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A proposito di Siria: intervista a fr. George Sabe

A proposito di Siria: intervista a fr. George Sabe

Non è certo la prima volta che riportiamo notizie di prima mano dal panorama siriano; la presenza di fr. George Sabe nella città di Aleppo è per noi una testimonianza e una preoccupazione sempre viva. Alle sue lettere e ad altri interventi abbiamo dedicato una sezione di questo sito.
In questi giorni è uscita una sua intervista, pubblicata dal quotidiano spagnolo El Debate. La riportiamo in versione italiana per conoscere direttamente, da chi la vive, come sta evolvendo la situazione in Siria e quali scenari si prospettano in questo martoriato paese.

George Sabe, dei Maristi Blu di Aleppo:
“Spero che rimanga ancora qualche cristiano in Medio Oriente”

El Debate parla con uno dei fondatori dei Maristi Blu di Aleppo, la seconda città più grande del paese arabo, che ha vissuto in Siria dallo scoppio della guerra civile per oltre un decennio, per aiutare le famiglie sfollate e colpite durante il conflitto
Articolo di Andrea Polidura, Andrea Carrasco. Madrid – pubblicato il 13/01/2025


Il fratello marista George Sabe (Aleppo, 1951), fondatore dei Maristi Blu di Aleppo, sa bene cosa significhi essere cristiano in un paese a maggioranza musulmana. La sua famiglia è di tradizione maronita, una delle più antiche comunità della Chiesa orientale che ha origine ad Antiochia e si è stabilita principalmente in Libano, anche se si è diffusa in numerosi paesi limitrofi eanche in tutta la Siria – dove visse San Giovanni Marone. Per lui, in quanto cristiano nato al centro del mondo musulmano, la sua “missione nel mondo è quella di testimoniare il Vangelo”. Sabe ha sofferto in prima persona la guerra civile siriana, che dura da più di 13 anni, in una delle città che ha sofferto di più le devastazioni del conflitto, Aleppo.
Anche l’offensiva dei ribelli – guidata dal gruppo islamista Hayat Tahrir al Sham (HTS) – che ha posto fine a più di un decennio di dittatura della famiglia Al Assad lo ha toccato da vicino. La sua città natale è stata la prima a cadere nelle mani dei fondamentalisti. Un’avanzata fugace, con la quale le fazioni ribelli hanno raggiunto la capitale, Damasco, appena dieci giorni dopo. Sabe confessa di aver vissuto quei primi giorni dell’offensiva con “molta angoscia” perché “nessuno può abituarsi alla guerra”.
In perfetto spagnolo con accento francese, Sabe racconta di aver trascorso due anni a Balaguer (Lleida, Spagna) dove ha fatto il noviziato. Si trasferì poi in Belgio, dove si specializzò in psicologia e, al termine, fu nominato come rappresentante della comunità cristiana in Siria, Libano e Costa d’Avorio. È stato solo allo scoppio della guerra civile nel 2011 che è tornato ad Aleppo con l’obiettivo di aiutare il suo popolo. Durante questo periodo difficile, Sabe ha utilizzato anche lo strumento della scrittura e, attraverso le lettere, ha raccontato tutto ciò che stava accadendo in Siria. Tutte queste missive sono confluite nel libro Lettere da Aleppo che, scritto insieme a Nabil Antaki, riflette l’orrore di oltre un decennio di conflitto fratricida.


I Maristi Blu sono nati con lo scoppio della guerra in Siria, come avete vissuto tutti questi anni di incertezza?
La guerra era iniziata in Siria nel marzo 2011, ma non ha raggiunto Aleppo fino al giugno 2012. Questo ha sollevato una domanda importante per noi, se potevamo fare qualcosa per aiutare le persone. La risposta è stata molto positiva, molto dinamica. Dovevamo prenderci cura di quelle persone, portarle in salvo. Uscivano da un trauma molto forte dovuto al fatto che dovevano lasciare le loro case pensando che vi sarebbero tornati una settimana dopo. Ma la realtà non era così. Erano diventati sfollati. Abbiamo anche temuto per le nostre vite, abbiamo temuto di aprirci al mondo musulmano, proprio per aiutare il popolo musulmano. Anche loro hanno sofferto e abbiamo dovuto camminare giorno per giorno per vedere come potevamo aiutarli. Eravamo nel bel mezzo della guerra, con troppa poca luce per vedere il futuro.

Le differenze religiose vengono dimenticate di fronte a una guerra come quella in Siria?
La guerra ci ha insegnato che, se volevamo vedere il futuro di un paese, il futuro delle relazioni tra persone diverse, di credenze diverse, dovevamo fornire un servizio. Ascoltare, ascoltare la persona umana. Non considerare la persona come un numero, nemmeno per quanto riguarda la sua fede, ma solo come una persona che soffre. Le barriere religiose o di genere, o qualunque cosa siano, non dovrebbero impedirci di agire e mantenere una relazione; Soprattutto nell’ottica di un servizio. Parlo molto di servizio perché questa parola è ciò che portiamo alla persona umana e che la rende una persona con dignità.

Ci si abitua a vivere in guerra?
Mai, mai. Non ci si può abituare alla guerra. Non puoi perché la guerra uccide. Uccide il corpo, ma uccide anche lo spirito, uccide la speranza, uccide una visione chiara del futuro. La guerra è stata inventata per dividere le persone. Trasforma l’altro, non solo in un nemico, fa di lui una persona che merita di morire, che merita di scomparire.

Come ha vissuto quest’ultima offensiva dei ribelli che ha posto fine al regime di Assad?
Con molta angoscia. Davvero con molta angoscia. Viviamo in un’epoca molto complicata. C’è stato un bombardamento dell’esercito di Assad, e questo ravviva in te le paure e i momenti difficili che vorresti dimenticare. Ma, se fino a novembre avevamo un orizzonte molto buio, oggi molto di più, perché non sappiamo cosa sta succedendo nel paese, non sappiamo dove stiamo andando. Non sappiamo se diventeremo un paese con una Costituzione islamica che ci considera una minoranza, persone che non hanno gli stessi diritti degli altri cittadini. E’ vero che abbiamo posto fine a un regime dittatoriale, ma ci sono molte domande per le quali non abbiamo ancora una risposta.

Ma vi accorgete che qualcosa è già cambiato in queste settimane?
A livello economico, c’è stata molta apertura. La possibilità di avere, oltre alla valuta siriana, anche il dollaro, e di poter utilizzare la sterlina turca è stata ben accolta da tutta la popolazione. Ma un governo di transizione non può prendere decisioni. Ci è stato detto che sarà un governo di tre mesi, ma in realtà ci sono decisioni che sono state prese e che ci fanno intuire che il futuro è un paese islamico, con una visione islamica fondamentale.

Cos’è che ti fa capire che questo può accadere?
Ad esempio, il ministro dell’Istruzione prende la decisione di eliminare tutto ciò che riguarda il regime: parlare di Assad, parlare del partito… Siamo d’accordo. Ma poi mette una nota per cambiare le spiegazioni su certi argomenti. Ad esempio, c’è un versetto nel Corano che parla di persone che si sono perse. Quelli che credono e quelli che non credono. Fino a un mese fa, chi si perde è chi non ha fede, senza precisazione di chi sia. Il ministro dà un’unica interpretazione, dicendo che sono cristiani ed ebrei. Non so se è chiaro. Ciò significa che se sono cristiano sono una persona perduta, e solo i musulmani sono buoni. Non ha il diritto di considerarci cittadini di seconda classe, sono un governo di transizione.
E abbiamo l’esperienza della minoranza cristiana che ha vissuto a Idlib, da dove vengono quelli che oggi governano. Le donne cristiane devono indossare il velo quando escono e non possono indossare i pantaloni senza coprirli con qualcosa. Casi molto concreti. Se siamo considerati una minoranza, possiamo mettere in pratica e vivere la nostra fede, i nostri costumi, ma solo nello spazio della Chiesa, altrimenti non possiamo farlo.

Confidi in un futuro che possa favorire la minoranza cristiana?
Spero che il Medio Oriente non si svuoti un giorno di cristiani come è successo nel sud della Turchia, nel Nord Africa, dove i cristiani hanno lasciato tutto e sono scomparsi. Da bambino, quando frequentavo la scuola marista, avevo compagni di classe musulmani, avevo compagni di classe ebrei. Oggi in Siria non c’è più un solo ebreo. Spero che qualche cristiano rimanga in Siria. Se non ci renderanno partecipi del futuro della Siria, il piccolo numero di cristiani cercherà di lasciare il Paese. E non parlo solo dei cristiani, perché posso dirvi tante etnie, tanti modi di vivere che non sono tutti sunniti, non sono tutti salafiti, come quelli che sono attualmente al potere. C’è un mosaico molto grande, un mosaico culturale, un mosaico umano di persone che hanno vissuto insieme, e che potrebbero vivere, e che vogliono vivere insieme costruendo il nostro paese.


Come è cambiata la società siriana nel corso degli anni?
–È cambiato molto, in primo luogo a causa di un fattore demografico. Ci sono state molte persone che hanno lasciato il paese, ci sono molti sfollati che sono stati spostati ben 200 volte. È terribile perché devi adattarti a una nuova realtà. Ad esempio, i bambini, qual è il luogo in cui si sentono in pace, con qualità, con sicurezza, quando perdono tutto?, quando temono per la loro famiglia, per il loro padre, per la loro madre… Stavamo cercando di fornire supporto educativo a quei bambini che erano stati traumatizzati dalla guerra. È terribile. Chi ti dice che un giorno quel bambino non farà la guerra agli altri?

Devi aver visto molti di quei bambini crescere…
Abbiamo visto i bambini crescere. Venivano da una vita vissuta attraverso molta violenza e a poco a poco hanno dovuto imparare a convivere l’uno con l’altro. Abbiamo visto bambini che sono venuti e non volevano essere separati dalla loro famiglia. Avevano paura. Abbiamo visto bambini coprirsi le orecchie a qualsiasi rumore forte. Abbiamo visto bambini che avevano paura di qualsiasi gesto che potesse essere loro offerto, lo consideravano come qualcosa di orribile. A poco a poco c’è stato un lavoro psicologico, affettivo e umano per salvare quei bambini che poco alla volta sono cresciuti.
Un giorno abbiamo trovato una bambina, di quattro anni, che non parlava, non perché fosse muta, ma era completamente bloccata, chiusa. Quando abbiamo parlato con i genitori, ci hanno detto che questa bambina aveva una sorella gemella, che proprio lei ha visto morire a causa di una bomba caduta molto vicino a casa sua. La guerra non è solo un conflitto armato. La guerra è anche la distruzione della persona umana.

Insieme a Nabil Antaki, medico e fondatore dei Maristi Blu, hai scritto Lettere da Aleppo, un libro di lettere in cui parli della guerra. In che modo la corrispondenza ti ha aiutato?
–L’abbiamo iniziato nel luglio 2012. All’inizio informavamo gli amici di altre parti del mondo della nostra realtà, di ciò che stava accadendo. Ce lo hanno chiesto, ecco perché abbiamo deciso di scrivere. Scrivere è trasmettere, è permettere all’altro di capire, ma fornendo notizie autentiche, vere. Una notizia che non è solo quella di creare paure. Una notizia che racconta quello che sta succedendo e allo stesso tempo offre una possibilità di solidarietà.

Quasi in diretta dal Libano

Quasi in diretta dal Libano

Sull’ultimo numero di Vida Nueva, la principale rivista spagnola per quanto riguarda il mondo religioso, è appena stata pubblicata una intervista a fr. Juan Carlos.
Per noi maristi è un volto ben conosciuto e una presenza significativa della nostra provincia marista mediterranea. Fino a 3 anni fa era il nostro provinciale, responsabile di tutte le attività, amico e sostegno fraterno nei diversi ambiti di missione. Al termine del suo incarico una sola richiesta: quella di poter far parte del “progetto Fratelli” che da pochi anni aveva aperto i battenti nel sud del Libano, una comunità intercongregazionale, nella quale i maristi collaborano con i fratelli delle scuolae cristiane (lasalliani) a servizio delle persone più fragili di quel martoriato territorio.

La sede di questo progetto si trova a Rmayleh, un centro a pochi km a nord di Sidone; un tempo era un collegio marista, poi requisito dalle forze militari libanesi, che ancora ne conservano una parte. Si trova vicino a diversi campi profughi e dal 2015 è sede di questo progetto che si avvale anche della collaborazione di numerosi volontari e ong internazionali.

Fino a pochi mesi fa si occupavano soprattutto dei tanti sfollati e profughi della guerra in Siria. Il progetto si rivolge soprattutto ai piccoli, offrendo corsi di alfabetizzazione, scuola (impensabile poter inserire i tanti minori presenti nei vicini campi profughi nelle classi normali: i libanesi sono poco più di 6 milioni, in pochi anni i profughi siriani hanno superato il milione di arrivi…), ma anche formazione per gli adulti, le mamme, le donne, i giovani.

Per conoscere meglio questo progetto puoi dare un’occhiata alla loro pagina Facebook

Fa davvero effetto vedere le foto delle tante attività che si svolgevano fino a poche settimane fa in questo grande centro, e sapere che adesso tutto è fermo, chiuso per ovvi motivi di sicurezza.

Abbiamo chiesto a fr. Juan Carlos di poter tradurre e riportare sulle nostre pagine questa intervista che vi proponiamo, proprio per dare segni di speranza in un momento così difficile.

Juan Carlos Fuertes, missionario in Libano:

“Anche se crolla, Hezbollah rinascerà di nuovo, come sempre”

Insieme alla sua comunità e ad altri religiosi Lasalliani, questo marista promuove il Progetto Fratelli, nei pressi di quella che un tempo era Sidone.
“Senza un senso di appartenenza nazionale, le persone si sentono più legate al partito o alla confessione religiosa che al proprio paese”

La situazione sta diventando sempre più critica in Libano dopo l’offensiva di Israele contro Hezbollah nelle ultime settimane. La guerra si sta diffondendo in tutto il Medio Oriente e la violenza e l’odio imperversano. Il che si traduce in più morti. Ma, come in ogni dramma umano, ci sono sempre lampi di luce. Uno di loro è testimoniato dal missionario marista Juan Carlos Fuertes, che si dedica a fondo al Progetto Fratelli, un’opera intercongregazionale sostenuta da Manos Unidas e in cui, dal 2015, i maristi e i religiosi lasalliani (i Fratelli delle scuole cristiane, fondati da La Salle), vicino alla città di Saida (la biblica Sidone), offrono un servizio di accompagnamento integrale (dall’educazione al tempo libero) ai rifugiati provenienti dai conflitti nella regione. Oggi si prende cura di siriani e palestinesi, ma anche di tanti sfollati dal Libano stesso.

Come spiega questo religioso valenciano a Vida Nueva, è qui dopo aver detto “sì” tre volte nella sua vita. Tutto è iniziato “in una scuola marista dove ero studente. Lì i fratelli avevano un rapporto molto stretto e cordiale con tutta la gente. Questo ha permesso a me, come a molti altri, di conoscerli molto bene. Un giorno ho ricevuto l’invito a far parte di loro. Ho detto ‘sì’”

In un quartiere operaio

Più tardi, “quando avevo 26 anni, ho ricevuto un secondo invito: partecipare a una comunità marista in un quartiere operaio per fare volontariato in un appartamento del rifugio Proyecto Hombre. Dopo quel “sì”, direi che questa esperienza ha rafforzato la mia vocazione e le ha dato un senso. Mi ha aiutato a sentire la voce di Dio, che ascolta il grido dei poveri e fa qualcosa per loro”.
Di fronte al terzo invito, che ha avuto il grande impatto vitale di lasciare tutto per seguire la chiamata a venire in Libano, per collaborare con la comunità dei Fratelli e lavorare con i rifugiati siriani, “non ci ho pensato due volte e, sentendolo come un vero e proprio dono, ho detto il mio ultimo ‘sì’. La vivo come un’opportunità per essere fratello lungo le frontiere geografiche ed esistenziali della vita. E anche come un passo in più nel cammino della vita in cui Dio, che è all’origine della mia vocazione e mi guida ogni giorno, ha riempito la mia vita di sfide, di persone meravigliose e di benedizioni”.
Una valanga di vita e di speranza in mezzo all’orrore più assoluto.

DOMANDA: Qual è la situazione in Libano in questo momento dopo l’escalation della guerra da parte di Israele?
RISPOSTA: È facile immaginare la desolazione del popolo. Dopo quasi un anno di incertezza a causa dei continui bombardamenti nel sud del Paese, con sporadiche incursioni a Beirut e in altre zone del Libano, in quattro giorni il conflitto si è trasformato in una guerra aperta, causando più morti che nell’intero anno. A questo si aggiungono gli oltre mezzo milione di sfollati che hanno lasciato il sud per cercare un posto sicuro in cui vivere mentre questa situazione continua. Intanto gli attacchi continuano, sia nel sud che a Beirut e nella valle della Bekaa.
Per tutto questo, aumenta la paura della gente, l’insicurezza di fronte agli attacchi e l’incertezza su ciò che accadrà. D’altra parte, i bisogni crescono tra le persone che hanno lasciato le loro case e si ritrovano senza nulla nei rifugi o per strada. Sono necessari aiuti umanitari (cibo, coperte, materassi, prodotti per l’igiene…), così come un sostegno psico-sociale.

fr. Juan Carlos, marista, fr. Guillermo, lasalliano, Teresa, volontaria del Portogallo

D. – Nel Progetto Fratelli, in cui religiosi maristi e lasalliani sono impegnati da tempo con i rifugiati, come state attuando il vostro aiuto in un momento in cui molti libanesi sono sfollati nel loro stesso paese?
R: I bisogni della popolazione libanese sono aumentati dal 2018, quando nel Paese è iniziata una crisi senza precedenti. Si dice che sia tra le dieci più grandi crisi al mondo dal 19° secolo. Il nostro progetto nasce come risposta alla crisi dei rifugiati dopo le guerre in Iraq e Siria. E in effetti, i siriani, ma anche i palestinesi e i libanesi, continuano ad essere presenti nei nostri programmi.
Quando il conflitto sarà finito, dovremo fare una nuova valutazione dei bisogni, perché, da lunedì 23 settembre, il quadro è cambiato enormemente. Nel frattempo, il nostro centro si è messo al servizio delle istituzioni ecclesiali come la Caritas, così come degli spazi di accoglienza del territorio, per collaborare sia con gli aiuti umanitari che con le risorse educative.
Noi, come Progetto Fratelli, intendiamo riaprire il nostro centro il prima possibile e portare avanti i nostri programmi. Come spazio socio-educativo, comprendiamo che il miglior aiuto che possiamo fornire sono tutti i progetti educativi e psico-sociali che portiamo avanti per bambini, giovani e adulti. Questo diventa sempre più necessario sia tra i rifugiati che tra la popolazione locale.

Il grido del cardinale Raï
D. – Il cardinale Raï (vescovo cattolico maronita) è stato molto energico nel condannare l’attacco di Israele al Libano. Si teme un’invasione territoriale al livello di quella già avvenuta nel 2006? E cosa potrebbe succedere in questo caso?
R. – Le notizie internazionali dicono che Israele aveva già preparato un piano per invadere il Libano, cosa che ha iniziato a fare in parte. Il loro obiettivo è quello di rendere il nord del loro paese un luogo sicuro per i cittadini israeliani che possono così ritornare alle loro case. Ed è su questo che si sono concentrati finora, avvertendo più volte che, se la risoluzione 1701 dell’ONU non fosse stata rispettata attraverso i canali diplomatici, l’avrebbero fatta rispettare attraverso i canali militari. Se hanno un piano già pronto, lo eseguiranno. Lo abbiamo visto a Gaza.
Ne stiamo già vedendo le conseguenze. Dal 7 ottobre dello scorso anno, con l’attacco di Hamas a Israele, ci sono stati 90.000 sfollati in Libano. Ma, in un solo giorno, quando sono iniziati gli attacchi nel nostro paese, la cifra è salita a mezzo milione… E oggi si aggira intorno al milione. Le Nazioni Unite avevano un piano di emergenza che prevedeva una situazione di guerra aperta che sarebbe durata tre mesi e che avrebbe generato quel milione di sfollati. Erano preparati per questo. Ma tutto questo è un colpo in più per un Paese impantanato in una crisi multiforme e senza via d’uscita alla quale, se non ci sarà una soluzione a breve, potrebbe aggiungersi anche una tragedia umanitaria. Il Libano non può attendere altro tempo.

D: Data la realtà del malgoverno nel paese, come può il popolo libanese far credere che Hezbollah non lo rappresenti? Inoltre, è possibile che questa organizzazione paramilitare possa scomparire a causa del rifiuto della società che afferma di difendere e non tanto a causa del tentativo di Netanyahu di porvi fine?
R.- Dall’esterno, si vede chiaramente. Se Hezbollah è un problema, che i cittadini se ne liberino. Ma Hezbollah non è una realtà nuova e così facile da capire. È vero che c’è una gran parte del paese che non la sostiene né appoggia quello che sta facendo. Ma ha un’organizzazione complessa e, soprattutto, il supporto di migliaia di persone.
L’esistenza di questa milizia sciita parla dell’impossibile relazione tra Israele e il Libano meridionale. Mostra che per ciascuna delle parti non ci sarà riposo fino a quando l’altra non scomparirà. E questa scelta migliaia di persone lo portano incisa a fuoco nella parte più intima del loro essere. Inoltre, si sono preparati da tempo ad essere nemici e a impegnarsi in uno scontro. Tutto questo non pué terminare con una guerra o con il rifiuto di una parte del paese.
In molti si chiedono perché Hezbollah si sia dovuto coinvolgere in una guerra in cui non ha avuto nulla a che fare e ha trascinato il Paese sull’orlo del baratro. Questo gli ha fatto perdere una popolarità che si era già incrinata abbastanza. Ma va ricordato che molti hanno riconosciuto per anni che sono stati proprio loro a fermare Israele nella guerra del 2006, quando il suo esercito è entrato via terra.
Il problema del paese non è il malgoverno. Il Libano non ha risolto i problemi che ha avuto per anni. La guerra civile dal 1975 al 1990 ha lasciato molte ferite nella popolazione e una divisione quasi insanabile per decenni. Non c’è alcun sentimento di nazionalità. Le persone devono più al loro partito o alla loro confessione religiosa che al loro paese. Una nazione, tra l’altro, che non dà nulla in cambio e che lascia le persone senza protezione. Senza adeguati servizi pubblici di sanità, istruzione, trasporti… Solo l’esercito gode del sostegno maggioritario della popolazione.
E poi c’è la corruzione, che ha trasformato “la Svizzera del Medio Oriente” come era il Libano una volta, in una landa desolata senza futuro. Politici di tutti i colori hanno preso i soldi del paese senza alcuna considerazione. Ecco perché l’idea di Hezbollah non scomparirà facilmente, anche se i suoi leader vengono uccisi o il suo partito o la sua organizzazione crolla. Non importa. Rinascerà ancora e ancora perché vive in un paese povero che ha un nemico da cui difendersi: Israele.

Un messaggio di Pace

D. Dal punto di vista della fede cristiana, come cercate di trasmettere alle persone che accompagnate in un contesto di tale difficoltà un messaggio di pace che faccia tacere le armi e lavori per la riconciliazione?
R. Non è facile costruire la pace in un popolo abituato alla guerra. Sono tante le persone che hanno vissuto la guerra civile dal 1975 al 1990, la guerra del 2006, la guerra in Siria… e le sue conseguenze. Sono tante le persone che vivono fuori dai loro luoghi di origine, che sono state costrette a fuggire. Inoltre, la crisi economica ha lasciato più della metà della popolazione locale al di sotto della soglia di povertà. Tra la popolazione rifugiata, come percepiamo qui quotidianamente, questa percentuale sale al 90%.
Finché non costruiremo una società in cui potremo vivere con dignità, con il lavoro, con i diritti e nella sicurezza, non possiamo parlare di pace. La nostra esperienza di questi anni nel Progetto Fratelli ci dice che lavorare per la pace richiede molto tempo e risorse. La gente vuole la pace, ma ha molte ferite. E devono essere guariti. Se così non sarà, al massimo si potrebbe parlare dell’assenza della guerra, ma non della pace.

Solidarietá con il Libano e la Siria

Solidarietá con il Libano e la Siria

è arrivata in questi giorni (1/10/24)
l’ultima Lettera da Aleppo,
dei Maristi Blu

In Libano e Siria la presenza marista è significativa, oltre alle due grandi scuole (di Beirut e di Jbail-Amchit) ricordiamo il Progetto Fratelli che i maristi realizzano insieme ai Fratelli delle Scuole Cristiane (e che si trova a Rmayleh, a pochi km dalla linea di confine a sud tra Libano e Israele), poi la presenza in Siria con la comunitá marista di Aleppo e il grande impegno di tutti i maristi blu.
Le notizie che ogni giorno ci raggiungono mettono in evidenza una tragica escalation di violenza e guerra. Per motivi di sicurezza tutte le attivitá scolastiche sono per il momento sospese. Per questo ci sentiamo ancora piú vicini e solidali con queste nostre comunità.

Ecco la proposta della nostra Equipe Provinciale di Solidarietà.

A tutte le Comunità Educative Mariste (in Italia, in Spagna e in Libano-Siria),
In questi giorni di incertezza e di dolore, i nostri fratelli e sorelle in Libano e in Siria stanno attraversando momenti difficili. L’escalation del conflitto e delle violenze ha generato paura, sofferenza e immensi problemi, soprattutto per le persone più fragili. Preghiamo per la pace e perché non ci siano più altre vittime innocenti in Medio Oriente e nel resto del mondo.

Queste parole nascono dalla proposta e dalle parole che abbiamo ricevuto da Bahjat Azrie, delegato per la solidarietà tra Libano e Siria (che riportiamo alla fine di questo messaggio). Ci ha parlato della situazione critica del Paese e di come questa minaccia continui ad aumentare. Le sue parole non ci hanno lasciato indifferenti. Al contrario, ci hanno spronato ad agire, a non restare fermi di fronte alla sofferenza dei nostri fratelli e sorelle e a scrivere questo messaggio a tutte le nostre comunità educative.
Dal cuore della nostra missione marista, che è sempre stata quella di essere vicini ai più vulnerabili, oggi vogliamo unire la nostra voce in solidarietà con loro. I Maristi in Libano e in Siria ci chiedono un sostegno e l’aiuto per mantenere viva la fiamma della speranza; Non lasciamo che l’oscurità del conflitto spenga i nostri valori di fraternità, giustizia e pace.
Come comunità educativa marista, vogliamo agire di fronte alla sofferenza dei nostri fratelli. Per questo motivo, vi invitiamo a partecipare ai seguenti gesti di solidarietà, che ci uniscono come un’unica famiglia globale:

preghiera nella comunitá marista di Beirut
  • Vi proponiamo di fare un gesto semplice ma significativo: accendete una candela e osservate un minuto di silenzio in tutte le opere mariste della nostra provincia (Spagna, Italia, Libano e Siria). Possa questo gesto simboleggiare la nostra preghiera e il nostro impegno per le vittime.
    La candela che accenderemo vuole essere un simbolo di luce in mezzo alle tenebre, di speranza in mezzo alla disperazione. Il minuto di silenzio è la nostra preghiera silenziosa, il nostro profondo desiderio di pace per tutti coloro che soffrono.
    Chiediamo ad ogni opera educativa e sociale che questo atto si svolga in uno spazio condiviso, dove possiamo fermarci un attimo in mezzo alla nostra routine quotidiana e ricordare così i nostri fratelli e sorelle. Possa questo gesto unirci tutti in un’unica famiglia globale, impegnata per il bene comune e per la costruzione di un mondo più giusto.
  • Vi proponiamo anche di vivere una preghiera speciale il venerdì.
  • In ciascuno dei nostri centri, dedicheremo uno spazio per riflettere sulla solidarietà che trascende le frontiere.
  • Incoraggiamo ogni opera educativa e sociale a rendere visibile il proprio impegno attraverso i social network, utilizzando l’hashtag
    #LíbanoCuentaConmigo / #LíbanoContaSuDiMe
    Condivideremo le immagini delle nostre preghiere, i minuti di silenzio e gli atti di solidarietà in modo che il mondo possa vedere che, come Maristi, siamo al fianco di coloro che ne hanno più bisogno.
    Vogliamo che queste azioni simboleggino la nostra unità e solidarietà con i nostri fratelli e sorelle libanesi e siriani e con tutte le persone che soffrono per la violenza in Medio Oriente e in altre parti del mondo. Ci uniamo nella preghiera, con il cuore aperto, sentendoci vicini e legati dall’affetto reciproco.
    Continuiamo a lavorare insieme, mossi dallo spirito di Marcellino e sotto la protezione della nostra Buona Madre.

Ricevete un abbraccio da tutta l’Equipe Provinciale di Solidarietà
(Bahjat, Gianluca, H. Juan Pablo, José Antonio, Nacho, Ana e Cristina)

Ecco la lettera inviata il 23/9/24 da Bahjat Azrie – Delegato di Solidarietà per il Libano e laSiria

Maristi del Libano: Sapendo cosa ci aspetta…

Da una settimana a questa parte il Libano, un Paese che ha cercato di rimanere fuori dai conflitti che lo circondano e che vive da diversi anni una fortissima crisi economica e sociale, è avvolto nell’ombra oscura della guerra: con attentati che hanno tolto la vita e ferito molte persone innocenti, tra cui più di 50 bambini.
La tristezza e la rabbia si mescolano, l’inquietudine e l’ansia affiorano dai cuori… Il ricordo di altri tempi tristi si profila all’orizzonte come un incubo e toglie il sonno (e anche la vita) a molti. Vite, progetti e decisioni quotidiane si trovano di colpo congelate dall’incertezza di ciò che può ancora accadere.
I nostri Fratelli e la Comunità Educativa di Champville e Nostra Signora di Lourdes (Jbeil Amchit) hanno iniziato il corso scolastico, ma hanno dovuto fermarsi per alcuni giorni per paura della sicurezza degli studenti. Nell’Équipe di Animazione Libano-Siria (EALS) stiamo riflettendo su quale dovrebbe essere la nostra risposta solidale come Maristi di Champagnat a questi eventi.
I nostri amici del Progetto Fratelli, più vicini alla linea di combattimento nel sud del Paese, continuano a cercare di rispondere ai bisogni dei bambini, dei giovani e delle donne, per queste famiglie la nostra realtà è una vera oasi di incontro e sostegno.
Sarà una “nuova” guerra? Non sappiamo cosa ci aspetta. Ma sappiamo chi possiamo aspettare: sappiamo come fidarci. Sappiamo che speriamo nella Vita. Sappiamo metterci nelle mani di chi sa tutto e sa che la risposta ultima è quella dell’Amore: disponibile e persino sconfitto. Senza eroismo, ma anche senza arrenderci alla fatalità che vogliono imporci. Sappiamo che la pace e la solidarietà sono la nostra unica speranza. E’ quello che noi Maristi ben conosciamo: Essere e Aspettare.
Cari Maristi di Champagnat, vi chiediamo di unirvi a noi in questa speranza accendendo una candela: una luce di pace per tutti i Paesi che soffrono a causa della violenta macchina bellica, specialmente per i bambini e i giovani.
Con Champagnat, concludiamo ripetendo tra le lacrime: “Vous le savez, Mon Dieu!”

Bahjat Azrie – Delegato di Solidarietà Libano-Siria / Provincia Marista Mediterranea, 23 settembre 2024

Nel complicato medio oriente

Nel complicato medio oriente

Gli eventi che continuiamo a vedere ogni giorno da quel tragico 7 ottobre ’23 nel tormentato scenario della terra sacra alle 3 grandi religioni non solo ci angosciano, ma ci ricordano anche gli stretti contatti con persone, realtà, progetti che in quei territori si cerca di portare avanti, nonostante la fatica e le difficoltà.

Pensiamo al Progetto Fratelli che si trova nel sud del Libano, a poche decine di km dalla frontiera con Israele, luogo già tormentato e bersaglio di lanci di missili; qui il progetto è tutto dedicato alla cura e alla formazione dei tanti sfollati dalla vicina Siria e i timori crescono con il perdurare delle ostilità; ma pensiamo anche alla realtà di Beirut, con la sua miscela esplosiva di culture lingue e sensibilità; la grande scuola marista ha già dovuto affrontare la pesante crisi economica cittadina e nazionale dopo l’esplosione del porto, che ha aggiunto tragedia alla disperazione di un popolo già sofferente.

Ma il pensiero più urgente non può non andare ai nostri fratelli di Aleppo. Forse ci siamo meravigliati che il suo aeroporto sia stato colpito dai missili di Israele, ma sappiamo bene che l’equilibrio che mantiene un certo status-quo è davvero fragile. Eppure è proprio qui che i Maristi Blu continuano la loro presenza e ci spronano a superare quelli che sono i nostri piccoli problemi.

In questi giorni è appena arrivata la nuova “Lettera da Aleppo”, subito tradotta dagli amici del sito Ora Pro Siria e vi invitiamo a leggerla per capire come sia importante la loro presenza e quanto possa essere utile anche a noi fare nostre queste motivazioni profonde. Perché vale la pena non arrendersi al male e continuare ad accendere una luce.

Lettera da Aleppo n. 47 – 22 ottobre 2023

E anche il nostro provinciale, fr. Aureliano, ci invita a vivere questi momenti con attenzione e impegno, è appena giunta una sua lettera accorata che ci invita a non rimanere passivi, a non chiuderci nel silenzio. Per questa occasione oltre alle versioni in spagnolo, italiano e francese, la lettera ci arriva anche in arabo e non si tratta di un capriccio dettato dal momento; se pensiamo alle realtà in cui ora siamo immersi sono davvero tanti i nostri amici e collaboratori che si esprimono in questa lingua (dalla Siria al Libano, ma anche dalla Sicilia al sud della Spagna).

Siria: 10 anni senza primavera…

Siria: 10 anni senza primavera…

Spesso ritorniamo sulla situazione della Siria, dove i maristi continuano con grandi difficoltà la loro presenza. Purtroppo il Covid ci ha portato via, a gennaio, il carissimo fratello Georges Hakim e le notizie che ci giungono periodicamente sono ancora molto tragiche.

E spesso per noi occidentali diventa difficile comprendere le complesse dinamiche che hanno portato al conflitto e alla sua incredibile durata; ascoltare la voce dei testimoni è un modo per affrontare meglio la realtà, cercare di capire, allargare gli orizzonti e fare luce su questo conflitto.

Da poco è uscita l’ultima lettera di Aleppo, in collaborazione con il blog Oraprosiria la riportiamo anche sulle nostre pagine, proprio per ricordare la situazione drammatica in cui vivono i nostri fratelli e amici.

Lettera da Aleppo n. 41 (15 marzo 2021)

Cronaca dei 10 anni di guerra contro la Siria
Le sanzioni impinguano le mafie nazionali e sovranazionali, riunendole intorno al banchetto abominevole dell’olocausto siriano.

Dieci anni fa, il 15 marzo 2011, ebbero inizio gli eventi in Siria. Molte proteste sfociarono rapidamente in un conflitto armato.
I ribelli raccontarono di voler stabilire uno Stato di diritto, uno Stato democratico che avrebbe rispettato i diritti umani e combattuto la corruzione, ma ben presto tutti si resero conto che questi ribelli non erano per niente moderati. Si trattava di islamisti estremisti (Daesh, al-Nusra e altri) che intendevano abbattere l’unico Stato laico della regione per realizzare ‘’uno Stato islamista con più democrazia e diritti umani’’ (sic!). Erano armati e finanziati dai Paesi più arretrati del mondo, dove non esistono democrazia o diritti umani, e supportati dai Paesi occidentali intenzionati ad abbattere l’unico governo della regione che osava dire no alla loro egemonia. Dopo essersi sbarazzati dei governanti iracheni e libici, pensavano che sarebbe stato facile: “Questione di poche settimane e voilà”.
A partire dalla ‘’primavera araba’’, tanto lodata dai media occidentali, i Siriani hanno vissuto in un lungo e tremendo inverno (10 anni) che ha distrutto il Paese, le sue infrastrutture, un patrimonio archeologico straordinario, scuole, fabbriche, ospedali; che ha ucciso più di 400.000 persone, causato 5 milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi, 8 milioni di persone sradicate – gli sfollati interni che hanno dovuto abbandonare le loro case – e ha spinto un milione di esseri umani sulle rotte migratorie verso l’Europa e altri Paesi occidentali.

Da 10 anni viviamo in guerra. Sì, 10 lunghi anni. Un tempo superiore alla durata complessiva dei due conflitti mondiali del secolo scorso. Sofferenze, lutti, povertà, miseria sono diventati il nostro destino. Una vita quotidiana che è un incubo.
L’infanzia dei nostri figli è stata rubata, i loro sogni adolescenziali sono svaniti ed è distrutto il futuro dei nostri giovani. Vivevamo molto bene, prima dell’inizio degli eventi. Il nostro Paese era sicuro, stabile, secolare e prospero. Certo, eravamo ben lontani dalla perfezione, ma nessuna ingiustizia, nessuna violazione dei diritti umani, nessuna riforma mancata può giustificare la distruzione della nostra patria e il sacrificio di generazioni di nostri connazionali.
Sebbene da un anno non ci siano stati quasi combattimenti in Siria, nella nostra vita non esistono altro che prove e patimenti. Attraversiamo una tremenda crisi economica generata da 10 anni di guerra, dalla crisi finanziaria in Libano e dalle sanzioni che Stati Uniti e Paesi europei ci hanno inflitto. Il dollaro si cambia attualmente a 4.000 LireSiriane, mentre valeva 50 LS 10 anni fa e 1000 LS l’anno scorso. L’inflazione è dilagante, l’aumento del costo della vita sbalorditivo, Il 70% delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. Senza cibo, prodotti per l’igiene e assistenza sanitaria. Per sopravvivere non restano che le ONG.
Confrontando i prezzi dei 10 prodotti più indispensabili, dallo scorso ottobre al 1 ° marzo, ci rendiamo conto che sono aumentati del 70% in 5 mesi, mentre il reddito non è aumentato. Tutti diventano più poveri e sono sempre a corto di soldi.

Anche se i miei connazionali meritano il titolo di campioni del mondo di resistenza, hanno raggiunto il limite di sopportazione e aspirano soltanto a vivere normalmente e con dignità, come tutti i popoli della Terra.
La pandemia Covid19 ha peggiorato una situazione già gravissima. Tra dicembre e gennaio, abbiamo subito una seconda ondata della malattia. Anche noi Maristi Blu abbiamo pagato un prezzo altissimo con moltissimi i casi tra i nostri volontari o i loro genitori e anche decessi. Abbiamo sofferto molto per la morte del fratello marista Georges Hakim, uno dei nostri pilastri, dopo 15 giorni di ventilazione assistita in terapia intensiva; Margo, la nostra decana, ha trascorso dieci giorni in ospedale con l’ossigenoterapia. Anche mia moglie Leyla a dicembre e io il mese scorso abbiamo contratto la malattia. Grazie a Dio ora siamo completamente guariti.
In questo contesto di crisi e miseria noi Maristi Blu continuiamo a vivere la compassione e ad agire in solidarietà con i più svantaggiati e gli sfollati.

Dal 2012 al 2018, sei lunghi e bui anni di guerra, abbiamo mensilmente distribuito cesti alimentari a oltre 1000 famiglie per aiutarle a sopravvivere. Decidemmo di interrompere questo progetto all’inizio del 2019 perché eravamo convinti che fosse giunto il momento per le famiglie di non dipendere più dagli aiuti delle ONG e cominciare a vivere con il frutto del loro lavoro. Purtroppo, la situazione economica attuale è talmente catastrofica che non sono più in grado di sbarcare il lunario e ci hanno implorato di aiutarle nuovamente con i pacchi di cibo.
Secondo gli ultimi dati del Programma alimentare mondiale, “circa il 60% della popolazione siriana non ha accesso a cibo sano e nutriente in quantità sufficiente. Quattro milioni e mezzo di persone sono entrate in questa categoria nel 2020”. Lo scorso novembre, abbiamo quindi ripreso la distribuzione mensile dei pacchi alimentari a circa 1000 famiglie. Ogni cesto del valore di $ 15 può sfamare 4 persone per dieci giorni ed è equivalente all’80% della retribuzione mensile media di un lavoratore.
Quando decidemmo di interrompere la distribuzione dei cesti alimentari alla fine del 2018, convinti che fosse giunto il tempo per i nostri assistiti di guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte, già da diversi anni avevamo avviato un programma di “micro-progetti ”, il MIT, per insegnare ai giovani del nostro centro di formazione come creare la propria impresa e per finanziare i migliori. È così che, negli ultimi 5 anni, abbiamo finanziato 188 microprogetti e creato un progetto di apprendistato per giovani che, con l’aiuto di professionisti, imparano un mestiere: falegname, meccanico, elettricista, idraulico, parrucchiere, ecc. L’obiettivo di questi due programmi, micro-progetti e formazione professionale, è la creazione di posti di lavoro per aiutare i giovani a guadagnarsi da vivere del proprio lavoro, a rinunciare all’emigrazione e a non “mendicare” dalle ONG.

Volontari e maristi blu di Aleppo

Il nostro progetto “Pane condiviso” continua a offrire a 190 persone molto anziane che vivono da sole un pasto caldo giornaliero, cucinato nella nostra sede da 10 signore e distribuito ogni giorno tra le 13:00 e le 14:00 da una ventina di nostri volontari. Visitandole ci siamo resi conto che alcune avevano anche bisogno di aiuto per la pulizia, il bagno, il cambio del pannolone o l’assunzione dei farmaci.
“Pane Condiviso” ora ha un figlio: il progetto “Assistenza agli anziani”.

fr. Georges Sabe e volontari scout

I volontari del progetto Colibrì continuano a prendersi cura degli sfollati nel campo Al Shahba, che si trova a 40 km da Aleppo. Le nostre due visite settimanali al campo permettono di organizzare attività educative per bambini e adolescenti, curare i malati e distribuire cibo, prodotti igienici e tutto ciò che è necessario per rendere la vita di queste famiglie sfollate un po’ meno penosa. La gioia dei bambini quando arriviamo al campo è pari solo alla gratitudine dei loro genitori nei nostri confronti.
I progetti educativi per bambini dai 3 ai 6 anni “Voglio imparare” e “Imparare a crescere” hanno ripreso le proprie attività a pieno ritmo dopo parecchie interruzioni dovute alla pandemia; interruzioni utilizzate dagli istruttori per rivedere i programmi e aggiornarsi.

Continuano l’attività anche:

  • SEEDS, con 25 volontari, che offre un supporto psicologico a bambini, adolescenti e adulti con tre programmi differenti.
  • Heartmade, che riciclando vecchi vestiti o scarti di tessuto crea meravigliosi abiti femminili che sono modelli unici.
  • Taglio e cucito, per ragazze e madri.
  • Hope, per l’insegnamento dell’inglese.
  • Sviluppo della donna, offre uno spazio di convivialità e formazione per le donne.
  • Goccia di latte, fornisce una razione mensile di latte a bambini e neonati. Continuiamo anche ad accogliere gli sfollati e a curare a nostre spese i malati indigenti.
    Dall’inizio del conflitto, noi Maristi Blu abbiamo cercato di fare del nostro meglio per alleviare le sofferenze, permettere alle famiglie di vivere dignitosamente, trovargli lavoro, per lo sviluppo umano, per seminare speranza, lavorare per la riconciliazione e preparare la Pace.
    I Siriani sono stanchi di aspettare la fine del tunnel e poter vivere normalmente. Dieci anni. Quando è troppo è troppo! Chiediamo, a breve termine, la revoca delle sanzioni imposte dagli USA e dall’Unione Europea e, a medio termine, l’instaurazione della pace che dovrebbe essere raggiunta attraverso il dialogo tra Siriani.
    Strangolata da sanzioni europee e americane ingiuste e illegali, l’economia non si riavvia. Affermano che le sanzioni non colpiscono l’assistenza umanitaria. Però, esse impediscono il commercio e l’importazione di prodotti, bloccano tutte le transazioni finanziarie da parte di tutti i cittadini siriani e tutti i progetti di ricostruzione. I funzionari europei raccontano cinicamente che le sanzioni sono mirate per colpire soltanto chi è al potere e i profittatori di guerra, e non riguardano farmaci, attrezzature sanitarie o prodotti alimentari. Pura ipocrisia. Se i conti bancari di tutti i Siriani sono congelati e nessun cittadino siriano può eseguire transazioni finanziarie quali trasferimenti di denaro, come possiamo acquistare i prodotti esenti? Se conoscete aziende occidentali che accettano di fornirci prodotti gratuitamente, noi saremo acquirenti!
    Invece, molti prodotti sono contrabbandati dalla Turchia o dal Libano e venduti sul mercato nero a prezzi esorbitanti, impoverendo la popolazione e arricchendo i profittatori di guerra; cioè avviene esattamente il contrario di quello che sostiene pretestuosamente chi ha decretato le sanzioni.
    Come se non bastasse, gli USA hanno peggiorato le cose con il ‘’Caesar Act” che mette sotto sanzione qualsiasi azienda al mondo osi fare affari con la Siria. In realtà, si tratta di una punizione collettiva contro la popolazione civile, che la Convenzione di Ginevra definisce crimine contro l’umanità. Le sanzioni servono soltanto per martirizzare la popolazione e sono assolutamente irrilevanti per la fine della guerra o la soluzione politica del conflitto.

  • Da anni, collaboriamo con vari sostenitori per sollecitare la revoca delle sanzioni. Di recente, con i nostri amici svizzeri, francesi e inglesi abbiamo scritto e firmato una lettera aperta al presidente Biden, in occasione della sua investitura il 20 gennaio, chiedendogli di revocare la sanzioni contro la popolazione siriana. Lettere simili sono state inviate al presidente Macron, alla cancelliera Merkel, al primo ministro Johnson e al Presidente della Svizzera. Queste lettere sono state firmate da 95 personalità eminenti: tre patriarchi, due ex arcivescovi di Canterbury, senatori, membri della Camera dei Lord, deputati, vescovi, sindaci, ex ambasciatori e direttori di ONG, poi fatte circolare nei media. Crediamo che potrebbero aiutare a ridefinire la strategia dei vari attori presenti nel conflitto siriano e ad abbandonare lo strumento di sanzioni inumane e illegali.
    A sostegno delle lettere, abbiamo anche lanciato una petizione online e chiediamo a tutti i nostri amici di firmarla per chiedere la revoca delle sanzioni che infliggono sofferenze alla popolazione civile della Siria. Per firmare occorrono 30 secondi, andando sul sito: http://chng.it/2mbTFzm2Dp
    Papa Francesco ha appena concluso una storica visita in Iraq che, come la Siria sua vicina, ha pagato un caro prezzo per l’invasione, l’occupazione e la partizione organizzate con falso pretesto da chi impone sanzioni e pretende di dare ad altri lezioni sui diritti umani.
    Papa Francesco continua a ripetere che siamo “Tutti Fratelli”. Dovrebbe essere ascoltato da coloro che trattano la Siria e i Siriani come nemici.

Dr Nabil Antaki a nome dei Maristi Blu di Aleppo
(Trad. Maria Antonietta Carta)