Le tappe più importanti
per il volontariato…
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a. 3/12/1975 ONU: “Dichiarazione sui diritti della persona disabile”, erano 25 anni fa.
b. 20/11/1995: Proclamazione del 2001 come “anno internazionale del volontariato”:
“C’è la forte coscienza che finalmente il volontariato può promuovere la formazione di società che abbiano cura della persona”.
Si auspica che si inneschi “un movimento omogeneo di riconoscimento verso l’importanza del volontariato come VALORE, al di là delle attività settoriali e delle suddivisioni…”
Manca oggi la cultura del volontariato a tutti i livelli, per il supporto degli individui ed il sostegno delle organizzazioni deboli economicamente, ma forti nel servizio alle persone dimenticate.
c. Il 2001 segna i 10 anni della legge sul volontariato (l. 266 del 11/08/1991). Si riscontra che la legge non ha svolto la funzione liberatoria e sollecitatrice che si pensava svolgesse…
“Avevamo sperato che la cultura del volontariato innervasse delle sue autenticità i comportamenti individuali e collettivi,e soprattutto i rapporti tra cittadino e istituzioni pubbliche; che la doverosità del gratuito, nella quale risolve la vera vocazione del volontariato, potesse tradursi nella gratuità del doveroso, che invece stride…”; che il modello del volontariato diventasse snodo di un sistema pubblico motivato e iniziative sociali in cui i singoli le responsabilità e i valori in cui credono…
Il volontariato (e la legge 266…) era nato come modello di una nuova cultura quella dei fini, cioè quella capace di dare un significato, un fine, un SENSO alla apparente inutilità e al peso dei gesti quotidiani…
Oggi si chiede al volontariato di nascere di nuovo, perché la nostra società […] sappia darsi nuove motivazioni di autenticità aprendosi agli altri nella genuina dimensione dell’essere. Si impone al volontariato il ritorno al “lievito dei comportamenti”, mettendoli a nudo, liberandoli da ogni tentazione di convenienza o di opportunismo…
Anche per il volontariato è possibile richiamare le parole di Papini: “Non ci sono altezze troppo alte, ma sovente solo ali troppo corte…”
d. 3/12/2000 a Roma Giubileo dei disabili. Alcune parole del Papa ai disabili:
“Nel vostro corpo e nella vostra vita, carissimi fratelli e sorelle, voi siete portatori di un’acuta speranza di liberazione”.
“I cristiani vogliono fare proprie le vostre ansie e le vostre attese, i vostri doni ed i vostri problemi”.
“Sappiamo che il disabile, persona unica ed irripetibile nella sua uguale de inviolabile dignità, richiede non solo cura, ma anzitutto amore che si faccia riconoscimento, rispetto ed integrazione: dalla nascita all’adolescenza, fino all’età adulta e al momento delicato, vissuto con trepidazione da tanti genitori, del distacco dai propri figli, il momento del “dopo di noi”. Vogliamo sentirci partecipi delle vostre fatiche e degli inevitabili momenti di sconforto, per illuminarli con luce della fede…”
“Voi disabili affermate che la disabilità non è soltanto bisogno, ma anche e soprattutto stimolo e sollecitazione. Certo, essa è domanda di aiuto, ma è prima ancora provocazione nei confronti degli egoismi individuali e collettivi… Con vostra realtà, voi mettete in crisi le concezioni della vita legate soltanto all’appagamento, all’apparire, alla fretta, all’efficienza”.
“Quali sono le vostre urgenze?
-Anzitutto, il diritto ad una vita dignitosa. Non si tratta solo di soddisfare determinati bisogni, ma più ancora di vedere riconosciuto il proprio desiderio di accoglienza ed autonomia. È necessario che l’interazione diventi mentalità e cultura…”
-“Quando la disabilità non è eliminabile, è possibile sempre liberare le potenzialità che la disabilità non cancella: la riabilitazione, […] oltre che restituire funzioni compromesse, ne attiva altre e pone un argine al decadimento”.
-“Tra i diritti da garantire non vanno dimenticati quello allo studio, al lavoro, alla casa, all’abbattimento delle barriere, e non solo quelle architettoniche! Per i genitori, inoltre, è importante sapere che la società si fa carico del cosiddetto “dopo di noi”, consentendo loro di vedere i propri figli o figlie disabili affidati all’attenzione sollecita di una comunità pronta a prendersene cura con rispetto ed amore”.
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