Passeggiando tra i ruderi di Megara Hyblaea
Megara Hyblaea, con la sua storia millenaria, è una delle più antiche colonie greche della Sicilia, nata intorno al 728 a.C. si è sviluppata gradualmente per circa due secoli, fino a quando la vicina Siracusa non la conquistò, distruggendone le mura, com’era allegra abitudine di quei tempi; entrò nella sfera siracusana fino alle guerre puniche e subì una nuova distruzione da parte del console Marcello (proprio quello che poi riuscirà a conquistare Siracusa e togliere di mezzo il grande Archimede). Poi la città vivacchiò senza grandi pretese e lentamente si spense, lasciandosi sommergere dall’incuria, dalla vegetazione e dall’oblio. Quando venne realizzata la ferrovia Catania-Siracusa, nel 1867, vennero alla luce la necropoli e poco alla volta, grazie a studi di archeologi francesi, l’impianto della città, abbandonato da secoli. Si parlò di una “Pompei” siciliana. Questa è stata un po’ la sua fortuna, visto che non c’erano state altre stratificazioni o costruzioni dopo il V-VI sec. d.C, insomma, osservare Megara permette di ricostruire in modo abbastanza fedele l’impianto di una città antica, greca e poi romana, senza tante modifiche urbanistiche. Una macchina del tempo da vedere e toccare. Per quanto possibile.
In questo territorio siracusano le memorie dei tempi antichi davvero si sprecano. Si possono trovare necropoli di 2500 anni fa nei parcheggi dei supermercati o le puoi ammirare, con il consueto contorno di cartacce lattine e bottiglie, come spartitraffico cittadino (trovi tutto nei pressi del Lidl di s. Panagia). Tombe e cavità antiche sono un po’ ovunque, zone archeologiche, spesso chiuse da anni, fanno bella mostra di sè in mezzo alla città o nelle immediate periferie. Abbiamo veramente troppi resti e troppi luoghi della memoria. Anzi, questa overdose rischia quasi di offuscarla, questa memoria.
Ed è proprio un peccato che lo splendido luogo in cui sorga Megara sia oggi letteralmente circondato a tenaglia da fabbriche (Buzzi Unicem, a sud) e impianti energetici (centrale termoelettrica Enel di Augusta, a nord) che aggiungono ben poco splendore a questo luogo, anzi, sembrano quasi pronte a fagocitarlo definitivamente, visto che ormai è rimasta solo una piccola isola verde contesa dai capannoni, piazzali, infrastrutture e, cosa non da poco, un rumore continuo e persistente di sottofondo. Si salvano pochi ettari verdi, una necropoli solcata dalla ferrovia e vari edifici in rovina sparsi in questo territorio. I reperti migliori sono conservati e visibili presso il museo siracusano del Paolo Orsi e ha fatto notizia l’incredibile e selvaggia storia della statua dell’antica dea madre, la Kuorotrophos che allatta due gemelli, ritrovata ma subito distrutta con un martello pneumatico dagli operai, per evitare il blocco dei lavori; era stata frantumata in 936 pezzi, poi pazientemente ricostruiti! Si rimane senza parole ragionando sul fatto che questa vera e propria Pompei della Sicilia potrebbe diventare uno dei gioielli degli itinerari turistici. Per non parlare poi dell’importanza culturale di uno dei più famosi personaggi di questa città, quell’Epicarmo che a detta di molti è un po’ il padre della commedia greca (anche se delle sue opere rimangono solo frammenti). Ma tra il dire e il fare sembra che ci siano distese sterminate di altri verbi, tutti al condizionale.
E così veniamo a luogo. Era da tempo che volevo andarlo a visitare. Scartata l’ipotesi bicicletta (da Siracusa dista oltre 25 km, non eccessivi, ma bisogna avere del tempo a disposizione, vedremo prossimamente…); la soluzione più semplice è l’autostrada Siracusa Catania, in meno di mezz’ora si arriva. Seguendo GMaps una volta usciti dallo svincolo indicato (il cartello è ben visibile), ci sono un paio di alternative, dopo aver provato penso sia meglio seguire le indicazioni proposte, perché andando a naso, quella che forse è la strada più rapida (anch’essa indicata con i cartelli), è piuttosto massacrata e in cattive condizioni, quasi una strada bianca con buche a iosa e sprazzi di asfalto. Si arriva quasi in vista del sito, che è molto pianeggiante, si supera uno stretto ponticello che sovrasta la ferrovia e si arriva al dunque. Un grande piazzale segnala la possibilità di lasciare la macchina per raggiungere, dopo poche decine di metri, una prima costruzione che dovrebbe essere la biglietteria. Scrivo queste righe alla fine di di febbraio 2022, tutti i cancelli che ho trovato erano rigorosamente chiusi, con tracce evidenti di semi-abbandono, o come minimo di poca frequenza. Nessuno in giro, deserto assoluto. Cartelli, numeri di telefono a cui rivolgersi, indicazioni recenti: nulla.
So che non è il massimo della saggezza, ma il recinto vicino ai cancelli è in parte divelto e la tentazione è troppo forte. Con la consueta attenzione a non combinare nulla che possa alterare le cose, entro tranquillamente, sfidando i cardi selvatici che non aspettano altro che accarezzarti pelle e vestiti.
Entrato nel sito giungo rapidamente alla zona dove iniziano gli scavi, ad una quota leggermente inferiore alla pianura circostante; il primo cartello indicatore non esiste nemmeno più, si è salvata solo la struttura metallica; troverò invece molti altri cartelli informativi in discreto stato lungo il percorso. Questo era un giro di prima conoscenza, non avevo idea della grandezza del sito e della ricchezza dei ritrovamenti. Così gironzolo per una mezz’oretta lungo gli assi principali, ammirando dettagli di colonne, trabeazioni decorate, giunture quasi perfette di massi notevoli, segni di opere idrauliche e resti di fortificazioni.
Vi sono numerose scalette in metallo per poter osservare meglio e raggiungere alcune zone, ma alcune di queste hanno dei pericolosi gradini rotti e semistaccati, occorre quindi fare un po’ di attenzione. Giungo così nella zona delle antiche terme greche e poi romane; ci sono ancora tracce di pavimenti in cocciopesto e qualche resto di decorazione geometrica a mosaico, il tutto a cielo aperto, ma in discreto stato di conservazione. Passeggiando tra i resti si avverte la compattezza dell’impianto urbano, ben raccolto intorno all’agorà; penso al parco archeologico di Naxos, sicuramente più vasto, ma anche più scarno. Qui le case, le stanze, il reticolato urbano è molto più evidente e conservato.
Siamo a febbraio, l’erba non dà fastidio, è ancora facile aggirarsi senza problemi; mi immagino però che con la primavera il rigoglio vegetale potrebbe presto riprendere il sopravvento.
Giunto fino alla porta occidentale, con i suoi bastioni di mura ben squadrate contemplo un po’ la città; essendo tutto al medesimo livello si fatica a cogliere l’ampiezza del sito. Allora mi addentro per un po’ lungo alcuni assi laterali. Pareti in pietra, in calcare, inserti di mattoni, sicuramente posteriori, pietre laviche lavorate. Cammino con la curiosità del quotidiano ma non possiedo la perizia dello storico esperto, comunque passeggiare in questo luogo ha il suo fascino. Se poi ci metti la solitudine, i voli rumorosi di tanti uccelli di grossa taglia, e se tenti anche di cancellare il rumore delle fabbriche vicine che si fa sentire a intervalli regolari, con notevole fastidio e prepotenza… lo scenario ha dell’incredibile.
Concludo il giro e getto uno sguardo anche agli edifici che dovrebbero essere il deposito di alcune delle opere più significative. Da quanto avevo letto le stanze sono chiuse da tempo; tutto sembra in buon ordine, ma il giardino e le pertinenze non danno certo una buona impressione, che potrebbe essere invece molto gradevole e interessante. Si può osservare anche la spiaggia sottostante, certamente utilizzata come porto di approdo della città antica, ma i moli commerciali e industriali che si intravvedono non sono certo una cornice gradevole al pur gradevole profilo roccioso della spiaggia.
Non so se sono previste aperture del sito nella bella stagione (ma qui nel Siracusano, la bella stagione è già iniziata, oggi è un giorno davvero gradevole, 20 gradi, poca brezza, cielo quasi sereno e pittoresco…) ma vedere questo luogo semiabbandonato non è certo un bel biglietto da visita, ne’ per i locali ne’ tantomeno per i potenziali turisti. Le notizie reperite in rete ricordano che gli uffici e i locali vicini agli scavi sono chiusi da tempo e non è dato sapere quando e se riapriranno. Da nessun cartello o avviso si riesce a rintracciare un telefono o una mail di riferimento. Sul sito di Italia nostra è presente una scheda molto dettagliata, che avrebbe bisogno di aggiornamento, visto che riporta la notizia che il sito è visitabile (a pagamento) durante tutta la settimana ma da varie recensioni sembra di capire che le ultime visite risalgono all’epoca pre-covid (2019).
Nonostante lo stato di semiabbandono (e la necessità di superare qualche recinzione per poterlo vedere), il luogo rimane un testimone prezioso del passato. Sarebbe bello potergli garantire anche un futuro altrettanto importante.
Una carrellata di immagini del sito di Megara Hyblaea – febbraio 2022