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Sbarco a Melilla

Sbarco a Melilla

Ed eccoci arrivata a Melilla, exclave spagnola in terra africana. Dopo tanti giri, da Siracusa a Catania, poi Siviglia, poi Jerez, Malaga… eccomi finalmente “a casa”.

Sicuramente ci vorrà un po’ di tempo per chiamarla così, ma le premesse mi sembrano già positive. Ne ho già lasciate diverse, di case di pietra e saperle portare nel cuore rende meno difficile i vari distacchi; e poi sono le persone che contano, non gli indirizzi o i codici postali!

Il 30 agosto mattina ci siamo trasferiti con tutta la nuova comunità da Jerez a Malaga; e già che ci siamo presentiamola anche, questa nuova “famiglia”. Siamo parte del progetto Fratelli che vede riuniti fratelli maristi e fratelli lasalliani. Jesus è il direttore della scuola e docente, Juan Antonio è docente anche lui nelle superiori, poi abbiamo Eulalio, il veterano della comunità, con i suoi 85 anni e 15 di permanenza in questa terra africana (ma in totale ne ha passati oltre 30!); come maristi ci siamo io e Ventura che per molti maristi italiani è un volto noto e di riferimento. Ci saranno altre occasioni per presentarci meglio…

In due sono andati in aereo da Malaga, li abbiamo accompagnati all’aeroporto, cercando inutilmente il cartello che indicasse le “partenze”. Niente da fare, non risulta, ci sono solo gli “arrivi”, le idiosincrasie dei cartelli sono un po’ ovunque e non c’è Google Maps che tenga per risolvere certi piccolo problemi. Li abbiamo lasciati nel punto più vicino a qualche ingresso e noi tre ci siamo diretti a Malaga, per il traghetto.

Avevamo un po’ di tempo e il porto è vicinissimo al centro, così quattro passi fino alla cattedrale (rigorosamente chiusa, erano le 12!) e al vicino anfiteatro romano ci sono rientrati senza problemi. Juan Antonio, il nostro autista ed esperto locale (nemmeno Ventura era mai stato a Melilla) si aspettava più gente, più confusione, invece, poca roba.

Entrati nel grande ventre del traghetto, semivuoto, ci siamo recati sui ponti di attesa. Traghetto enorme (130 m. di lunghezzza per 30 di larghezza) e c’è sempre qualcuno che si chiede come potrà mai fare una massa così importante di ferro a galleggiare. Per fortuna che il nostro siracusano Archimede…;-)

Per la partenza siamo ovviamente tutti sul ponte. Si lascia la Spagna, anzi no, il continente (mi dicono subito che questa sarà la dicitura da usare, perché Melilla non è “fuori”, ma parte integrante, quindi ci si deve riferire alla Spagna sempre e solo come al “continente”: mi sento quasi sardo in questo genere di cose!). Comunque si parte e si inizia subito a correre, mentre i gabbiani ci scortano quasi immobili nell’aria e il profilo di Malaga e della costa comincia a sfumare. Ci vuole tempo, il viaggio è lungo, si parte alle 14:30 e l’arrivo sarà per le 20:30. Tra un boccone al self-service e una pennichella sulle poltrone della sala di attesa le ore passano, ma ogni tanto è bello sgranchirsi un po’ salendo sui ponti esterni.

Quando le coste dell’Africa iniziano a delinearsi ci mettiamo quasi in contemplazione. Forse ne vale la pena, pensando a quanto i confini, i limiti, possano non solo contenere esperienze, ma forgiarne di nuove. Almeno per me e Ventura si tratta proprio di questo.

Ecco finalmente spuntare nitida la costa, poi il bianco delle costruzioni, poi il profilo del porto, quindi si entra e si attracca, puntualissimi. Ora si riprende la macchina e in pochi minuti si giunge alla nuova sede. Melilla è piccola, molto difficile perdersi in questi 12 km quadrati di Europa in terra africana. La luna si accende, quasi per intero, in questa prima serata; una nuova camera, una prima sbirciata al nuovo luogo… domani si vedrà. Intanto benvenuti da queste parti, mi ripeto con calma.

Negli occhi i nuovi panorami e paesaggi africani che da oggi
entreranno a pieno titolo anche nel cuore.

Metticela tutta, Sergio

Metticela tutta, Sergio

Spesso andiamo a cercare i personaggi nei luoghi più lontani, nelle esperienza più diverse e soprattutto al di fuori della nostra cerchia di persone note. Perché siamo inguaribili coltivatori dell’erba del vicino. Eppure, a guardare bene…

Oggi sono andato a trovare fr. Sergio nel buen retiro in cui si trova da alcuni mesi, l’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, unità spinale, per riprendersi da una forma piuttosto invadente e fastidiosa di mielite; è ancora in carrozzella e la fatica ad accettare questa situazione la si vede tutta. E meno male che scalpita :-).

Sono, anzi, siamo ormai abituati ad abbinare Sergio alla sua Tanzania, ai suoi mulini a vento che portano l’acqua alla missione di Masonga, alle sue mille attività per venire incontro alle tante esigenze di un centro educativo a pochi passi dal Lago Vittoria… alle frotte di bambini che in questo centro possono incontrare un futuro diverso. Ho persino perso il conto di quanti anni ha già passato in Africa (tanto poi gli chiederò di correggermi queste righe e mi aggiungerà i dettagli).

Se ritorno indietro di una… cinquantina d’anni, posso infilare una lunga serie di ricordi. E’ stato persino il mio prof di Applicazioni Tecniche a Mondovì (oggi fa più figo definirla “Tecnologia”) ma delle sue lezioni ricordo in particolare la campagna agricola per razionalizzare le coltivazioni dell’istituto; in soldoni, c’erano troppe piante di pero in campagna e bisognava sradicarne 1 ogni 2, quindi poca teoria e tanta pratica terra-terra, o ancora meglio: sotto-terra! Poi ci siamo trovati insieme ad insegnare a Genova e sfruttavo le sue notevoli capacità tecniche per le più astruse applicazioni, tipo i tavoli di sala computer, che abbiamo realizzato insieme (lui saldava i tubolari, io gli passavo i pezzi e contemplavo)… la scuola gli stava un po’ stretta e la sua scelta di andare in Africa sembrava un esito persino logico. Ogni tanto poi tornava in Italia per raccontare, tenere i contatti, invogliare…

E se penso che in questo momento ci sono 3-4 persone da Giugliano a dare una mano e che se ne stanno preparando altre per sostenere la missione marista in Tanzania, mi sa che il messaggio è proprio passato. Siamo chiamati a rendere un pizzico migliore il posto che la vita ci ha affidato, ciascuno con le capacità che possiede e che ha sviluppato: costruire pompe idrauliche, realizzare capannoni, gestire dispensari… a ognuno il suo e Sergio in queste cose ci sguazza con particolare abilità.

Adesso la sfida è quella di un recupero fisico. Mentre mi raccontava le tante cose (davvero tante) di questi ultimi mesi, ogni tanto mi parlava dei compagni di corsia, qualcuno conciato molto peggio e logicamente il pensiero va al tempo necessario per la riabilitazione. Qualche mese fa era praticamente bloccato, adesso le gambe iniziano a rispondere e ad obbedire, ma il percorso richiede pazienza e costanza. Prima di salutarlo sono arrivati altri 2 amici, da Cesano, per incontrarlo: due amici che ad agosto andranno a dare man forte agli altri volontari. Dimmi se non è già anche questo un movimento … Forza Sergio!