ritrovare vecchi pezzi in rete

ritrovare vecchi pezzi in rete

Un tempo ci si dedicava alle pulizie di primavera, si attendeva la bella stagione quando spalancare le finestre non equivaleva a prenotare un raffreddore e si iniziava a spostare, riordinare,  pulire, recuperare i pezzi, le scatole, rimettere in ordine…

Oggi  si pensa e si lavora in digitale, si rintracciano i vecchi documenti, i file, porzioni temporanee di cose scritte o pensate, appunti di passato

Curiosando sulle vecchie pagine el e directory ne ho ritrovati un po’ che sicuramente non pensavo di  aver sparpagliato.

Nel primo sito web che ho usato per parcheggiare materiali c’era, nel titolo, come sempre, il termine “senape”, e quindi cercando su Google la stringa col mio nome e senape… sorpresa: questo me l’ero dimenticato… ecco allora che mi sono divertito a riprendere i post e riportarli qui 😉

Il sito era (e forse è e sarà per un po’ di  tempo ancora….) a questa URL

https://1granellodisenape.wordpress.com/

un po’ più antico di  quello successivo…

http://www.maristi.eu/senape/    che tra non molto verrà ‘asfaltato’…

il primo post era del dicembre 2008

E proprio 6 anni fa avevo inserito alcune riflessioni su Twitter… che era ancora un fenomeno di nicchia,…

Prima che gli strumenti vengano integrati… serve tempo

Prima che gli strumenti vengano integrati… serve tempo

piccolo libriccino, ma interessante; 

Stefano Moriggi, Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine

come al solito avevo dato un’occhiata veloce alle recensioni in giro; la prima trovata su Amazon mi sembrava un po’ enfatica e troppo sperticata: solo alla fine ho riletto il nome dell’autore: Maragliano se lo può permettere, uno sbilanciamento del genere

Ok, il libro presenta solo un paio di idee in modo chiaro ed efficace. Stimolanti i richiami ad altre opere parallele e convergenti…

Stiamo tanto a parlare di nativi digitali, cambio di cultura e nuove prospettive, insieme al timore reverenziale che la cultura, quella “seria”, quella dei libri di carta, per intenderci sia in pericoloso e definitivo declino, che quasi non ci rendiamo conto di essere ormai tranquillamente pervasi e impregnati di questa nuova cultura. E forse sarebbe il caso di esserne maggiormente consapevoli e …grati.

Si parte dal fatto che una macchina per pensare, come sta diventando oggi il nostro uso di pc/tablet e simili, è proprio un uso tecnologico che da sempre ha contraddistinto l’uomo. E per fortuna. Ma tutte le macchine hanno avuto inizi a volte difficili, a volte sono state relegate negli sgabuzzini della storia o della casa. Interessante il confronto e la dissertazione su lavatrice (non sapevo che ad inventarla fosse stato … un apprezzato teologo di Ratisbona!) il bidet e il confessionale (anche qui confesso la mia ignoranza: vivo vicino ad una sua dimora familiare del ‘600 e non sapevo che Carlo Borromeo ha prodotto anche questo oggetto cardine della controriforma).

Infine si entra nel terreno preferito dall’autore: la scuola. Per chiarire che ormai i ragazzi e anche i bambini sono altrove, stanno tranquillamente usando ed esplorando, con le modalità che preferiscono, che possono, che si scambiano e che spesso ci preoccupano (possono dare fastidio, spesso le tacciamo di superficialità e inconcludenza…). Su alcuni aspetti un po’ sbrigativi ci sarebbe da approfondire. Facile ribadire che gli studenti non sopportano più metodi e approcci dirigisti e unidirezionali, il tema è ricorrente. Anche la terapia, quella cioé di invitare ad una maggior collaborazione, retificazione e scambio in orizzontale.

Quello che mi sembra mancare è la fase di “avvio”, una sorta di addestramento e di volano intellettuale. Noi (inteso come persone che hanno radici culturali pre-internet) sicuramente riusciamo ad usare questo nuovo contesto informativo perché proveniamo da una conoscenza e metodica diversa, in un certo senso siamo più ricchi ed “enciclopedici”, conosciamo paradigmi differenti. I ragazzi di oggi non hanno questa possibilità di confronto e non sono ancora in grado di cogliere tutte le potenzialità. Ci vuole ancora qualcuno che possa replicare e mostrare questi processi evolutivi in modo da poterli comprendere.

Anche a questo serve la scuola. E non è poco…

Per risistemare la soffitta

Per risistemare la soffitta

Ho ricopiato i post che avevo inserito nella versione in WordPress a cominciare dal 2011, come tante altre pagine iniziate… lasciate poi a riposare con molta calma. Non volendo perderle del tutto e con la semplice presunzione che, anche se non sono particolarmente significative sono pur sempre inchiostro della mia tastiera, sono adesso qui radunate; si tratta di pochi interventi, che vanno dal 2011 al marzo del 2013. una buona occasione per togliere un po’ di polvere.

chiamiamolo facebook

chiamiamolo facebook

Anni fa aveva fatto notizia lo strillo di agenzia che una famiglia, nella sfortunata Romania di Ceausesco, dopo anni di attese per collegarsi finalmente alla rete telefonica, quando la agognata linea ha raggiunto la casa e la cornetta è stata intronizzata nel salotto, poiché era da poco nato l’erede di famiglia, avevano deciso di chiamarlo “Telefono”. Semplicemente. Senza pensare a tutte le possibili riflessioni sul caso (dalla ridicola “Ciao, c’è Telefono al telefono”, alla metafisica “cosa avrà mai voluto dire Telefono al telefono…”). Sulla scia della notizia si veniva poi a scoprire che sempre in Romania non era raro incontrare nomi suggestivi, come Rambo II, Superman, altri titoli di film occidentali… insomma una sfrenata fantasia onomastica, complice anche un regime particolarmente stretto e oppressivo.

Adesso è arrivata una notizia simile: in Messico una coppia ha deciso di chiamare il figlio con il nome di Facebook; ma gli uffici dell’anagrafe devono aver storto un po’ il naso.

Sono le punte di qualche iceberg, segnali un po’ variegati di come certi strumenti segnino un’epoca, di come le attese dei padri debbano spesso ricadere sui figli.

Chissà perché non nascono più cognomi, invece 🙂

ma immaginiamoci il destino di questa persona quando, presumibilmente, la bolla di Facebook sarà meno vistosa, o quando altre metafore comunicative avranno la meglio. E’ solo questione di tempo, sicuramente ci troveremo di fronte a nuovi strumenti e modelli, nuove strategie e nuove mode. Sarebbe intelligente non considerare le persone alla stregua di etichette, temporali o geografiche, ma di protagonisti e attori di questi nostri giorni così rapidamente incerti.

Sapendo per esperienza quanto i nomi costruiscono della nostra identità, ci può consolare il fatto che nella vita quotidiana c’è poi ampio spazio per i nickname, gli pseudonimi, gli adattamenti letterali.

E siccome è aperta anche la caccia alla protezione dei nomi mediante brevetti e copyright, speriamo almeno che il giorno del compleanno non tocchi, al povero Facebook, pagar dazio, o qualche royalties…

il canto del Gallo…

il canto del Gallo…

sto leggendo il libro “Vivo e vegeto”, che riporta gli interventi di numerose persone come estremo saluto a don Gallo, recentemente scomparso.

Ricordo lo scorso anno, ero sceso col treno a Genova Principe e volevo andare a visitare la chiesetta del Gallo, poco lontana dalla stazione. Avevo persino cercato le indicazioni su Google e mi ero divertito un po’ a guardare su Street view il percorso… quella chiesetta mezza nascosta, a ridosso di un parco che d’estate ospita un cine all’aperto, quasi all’inizio della zona storica  e vecchia di Genova, chissà quante volte, nei lunghi anni del mio soggiorno genovese, era capitata nei miei percorsi.

Ma non avevo calcolato bene gli orari e per la messa ormai era tardi. Vabbè, sarà per un’altra volta.

Questa altra volta c’è stata solo sulla carta, sulle parole dei libri di don Gallo, nei desideri.

Profonde e toccanti le pagine di alcuni amici del Gallo: mi sono fermato soprattutto sull’intervento di Moni Ovadia (il “padre spirituale” del don, niente male, un ateo convinto ma di ceppo ebraico doc, una garanzia: Moni pur dichiarando la sua “non fede” non riesce a scrivere 2 righe senza citare almeno un passo della bibbia… averne, di questi “atei” rigorosi) e poi l’intervento di don Ciotti. Mi sembrava di sentirlo parlare dal vivo, con lo stesso entusiasmo per le cose vere che la vita ci offre ogni tanto, ogni spesso…

Mi piace allora riportare alcuni passi dell’esperienza di Moni Ovadia, si scopre sempre qualcosa di nuovo quando si cerca di capire ciò che la vita ci offre:

Ho incontrato il Gallo centinaia di volte. Ho diviso con lui pranzi, cene, chiacchiere, discorsi, militanza, palcoscenici… Con tutta l’enfasi di cui sono capace voglio testimoniare questo: non c”è stata una sola volta che non gli abbia sentito dire «la mia chiesa».

Nessuno pensi, e lo affermo sulla mia parola di ebreo agnostico, di scotomizzare dal Gallo e dalla sua memoria la verità del suo essere radicalmente un prete cattolico. Lo era autenticamente, e lo era nel senso più puro. Per questo poteva criticare la Chiesa, poteva vibrare di indignazione per le derive di certi suoi uomini, ma mai, mai, sarebbe uscito da quella che sentiva – con passione e dolore, ma anche con grande senso di appartenenza e identità – come la sua Chiesa.

lo lo rispettavo per questo, e l”unica volta che ho pregato in una chiesa è stato con lui. Sì, io, ebreo agnostico, ho pregato col Gallo. Una domenica dovevo andare a pranzo da lui, come facevo spesso. Andrea stava terminando di celebrare la messa, entrai in chiesa restandomene in fondo, ma lui mi vide con la coda dell’occhio e mi chiamò: «Stiamo per dire il Padre nostro». Lui e tutti i suoi parrocchiani si tenevano per mano stando in cerchio, e allora m’invitò: «Vieni qua, che tanto questa preghiera ha radici ebraiche e va bene anche per te››.

Andai serenamente a pregare. Perché? Vorrei spiegarlo entrando in profondità verso la radice del senso. Il Genesi, primo libro della Bibbia, comincia con la lettera B (beth), nella parola Bereshit: cioè in principio. E la B (beth) è il numero due. Quindi, in principio c”era il due: l”io e il tu.

Perché il principio è il numero due? Perché non esiste possibilità di esistenza senza l’altro.