Combien de fois?
Già, quante volte sono tornato a Taizè? Non ricordo esattamente, ma ogni tanto ricapito su questa collina tranquilla, di solito nei momenti più interessanti della vita, a conclusione o a ripresa di un nuovo viaggio, di un nuovo percorso. Oggi sono tornato a Taizé.
Diciamo che avevo un po’ pilotato l’itinerario e la meta, visto che staremo solo una settimana da queste parti e si ritorna a casa il 28, sabato prossimo, quindi non avremmo altre domeniche a disposizione, così, tra un accenno a Cluny (che sarebbe bello visitare) o ad Ars (sempre interessante, visto che il curato di questo sperduto paesino era uno dei compagni di seminario di Marcellino Champagnat, che fu uno dei pochi a sostenerlo nelle fatiche degli studi (era più grande persino del professore e avendo iniziato tardi a studiare le difficoltà erano tante, pensa che lezioni ed esami erano in latino). Ok, il nostro gruppo compatto era pronto per l’avventura. A mettere il bastone tra le ruote le previsioni del tempo, con andamento tra il 60 e l’80% di probabilità di pioggia. Ma avevamo Almera e il suo mitico ombrello, potevamo correre il rischio
Alle 7 tutti sul pulmino, punto il navigatore (Waze si sta rivelando un ottimo navigator, qui in Francia, a parte quando inizia a parlare in francese per ricordare che siamo entrati in una zona sotto controllo velocità…) e si parte. Praticamente a strade deserte, così superiamo persino Lione da veri vacanzieri intelligenti, il Rodano, lo splendido Museo delle Confluenze, i tunnel, la dolce campagna della Borgogna. Arriviamo a Taizè con un’ora di anticipo sulla celebrazione delle 10. E’ il momento giusto per riprendere contatto con questi luoghi, passeggiare con calma sui viali per i pedoni, vedere i ragazzi ancora alle prese con la colazione, i tanti volontari che danno indicazioni. Siamo ormai a fine estate, non c’è più la folla dei grandi momenti; si vive con molta più serenità lo spazio e l’accoglienza. E poi, dimenticavo, il tempo oggi a dispetto delle previsioni è dolcissimo, sereno e tiepido.
Alle 9:30 siamo già tutti nella grande navata, l’organo inizia a suonare, velocemente la chiesa si riempie, niente folla, ma tante persone. E poi entrano i fratelli di Taizè e inizia la festa. Si prova sempre un’emozione particolare quando il canto del solista viene sostenuto da un coro di 100, 200, tante persone, la musica la senti non solo nella testa, ti avvolge, ti fascia, ti penetra con calma decisa. Ed è una calma serena quella che ci accomuna tutti. Dopo la celebrazione in molti restano per regalarsi gli ultimi canti, dal Magnificat ai canoni più recenti. A Taizé il nuovo si allaccia all’antico con semplicità, lo riconosceresti subito, dopo poche note.
Alla fine naturalmente un passaggio nell’Atelier, non tanto per fare incetta di oggetti, quanto per rileggere nei vasi, nelle piccole opere d’arte, nelle crete e nelle ceramiche il senso di una ricerca che nel suo piccolo seleziona il bello dal quotidiano. Leggo anche con piacere tutti i progetti e le iniziative per vivere a Taizé in modo più sostenibile, dall’energia al riciclo delle cose, dal cibo in esubero (dato ad una fattoria) alle 30 galline che la comunità alleva per le uova… Quando dopo il nostro semplice pranzo vado a rivedere la piccola chiesetta del borgo ritrovo anche la vetrata di s. Francesco, nel solco di una tradizione che non può essere diversa. Naturalmente cerco la tomba di fr. Roger (ucciso nel 2005, da una persona squilibrata, che veramente non sapeva quello che stava facendo), inizialmente penso di trovare almeno un qualche segno in particolare evidenza, ma che sorpresa nel vederla invece semplicissima, con il solo nome, al fianco degli altri fratelli già deceduti, nella semplice terra: da sola, senza altre parole, vale un discorso.
Sulla vita del ritorno si passa da Cluny, ma complice un’esibizione di cavalli e il poco tempo, dirottiamo subito su Ars, dove ci fermiamo con calma. Posto minuscolo per un prete gigante; mi soffermo a rileggere la sua biografia, quasi da romanzo d’appendice, perfino disertore suo malgrado, ai tempi di Napoleone. Mi piace immaginare questo seminarista non più giovane insieme a Marcellino Champagnat, si sono incontrati, hanno condiviso momenti, studi. Chissà quali impressioni e tesori vicendevoli hanno conservato e messo a frutto… percorsi da ripensare.
E quindi si ritorna all’Hermitage, di acqua nemmeno l’ombra; siamo stati davvero fortunati perché gli acquazzoni iniziano appena usciamo dal pulmino. E adesso possiamo rivedere con calma le immagini di questo giorno davvero speciale.