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Tag: tolleranza

Sabato di feste…

Sabato di feste…

Qui a Melilla il sabato è un po’ il nostro giorno di “stacco”: niente lezioni, niente gruppi, niente riunioni (se non quelle nostre, tipiche di una piccola comunità). Sabato scorso, 9 novembre, era però infarcito di numerosi appuntamenti, molti dei quali erano stati rinviati a causa della DANA, questa impressionante sfuriata meteo che in poche ore ha visto cadere nel sud della Spagna, in particolare sulla zona di Valencia, l’intera quota di acqua di un anno, con le catastrofiche conseguenze. Sarà anche per questo che qui a Melilla si iniziano a vedere le ruspe che si dedicano alla pulizia dei fossati pieni di canne che in realtà sono l’alveo del Fiume de Oro (da circa 3 anni non ci passa nemmeno un rigagnolo di acqua, completamente asciutto!).

L’appuntamento più interessante era la festa del Diwali, la ricorrenza hindu che segna l’inizio del nuovo anno, festa della luce e della serenità. Cadeva in pratica il 2 novembre ma il responsabile hindu (nostro grande amico e volontario anche del progetto Alfa) non voleva metterla a ridosso della ricorrenza dei Defunti e con le immagini delle alluvioni ancora così lancinanti. Così la zona tipica delle feste di Melilla, la Piazza delle culture era pronta per i festeggiamenti, in pieno stile bollywood, l’ampio palco era fiancheggiato da due grandi elefanti gonfiabili (che ricordano Ghanesh, una delle tante e variopinte divinità hindu) e uno spazio speciale era riservato alla creazione di un mandala e all’accensione di una candela simbolica; poi vari stand per i bambini, per le decorazioni con l’hennè, le degustazioni tipiche…

Verso le 18 la piazza era già affollata e il gesto che sottolinea la grande tranquillità nel convivere tutti insieme, a prescindere dalle fedi, dalle credenze e dalle nazionalità era proprio quello di mescolarsi, richiamare le persone “diverse” dal proprio modo di essere. E qui tutti stanno al gioco, che forse è la cosa più seria. Così diventa normalissma la foto della nostra comunità (noi siamo quelli a sinistra…) e quella delle suore insieme ai responsabili nei sari indiani, o la foto di rito con le autorità politiche, religiose, sociali, senza nessuna forzatura. Anzi, qui non provoca nemmeno discussioni la presenza di musulmani ed ebrei e di questi tempi sappiamo quanto sia difficile!

Bello poi ricordare che questa festa viene proposta da un gruppo di hindu che, tutto sommato, non raggiungono nemmeno le 100 persone, davvero un pizzico di lievito.

Ma noi eravamo nel bel mezzo della festa insieme ad un gruppetto dei “nostri ragazzi”, come Comunità ci stiamo sbilanciando abbastanza in questa direzione, lavorando sia con ragazzi e ragazze che ci vengono segnalati dai centri sociali della città che da famiglie marocchine con adolescenti senza troppi punti di riferimento (e sono tanti, in questa situazione, troppo grandi per un inserimento scolastico e ancora piccoli per il mondo del lavoro). Con loro abbiamo avviato corsi di formazione al mattino e al pomeriggio, cercando di aiutarli a padroneggiare meglio la lingua spagnola, ben sapendo che soprattutto quelli che provengono dai centri non aspettano altro che l’opportunità di recarsi nella penisola (qui a Melilla quando si accenna alla Spagna si usa sempre questo termine… penisola, tassativamente!).

Così eravamo anche noi a gironzolare tra gli stand, ad ascoltare la musica a palla con i classici ritmi ballabili dei film indiani, a fare la coda per una decorazione con l’hennè (questa volta potevamo anche saltare un po’ la fila, visto che le decoratrici sono anche … le nostre alunne del pomeriggio!), poi verso le 8:30 avevamo un altro appuntamento interessante, presso il teatro Kursaal (che grosso modo è l’unico di tutta Melilla e si trova a pochi passi dalla piazza).

Qui abbiamo assistito ad una performances organizzata dalla associazione Nana che, coinvolgendo i bambini e le bambine dei centri (in particolare quello della Divina Infantita, che conosciamo bene anche noi) ha invitato a riflettere, in modo molto articolato e artistico, sul tema del nostro essere fin troppo “connessi” al mondo social, al cellulare, ai trend di moda… peccato che alcuni dei nostri ragazzi facciano ancora fatica a comprendere lo spagnolo e quindi… sono stati per lungo tempo appiccicati al proprio cellulare ;-/

Il gran finale lo abbiamo poi celebrato nel bar vicino, dove abbiamo offerto una pizza ai nostri amici e l’occasione di passare insieme un momento davvero informale. Abbiamo concluso abbastanza presto perchè un paio di loro doveva tornare al proprio centro (che non si trova proprio dietro l’angolo) e anche quelli che dovevano tornare in famiglia sono riusciti a rientrare prima di mezzanotte. Una bella serata da ricordare.

Tanto che abbiamo raccolto alcuni ricordi in questo album fotografico del Diwali 2024

L’ultima ragazza

L’ultima ragazza

Ho letto questo libro ormai tempo fa, saranno mesi. Mi era rimasto impresso per l’attualità della vicenda, l’insostenibile assurdità di quanto possa succedere ancora oggi, in questo mondo apparentemente globalizzato e ricoperto da una patina occidentale progressista. Si fatica a credere che non lontano da noi possano ancora verificarsi questi atteggiamenti e che valori ormai considerati acquisiti possano invece essere strumentalizzati e asfaltati senza pietà.

Persino il mondo religioso degli Yazidi, che mi era totalmente sconosciuto, mi fa toccare con mano che veramente con le briciole che conosciamo a volte costruiamo cattedrali traballanti e, sovente, incomplete. Perchè la vita è così grande e ricca che una esperienza sola, una fede sola e una sola cultura faticano a trasmettere. Ben venga il confronto e la reciproca conoscenza.

Poi ho trovato giorni fa (prima decina di marzo) queste parole del Papa, mentre tornava dal suo ultimo viaggio in Iraq e che ricordava ai giornalisti come era nata la decisione di fare un simile viaggio.

La decisione su questo viaggio viene da prima: il primo invito dall’ambasciatrice precedente, medico pediatra che era ambasciatrice dell’Iraq: brava, brava, ha insistito. Poi è venuta l’ambasciatrice in Italia, che è una donna di lotta. Poi è venuto il nuovo ambasciatore in Vaticano, che ha lottato. Prima, era venuto il presidente. Tutte queste cose sono rimaste dentro. Ma c’è una cosa in precedenza, che vorrei menzionare: una di voi [giornaliste] mi ha regalato l’edizione spagnola de “L’ultima ragazza” [di Nadia Murad]. Io l’ho letto in italiano. […] C’è la storia degli yazidi. E Nadia Murad lì racconta quella cosa terrificante, terrificante… Vi consiglio di leggerlo. In alcuni punti, siccome è biografico, potrà sembrare un po’ pesante, ma per me questo è il “telone” [il motivo] di fondo della mia decisione. Quel libro lavorava dentro, dentro… E anche quando ho ascoltato Nadia, che è venuta qui a raccontarmi le cose… Terribile! Poi, con il libro, tutte queste cose insieme hanno fatto la decisione, pensandole tutte, tutte le problematiche, tante… Ma alla fine è venuta la decisione e l’ho presa. (da 7cielo)

Così come è stato per l’enciclica “Fratelli tutti”, preparata dall’incontro di Abu Dhabi del 2019, probabilmente serviranno ancora anni per far maturare questo gesto inedito di papa Francesco, perché possa produrre frutti condivisi, da cristiani e musulmani.

Un passo dopo l’altro…

Un passo dopo l’altro…

Nel titolo c’è già molto: Un passo dopo l’altro: viaggio nell’Italia che resiste nonostante tutto. L’autore è Lorenzo Tosa, fino a poco fa un illustre sconosciuto per il sottoscritto, per poi scoprire che la sua presenza sui social è decisamente “tanta roba”, più di altri personaggi che fanno spola continua su tv e social frizzanti. Non sono un habituè della sopravvivenza social (nel senso che spesso è decisamente effimera), ma preferisco che abbiano un ruolo e una rilevanza in questo campo persone con valori e buon senso in testa. Mi sembra che in questo caso ci siamo, le attese e le ansie dell’autore sono davvero condivisibili.

Il libro invece mi ha fatto l’effetto di una maionese un po’ aspra, con tanti ingredienti ancora da amalgamare, qualcuno anche poco funzionale al gusto principale, che comunque si avverte da subito, cioè l’accoglienza, la tolleranza, l’apertura alle persone in quanto persone, il condividere della natura umana il fatto che siamo davvero tutti nella stessa barca. Non si tratta propriamente di un libro sui migranti (un settore in costante crescita) ma le storie raccontate nel testo lasciano trasparire in filigrana questa attenzione, come una traccia costante e pervasiva.

I capitoli sono apparentemente slegati, si inizia con i personaggi di Luciana e Liliana, poi si passa a Mimmo Lucano, dopo entrano in gioco altre figure, una calciatrice che ha fatto finalmente coming out, mixate con i viaggiatori del medesimo scompartimento del treno che l’autore ha preso, forse da Genova, per raggiungere la Calabria e incontrare il paese di Riace. Una sorta di viaggio nel profondo sud alla ricerca delle persone che resistono ad un certo degrado sociale e all’andazzo un po’ diffuso che attanaglia l’Italia di oggi, spesso appiattita su stereotipi ricorrenti, come quelli sui migranti che bisogna aiutarli a casa loro e che prima vengono le nostre esigenze di italiani e via saltando. Ogni capitolo scivola quasi da un personaggio ad un altro e solo dopo metà libro si iniziano a tirare con più logica le fila del discorso, evidenziando i protagonisti principali del testo, che pian pano si rivela più unitario e comprensibile.

Lo stile dell’autore, giustamente, non si discute, ma una lettura frazionata, come spesso ci capita di fare oggi, con i tempi sbrindellati e frettolosi, mal si adatta a questo testo, ci vorrebbe un tempo calmo per leggere attentamente i vari profili. Perché la storia che si dipana e le storie che vengono raccontate meritano decisamente una lettura attenta e una riflessione successiva. Basterebbe la storia di Luciana e Liliana, deportate ad Auschwitz quando erano appena adolescenti, la loro caparbia sopravvivenza nella follia dello sterminio e il lento recupero dopo la liberazione.

Il finale è forse un invito a prendere posizione, ad accompagnarsi a queste persone che si impegnano concretamente per una società più accogliente e aperta, un deciso invito alla speranza e ad una reazione concreta. Basterebbe questo a consigliarne la lettura.