Siamo appena agli inizi del nuovo anno scolastico e del nuovo corso, anche qui a Melilla tutto gravita intorno al calendario scolastico. Ed è niente male iniziare settembre con la festa cittadina, la festa patronale, che qui è dedicata alla Madonna della Vittoria.
Di quale vittoria si tratti è presto detto: Lepanto, lo scontro paradigmatico tra occidente cristiano e mondo musulmano. Le festa è proprio quella indetta da papa Pio V nel 1571 (anche se la festività di solito si ricorda il 7 ottobre).
La feria, come si dice qui, dura tutta una settimana; vicino al lungomare si stendono le bancarelle e i luoghi dei festeggiamenti; qui sono tipiche le “casette”, ristoranti tipici che hanno la loro lunga tradizione (alla casetta Eden, ad esempio ci siamo andati con i docenti della scuola La Salle per festeggiare l’inizio dell’anno scolastico).
Sul versante religioso tutta la settimana si susseguono le celebrazioni serali, ognuna con un target ben delineato, dai volontari ai membri delle confraternite, dalle religiose (e religiosi) alle tante categorie di fedeli. Ma il clou finale è la processione che si svolge nelle vie centrali di Melilla. Una processione davvero multiculturale, inclusiva, folcloristica, patriottica… Sicuramente noi italiani non siamo abituati ad una presenza così imponente (stavo per dire ingombrante) di militari, divise, abiti sgargianti, reliquie di un passato e di un presente che sembra ancora parlare alla gente di queste parti.
Si inizia davanti alla chiesa del S.Cuore, aspettando che i portatori escano con la pesante macchina sulla quale è deposta la statua della Regina della Vittoria, la prima difficoltà ovviamente sono i gradini, ma i portatori sono decisamente esperti ed affiatati, senza particolare sforzo la pesante struttura giunge nel suo assetto normale sulla strada e da qui si inizia il percorso, ad anello, che dura però il suo tempo, un paio di ore, per attraversare il cuore del “barrio de oro”, la zona centrale di Melilla.
Una processione più da guardare che da vivere. La composizione del corteo sembrava già tutta esaurita nelle prime fasi di preparazione. La banda, le autorità, alcuni gruppi di fedeli (credo), le religiose (e non volevo certo far sfigurare il piccolo drappello di suore del Buon Consiglio e del RIM…), poi i vari membri delle confraternite, che sicuramente non passano inosservati, con i loro colori, ornamenti, bastoni, medaglie…
Ma non solo, nelle prime posizioni sfilava una buona parte delle autorità, dal presidente agli assessori principali, poi tante autorità militari (diversi corpi, a giudicare dalle uniformi in grande spolvero), e non poteva quindi mancare miss Melilla, eletta da poco proprio per questa festa cittadina. Sullo sfondo il gruppo dei sacerdoti, il vicario e i parroci della città (alcuni appena arrivati, il ricambio qui mi sembra particolarmente rapido), preceduti dai chierichetti e da alcuni alunni delle 2 scuole cattoliche della città. A chiudere il corpo dei regolari, al suono dei tamburi (che credo ci abbiano accompagnato senza sosta per tutta la processione…).
Benedette vacanze, si riesce persino a concludere qualche libro rimasto in stand-by. Cosa sono stati gli anni di piombo per noi che li abbiamo semplicemente attraversati senza particolari eventi di contatto? Ricordo le ispezioni con i militari armati sugli autobus dell’Acotral che facevano servizio nei castelli romani, le dirette televisive quando è stato ritrovato il corpo di Aldo Moro, il clima perdurante di occupazione di sinistra negli ambienti dell’università romana (e alcuni amici ci “invitavano” a mangiare alla mensa universitaria, di straforo, come se fosse una pratica abituale…). Le tante lapide che poi sono spuntate a memoria di eventi tragici (una delle prime, vicino allo Champagnat di Genova, proprio alla fermata del bus, per ricordare uno dei primi attentati ai magistrati).
Sono passati ormai vari decenni da quel periodo tormentato; la produzione di libri su quell’epoca, sui personaggi è imponente. Mi sono imbattuto, grazie ad una segnalazione di amici, nel libro “La ricreazione è finita”, di Dario Ferrari. Leggere questo testo mi ha fatto rivivere in modo insolito quel periodo e le tante diverse prospettive che di un evento si possono avere e coltivare.
Libro insolito, osannato e grondante di recensioni lusinghiere, infarcito di libri e di cultura, anche se il protagonista spudoratamente si dichiara alieno da questo contesto, che però tallona da vicino, se ne nutre e vi accenna costantemente. L’ambiente accademico vi viene descritto dall’interno e in modo decisamentre vivace, per nulla edulcorato. A sbirciare nella biografia dell’autore è facile poi trovare analogie e somiglianze con il protagonista trentenne (gli eterni trentenni che sfiorano persino i 40 e oltre…).
La storia è quella di una persona senza apparenti qualità, un bamboccione verrebbe da dire, che si trova quasi per caso invischiato in un percorso quasi universitario, riluttante e sempre poco convinto; diventare ricercatore nella cerchia di un noto docente, un barone riconosciuto e abbastanza osannato, che gli affida in pratica un lavoro di ricerca che potrebbe essere banalmente svolto senza infamia e senza lode. Si tratta di ricostruire in modo organico la parabola culturale, se non proprio letteraria, di un personaggio di terza o quarta fila di quegli anni di piombo, protagonista, insieme ad altri improbabili brigatisti, di un gruppo di sinistra che vuole portare avanti il suo discorso e la sua partecipazione alla rivoluzione che alcuni militanti hanno cercato di avviare. Buona parte della storia si ambienta poi in Italia, crocevia obbligato per tanti latitanti e brigatisti scivolati tra le maglie della memoria e ormai quasi dimenticati. Il nostro personaggio, tra magagne familiari, problemi di relazione con una fidanzata fin troppo paziente e meritevole, tra amici del bar che poco confidano nelle sue capacità, poco alla volta si lascia ammaliare dalla storia di questo personaggio, morto in prigione dopo un lungo periodo, 20 anni, di carcere, senza che si sia fatta veramente luce su quanto realmente avvenuto. Il finale è originale e ben congegnato, anche se poi la effettiva portata del colpo finale viene ridimensionata dall’indole mite e sempre arrendevole del protagonista.
Lo stile è molto gradevole, snello e persino le divagazioni letterarie vengono sparse con leggerezza. Si ripercorrono il clima sociale che regnava in Italia negli anni 70, si avverte bene il divario tra gli ideali di sinistra e le effettive conquiste poi ottenute, si incontrano personaggi della porta accanto, pennellati in modo rapido e realistico. Una lettura che può appassionare per la leggerezza del modo e per la profondità del tema. E non solo politico o sociale, in fin dei conti anche culturale ed esistenziale. Il dramma di fondo è sempre quello delle tante persone che non riescono a fare della propria vita un qualcosa di valido o di sensato, si vive sempre in attesa, nell’aspettativa di un domani più stabile e dignitoso e intanto si dilapida il tempo. Significativa la citazione di Calvino (pensavo di essere incompleto, invece ero solo giovane) che alla fine del libro viene tragicamente ribaltata: pensavo di essere giovane, invece ero solo incompleto, che diventa quasi la cifra definitiva del protagonista.
Come è ormai consuetudine del nostro gruppo di fratelli maristi (nella fascia tra i 50 e 70), quasi ogni anno riusciamo a ritagliarci una pausa significativa, tra fine aprile e inizio maggio, per condividere alcuni giorni insieme e visitare, quasi con infantile gusto di scoperta, una nuova zona della Spagna. Quest’anno la scelta è caduta sulle Asturie. Che fino a pochi mesi fa nella mia inconsapevole ignoranza situavo poco a sud di Madrid… forse per assonanza con l’Estremadura, mentre invece…
Per la cronaca ecco qui una rassegna di queste nostre scorribande “fraterne”
Ci siamo incontrati a Madrid a fine aprile e dal sabato 27 fino al 30 siamo andati alla scoperta. Un itinerario interessante e vario, preparato dal nostro affidabilissimo due Pedro Sanchez e Serafin, che sono riusciti a concentrare in pochi giorni l’anima e l’essenziale di questa terra, mixando con gusto e fantasia tra cattedrali, degustazioni, città in espansione, esempi di pedagogia sociale del tempo appena passato e scorci marini mozzafiato.
Ma per dare almeno un filo cronologico a questi giorni, andiamo con ordine:
Arrivati nel pomeriggio ad Oviedo (con il treno, attraversando una Spagna baciata dalla pioggia) il nostro primo appuntamento è stato la visita della cattedrale. La nostra guida, Regina Buitrago, fin dall’inizio ha dato prova di una conoscenza approfondita e una capacità empatica notevole, facendoci così non solo apprezzare il bello che a profusione si svelava davanti a noi, ma stuzzicando anche la curiosità, i ricordi e la voglia di approfondire, in seguito, per nostro conto. Abbiamo così subito fatto conoscenza con i personaggi storici alle radici di questa terra, il grande re Pelayo, che nei giorni successivi avremmo ritrovato un po’ ovunque. Della cattedrale, una delle tante con una sola torre residua (come Genova, Malaga e altre) abbiamo apprezzato soprattutto gli angoli più antichi, le varie cappelle e la camera santa, nella quale si conserva anche il famoso sudario (e per un appassionato di Sindone il richiamo è sempre interessante), tra le curiosità si annovera anche una delle anfore delle nozze di Cana….
Suggestivo e folgorante il chiostro. Uscendo dalla cattedrale ci siamo immersi nel centro cittadino, sfiorando la statua della Regenta (protagonista di uno dei romanzi più classici della cultura spagnola del 1800, ambientato proprio ad Oviedo) e ricercando le tracce delle antiche mura. Nelle Asturie si colloca il primo guizzo di riscossa che ha portato la Spagna alla reconquista, e la genealogia dei primi re è uno degli archetipi forti della identità spagnola. Insomma, re Pelayo ci avrebbe accompagnato anche per i giorni successivi.
Domenica è stato il giorno del parco di Cavadonga e del Santuario della Santina; passando vicino a questo santuario (manco a dirlo, teatro della famosa vittoria che il re Pelayo aveva strappato ai mori che cercavno di conquistare tutta la pensiola iberica) abbiamo iniziato a salire, poco alla volta il verde esuberante dei boschi lasciavo spazio ai prati e ai cespugli, ma sempre verde e umido (fortunatamente abbiamo incontrato pochissima pioggia, in queste zone solitamente umide), poi con pulmini più piccoli siamo giunti in quota, quasi sui 1200, dove si trovano i laghi glaciali della zona e gli alpeggi dove si produce un tipico e famoso formaggio.
Bello rivedere nelle zone a nord di queste montagne ancora qualche tracca di neve e di ghiaccio; è stata anche l’occasione per qualche passo in montagna. Poi siamo tornati presso il santuario, visitando la cappella nella grotta e assistendo alla messa nella grande chiesa. La Vergine qui viene venerata qui con il nome familiare di Santina e la nostra guida cercava di insegnarci anche rapidamente l’inno, ma il grosso del nostro gruppo provenendo dal sud della Spagna, aveva un repertorio ben diverso.
Ci siamo poi recati nel paese vicino, Cangas De Onìs, dove un antico ponte romano (anche se un po’ a posteriori) fa ancora bella mostra di sè sulle tumultuose acque di questi torrenti sempre in piena. Anche il pranzo è stato un ricco catalogo di piatti e ricordi culturali della zona, a cominciare dalla fabada e compango, il mix di affettati iberici… insomma, ben poco dietetico! Ma il bello della tavola, oltre al cibo, era l’occasione di stare insieme, con amici che per un anno intero si trovano altrove. E subito dopo siamo andati fino alla costa, in zone rinomate e spettacolari, la zona di villeggiatura di Ribadesella, dove le dimore più imponenti ed esotiche erano quelle degli stranieri, generalmente indicati come “indiani”. Nelle acque ancora fredde e ventose erano già numerosi gli amanti del surf…
Lunedì le previsioni erano promettenti: sole. E sole fu, per tutto il giorno, incredibilmente. La prima tappa era presso il famoso villaggio di pescatori, Cudillero. Ci si arriva dopo una discesa folle tra boschi di eucalipto e rocce a strapiombo, poi il semicerchio delle case, ora belle colarate e sfavillanti (ma un tempo, ci diceva la guida, i colori erano molto meno pittoreschi…). Ci siamo inerpicati tra gli stretti passaggi, immaginandoci che no, proprio non era un villaggio per ginocchia artritiche, vista la pendenza e l’altezzza degli scalini. Ma il panorama e gli scorci che si potevano cogliere valevano bene una arrampicata tra i caruggi. Dopo ci siamo diretti verso la città di Gijon e dopo una visita alla zona del porto e del centro (a sorpresa la guida ci ha accompagnati a visitare, nel coro di una chiesa che dominava il golfo e le spiagge, una serie di mosaici recentissimi, opera del controverso Rupnik), poi ci siamo diretti verso l’università laboral, dal programma non riuscivo proprio a capire di cosa si trattasse. Quando poi si è materializzato davanti a noi l’immensa costruzione che ospita questo progetto educativo degli anni 50 ci siamo resi conto delle proporzioni e di come cambiano i tempi. Nato come grande colloggio per studenti dei corsi professionali, sotto il periodo franchista ha rappresentato un centro di eccellenza per la formazione di tanti spagnoli, che qui vivevano come interni; questo paradigma ha poi perso mordente dopo gli anni 80 e adesso si sta cercando di dargli una destinazione, sempre come centro educativo, adatto ai tempi. Nel solo cortile centrale possono entrare comodamente due campi da calcio e la torre centrale, una via di mezzo tra il campanile e un missile, svetta su tutta la pianura circosyante! Dopo l’ottimo pranzo al Parador siamo andati a visitare l’ultima meta del giorno, un altro paesino a vocazione estiva e marinara, il piccolo borgo di Tazones. Sotto le carezze del sole pomeridiano, quasi insperato, le piccole case dei pescatori, gli strumenti della pesca alla balena, la storia suggestiva di questo borgo (che nel 1500 aveva ostacolato persino l’arrivo del re Carlo V credendo si trattasse di…invasori) erano gli ingredienti per completare il quadro del giorno.
L’ultimo giorno, martedì era prevista la visita all’istituto marista Auseva di Oviedo (lo strano nome ricorda la montagna presso il quale si trova la scuola), una scuola che va dai cucciolotti della scuola dell’infanzia fino ai grandi del bachillerato; visita rapida anche per non disturbare, ed era bello sentire il prof di motoria parlare tranquillamente in inglese con gli alunni della scuola primaria per spiegare il da farsi. Poi visita alla comunità marista, ma l’idea di visitare anche l’opera sociale che i maristi portano avanti oltre alla scuola “normale” si è arenata per il fatto che il responsabile era stato chiamato per una riunione progettuale e in questi casi non poteva mancare… anche in Oviedo è forte la presenza di stranieri, migranti e persone in difficoltà, spesso irregolari per quanto riguarda i documenti e in questo centro si viene incontro a tale emergenza con corsi di vario tipo, quasi sempre di alfabetizzazione e rinforzo scolastico.
E poi, dopo il pranzo, raffinato e apprezzato da tutti quanti, siamo di nuovo ripartiti in treno alla volta di Madrid. Qui gli ultimi saluti in vista del rientro, ciascuno nella propria scuola. Melilla per il momento attende, visto che ci tornerò a breve e per il 1 maggio Madrid è sicuramente più interessante. Dopo i saluti e i ringraziamenti per gli organizzatori, la domanda che aleggia è evidente: dove andremo l’anno prossimo???
In questo album ho riunito solo le mie foto, visto che nel nostro gruppo gli appassionati di ricordi erano numerosi e in questo modo abbiamo conservato una traccia minuziosa e dettagliata di quanto visto; ma nell’album collettivo le foto sono quasi un migliaio…
Cosa si sarà dovuto sorbire il povero Renzo dal suo cavilloso Azzeccagarbugli, a sfogliare le grida, i fogli, la carta insomma. E da che mondo è mondo, così come lo conosciamo noi, la carta la fa spesso da padrona. Ma prima?
Un piccolo gioiello che esiste solo qui a Siracusa è il Museo del Papiro, probabilmente l’unico al mondo a raccontare la storia di questa pianta e mostrarne gli usi che ne tempo ne sono stati fatti, principalmente come supporto culturale e strumento di comunicazione.
Dalle descrizioni che si trovano sul web è facile capire cosa contiene: “consigliato soprattutto agli appassionati di storia e in particolare dell’antico Egitto: il Museo del papiro Corrado Basile di Siracusa è l’unico al mondo dedicato interamente alla carta degli Egizi. I pezzi esposti, i filmati e gli ausili didattici accompagnano il visitatore in un viaggio nel tempo: fra le altre cose, è possibile ammirare papiri dal XV secolo a.C. all’VIII secolo d.C., i frammenti di papiri e di materiali lignei carbonizzati nell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., i papiri prodotti a Siracusa dal XVIII secolo, manufatti in papiro (recipienti, sandali, corde, stuoie) e una fornitissima documentazione sulle origini del papiro e sulla sua lavorazione a Siracusa e in Egitto. (fonte)
Ho aspettato un bel po’ di tempo per poterlo visitare con calma, questa domenica mattina, con le finestre spalancate sul mare, il vento che sciorina le bandiere nel sole, la calma di chi si gode questi giorni di Siracusa con la tranquillità della poca folla e del ritmo più tranquillo. Anche perché l’altra volta che avevo tentato di visitarlo, mi ero arenato all’evidenza: io non porto mai contanti in tasca, ormai uso solo e sempre il telefono come pocket money, ma questo è un museo piccolino, a conduzione davvero familiare e il pos non è presente. Peccato, mi ero detto quella volta, nella scorsa primavera. Ma oggi mi ero attrezzato, anche perché tra covid e lockdown il periodo di chiusura di questa risorsa si è prolungato praticamente fino a questa estate.
Parcheggiata la bicicletta a ridosso del cortile interno del bel palazzo che ospita il museo, subito viene voglia di chiedersi: ma perché non ci sono delle belle piante di questo specialissimo papiro che praticamente è un’esclusiva di Siracusa? Ci starebbe davvero bene, ed è proprio una delle cose che poi ho suggerito al curatore del museo.
Perché la cosa sorprendente non è stata tanto il museo, quanto la presenza vivacissima del suo fondatore e curatore. Un museo che si intitola “Corrado Basile” fa subito pensare al busto in marmo di un qualche illuminato magnate del 700, un mecenate del secolo scorso, come minimo. E invece il sig. Corrado Basile è una simpatica e vivace presenza che vive e si muove tra le sale di questo straordinario museo. Ero appena entrato e un signore molto cordiale ha invitato me e l’altra coppia in visita a guardare il video che aveva appena avviato nella sala delle proiezioni. Poi alla fine lo vedevo molto disponibile a scambiare due parole con i presenti, a spiegare nel dettaglio, a fornire indicazioni… così ho azzardato la richiesta se fosse lui il curatore del museo.
Era proprio lui e da quel momento ha iniziato a spiegarmi anche quanto nelle poche sale aperte al pubblico non è sempre possibile racchiudere. Mi ha parlato del prossimo appuntamento importante di fine mese, per il prossimo XX convegno internazionale di egittologia e papirologia, mi ha gentilmente aperto i cordoni (letteralmente, facendomi entrare nelle zone riservate). Si scusava per il disordine e per lo stato di lavori in corso, ben sapendo che un museo vivo dovrebbe sempre avere questo aspetto, con i tavoli ancora ingombri di manifesti, carte, lettere e pubblicazioni. Visto il mio interesse si è prolungato nel mostrare i tanti riconoscimenti ricevuti nel tempo, le persone illustri che ha incontrato e che si sono ritrovati qui a Siracusa proprio grazie al papiro. Si è tolto anche qualche sassolino dalle scarpe quando gli ho chiesto se tutto il palazzo era riservato al Museo e mi ha fatto capire che le tante promesse della politica si sono impantanate rapidamente disperdendo le risorse verso altri rivoli (in effetti tutto il palazzo dovrebbe essere destinato a questo museo, ma entrando, sulla sinistra, si leggono anche altre dedicazioni, tipo “esposizione di arte contemporanea…”. Si avverte subito il piglio dell’appassionato che ha dedicato tutta la sua vita a questo entusiasmante prodotto che mette poi in collegamento con quanto di più importane la nostra cultura conserva e tramanda.
La passione per il papiro si è estesa velocemente anche all’interesse per l’ambiente, soprattutto quello vicino e particolarissimo del fiume Ciane, dove il papiro cresce rigoglioso. Persino troppo, visto che sarebbe importante curare un po’ meglio questo luogo particolare, con qualche sfalcio e riduzione della vegetazione, per evitare un eccessivo sfruttamento del fiume, eccessiva produzione di piante (e forse il recente incendio può essere una delle cause di questa trascuratezza).
Uscendo vedo che il foglio dei visitatori si è lentamente riempito, in questa domenica mattina sono entrati già una dozzina di persone. Un piccolo drappello di curiosi e di appassionati, sicuramente. E saluto la reception sottolineando che forse l’attrazione più importante del museo non sono tanto i papiri, gli strumenti per lavorarlo, le barche africane, ma la persona stessa di Corrado Basile, che continua a rendere unico questo piccolo tesoro di resilienza culturale.
Altre risorse sul papiro? Ce ne sono, e anche di pregevole fattura, forse però più orientate allo studio dei testi e alla conservazione dei documenti, come il Museo Papirologico dell’Univ. del Salento, o il Papyrusmuseum della Biblioteca Nazionale di Vienna.
E le foto? Per coerenza non ho voluto postare foto degli interni visto che è richiesto proprio all’ingresso del museo con un bel cartello: No Foto e niente Video. E mi sembrava brutto fare il turista incurante delle norme. Mi sono così limitato a qualche scorcio all’esterno e sul giardino che accoglie i visitatori. Mi sembra già abbastanza suggestivo.
Sigh, il sogno che quest’anno avevo tanto tempo libero, si sta rivelano meno semplice del previsto… così ci sono già un po’ di arretrati, idee, buone intenzioni e fatti vari.
A cominciare dagli incontri interessanti che si sono realizzati durante la settimana culturale che la scuola di Giugliano da un po’ di anni sta proponendo ai genitori della scuola. E fare cultura qui a Giugliano è sempre una impresa in salita. Per questo è necessario non accontentarsi! Gli ospiti di quest’anno: conferme e novità.
Con lui due incontri, il primo coi docenti, per rispolverare un po’ di elementi sempre utili per lavorare con gli alunni, poi di sera un incontro-conferenza aperto a tutti, per parlare di come un personaggio biblico dello spessore di Mosè abbia dovuto cambiare, e intensamente, per entrare in una nuova dimensione di vita e fede.
Il giorno dopo è stata con noi la psicologa Stefania Andreoli, volto noto di varie trasmissioni televisive. Era stata contatta dall’amica Camilla (nella foto a sinistra) per toccare alcuni temi educativi di sicuro impatto. L’obiettivo era quello di coinvolgere soprattutto i papà; il suo ultimo testo si intitola proprio “Papà, fatti sentire”. I timori che la sua fosse però una presenza troppo patinata si è subito risolto dai modi e dai contenuti dei suoi interventi, molto concreti, pratici e per niente edulcorati. Una bella serata iniziata forse un po’ in sordina ma poi cresciuta decisamente bene, tanto che alla fine l’impegno per una “seconda puntata” è scattato decisamente. Il giorno dopo è stato interessante vederla lavorare con i bambini della primaria, nel leggere e commentare storie, semplici fiabe… (come se le fiabe fossero semplici!). Mentre l’accompagnavo al treno per il suo rientro a Varese, dove vive e lavora, si continuava a parlare, ovviamente anche dell’incredibile “paesaggio” che stavamo attraversando, un panorama che non può certo lasciare indifferenti. Scampia, le rampe da terzo mondo, la spazzatura ancora disseminata ovunque, l’incuria, l’evidente trascuratezza. Fin troppo evidente che da queste parti si tollera in malafede che questo andazzo sia “la normalità”. Invece di lamentarsi e basta è decisamente più sensato piantare semi nuovi e lavorare per un cambio effettivo.