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Tra le rovine di Noto antica

Tra le rovine di Noto antica

Sabato scorso, 25 febbraio, una tiepida giornata invernale, un po’ coperta ma senza vento, in fine dei conti gradevole. Avevamo programmato da tempo una giornata di pausa, di riflessione, un semplicissimo ritiro per la nostra comunità.

Ma sui luoghi ci eravamo impantanati perché nei fine settimana certe mete sono decisamente gettonate. Abbiamo provato allora una nuova meta. Ci avevano parlato bene del Santuario della Madonna della Scala, nell’entroterra di Noto. E così fu.

La strada è poco diversa da quella che punta alla radice della Riserva di Cavagrande di Cassibile, quindi da Siracusa si punta verso Canicattini Bagni e poi si solcano le zone pianeggianti di questa sorta di altipiano; colline, terreni recintati dagli immancabili muretti a secco bianchi, qualche cespuglio di bosco appena accennato. In meno di un’ora si arriva nei pressi di questo santuario che già per la sua posizione richiama la mente e il cuore. Un paesaggio più aspro, solcato da canaloni abitati da ruscelli. Il luogo ideale per qualche necropoli antica, infatti non mancano le cavità e certi luoghi richiamano quasi immediatamente altre storie, altre presenze, l’Altro.

Il Santuario dalla strada quasi non si vede, protetto da un muraglione imponente, subito dopo un ponte arcuato. Ma lasciando la macchina proprio ai piedi delle scale e salendo i gradini, si giunge rapidamente ad un vista davvero suggestiva. Trovare un struttura così imponente praticamente in mezzo al nulla mette quasi soggezione. Ma da tempo questo antico convento carmelitano è stato ristrutturato e affidato dalla diocesi ad una comunità di recente nascita, la Comunità delle Beatitudini. La chiesa brilla fin dall’inizio per un pavimento allegro, luminoso e per questa iconografia della scala che mette insieme la presenza di Maria con la sognante visione della scala di Giacobbe. Una “porta del cielo” che si adatta a pennello alla figura della donna che ha spalancato sul mondo una nuova presenza e una nuova stagione della vita.

Il Santuario è immerso in una zona quasi orrida, con ruscelli e rocce che da secoli intagliano l’acqua, a volte con piccole modifiche umane per sfruttare il luogo. Vi sono tracce antiche, le solite buche nel sentiero di roccia per consentire il passo agli animali, solchi di antichi percorsi, canali che rendono meno difficile l’accesso all’acqua. Davvero suggestivo. Poco distante si intravede benissimo la cava che ha fornito la roccia per il grande edificio. Sembra un foglio a quadretti abbandonato sui fianchi della collina. Ma una sbirciatina da vicino ne rivela persino l’effetto futurista, altro che le tele squarciate di Fontana, qui ci sono solchi e percorsi che disegnano in modo netto questa roccia chiara. E pensare che da lontano sembrava quasi un muraglione in cemento armato in fase di disfacimento, con i ferri bene in evidenza…

Nel pomeriggio sulla via del ritorno, abbiamo preso la deviazione verso Noto antica; dopo essere stati tante volte nella Noto barocca, vedere queste mura possenti e poi il nulla, qualche avanzo di castello e di torre circondati dal silenzio, ricorda come il nostro tempo sia segnato più dalla natura che dalle nostre scelte. Il terribile terremoto del 1693 che ha profondamente segnato questa parte di Sicilia, si manifesta in tutta la sua tragica enormità. Mura possenti e pietro vigorose, ma le altre tracce sono ormai svanite. Anche in questo caso quello che sembra aver meglio resistito al morso del tempo sono …le antiche tombe greche o iblee che ancora fanno capolino.

Meglio lasciare il resto alle immagini, più che alle parole. Ecco alcuni scorci di questa giornata, tra il Santuario della Madonna della Scala e le rovine di Noto antica.

Verso la latomia del Filosofo

Verso la latomia del Filosofo

Sapevo che erano vicino alle mura dionigiane, andando verso il castello Eurialo (che è ancora chiuso…). Questa volta ho cercato di giungere il più vicino possibile, sperando che ci fosse una strada decente per arrivare nei pressi di queste cave. Avevo trovato qualche indicazione su alcune pagine locali, in particolare queste:

Pomeriggio tiepido di novembre, temperatura ideale e gradevole. A dire il vero volevo esplorare un po’ dialtre zone, ma poi mi sono accorto che non ci sono collegamenti tra la zona di Epipolo e quella sottostante, così, pedala pedala, sono tornato presso le mura Dionigiane.

Dal mio punto di partenza, come sempre dal centro CIAO, ci sono circa 8 km. Lascio la bicicletta vicino alla strada, legata al cancello dell’ultimo edificio sicuro e inizio ad erpicarmi in piena campagna.

E non si tratta di campagna morbida, qui è tutto calcare, rocce e rocce, molte delle quali belle aguzze e nascoste dagli ampi ciuffi di erbe e cespugli. Che poi le piante spinose si siano date tutte convegno da queste parti, mi sembra ovvio, potrei fare il censimento, contando i graffi e le imprecazioni…

Comunque si cammina una decina di minuti, dopo aver scavalcato (o meglio, passato sotto) al filo che sembra ricordare una recinzione elettrica del terreno, per evitare sicuramente che qualche mucca più intraprendente non prenda la via della strada asfaltata…. E’ necessario guardare la mappa sul GPS per non andarsi ad infilare chissà dove. Il castello Eurialo non si scorge proprio, eppure si trova qui vicinissimo, ma non è in una posizione così evidente, per chi si trova a poca distanza dalle sue mura. Finalmente arrivo dalla parte sud della cava.

Si vede subito che non è un luogo molto frequentato, per fortuna non si trovano residuati incivili di civiltà, il luogo sembra proprio selvaggio, come ai tempi antichi della costruzione delle mura e dello sfruttamento delle cave.

La voragine non è così spettacolare come altre, forse perché dall’alto l’effetto schiacciamento è prevalente. Si nota sul fondo una tettoia arrugginita vicino a uno dei muraglioni intagliati, alberi e abbandono selvatico. Niente male per chi sa apprezzare esta selva selvaggia e aspra e forte… Rimane un po’ di tempo per la contemplazione, assaporare lo spazio, il mare sullo sfondo (compresi i terminal petroliferi di Priolo, un po’ meno poetici, ma ci sono anche loro). Guardando il mare da quassù si ha tanto l’impressione di una costa molto articolata, non proprio di fiordi ma con tante insenature.

La storia che ha dato il nome a queste Latomie parla di uno spirito libero e coraggioso, il filosofo Filosseno che non aveva paura di dire al tiranno che le sue poesie gli facevano proprio schifo. Viene mandato qui in prigione una prima volta, decorsi i termini riprende la vita normale, ma … un giorno incappa nuovamente nella proclamazione di altre poesie del tiranno. Questa volta è lui che scelte di autoimprigionarsi nuovamente nelle cave, per non sentire di nuovo queste scempiaggini. Sarà addirittura il Tiranno Dionigi, colpito da tanta determinazione e coraggio, a liberarlo dai lavori forzati. Come poeta uno strazio, ma come leader abbastanza pragmatico e apprezzabile. E’ la parola “tiranno” che ormai si è logorata…

Ma ormai siamo quasi vicini al tramonto, non ho portato le luci per la bici e diventa saggio tornare a casa. Riprendo la strada, slalom tra spine, cespugli e qualche ricordino di mucca (chi l’avrebbe mai detto che le mucche sono uno degli elementi ricorrenti della campagna siracusana!), facendo attenzione agli inciampi e al sentiero che bisogna inventarsi, passo di nuovo sotto il filo della recinzione elettrica e torno sulla strada e via, verso il ritorno.

E questa volta poche foto del luogo, ma ci sono – Latomia del Filosofo