizzata… in Italia 😉

Ci viene spiegata la simbologia e la struttura dell’iconostasi, quel separé così insolito che divide lo spazio dei fedeli dai celebranti; qui durante la consacrazione il mistero è totale, si chiudono letteralmente le porte e la visuale è nulla, solo la voce testimonia l’evento. Per noi cattolici è certamente un modo insolito, ma rivela una sensibilità e un’attenzione degne di rispetto… Ne approfittiamo per girare con calma sotto le cupole di questo tempio, ammirando i mosaici e le tante icone dipinte in ogni dove.

Ed essendo una chiesa greca sono sicuro di incontrare anche il mio san Giorgio, è quasi un obbligo e infatti, a difesa quasi dell’ingresso, ecco l’icona del cavaliere che uccide il drago! Nel vicino negozio di ricordi (tutto il mondo è paese), ne trovo anche altre versioni, insieme a tante altre riproduzioni, ciascuna col suo significato particolare. Perché le icone, quelle vere, richiedono tempo, preghiera, passione…

Ma si riparte, alla volta del santuario del santo Charbel. Per fortuna che oggi è una giornata tranquilla, se fosse il 22 del mese sarebbe praticamente impossibile giungere fin qui, dove si venera la tomba del santo e poco distante anche il suo eremo. Più che il luogo, la figura del santo, i dettagli delle costruzioni, meraviglia l’attenzione e la fede dei tanti pellegrini, alcuni visibilmente musulmani, perché questo santo è proprio un elemento comune, venerato anche nell’Islam. Perché il 22? è l’anniversario del più famoso miracolo di questo eremita che solo dopo la morte ha cominciato ad essere venerato; dopo aver guarito una persona con un intervento chirurgico miracoloso le ha poi detto di venire ogni 22 del mese in pellegrinaggio in questa chiesa. E’ Pascale che mi racconta i vari dettagli e poi aggiunge: “Questa persona è ancora viva, io la conosco, spesso vengo qui il 22 e c’è anche lei…”. Semplicità e concretezza.

La visita è ancora lunga, ci spostiamo sulla costa, verso nord e giungiamo fino a Jbeil, dove ci sono 2 scuole mariste molto vicine (e vengono gestite come un’unica entità). Alla nostra guida Pascale si aggiunge anche Anika, la segretaria tuttofare di questa scuola (stiamo parlando di un centro con oltre 2000 alunni!), donna appassionata del Libano e soprattutto della sua città. Una di queste è la più antica, risale al 1904, quando i maristi devono fuggire dalla Francia e disseminarsi per ogni dove. Qui si conserva anche il piccolo cimitero dei fratelli libanesi e… che sorpresa nel leggere anche vari nomi italiani, soprattutto di fratelli valdostani.

Ormai la giornata reclama un po’ di pausa, siamo ben oltre le 15 e ci si dirige verso il cuore antico di questa antichissima città. Il nome originale è quello famoso di Byblos e nel souk centrale si coglie tutto lo spirito d’oriente. Questa città vanta il primato di essere una delle più antiche del mondo ad aver sempre ospitato persone, senza interruzioni, e si parla di oltre 7mila anni di vita! Dopo il pranzo ci addentriamo anche noi per i vicoli di questo emporio variopinto e poi, stremati, tutti a casa, perché i km da macinare sono ancora molti e in preda al caotico traffico libanese!

Ecco l’album delle foto di lunedì 29 luglio – Santi e Madonne