Nei vicoli di Erice
Mi ero ripromesso di condensare in qualche riga il viaggio a Catania, ma qui a Siracusa, anche se non ci sono ritmi frenetici, le attività della settimana sono abbastanza coinvolgenti e anche per poche persone è giusto esserci il tempo necessario, magari anche per una sola persona, come sta capitando da un paio di settimane con Kebba, per aiutarlo a migliorare la comprensione e la lettura dell’italiano.
Ma la passeggiata che abbiamo fatto ad Erice sabato scorso, 2 novembre, è ancora fresca, anzi, velata di nubi come il vestito perenne di quel cocuzzolo sopra Trapani. In 3 giorni non siamo mai riusciti a vederlo limpido e svelato. Così con Rosa, Nina e Ricky partiamo nel pomeriggio.
Tanto per cominciare conviene andarci in funivia. E dopo averla presa, noi 4 intrepidi, mi sembrava di essere di nuovo sul percorso del Palabione, o in Trentino. Chiudi gli occhi e si ondeggia lievemente. Certo, faceva ancora caldo, e poi gli alberi non sono così fitti. Soprattutto niente neve… 10 minuti di salita sono un bell’andare. Ci sono oltre 700 m. di dislivello, si passa dal mare alla montagna. E si fa presto ad accorgersene, appena arrivati il tepore immagazzinato in pianura svanisce presto.
Il primo impatto richiama le cattedrali e i castelli di Lady Hawke; rosoni suggestivi, pietra in bella vista, architetture raffinate… e poi si inizia a girare per le strade di questo paese, che è poco più di un villaggio. Chiedo ad un abitante in quanti sono: forse meno di 200, anche se d’estate il numero lievita considerevolmente…
Viene chiamato anche il paese delle 100 chiese e forse ce ne sono anche di più, ma la scelta di renderle tutte a pagamento anche solo per una fugace visita non mi sembra geniale: quindi le boicottiamo tutte, ci accontentiamo di assaporare le facciate e le silhouette. Il che non è poco. Tra un vicolo che richiama Assisi e una scorciatoia che starebbe bene in un paesino dell’entroterra ligure, camminare in questo borgo è gradevole e stuzzicante. Negozi, vetrine, maioliche, pizzi, cartelli turistici e riproduzione di murales e poster, ogni angolo e ogni strada viene sapientemente sfruttata. E nonostante l’epoca i turisti non mancano, in tanti ci intralciano il percorso o ci precedono nelle svolte.
Ma Erice mi ricorda in particolare una persona, il famoso Prof. Zichichi. Chissà se è ancora dei nostri, così entro nella sede della sua fondazione e chiedo. “E’ ancora un arzillo professore di 90 anni, ma adesso vive a Ginevra…viene ogni tanto”. Sarà anche lui un fan della Gianotti, che è stata appena confermata come direttrice del Cern? Fa comunque piacere riscontrare personalità di questo taglio e spessore.
Intanto le nuvole si sono raggrumate ancora, aumentano e si fanno quasi minacciose. Giungiamo al castello che le prime folate iniziano a nasconderlo; ci vorrebbe un menestrello malinconico o un bardo in fuga per completare il quadro. Sullo sfondo la piana di Trapani, le saline, ampi spazi, con macchie di sole a leopardo, a fianco i torrioni del castello di Venere. E inizia persino il freddo, che ci consiglia di non attardarci troppo. Riprendiamo il corso principale, saccheggiando con foto e autoscatti il percorso. Poi di nuovo in seggiovia e in poco tempo il sole riprende il sopravvento. Appena scesi uno sguardo indietro, alla montagna ancora tutta avvolta di nubi. E così siamo stati anche ad Erice.
E così questo album fotografico di Erice 2019 è decisamente un mix tra romanico, umbro e tenebroso medioevo.